"Mala gestio" nei servizi di gestione
patrimoniale: dottrina e giurisprudenza
4 dicembre 2006
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INDICE:
1. Introduzione
2. Diligenza,
adeguatezza e trasparenza del rapporto
3. Conflitto di
interesse
4. Il contratto
di gestione
5. Il Benchmark
6. La nullità
del contratto
7. Onere della
prova e risarcimento del danno
1.
Introduzione.
I servizi di
investimento vengono dalla legge ricondotti in un ambito di
attività riservata agli intermediari finanziari. Il settore è
disciplinato da norme speciali che spesso derogano dalle ordinarie
norme del diritto comune: l’asimmetria informativa che
caratterizza il rapporto fra intermediario e cliente impone una
più attenta tutela di quest’ultimo attraverso peculiari vincoli e
gravami imposti all’intermediario nello svolgimento dei servizi
finanziari.
I servizi
finanziari vengono regolati in un’articolata struttura normativa
distribuita su due livelli: disposizioni di carattere generale,
che trovano applicazione a tutti i servizi finanziari, e
disposizioni peculiari ai singoli servizi. Le fonti sono
riconducibili alla normativa primaria, essenzialmente il T.U.F.,
D. Lgs. n. 58/98, e alla normativa regolamentare emanata dalla
Consob, principalmente il Regolamento n. 11522/98.
Mentre taluni
servizi di investimento – quali la negoziazione, la trasmissione
degli ordini, il collocamento, sono caratterizzati da una minore
discrezionalità dell’intermediario, il servizio di gestione è,
senza dubbio, il più pervasivo sul piano fiduciario, in quanto il
cliente rimette all’intermediario una delega a gestire il proprio
patrimonio, seppur nei limiti discrezionali imposti dalla
disciplina normativa e dal contratto[1].
Tra le parti si istaura un rapporto fiduciario: il risparmiatore
trasferisce il controllo del proprio patrimonio finanziario
all’intermediario affinché questi lo gestisca nell’esclusivo
interesse del risparmiatore stesso. Vi è un diretto rapporto fra
la discrezionalità rimessa all’intermediario e i rischi che questi
ponga in essere comportamenti opportunistici, avvalendosi della
menzionata asimmetria informativa che generalmente caratterizza il
rapporto. Per tale ragione il servizio di gestione è regolato da
norme più articolate e stringenti di quelle previste per gli altri
servizi finanziari.
2. Diligenza,
adeguatezza e trasparenza del rapporto.
L’art. 21 del
T.U.F.[2]
detta i criteri generali di comportamento che gli intermediari
devono tenere nella prestazione dei servizi finanziari. Il comma
1, lettera a) del menzionato articolo costituisce una norma
direttamente applicabile, a prescindere dalla genericità della sua
formulazione. “Sebbene spetti alla Consob, ai sensi dell’art. 6,
comma 2 del T.U.F., il compito di specificare i doveri fiduciari
introdotti dall’art. 21, comma 1, lett. a), fornendo quindi
all’Autorità giudiziaria dei più precisi parametri valutativi ai
fini dell’attribuzione – alla parte lesa – di un eventuale
rimedio, ciò non esclude la possibilità per le stesse corti di
“sanzionare”, in sede civile, eventuali violazioni dei doveri
fiduciari suddetti, e ciò a prescindere dalla specificazione degli
stessi ad opera della Consob”. Infatti “Le specifiche regole di
condotta elaborate in sede regolamentare completano, ma non
esauriscono, la disciplina normativa che gli intermediari devono
rispettare nei servizi di investimento: rimane un margine di
intervento ex post che consente alle corti di vagliare
l’effettività della normativa, dando eventualmente un diverso
contenuto alle generiche nozioni di diligenza e/o correttezza, in
relazione alla peculiarità e alle circostanze della fattispecie”
(Così F. Sartori. Le regole di condotta degli intermediari
finanziari (Giuffrè 2004)[3].
Il compiuto
rispetto, sostanziale oltre che formale, della norma, anche se
induce un incremento dei costi posti a carico dell’intermediario,
è resa necessaria dalla superiore necessità di garantire
un’effettiva tutela del cliente e, per il suo tramite, l’integrità
stessa del mercato.
Il concetto di
diligenza, previsto dall’art. 21, comma 1, del T.U.F. travalica la
“diligenza del buon padre di famiglia”, estendendosi alla
“diligenza del buon professionista”. La peritia artis, anche se
non espressamente richiamata, è connaturata nei principi che
informano i successivi articoli del T.U.F.: all’art. 23, in tema
di danno cagionato al cliente, si impone agli intermediari l’onere
di provare la “specifica diligenza richiesta”[4].
Il principio di
correttezza è volto a limitare la discrezionalità
dell’intermediario a vantaggio esclusivo del cliente,
opportunamente integrato con il principio di trasparenza, che
impone all’intermediario di rendere edotto il risparmiatore “sulla
natura e sui rischi delle operazioni, sulle loro implicazioni, e
su qualsiasi atto o circostanza necessari per rendere consapevoli
scelte di investimento o disinvestimento.”[5]
Il formalismo
negoziale che accompagna e caratterizza i servizi finanziari non
delimita diligenza e correttezza al mero rispetto di regole
formali, essendo richieste all’intermediario valutazioni che
qualificano l’attività dello stesso.
Al riguardo la
Cassazione (15/01/00, n. 426), facendo riferimento alla natura di
mandato insita nel contratto, ha avuto modo di riferire al
principio di correttezza i costi incontrati nella gestione:
“…L’obbligo di correttezza nel mandato ha un peso peculiare,
perché il suo contenuto è l’affidamento della cura di un affare
del mandante, per cui il gestore (che è scelto per le sue qualità
professionali) ha un dovere di cautela, di oculatezza ed
avvedutezza e di salvaguardia dell’utilità del gestito e di
protezione della sua sfera patrimoniale. Non è sufficiente
contrapporre l’aleatorietà e la rischiosità delle operazioni di
borsa, sia perché ciò non si identifica con la “rovinosità” ed il
primo azzardo, sia soprattutto perché tali caratteristiche non
giustificano gli elevati costi incontrati nella gestione (la
dottrina indica i costi troppo elevati come ipotesi di inesatta
esecuzione del mandato)”.
L’art. 21 del
T.U.F. richiama anche il concetto di equità, come regola generale
di comportamento. “Sotto questo profilo all’equità possono essere
attribuite diverse funzioni: quella di intervenire nei rapporti
tra cliente ed intermediario al fine di garantire la parità di
trattamento tra clienti appartenenti alla medesima categoria nella
ripartizione dei rischi e nell’esecuzione degli ordini, ovvero
quella di evitare l’abuso da parte dell’intermediario della
posizione contrattuale con riferimento agli oneri di informazione
e alla predisposizione delle clausole contrattuali.” (Così M.
Salvatore, Servizi di investimento e responsabilità civile,
Giuffré 2004).
L’art. 21 dispone
inoltre l’obbligo di acquisire le informazioni necessarie dal
cliente[6]
ed operare in modo che esso sia sempre adeguatamente informato.
Nel Regolamento Consob si precisa poi che gli intermediari devono
chiedere all’investitore notizie in merito a quattro distinti
aspetti: 1) esperienza in materia di investimenti finanziari, 2)
situazione finanziaria, 3) obiettivi di investimento, 4)
propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire
informazioni al riguardo, si precisa nel Regolamento, deve
risultare dal contratto ovvero da apposita dichiarazione
sottoscritta dal cliente[7].
Strettamente
collegato alle informazioni richieste è quanto riportato nel
successivo art. 29 del Regolamento Consob, il quale prevede che
gli intermediari si debbano astenere dall’effettuare operazioni
“non adeguate” per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione[8].
L’obbligo della
valutazione dell’adeguatezza si pone anche solo quando vi sia
stata una consulenza illustrativa o strumentale con la quale
l’intermediario viene a partecipare alla formazione della volontà
dell’investitore: la conoscenza degli strumenti finanziari e dei
mercati, che può avere il cliente, necessariamente circoscritta
per esperienza e cultura, impone all’intermediario la prestazione
della diligenza professionale di cui all’art. 1176 c.c..
E’ senza dubbio
il rischio l’elemento cardine che, posto in relazione con le altre
informazione assunte dal risparmiatore, costituisce la base di
valutazione dell’adeguatezza. Il rischio va raffrontato al grado
di consapevolezza che una maggiore o minore conoscenza ed
esperienza finanziaria può dare e alla rilevanza dell’investimento
in rapporto al complesso del patrimonio di cui dispone il
risparmiatore.
La moderna teoria
fornisce strumenti oggettivi di misurazione del rischio, che sono
strettamente collegati alla variabilità dei risultati: così, ad
esempio, le azioni, le cui oscillazioni dei prezzi, risultano di
norma notevolmente più marcate di quelle osservate sulle
obbligazioni, presentano misure di rischio più elevate. Tuttavia
questi valori numerici, che rispondono ad oggettivi criteri
matematico-statistici, debbono essere resi soggettivi calandoli
sulle connotazioni culturali e patrimoniali dell’investitore.
Sul concetto di
adeguatezza la Consob ha avuto modo di chiarire, con Comunicazione
n. DI/98080595 del ’98, che “……si ricorda che secondo l'art. 29,
comma 1, del reg. Consob n. 11522/98 l'intermediario deve
astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori
operazioni non adeguate in relazione alla loro tipologia, oggetto,
frequenza o dimensione. Al fine di valutare l'adeguatezza delle
operazioni (c.d. suitability), come disposto dal successivo comma
dell'art. 29 citato, l'intermediario tiene conto delle
informazioni raccolte dagli investitori ai sensi dell'art. 28,
comma 1, lett. a), del reg. Consob n. 11522/98 (esperienza in
materia d'investimenti in strumenti finanziari, situazione
finanziaria, obiettivi d'investimento, propensione al rischio) e
di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi
prestati, relativa sia al cliente che agli strumenti finanziari
oggetto dei servizi medesimi. Circa tale ultimo aspetto, si
ricorda che l'intermediario deve disporre di una conoscenza degli
strumenti finanziari e dei servizi da esso offerti adeguata al
tipo di prestazioni da fornire (art. 26, comma 1, lett. e) del
reg. Consob n. 11522/98).
Dal quadro
regolamentare sopra definito – continua il chiarimento Consob -
emerge che la valutazione dell'adeguatezza delle operazioni
rappresenta un momento essenziale della corretta prestazione dei
servizi d'investimento nei confronti degli investitori non
qualificati[9];
l'apprezzamento dei profili di adeguatezza può risultare più o
meno complesso, a seconda del tipo di operazioni considerato e
delle caratteristiche dell'investitore, ma non può essere omesso”.
In un’altra
Comunicazione (DI/30396 del 21/4/00), con riferimento ad un
quesito specifico relativo al servizio di negoziazione, la Consob
più esplicitamente chiarisce: “… Gli intermediari non sono
esonerati dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione
disposta dal cliente anche nel caso in cui l’investitore abbia
rifiutato di fornire le informazioni sulla propria situazione
finanziaria, obiettivi di investimento e propensione al rischio;
nel caso, la valutazione andrà condotta, in ossequio ai principi
generali di correttezza, diligenza e trasparenza, tenendo conto di
tutte le notizie di cui l’intermediario sia in possesso (es. età,
professione, presumibile propensione al rischio del cliente alla
luce anche della pregressa ed abituale operatività, situazione del
mercato).”
Si ritiene che
dal rifiuto di fornire le informazioni richieste
dall’intermediario “non possano discendere conseguenze sfavorevoli
al cliente, nel senso che dall’assenza di informazioni,
l’intermediario autorizzato non può che desumere una propensione
al rischio minima o ridotta, una scarsa conoscenza degli strumenti
finanziari e, di conseguenza, obbiettivi di investimento orientati
alla conservazione del capitale investito, piuttosto che alla
massimizzazione della redditività, con l’unica salvezza
dell’eventualità che le informazioni in argomento non siano
desumibili aliunde, dalle scelte di investimento ed, in generale,
dal comportamento in precedenza tenuto dall’investitore nel
rapporto con la Banca”. (Tr. Monza, A. Roda, 16/12/04)[10].
Occorre per altro
osservare che l’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522/98 prevede
anche che l’intermediario fornisca al cliente adeguate
informazioni sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della
specifica operazione o del servizio. Questo obbligo di
informazione “specifica” si accompagna al duplice obbligo di
informarsi, previsto dagli art. 26 e 28, nel precipuo obiettivo di
porre il cliente nelle condizioni di operare consapevoli scelte di
investimento.
Anche la più
recente legge per la tutela del risparmio e la disciplina dei
mercati finanziari (L. 262/05) - nell’introdurre criteri generali
minimi di classificazione del grado di rischiosità dei prodotti
finanziari e delle gestioni - ribadisce i principi già stabiliti
nel Regolamento Consob, in particolare il rispetto del “principio
di adeguatezza fra le operazioni consigliate agli investitori, o
effettuate per conto di essi, e il profilo di ciascun cliente,
determinato sulla base della sua esperienza in materia di
investimenti in prodotti finanziari, della sua situazione
finanziaria, dei suoi obiettivi d’investimento e della sua
propensione al rischio, salve le diverse disposizioni
espressamente impartite dall’investitore medesimo in forma
scritta, ovvero anche mediante comunicazione telefonica o con
l’uso di strumenti telematici, purché siano adottate procedure che
assicurino l’accertamento della provenienza e la conservazione
della documentazione dell’ordine”.
Non si può, per
altro ritenere che, all’investitore che rimproveri al gestore un
comportamento causativo di perdita o di minor guadagno, sia
preclusa ogni domanda risarcitoria se non abbia contestato
tempestivamente le risultanze dell’informativa periodica prevista
dall’art. 62, comma 2 del Regolamento Consob.
La dottrina
esclude che “…l’approvazione (tacita o espressa) che fa seguito
alla comunicazione dell’eseguito mandato…possa eliminare qualsiasi
responsabilità del gestore per mala gestio, visto che questa trae
fondamento dal (diverso e) generalissimo principio del neminem
laedere” (L. Salamone, Osservazioni a Trib. Napoli, 5/5/00 in tema
di gestioni patrimoniali, in BBTC, 2001).
Il Regolamento
Consob non riporta alcuna menzione dell’approvazione, tacita o
espressa, da parte del cliente dei Rendiconti trimestrali disposti
dal comma 2 dell’art. 62 del Regolamento stesso[11].
Né è ritenuta possibile un’applicazione in via analogica dell’art.
1982 c.c. e/o dell’art. 119 del TUB relativi all’estratto conto o
dell’art. 1712, 2° comma, c.c. relativo all’acquiescenza del
creditore alla prestazione inesatta, con rinuncia tacita a far
valere l’inesatto adempimento del mandatario (a quest’ultimo
riguardo, Cfr. Cassazione 15/01/00 n. 426).
3. Conflitto di
interesse.
L’art. 21 del
T.U.F. prevede che, nella prestazione dei servizi di investimento,
gli intermediari debbano “.. c) organizzarsi in modo tale da
ridurre al minimo il rischio di conflitto di interesse e, in
situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai
clienti trasparenza ed equo trattamento”.
La norma pertanto
non pone un divieto assoluto, consentendo l’esecuzione di
operazioni in conflitto di interesse, preoccupandosi tuttavia che
la natura di tale conflitto sia portata a conoscenza
dell’investitore (disclosure).
La Consob
all’art. 27 del Regolamento ha ulteriormente precisato obblighi e
comportamenti degli intermediari in tema di conflitto di interesse[12].
La Consob ha per
altro chiarito che l’art. 21, lettera c), sopra riportata, è da
intendere, in relazione alla normativa comunitaria, nel senso che
gli intermediari devono, prioritariamente, sforzarsi di evitare i
conflitti di interesse – sia nell’ambito delle disposizioni
prudenziali-organizzative (Chinese walls), sia nell’ambito delle
regole di comportamento - e, soltanto qualora ciò non sia
possibile, sono tenuti a provvedere a che i clienti siano
compiutamente informati e trattati in modo equo.
Recenti sentenze
(Tr. Venezia, Sez. II Giudice Unico Caprioli n.2654 del 22/11/04,
Tr. Firenze, Giudice Unico Pezzuti 30/5/04, Tr. Parma 16/6/05)
hanno poi ritenuto non correttamente assolto l’obbligo di
informazione della presenza del conflitto di interesse se questo
non è accompagnato dalla natura e dalla dimensione dello stesso;
in tale evenienza, infatti, il cliente non sarebbe compiutamente
posto in grado di valutare l’autorizzazione all’intermediario ad
operare in deroga.
La disciplina del
conflitto di interesse subisce, nel servizio di gestione, un
temperamento riconducibile alla circostanza che il gestore, nella
serie continuativa di operazioni svolte, si potrebbe trovare nella
condizione di dover, per ciascuna operazione, raccogliere
preventivamente l’autorizzazione dell’investitore. Assumendo
spesso le tipologie di conflitto di interesse forme
standardizzate, correntezza e tempestività della gestione hanno
suggerito che tale autorizzazione possa essere rilasciata una
tantum nel contratto di gestione entro limiti percentuali
predefiniti in funzione della natura del conflitto di interesse e
della tipologia degli strumenti finanziari oggetto della gestione.
Tuttavia i
pregnanti elementi di conflitto di interesse che si vengono a
determinare quando il gestore investe il patrimonio del cliente in
quota di OICR, promossi o gestiti dallo stesso e dalle Società del
Gruppo, ha indotto la Consob ad intervenire con due successive
Comunicazioni precisando:
- nella prima
(Comunicazione n. DI/20844 del 16/3/00), la Consob raccomanda ai
gestori : “ … di assumere, nell’ambito del contratto concluso con
i risparmiatori, l’impegno, qualora il patrimonio venga investito
in parti di OICR “collegati”, che: a) non saranno addebitate spese
di qualsiasi natura relativamente alla sottoscrizione o al
rimobrso delle parti di tali OICR acquistati; b) la parte del
portafoglio rappresentata da parti di OICR “collegati” non sarà
considerata ai fini del computo delle commissioni di gestione.”
- nella seconda
(Comunicazione n. DIN/1009635 dell’8/2/01), la Consob ha poi
chiarito: “con riferimento alle GPF aventi ad oggetto parti di
OICR collegati, si ribadisce che risulta giustificata la
remunerazione del gestore individuale (e l’addebito alla clientela
di ulteriori spese) ove questi presti effettivamente un servizio
aggiuntivo rispetto a quello “incorporato” nelle quote o nelle
azioni in cui il patrimonio viene investito. Non risulta invece
consentito gravare il cliente con una duplicità di oneri a fronte
di un solo servizio eventualmente ricevuto dall’investitore.”
4. Il contratto
di gestione.
Tra i servizi di
investimento, previsti al comma 5 dell’art. 1 del T.U.F. (D. Lgs
n. 58/98), è ricompresa la “gestione su base individuale di
portafogli di investimento per conto terzi”[13].
La gestione su “base individuale” si fonda su un rapporto
personalizzato nel quale vengono individuate le caratteristiche e
il tipo di strumento finanziario più adatto alle esigenze
dell’investitore. È la delega alla “decisione”, oltre che
all’esecuzione, che caratterizza la “gestione” e la distingue
dalla mera “amministrazione”. La linea di gestione dovrebbe
risultare diversa da investitore a investitore: nella realtà
operativa i rapporti di gestione hanno subito un’ampia
standardizzazione e l’elemento di personalizzazione è risultato
nel tempo alquanto ridimensionato.
Diversamente
dalla gestione collettiva del risparmio – nella quale
l’investitore non è titolare di alcun potere gestorio - nella
gestione individuale invece, l’investitore ha un rapporto diretto
con il gestore al quale ha affidato il proprio investimento e può
interferire nell’attività di gestione. Nella gestione collettiva
il denaro dell’investitore confluisce in un patrimonio comune e
condiviso con gli altri partecipanti, nella gestione individuale
il denaro dell’investitore resta separato da quello degli altri e
gli strumenti finanziari acquistati dal gestore per suo conto
vengono all’investitore titolati. Nella gestione collettiva il
singolo investitore non può ordinare o richiedere al gestore di
eseguire singole operazioni: tale diritto gli è invece
riconosciuto nell’ambito dell’attività di gestione individuale.
Questo aspetto connatura il minor grado di discrezionalità rimesso
al gestore.
Per il contratto
di gestione – regolato dagli art. 23 e 24 del T.U.F.– è prevista
la forma scritta, imposta ad substantiam, risultando sanzionati
con la nullità i patti contrari alle disposizioni del citato art.
24.
Oltre alla
redazione in forma scritta del contratto di gestione, l’art. 23
del T.U.F. prevede l’onere della consegna al cliente di un
esemplare del contratto stesso, dovere riconducibile all’obbligo
dell’intermediario di informare adeguatamente il cliente; la
mancata consegna della copia del contratto viene a costituire un
inadempimento contrattuale e fonte di responsabilità civile per
l’intermediario.
Infatti l’onere
della consegna al cliente di un esemplare del contratto non è un
elemento di forma del contratto, ma costituisce secondo la
giurisprudenza (Tribunale di Milano 27/3/00) un dovere di
carattere imperativo riconducibile all’obbligo dell’intermediario
di informare adeguatamente il cliente.
“Il formalismo
che caratterizza la disciplina normativa in esame non si limita ai
vincoli attinenti al mezzo utilizzato per la manifestazione della
volontà, ma ricomprende anche i vincoli attinenti al contenuto
della dichiarazione negoziale. ……. la Consob … indica
dettagliatamente il contenuto (informativo) del contratto con il
cliente, non lasciando ampio spazio alla volontà delle parti. La
Commissione, spingendosi più avanti del legislatore, condiziona la
liceità dell’attività di investimento e, a parere di chi scrive,
la validità del regolamento negoziale. La mancata osservazione
delle disposizioni di cui all’art. 30 del regolamento Consob n.
11522/98 sembra, infatti, comportare la nullità del relativo
contratto di investimento per contrarietà a norme imperative.”
(Così F. Sartori, op. cit.).
Il T.U.F. (D. Lgs
n. 58/98), nell’enunciare i principi contrattuali, lascia alla
normativa secondaria l’individuazione degli specifici contenuti
contrattuali. L’art. 6 del T.U.F., nell’attribuire alla Consob il
potere di emanare norme attinenti al comportamento da osservare
nei rapporti con gli investitori, espressamente richiama la
finalità di “assicurare che la gestione del risparmio in base
individuale si svolga con modalità aderenti alle specifiche
esigenze dei singoli investitori”. La Consob, nel Regolamento n.
11522/98 condiziona, soprattutto per le gestioni di portafoglio,
assai ampiamente l’attività prestata dall’intermediario[14]:
nel contratto, la mancata osservanza degli art. 30, 37 e seguenti
del Regolamento – per giudizio prevalente della dottrina[15]
– ne comporta la nullità per contrarietà a norme imperative,
indipendentemente da un’espressa previsione e non rilevando la
natura secondaria della norma.
Prima della
conclusione del contratto, all’investitore devono essere
prospettate le tipologie di investimento e i livelli di rischio
che le caratterizzano. Un documento sui rischi generali
dell’investimento deve essere consegnato all’investitore e questi
ne deve dare atto per iscritto. L’investitore deve rappresentare i
tempi di impiego del capitale, gli obiettivi che intende
perseguire, i rischi che può o vuole correre. Il promotore (o il
gestore) deve raccogliere dette informazioni e deve prospettare e
illustrare la linea di investimento che più si attaglia alle
esigenze del cliente. Solo in questo momento matura il
perfezionamento del contratto, ma vi è tutta un’attività
preparatoria nella quale possono configurarsi responsabilità
pre-contrattuali.
La disciplina del
T.U.F. e del Regolamento Consob mira a tutelare il cliente,
estendendo la responsabilizzazione del gestore alla fase formativa
delle volontà espresse nel contratto stesso e perseguendo
condizioni di informazione e trasparenza che possano consentire
una corretta e consapevole aderenza delle scelte contrattuali alle
esigenze dell’investitore.
Il Regolamento
Consob n. 11522/98, nel richiamare all’art. 30 gli elementi
essenziali del contratto relativo ai servizi di investimento,
introduce all’art. 37, per lo specifico servizio di gestione di
portafogli, ulteriori prescrizioni, in primis “le caratteristiche
di gestione”[16].
“Elemento caratteristico del contenuto del contratto di gestione,
quale plasmato dalla disciplina secondaria, è rappresentato
dall’obbligo di indicare le “caratteristiche” della gestione.
L’espressione richiama, in generale, la tipologia della gestione
prescelta: il cliente viene, così, chiamato a definire il “tipo”
di gestione cui intende accedere ( ad esempio: gestione sui soli
mercati domestici, ovvero sui mercati internazionali, gestione in
titoli azionari, ovvero anche in strumenti di altro tipo, ecc.).”
(Così F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Ed.
Giappichelli, 2003).
Il minor grado di
discrezionalità di cui gode il gestore individuale, rispetto al
gestore collettivo deriva dalle istruzioni vincolanti che
l’investitore esprime già al momento iniziale del rapporto. La
“linea di gestione” che viene caratterizzata nel contratto viene
di fatto a costituire un quadro di riferimento che delimita i
confini di discrezionalità del gestore[17].
Il Regolamento
Consob dà una precisa definizione delle caratteristiche di
gestione. Dette caratteristiche di gestione (art. 38) vengono
individuate in quattro distinti aspetti[18]:
a) categorie di strumenti finanziari; b) tipologia delle
operazioni; c) misura della leva finanziaria; d) benchmark, che
vengono poi dettagliatamente descritti nei successivi articoli
(39/42) del Regolamento.
L’indicazione
delle categorie di strumenti finanziari nelle quali può essere
investito il patrimonio gestito deve essere effettuata secondo i
criteri fissati dall’art.39[19].
Detti criteri sono articolati in modo tale da fornire al cliente
informazioni il più possibile dettagliate in ordine ai diversi
elementi che concorrono a formare il profilo di rischio-rendimento
dell’investimento in strumenti finanziari. L’art. 39 infatti
individua le categorie distinte di strumenti finanziari in
funzione della divisa, dei mercati, degli strumenti finanziari,
dell’emittente e, per i titoli di debito, della duration
(scadenza).
La formulazione
dell’art. 39 del Regolamento Consob a decorrere dall’1/7/03, con
delibera n. 13710/02, è stata ampliata aggiornandola con i nuovi
strumenti finanziari introdotti sul mercato[20].
Ciò nel presupposto – commenta l’ABI (Serie Tecnica n. 35 del
3/6/03) – che quanto più ampia è la discrezionalità di cui il
gestore ha bisogno per svolgere la propria attività, tanto più
egli deve essere in grado di specificare, a tutela della posizione
dell’investitore, l’ampiezza di tale discrezionalità, anche in
termini di profilo di rischio.
Come si
riscontra, sia nella precedente versione che in quella aggiornata,
vengono individuati parametri generali e parametri specifici di
differenziazione, tutti aspetti che devono essere compiutamente
indicati nel contratto di gestione sottoscritto dal cliente[21].
Più complessa
risulta l’individuazione del profilo di rischio di un portafoglio
e la sua coerenza con le esigenze espressa dall’investitore. La
moderna teoria economica impiega, a tal fine, modelli, elaborati
da Markowitz e Sharpe, che consentono di gestire il trade-off
rischio/rendimento e di realizzare portafogli efficienti, che
perseguono – fissato un predeterminato rischio – il massimo
rendimento conseguibile sul mercato. Impieghi di portafoglio ad
elevato rischio conseguono, nel medio-lungo termine, un rendimento
medio atteso più elevato, ma la variabilità dei risultati, in
periodi più brevi, risulta marcatamente più elevata. Un
investitore che desidera un reddito elevato dovrà necessariamente
assumere rischi più elevati di conseguire, nel breve-medio
termine, anche perdite significative. L’aspettativa di reddito che
desidera conseguire l’investitore è data dalla differenza fra il
capitale iniziale e quello che si vuole conseguire alla fine
dell’orizzonte temporale di impiego, la propensione al rischio è
data dal grado di sicurezza con il quale l’investitore vuole
conseguire l’obiettivo. Obiettivi di reddito moderato possono
essere conseguiti probabilisticamente in sicurezza, obiettivi di
reddito elevato possono essere solo perseguiti assumendo il
rischio di non raggiungere l’obiettivo e di conseguire invece un
obiettivo minore o una perdita. Sta alla diligenza professionale
dell’intermediario di ponderare opportunamente la composizione del
portafoglio gestito al fine di meglio perseguire le esigenze
espresse dall’investitore[22].
Se il rischio sistematico di un investitore, che risulta dal
trade-off tra rischio e rendimento, è sintomatico di una policy
conservativa, la composizione più appropriata presenterà in parte
preponderante (ad esempio: 75%) obbligazioni ed in parte
minoritaria azionario. Al contrario, se l’investitore ha adottato
una politica di investimento aggressiva sembra ragionevole una
composizione sospinta prevalentemente (ad esempio: 75%) su azioni
e solo minoritariamente in obbligazioni.
L’art. 24 del
T.U.F. e l’art. 30 del Regolamento Consob prevedono inoltre che
“il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle
operazioni da compiere”. “La norma ribadisce ciò che,
notoriamente, rappresenta uno degli stessi tratti distintivi del
servizio di gestione individuale rappresentato dalla possibilità
per il cliente di intervenire direttamente – mediante la
formulazione di istruzioni vincolanti – nell’attività gestoria;
possibilità che invece è da escludere nella gestione collettiva
del risparmio. L’ampia formulazione dell’art. 24 è idonea a
ricomprendere non soltanto gli ordini specifici che il cliente
intenda di dover di volta in volta impartire (ad esempio:
acquistare o vendere un determinato strumento finanziario), ma più
in generale ogni altro aspetto attinente all’attività gestoria:
dalle strategie generali di investimento al profilo di rischio
della gestione, ecc.” (Così F. Annunziata, op. cit. Ed.
Giappichelli, 2003).
Occorre infine
richiamare il diritto di recesso, disposto dal comma 6 dell’art.
30 del T.U.F., per i contratti conclusi fuori sede, da esercitarsi
entro sette giorni dalla data di sottoscrizione. All’investitore è
riconosciuto uno jus poenitendi limitatamente ai casi di
collocamento di strumenti finanziari e di servizio di gestione di
portafogli individuali. Questo rispecchia la particolare
attenzione prestata dal legislatore alla gestione.
Occorre infine
richiamare una pratica ormai generalizzata: nei contratti di
servizio di gestione individuale non si realizza l’incontro di due
volontà al termine di un processo di trattativa, bensì i contratti
risultano sostanzialmente predisposti dall’intermediario[23].
In tali circostanze, il meccanismo previsto dagli art. 1341 e 1342
c.c. non appare adeguato a tutelare compiutamente il contraente
debole che non ha partecipato alla predisposizione del contratto.
Gli oneri di informazione e trasparenza, nonché la previsione dei
contenuti minimi del contratto, previsti dal legislatore, vengono
pertanto ad assumere una specifica rilevanza per un più efficace
presidio di tutela del contraente debole.
5. Il Benchmark
L’art. 42 del
Regolamento Consob prevede che nel servizio di gestione di
portafoglio, ai fini della definizione delle caratteristiche di
gestione, l’intermediario indichi anche un Benchmark di
riferimento coerente con i rischi ad esso connessi[24].
Il Benchmark
quindi – in uno con le caratteristiche di gestione previste
dall’art.38 – esprime, non solo quantitativamente ma anche
qualitativamente, il profilo di rischio della gestione e consente
all’investitore di avere in sede di rendicontazione trimestrale,
la percezione precisa dell’andamento della gestione ai fini della
valutazione dell’operato del gestore.
Il parametro non
impegna il gestore al raggiungimento di un rendimento non
inferiore al Benchmark, non essendovi in genere obbligo di
risultato: vi è bensì un obbligo di mezzi, di professionalità, di
aderenza ai criteri e margini di rischio prestabiliti.
Solo in
particolari gestioni, accompagnate da una esplicita garanzia, il
gestore assume un’obbligazione di risultato, che si realizza
attraverso un apposito contratto accessorio - che non deve
influenzare le scelte di investimento e lo stile gestionale - nel
relativo contratto di gestione. In questi termini si è espressa la
Consob in una recente precisazione (Comunicazione n. DIN/5051791
del 22/7/05), per esprimere l’esaustiva unitarietà del contratto
di gestione. In tale precisazione la Consob ha, tra l’altro,
ribadito, tra i criteri-guida di carattere generale, che: “le
caratteristiche della gestione devono essere chiaramente
illustrate nel relativo documento contrattuale (art. 24, comma 1,
lett. a), del d.lgs. n. 58/98: art. 37 del regolamento Consob n.
11522/98” aggiungendo, nella stessa comunicazione: “Il principio
di trasparenza e correttezza nei confronti degli investitori rende
incompatibile con il quadro vigente uno schema in cui le
caratteristiche del servizio di gestione, pur formalmente (ma
parzialmente) individuate nel relativo documento contrattuale,
fossero sostanzialmente integrate o modificate sulla base del
separato accordo di garanzia.”
La normativa
Consob persegue l’obiettivo di ricomprendere ed esplicitare
compiutamente nei contratti gli aspetti che caratterizzano la
gestione onde consentire al cliente di comprendere, al momento
della sottoscrizione del mandato, la misura e la natura del
rischio a cui va incontro. L’ampio margine fiduciario rimesso
all’intermediario, reso necessario per un’efficiente gestione del
patrimonio dell’investitore, impone all’intermediario stesso
un’esatta individuazione dei margini discrezionali rimessi,
sopratutto sotto il profilo del rischio, inteso come esposizione
alle perdite. Questo viene perseguito con la definizione
preventiva dei criteri e caratteristiche di gestione integrati
dall’indicazione del Benchmark.
Il Benchmark
viene a costituire un indicatore tecnico che esprime
sinteticamente in un valore numerico le caratteristiche di
gestione: in questo senso fissate queste ultime, l’individuazione
del Benchmark è consequenziale.
La Consob ha più
volte chiarito (cfr. da ultimo la Comunicazione n. DIN/5076376 del
17-11-2005): “……occorre preliminarmente richiamare che la
correttezza e trasparenza comportamentale richiesta agli
intermediari nella prestazione del servizio di gestione su base
individuale di portafogli di investimento si sostanzia, tra
l'altro, nel fornire agli investitori informazioni sulla natura,
sui rischi e sulle implicazioni del servizio reso, la cui
conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di
investimento (art. 21, comma 1, lett. a) e lett. b) del d.Igs. n.
58/1998; art. 28, comma 2, del regolamento CONSOB n. 11522/1998).
A tal fine, il
contratto inerente al servizio di gestione individuale deve
indicare, tra gli elementi essenziali, le caratteristiche della
gestione (art. 24, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 58/1998; art.
37 del regolamento CONSOB n. 11522/1998), tra cui figura "il
parametro oggettivo di riferimento al quale confrontare il
rendimento della gestione" (art. 38, lett. d), del regolamento
CONSOB n. 11522/1998). Tale parametro deve essere "coerente con i
rischi a essa connessi" (art. 42, comma 1, del regolamento CONSOB
n. 11522/1998) agevolando, per tal via, ex ante, la scelta di
investimento e, ex post, la valutazione dei risultati prodotti
dall'attività gestoria.
Il benchmark è
costituito da un predefinito portafoglio di attività finanziarie,
"costruito facendo riferimento a indicatori finanziari elaborati
da soggetti terzi e di comune utilizzo" (art. 42, comma 2, del
regolamento CONSOB n. 11522/1998), rappresentativo dei rischi di
mercato cui tipicamente è esposto il patrimonio gestito; esso
deve, pertanto, essere coerente con la politica e gli obiettivi
della gestione di portafoglio, nonché accettato dal gestore come
strategia neutrale di investimento.
Il benchmark
contribuisce anche a determinare il c.d. stile gestionale: nel
caso di stile "passivo" ci si limiterà a replicare la composizione
del parametro prescelto, mentre nel caso di stile "attivo" la
composizione del portafoglio differirà, in modo più o meno
marcato, da quella del parametro in relazione ai criteri di
selezione degli strumenti finanziari adottati.
Deve, tuttavia,
rilevarsi che il benchmark è specificamente indicativo del
rischio-rendimento atteso del portafoglio gestito ove la
composizione patrimoniale dello stesso consegua da strategie di
investimento basate su una predefinita politica di asset
allocation (investimento in determinate classi di strumenti
finanziari, mercati e/o settori industriali). Il rischio cui è
esposta la gestione sarà, infatti, primariamente valutato in
relazione al benchmark stesso”.
Naturalmente vi
deve essere congruenza fra i criteri e le caratteristiche di
gestione definite a norma degli art. 38 e 39 e il Benchmark di
riferimento disposto dall’art. 42 del Regolamento Consob[25]:
un tasso di breve periodo sarà coerente con una gestione di
liquidità, un indice obbligazionario (Rendistato, Rendiob,
CityGroup Government Bond Index) sarà coerente con una gestione
rivolta ai titoli obbligazionari, un indice azionario (Comit,
Morgan Stanley Capital Index) sarà coerente con caratteristiche di
gestione incentrate sui mercati azionari. Per le gestioni miste,
le cui caratteristiche prevedono la contemporanea presenza di
titoli di liquidità, titoli obbligazionari e titoli azionari,
spesso il Benchmark di riferimento viene espresso come media
ponderata dei relativi indici di comparto (ad esempio: 30% Rendiob,
40% Rendistato, 30% Comit).
Ad ogni Benchmark
è associato un rischio, misurato statisticamente dalla volatilità
che caratterizza il parametro assunto a riferimento. E’ evidente,
ad esempio, che un impiego di liquidità (a breve) o un impiego su
titoli governativi a breve-medio termine presentano, nel corso del
tempo, un rendimento alquanto stabile e quindi margini di rischio
minimi, mentre un impiego in obbligazioni societarie (si veda il
caso di Parmalat e Cirio) e, ancor più, in azioni presentano
livelli di rischio che possono assumere livelli altissimi: la
variabilità dei prezzi di mercato per questi ultimi titoli è
notevolmente maggiore di quella storicamente osservata in titoli
governativi (di primari paesi) e di breve termine. Il rischio
associato ad un portafoglio viene tecnicamente misurato proprio in
base alle variazioni osservate statisticamente sul mercato nei
prezzi dei titoli che compongono il portafoglio stesso (standard
deviation). Un portafoglio risulta efficiente (correttamente
gestito) se, posto un limite di rischio (variabilità), consegue il
massimo rendimento nel rispetto di tale vincolo. Evidentemente un
impiego azionario, ad esempio, fornirà un rendimento
apprezzabilmente più alto di un impiego obbligazionario (7 – 8
punti percentuali nelle serie storiche di lungo periodo), ma tale
rendimento potrà essere probabilisticamente conseguito solo nella
media di una serie molto lunga di anni, in ciascuno dei quali la
performance potrà subire una significativa variabilità, potendo
oscillare da -20/30% a +20/30%: gli indici di borsa di questi
ultimi anni ne forniscono un’ampia evidenza.
Pertanto,
soprattutto per portafogli caratterizzati da un limitato orizzonte
temporale (3/5 anni), a meno di un’elevatissima propensione al
rischio, si preferisce accentrare la parte prevalente degli
impieghi nel breve termine e nel comparto di primari titoli
governativi obbligazionari, limitando, al più, a qualche punto
percentuale la componente azionaria. Si osservi che la variabilità
dei titoli azionari può risultare sino a 30/40 volte più alta dei
titoli monetari: pertanto anche una quota alquanto limitata di
impieghi azionari può indurre significative variazioni del
rendimento complessivo del portafoglio.
Non essendo stata
ancora definita la classificazione di rischio, che la nuova legge
di tutela del risparmio ha demandato ad uno specifico Regolamento
Consob, per meglio comprendere l’entità di rischio associata a
ciascun strumento finanziario, può essere utile riferirsi ad
un’analisi condotta da Assogestioni (Associazioni delle SGR, SIM e
SICAV), che ha ricostruito 7 classi di rischio nelle quali possono
essere ricompresi gli strumenti finanziari (esclusi warrant e
derivati)[26].


Come si rileva,
il grado di rischio sale rapidamente dallo 0,1% dei BOT all’1% per
titoli obbligazionari con durata sino a 2,5 anni, per passare a
valori via via più alti sino al 20% dei titoli azionari e al 26%
per gli azionari dei Paesi emergenti. Tali valori fanno meglio
comprendere come, anche una quota limitata di portafoglio
impiegata in questi ultimi comparti, possa amplificare
apprezzabilmente il rischio complessivo di portafoglio stesso.
6. La nullità del
contratto.
L’adempimento
degli obblighi previsti dall’art. 21 del T.U.F., oltre allo
specifico interesse volto a conseguire scelte di investimento
efficienti e pienamente consapevoli, persegue interessi più
generali ricondotti dal legislatore del T.U.F. all’integrità del
mercato, oltre che alla tutela del risparmio. “La violazione dei
doveri fiduciari, che gravano l’intermediario, si riverbera sul
buon funzionamento del mercato finanziario e sui suoi principali
attori. Altrimenti detto, il mancato rispetto sistematico degli
obblighi comportamentali da parte degli operatori neutralizza la
linfa vitale del mercato mobiliare, ovvero la fiducia che i
risparmiatori ripongono nelle loro controparti e di conseguenza
l’efficiente funzionamento del mercato” (Cfr. A. Sartori, op. cit.).
Secondo un più
recente orientamento giurisprudenziale il richiamo ad un interesse
di carattere pubblico attribuisce alla norma una natura
imperativa, la cui violazione si è ritenuto trascinare la nullità
del contratto[27].
Attraverso la
tutela dell’investitore si viene di fatto a perseguire il più
generale interesse del corretto funzionamento dei mercati
finanziari: la mancanza di un’espressa previsione di nullità del
contratto viene sostanzialmente colmata dal principio generale
posto dall’art. 1418 c.c.[28].
Secondo questo orientamento anche le fonti regolamentari
proveniente dalla Consob hanno materia imperativa in quanto
rappresentano l’attuazione dei principi generali posti dal T.U.F.,
costituenti con questo un corpus unicum, da valutarsi
unitariamente.
Secondo un
diverso orientamento giurisprudenziale il mancato rispetto degli
obblighi previsti dall’art. 21 del T.U.F. e dagli artt. 26/29 del
Regolamento Consob n. 11522/98, produce la risoluzione del
contratto. La posizione dell’intermediario appare del tutto simile
a quella di qualsivoglia altro professionista (medico, avvocato,
notaio) che, ricevuto un incarico per la soluzione di un
determinato caso sottoposto al suo vaglio, non fornisca al cliente
quelle informazioni grazie alle quali lo stesso può operare una
scelta consapevole e dar seguito o meno ad ulteriori sviluppi,
anche negoziali rispetto all’originaria prestazione di una
consulenza o diagnosi. Lo stesso art. 23, comma 6 del T.U.F. nel
richiamare una responsabilità di carattere risarcitorio,
riconducibile ad un inadempimento contrattuale, confermerebbe
questa interpretazione[29].
Un terzo
orientamento giurisprudenziale ha invece ravvisato
un’annullabilità del contratto per vizio di consenso quando per
errore o per dolo il comportamento dell’intermediario risulti
preordinato a carpire il consenso stesso dell’investitore.
Sostanzialmente il mancato rispetto degli obblighi informativi
posti a carico dell’intermediario ha compromesso il processo di
formazione della volontà dell’investitore. Pertanto qualora il
consenso sia stato viziato da errore sostanziale o da artifici o
da raggiri il contratto potrà essere annullato ai sensi dell’art.
1428 c.c.(Tr. Parma 16/6/05).
7. Onere della
prova e risarcimento del danno.
La diligenza e la
correttezza, richiamata fra i principi base della norma, si
ricollegano, da un lato alla professionalità dell’intermediario
chiamato a prestare un servizio caratterizzato da peculiari
cognizioni tecniche, dall’altro alla necessità di evitare
comportamenti che possano poggiarsi sulla disparità di forza
contrattuale delle parti. Il T.U.F. è particolarmente attento alla
tutela della parte debole del rapporto contrattuale: nei giudizi,
mentre è rimesso all’investitore la prova circoscritta al
pregiudizio economico e al rapporto causale con il comportamento
dell’intermediario, all’intermediario viene rimesso l’onere di
dimostrare una condotta conforme agli standard di diligenza
professionale (art. 23, comma 6)[30].
La valutazione
dei danni, sia contrattuali che extracontrattuali, richiamata
dall’art. 2056 c.c., è riportata negli artt. 1223, 1226 e 1227
c.c. e, per quelli derivati da inadempimento contrattuale, anche
dall’art. 1225 c.c..
Il danno viene
dalla norma distinto in due componenti: danno emergente e lucro
cessante. Nel concetto di risarcimento, infatti, “…trovano
compensazione tutte le ripercussioni economiche negative
riconducibili casualmente all’illecito o all’inadempimento, così
che il patrimonio del danneggiato viene posto in una situazione
equivalente, almeno sotto l’aspetto quantitativo, a quella in cui
si sarebbe trovato in assenza dell’evento lesivo” (Cass. 2145/69;
Cass. 2458/80; Cass. 6325/87; Cass. 6856/88; Cass. 198/89; Cass.
7971/90) (Così A. Baldassarri, Le categorie del danno, in La
responsabilità civile, Cedam, Torino 1998).
L’intermediario
deve prestare la propria opera perseguendo la valorizzazione del
patrimonio del cliente, impiegando la propria struttura
organizzativa, informativa e professionale; l’opera prestata deve
inoltre risultare coerente con gli obiettivi e il profilo di
rischio del cliente. In questo senso l’intermediario assume un
obbligazione di mezzi, informazioni e professionalità. Il mancato
raggiungimento degli obiettivi perseguiti non può certo essere
ricondotto automaticamente alla responsabilità dell’intermediario:
nel caso di inadempimento si renderà necessario distinguere la
quota di perdita e mancato reddito dell’investimento imputabile al
mercato, dalla quota che invece rappresenta il diretto riflesso
del comportamento inadempiente dell’intermediario;
dall’inadempimento discende anche l’obbligo della restituzione
delle commissioni percepite a qualunque titolo dall’intermediario.
Nella valutazione
del risarcimento del danno, mentre non si pongono, di norma,
particolari problemi per la determinazione del danno emergente –
costituito dalla diminuzione della sfera patrimoniale
dell’investitore conseguente all’inadempimento – margini di
problematicità e incertezza potrebbero incontrarsi nella
determinazione del lucro cessante – patrimonio netto che
l’investitore avrebbe conseguito se non fosse intervenuto
l’inadempimento (Tr. Palermo, Sez. III Civile Pres. Monteleone
17/1/05).
L’obiettivo non
può che essere la perfetta compensazione della parte lesa,
lasciando il risparmiatore indifferente tra adempimento e
inadempimento. In merito al lucro cessante insorgono talune
difficoltà di valutazione, dovendosi misurare il vantaggio
potenziale che l’investitore avrebbe conseguito se l’intermediario
si fosse comportato professionalmente. La giurisprudenza ha
impiegato a tal fine categorie omogenee all’interno della massa
dei prodotti finanziari, organizzando “panieri” di prodotti con
caratteristiche simili a quelli oggetto del contratto nel quale si
è riscontrata la violazione di legge, sulla base di un criterio di
ragionevolezza che tiene conto delle indicazioni fornite
dall’investitore e delle sue peculiari caratteristiche e
atteggiamenti manifestati all’intermediario. Una volta individuato
il periodo di riferimento, si potrà conseguentemente fare
riferimento al rendimento medio di tale paniere: l’utilizzo degli
indici di mercato consente di abbracciare categorie assai ampie
che possono mediare e ben rappresentare l’andamento del menzionato
paniere.
In tal senso si è
espresso il Tribunale di Bari nella sentenza n. 1020 del 3/5/01,
il quale ha ribadito che la quantificazione dell’aspettativa
dell’investitore ad un maggior profitto deve essere effettuata
utilizzando “categorie omogenee all’interno della massa dei
prodotti finanziari: in particolare organizzando “panieri” di
prodotti con caratteristiche simili a quelli oggetto del contratto
di cui l’investitore assume la violazione, delineando in tal modo
un parametro di riferimento, da adeguare alle caratteristiche
specifiche del contratto in questione”.
[1] Si può, con Enriques (Dalle attività di
intermediazione mobiliare ai servizi di investimento, Riv. Soc.,
1998) definire la gestione di portafogli come “il servizio con
il quale il cliente delega l’intermediario a compiere sia le
scelte di investimento relative ad un dato portafoglio (da
intendersi come insieme di valori mobiliari e denaro) sia le
attività necessarie affinchè tali scelte siano tradotte in
termini operativi (trasmissione degli ordini relativi ovvero
diretta esecuzione dei medesimi); coessenziale all’attività di
gestione è l’attribuzione all’intermediario di uno spazio di
“autonomia decisionale” che permetta valutazioni discrezionali
nell’individuazione delle operazioni da eseguire per conto
della clientela”.
[2] T.U.F. (D.Lgs. n. 58/98), art. 21 (Criteri
Generali):
“1. Nella prestazione dei servizi di
investimento e accessori i soggetti abilitati devono:
a) comportarsi con diligenza, correttezza
e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità
dei mercati;
b) acquisire le informazioni necessarie
dai clienti e operare in modo che essi siano sempre
adeguatamente informati;
c) organizzarsi in modo tale da ridurre
al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in
situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque
ai clienti trasparenza ed equo trattamento;
d) disporre di risorse e procedure, anche
di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente
svolgimento dei servizi;
e) svolgere una gestione indipendente,
sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i
diritti dei clienti sui beni affidati.
2. Nello svolgimento dei servizi le
imprese di investimento, le banche e le società di gestione
del risparmio possono, previo consenso scritto, agire in nome
proprio e per conto del cliente.”
[3] Cfr. anche Alpa e Capriglione, Commentari al
testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria (Padova, 1998).
[4] “per la responsabilità derivante dalla
prestazione dei servizi di investimento, il legislatore ha
dunque ritenuto di dover emanare una norma specifica: è
infatti previsto che, nei giudizi di risarcimento dei danni
arrecati al cliente nella prestazione dei servizi, spetta ai
soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la
specifica diligenza richiamata. Una previsione analoga
figurava già nella L. 1/91: da quest’ultima la nuova
disciplina si discosta, in quanto precisa ciò che già poteva
ricavarsi in via interpretativa, e cioè che la diligenza
richiesta all’intermediario è quella “specifica” prevista per
l’operatore professionale.” (Guffari, Il risparmio consapevole
come nuova frontiera della tutela del contraente debole, Atti
del convegno ITA, 2002).
[5] Cfr. A. Di Majo, La correttezza
nell’attività di intermediazione mobiliare (Banca, borsa e
tit. cred., 1993).
[6] “Il dovere di informare l’investitore ha
subito una metamorfosi (ampliandosi) in dovere di informarsi,
in primis, sulla situazione del cliente. Si tratta di un
dovere sconosciuto al diritto comune, che trova la propria
ragione economica e giuridica proprio nella natura
spiccatamente fiduciaria del rapporto tra cliente e
intermediario”. (Cfr. Filippo Sartori, L’adeguatezza delle
operazioni: regole di azione e rimedi. www.ilcaso.it)
[7] Regolamento Consob n. 11522/98, art. 28
(Informazioni tra gli intermediari e gli investitori) comma 1
e 2:
1.Prima della stipulazione del contratto
di gestione e di consulenza in materia di investimenti e
dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento e
dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari
autorizzati devono:
a)
chiedere all’investitore notizie circa la sua
esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari,
la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di
investimento, nonché circa la sua propensione al rischio.
L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve
risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30,
ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta
dall’investitore;
b)
consegnare agli investitori il documento sui rischi
generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui
all’Allegato n. 3 (del Regolamento);
2. Gli intermediari autorizzati non
possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il
servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore
informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle
implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui
conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di
investimento o disinvestimento.
[8] Risulta in tal modo non adeguata anche
quell’attività di trading che risulti anomala, rispetto alla
situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento, e che
persegua sostanzialmente un incremento delle commissioni
percepite dall’intermediario.
[9] La disciplina finanziaria ha tenuto conto
dell’asimmetria informativa che può sussistere nel rapporto
fra intermediario ed investitore prevedendo un flusso
informativo più intenso e continuo nel caso di un operatore
non qualificato, sollevando invece gli intermediari da oneri
che possono indurre costi ed impedimenti ad una fluida e
tempestiva operatività nel caso di operatori che per natura ed
esperienza sono in grado, in via autonoma, di colmare ogni
carenza informativa.
Il T.U.F. all’art. 6, 2° comma, ha quindi
graduato la disciplina consentendo l’esclusione degli
“operatori qualificati” da norme di protezione più pervasive.
La definizione di “operatore qualificato” è riportata all’art.
31 del Regolamento Consob.
[10] Nello stesso senso:
▪ Tr. Treviso n. 2579, 26/11/04: “…La
questione sollevata dalla difesa circa il rifiuto dell’attore
di fornire informazioni personali sulla esperienza in materia
di investimenti ed altro (doc. 1 attore; v. anche doc. 1 conv.)
non ha rilievo per due ordini di motivi:
a) perché proprio la mancanza di dati
doveva indurre la Banca a considerare il profilo di
propensione al rischio più basso in coerenza con la regola di
diligenza e prudenza, nella prospettiva della valutazione di
adeguatezza dell’operazione (art. 29 Reg. Consob 11522/98; cfr.,
inoltre, art. 3.3 Codice di Autodisciplina delle Banche - ABI)
b) perché tale rifiuto atterrebbe in ogni
caso a uno solo degli obblighi gravanti sulla Banca, quello di
acquisire le informazioni dei clienti (art. 21 lett. B prima
parte D. Lvo 58/98), obbligo che non coincide con quello di
fornire ai clienti informazioni adeguate sull’investimento
(art. 21 lett. a- e b- seconda parte D.L.vo 58/98 e art. 28 II
comma Reg. Consob 11522/98).
Anche la questione della presunta
propensione al rischio del M., già asseritamente uso a
investimenti diversificati e speculativi, è irrilevante,
atteso che ogni investitore, qualsiasi propensione al rischio
manifesti, ha diritto a un’informazione completa e veridica
sulla specifica operazione”.
▪ Tr. Roma, R. Caliento, O. De Masi, G.
Muscolo, 8/10/04: “…La violazione da parte della convenuta
degli obblighi a suo carico è consistita, in secondo luogo,
nel non avere acquisito dai clienti le informazioni necessarie
per servire al meglio i loro interessi o nell’averle
trascurate nel concreto svolgimento del servizio, che avrebbe
dovuto essere conforme a quei principi di diligenza,
correttezza e trasparenza, imposti dalla lett. a dell’art. 21
T.U.F. e da espresse e generali prescrizioni del codice civile
(art. 1337 c.c), essendo dovere professionale
dell’intermediario richiedere notizie al cliente quanto
all’esperienza di investitore in strumenti finanziari e alla
sua situazione patrimoniale anche con riferimento a
propensione al rischio e ad obiettivi di portafoglio. L’art.
28 co. 1 lett.a) del regolamento CONSOB prevede che gli
intermediari devono chiedere all’investitore notizie circa la
sua esperienza in materia di investimenti in strumenti
finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di
investimento nonché circa la sua propensione al rischio.
L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve
risultare dal contratto di cui all'art. 30 ovvero da apposita
dichiarazione sottoscritta dall’investitore”. Tale rifiuto,
peraltro, non è sufficiente ad escludere la responsabilità del
professionista in quanto la relativa acquisizione non può
assumere il significato di un esonero o di una limitazione di
responsabilità dell’intermediario nei confronti
dell’investitore non professionale, dovendo la relativa
dichiarazione essere interpretata in modo tale da essere
compatibile con i principi sanciti dal nostro ordinamento a
tutela del risparmiatore, che sanciscono l’invalidità di
clausole finalizzale a tale scopo. Infatti, l’art. 29 del
regolamento CONSOB impone agli intermediari di astenersi
dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni
non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. A
tale fine dispone il 1° comma dell’art. 29 D. Consob 11522/98
che: “Gli intermediari finanziari si astengono dall’effettuare
con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per
tipologia, oggetto, frequenza o dimensione…
…Né vale a soddisfare tale esigenza di
tutela del risparmiatore la circostanza che agli investitori
sia stato consegnato il documento sui rischi generali degli
investimenti finanziari, trattandosi di informativa del tutto
generica che non garantisce quella conoscenza concreta ed
effettiva del titolo negoziato che l’intermediario deve
assicurare in modo da rendere il cliente capace di tutelare il
proprio interesse e di assumersi consapevolmente i rischi
dell’investimento compiuto….
…La violazione delle regole
d’informazione e di valutazione dell’adeguatezza dell’
operazione proposta ai clienti risparmiatori costituisce
inadempimento imputabile all’intermediario e trattandosi di
regole di comportamento esplicitamente codificate
nell’interesse del cliente l’inadempimento è da porsi in
relazione causale con l’evento dannoso. Ricade
sull’intermediario l’onere di provare che tra la violazione ed
il danno non vi è alcun nesso di causalità, dimostrando che il
danno è derivato da eventi estranei alla sua sfera di azione e
la convenuta nulla ha dedotto né ha chiesto di provare al
riguardo”.
[11] L’approvazione tacita è stata
surrettiziamente introdotta dall’ABI nello schema di contratto
per il servizio di gestione (ABI, Circolare FI/LG/00339 del
19/01/99).
[12] Regolamento Consob n. 11522/98, art. 27
(Conflitti di interesse):
1. Gli intermediari autorizzati vigilano
per l’individuazione dei conflitti di interessi.
2. Gli
intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con
o per conto della propria clientela se hanno direttamente o
indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da
rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi
o da altri rapporti di affari propri o di Società del gruppo,
a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto
l’investitore sulla natura e l’estensione del loro interesse
nell’operazione e l’investitore non abbia acconsentito
espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione.
Ove l’operazione sia conclusa telefonicamente, l’assolvimento
dei citati obblighi informativi e il rilascio della relativa
autorizzazione da parte dell’investitore devono risultare da
registrazione su nastro magnetico o su altro supporto
equivalente.
3.
Ove gli intermediari autorizzati, al fine
dell’assolvimento degli obblighi di cui al precedente comma 2,
utilizzino moduli o formulari prestampati, questi devono
recare l’indicazione, graficamente evidenziata, che
l’operazione è in conflitto di interessi.
[13] Nel T.U.F. non viene data una definizione
della gestione su base individuale. Il regolamento Consob nel
trattarla diffusamente (Sez. IV “gestione di portafogli”, capo
II “norme per la prestazione dei singoli servizi”, libro III
“prestazione dei servizi di investimento e del servizio di
gestione collettiva”, ne connota le caratteristiche fornendone
indirettamente una definizione.
[14] Il riferimento al mandato assume “una
portata, ed una funzione, meramente (ed eventualmente)
integrativa, poiché la fattispecie è già sufficientemente
tipizzata dal legislatore e certamente non è riconducibile,
dunque, ad un mandato tout court.” (così Cossu, La gestione di
portafogli di investimento, Milano, 2002). L’osservazione non
è di poco conto ove si consideri che, qualora si riconosca al
contratto di gestione di portafoglio un’autonomia tipologica,
le norme sul mandato sarebbero applicabili solo in via
analogica; se, al contrario, si ritenesse che la gestione di
portafoglio appartenga al tipo contrattuale del mandato, la
normativa civilistica prevarrebbe rispetto alla disciplina di
natura regolamentare. La minuziosa regolamentazione contenuta
nell’art. 24 del T.U.F. induce a ritenere il contratto di
gestione di portafoglio un contratto tipico.
[15] Cfr. Del Prato, Autorità indipendenti,
norme imperative e diritto dei contratti:spunti (Riv. Dir.
Priv., 2001). Napoletano, Lo svolgimento dei servizi di
investimento (Il nuovo diritto societario e
dell’intermediazione finanziaria, 1999).
[16] Regolamento Consob n. 11522/98, art. 37
(Gestioni di portafogli. Contratti con gli investitori):
1. In aggiunta a quanto stabilito
dall’art. 30, il contratto con gli investitori deve:
a) indicare le caratteristiche della
gestione;
b) individuare espressamente le
operazioni che l’intermediario non può compiere senza la
preventiva autorizzazione dell’investitore; ove non siano
previste restrizioni indicare espressamente tale circostanza;
c) con riguardo agli strumenti finanziari
derivati, indicare se detti strumenti possono essere
utilizzati per finalità diverse da quella di copertura dei
rischi connessi alle posizioni detenute in gestione;
d) indicare se l’intermediario è
autorizzato a delegare a terzi l’esecuzione dell’incarico
ricevuto, specificando, nel caso in cui la delega non riguardi
l’intero portafoglio, gli strumenti finanziari, i settori o i
mercati di investimento con riferimento ai quali
l’autorizzazione viene rilasciata e, in ogni caso, gli
eventuali limiti e condizioni dell’autorizzazione;
e) specificare che l’investitore può
recedere in qualsiasi momento dal contratto ovvero disporre,
in tutto o in parte, il trasferimento o il ritiro dei propri
valori, senza che a esso si addebitata alcuna penalità.
2. Il contratto con l’investitore deve
altresì indicare se l’intermediario è autorizzato a fare uso,
in relazione alle caratteristiche dalla gestione prescelta,
della leva finanziaria e in che misura. In tale caso, il
contratto deve indicare il limita massimo di perdita al
raggiungimento delle quali l’intermediario è tenuto a
riportare la leva finanziaria a un valore pari a uno, nonché
l’avvertenza che l’uso di una misura della leva finanziaria
superiore all’unità può provocare, in casi di risultati
negativi della gestione, perdite anche eccedenti il patrimonio
conferito in gestione e che, pertanto, l’investitore può
trovarsi in una situazione di debito nei confronti
dell’intermediario.
3. Dal momento del recesso, gli
intermediari autorizzati non possono compiere atti di gestione
sul patrimonio gestito salvo che detti atti si rendano
necessari al fine di assicurare le conservazione del
patrimonio stesso. Essi possono altresì eseguire le operazioni
già disposte dall’investitore e non ancora eseguite salvo che
le stesse non siano già state revocate.”
[17] V. Santoro – Gli obblighi di comportamento
degli intermediari mobiliari, RS 1994.
[18] Regolamento Consob n. 11522/98, art. 38
(Caratteristiche della gestione):
1. Per caratteristiche della gestione si
intendono:
a)
Le categorie di strumenti finanziari nelle quali può
essere investito il patrimonio gestito e gli eventuali limiti;
b)
La tipologia delle operazioni che l’intermediario può
effettuare sui suddetti strumenti finanziari;
c)
La misura massima della leva finanziaria che
l’intermediario può utilizzare;
Il parametro oggettivo di riferimento al
quale confrontare il rendimento della gestione.
[19] Regolamento Consob n. 11522/98, art. 39
(Categorie di strumenti finanziari):
1. Ai fini della definizione delle
caratteristiche della gestione, formano categorie distinte di
strumenti finanziari:
a) titoli di
debito;
b) titoli
rappresentativi del capitale di rischio, o comunque
convertibili in capitale di rischio;
c) quote o
azioni di organismi di investimento collettivo;
d) strumenti
finanziari derivati;
e) titoli di
debito con una componente derivativa (c.d. titoli strutturati)
2. Nell'ambito delle suddette categorie,
costituiscono parametri generali di differenziazione degli
strumenti finanziari:
a) la valuta
di denominazione;
b) la
negoziazione in mercati regolamentati;
c) le aree
geografiche di riferimento;
d) le
categorie di emittenti (emittenti sovrani, Enti
Sopranazionali, emittenti societari);
e) i settori
industriali.
3. Costituiscono parametri specifici di
differenziazione degli strumenti finanziari:
a) con
riferimento ai titoli di debito:
1. la durata media finanziaria (
duration);
2. il merito creditizio
dell'emittente (rating) ottenuto da agenzie di valutazione
indipendenti;
b) con
riferimento ai titoli rappresentativi del capitale di rischio:
il grado di capitalizzazione dell'emittente;
c) con
riferimento alle quote o azioni emesse da organismi di
investimento collettivo:
1. la conformità degli organismi
stessi alle disposizioni dettate dalla normativa comunitaria;
2. la volatilità;
d) con
riferimento agli strumenti finanziari derivati non utilizzati
per finalità di copertura e ai titoli strutturati: il
risultato finanziario a scadenza (c.d. pay-off).
N.B. Articolo così sostituito, a
decorrere dal 1°.7.2003, con delibera n. 13710 del 6.8.2002.
[20] Regolamento Consob n. 11522/98, art. 39 (in
vigore sino all’1/7/03):
Categorie di strumenti finanziari
1. Ai fini della definizione delle
caratteristiche della gestione, formano categorie distinte di
strumenti finanziari :
a) con riferimento alla divisa in cui
sono espressi, quelli denominati in divise di Stati
appartenenti all'Unione Europea, agli Stati Uniti d'America,
al Giappone, agli altri Stati appartenenti all'OCSE, a tutti
gli altri Stati;
b) con riferimento al mercato sui quali
sono negoziati, quelli negoziati in un mercato di uno Stato
appartenente all'Unione Europea, quelli negoziati in un
mercato di uno Stato appartenente all'OCSE, quelli negoziati
in un mercato di un altro Stato, quelli non negoziati in alcun
mercato;
c) con riferimento agli strumenti
finanziari emessi dagli organismi di investimento collettivo,
quelli emessi da organismi di investimento collettivo
assoggettati alle disposizioni delle direttive dell'Unione
Europea, quelli emessi da organismi di investimento collettivo
non assoggettati alle disposizioni delle direttive comunitarie
ma aventi sede in Stati appartenenti all'OCSE, quelli emessi
da organismi di investimento collettivo aventi sede in tutti
gli altri Stati;
d) per i titoli di debito, con
riferimento all'emittente, quelli emessi o garantiti da Stati
appartenenti all'OCSE o emessi da enti internazionali di
carattere pubblico, quelli emessi o garantiti da Stati non
appartenenti all'OCSE, quelli emessi da altri emittenti.
Nell'ambito di questi ultimi, i titoli devono essere distinti
in base al rating ottenuto da agenzie di valutazione
indipendenti;
e) per i titoli di debito, con
riferimento alla durata finanziaria (duration), quelli con
durata finanziaria non superiore all'anno, quelli con durata
finanziaria superiore all'anno e non superiore a 36 mesi,
quelli con durata finanziaria superiore a 36 mesi.
[21] “Le regole comportamentali si devono,
quindi, tradurre in obbligazioni puntuali e più stringenti
rispetto a quelle gravanti, di regola, sulle parti di una
relazione contrattuale non fondata sulla fiducia. In altri
termini, la fiducia che l’investitore (contraente debole)
ripone nell’intermediario (contraente forte) giustifica una
serie di « regole di azione » paternalistiche, finalizzate a
tutelare (la fiducia del) il contraente debole contro
eventuali azioni opportunistiche poste in essere dal
contraente forte.” (Così F. Sartori, Le regole di condotta
degli intermediari finanziari, Giuffrè, 2004)
[22] Al riguardo il Tribunale di Palermo, nella
sentenza del 17/1/05, si è espresso in tal modo: “…..la
corretta interpretazione delle preferenze di investimento dei
risparmiatori e la ponderata valutazione dei rischi da parte
di costoro riducono l’alea connessa agli investimenti
finanziari entro quella connaturata. e perciò insopprimibile,
alle operazioni eseguite sul mercato dei valori mobiliari. ed
elidono, tendenzialmente, il rischio non necessario, evitando
che questo sia addossato in modo inconsapevole al
risparmiatore. La violazione di tali obblighi contrattuali
determina la nullità dell’operazione eseguita. La sanzione non
è posta espressamente dalla norma, ma si ricava agevolmente.
secondo quanto con continuità affermato dalla giurisprudenza
di legittimità e di merito (Cass. 7.3.2001 n. 3272, Trib.
Treviso 26.11-16.12.2004, Trib. Mantova 12.11.2004, Trib.
Taranto 27.10.2004), proprio in considerazione degli interessi
pubblicistici, anche di rango costituzionale (art. 47 Cost.)
che l’impianto normativo mira a tutelare, identificabili nella
tutela dei risparmiatori uti singuli, del risparmio pubblico,
come elemento di valore dell’economia nazionale, della
stabilità del sistema finanziario, dell’efficienza del mercato
dei valori mobiliari, con vantaggi per le imprese e per la
economia pubblica (in questi termini, ancorché con riferimento
ad altra norma della disciplina dell’intermediazione
finanziaria, Cass. 7..3.2001 n, 3272). Dalla qualificazione in
termini di norma imperativa di legge dei precetti
comportamentali che sovrintendono all’operato degli
intermediari finanziari discende, ai sensi dell’art. 1418
comma I e III c.c., l’affermazione di nullità degli atti
negoziali conclusi in loro dispregio. L’onere della
dimostrazione dell’aver agito con la specifica diligenza
richiesta è addossato dall’art. 23 comma VI T.U.F. al soggetto
abilitato all’esercizio dell’attività che sia stato convenuto
in giudizio dal cliente per il risarcimento dei danni
risentiti nello svolgimento dei servizi di investimento ed
accessori.”.
[23] L’ingresso del concetto di “trasparenza” si
è reso necessario con il diffondersi dei contratti di massa.
“Mentre prima le parti raggiungevano il punto di equilibrio
dato dal consenso, spesso attraverso trattative lunghe e
faticose, in cui le posizioni si decantavano mediante il
dialogo chiarificatore, idoneo a condurre ad un’esatta
conoscenza della questione e quindi ad operare scelte meditate
e convinte , oggi i rapporti di massa hanno fatto emergere
“scambi senza accordo”, privi di trattative o meglio “
svuotati della libertà di trattativa, in quanto gli scambi di
massa avvengono senza accordi.” (Cfr. V. Carbone, La
responsabilità degli intermediari, in Dreop. 2002).
[24] Regolamento Consob n. 11522/98, art. 42
(Parametri oggettivi di riferimento):
1. Ai fini della definizione delle
caratteristiche della gestione, l’intermediario deve indicare
all’investitore un parametro oggettivo di riferimento coerente
con i rischi a essa connessi al quale commisurare i risultati
della gestione.
2. Tale parametro deve essere costruito
facendo riferimento a indicatori finanziari elaborati da
soggetti terzi e di comune utilizzo.
[25] “La formalizzazione dei rapporti tra
intermediario e cliente, pur avendo il benefico effetto di
agevolare la prova della diligenza-professionalità e della
buona fede, minimizzando i rischi di controversie e riducendo
l’asimmetria informativa in corte, non deve indurre
l’interprete, e soprattutto l’autorità giudiziaria, a credere
che, nell’ambito dell”atto”, non vi sia spazio per un
comportamento negligente e soprattutto doloso. Le soluzioni
“formaliste” devono limitarsi a ridurre lo spazio di
intervento ex post del giudice, non, per contro,
neutralizzarlo.” (Così F. Sartori, Le regole di condotta
degli intermediari finanziari (Giuffrè, 2004).
[26] Il documento completo è reperibile al sito:
http://www.assogestioni.it/.
[27] Cfr. Corte di Cassazione, Sez. I n. 3272
del 7/3/01, C. Appello Milano 11/1/02 e 13/6/03, Tr. Mantova,
Giudice Bernardi 18/3/04, Tr. Bari 24/5/04, Tr. Firenze,
Giudice Unico Pezzuti 30/5/04, Tr. Venezia, Sez. II, Giudice
unico Caprioli 22/11/04, Tr. Palermo, Sez. III Civile Pres.
Monteleone 17/1/05, Tr. Ferrara 6/4/05, Tr. Firenze, Giudice
Unico Pezzuti 18/2/05 e 19/4/05, Tr. Brindisi, Sez. Civile
Giudice Unico Lenoci 21/2/05.
[28] In un altro orientamento si è attribuito
carattere imperativo e precettivo solo a taluni aspetti della
norma che meglio qualificavano una preponderanza
dell’interesse generale su quello particolare.Tr. Parma, B.
Stellario, 16/6/05: “… L'insieme delle disposizioni che
presiedono all'attività di intermediazione finanziaria,
dunque, devono ritenersi imperative, perché dirette a tutelare
interessi di carattere generale (alla regolarità dei mercati
ed alla stabilità del sistema finanziario), come, peraltro, ha
ritenuto la giurisprudenza di legittimità nel caso di
violazione delle norme relative al funzionamento delle Società
d'intermediazione mobiliare.
In secondo luogo, nel novero delle norme
imperative sopra delineato sono da ricomprendersi anche le
norme di natura attuativa e regolamentare, costituenti
l'attuazione dei principi generali posti dal T.U.F., in quanto
costituenti con questo un corpus unicum, da valutarsi
unitariamente.
In conclusione, ben può dirsi che i
contratti conclusi in violazione del complesso di norme sopra
richiamato siano suscettibili di declaratoria di nullità, ove
non siano stati in concreto rispettati gli specifici obblighi
imposti agli intermediari finanziari, ovvero ove questi.
ultimi non siano in grado di provare di averli rispettati.
Tale prova, inoltre, deve - per il
principio di correlazione tra la forma "ad substantiam" di un
negozio e la forma "ad probationem" - rivestire la forma
scritta.
Tale conclusione generale incontra, però,
un solo limite: che la norma dalla cui violazione discende la
sanzione della nullità abbia un contenuto sufficientemente
specifico, preciso ed individuato, non potendosi, in mancanza
di tali caratteri, pretendere di applicare una sanzione,
seppure di natura civilistica, tanto grave quale la nullità
del rapporto negoziale, se non a fronte di parametri di
comportamento sufficientemente precisi e determinati.
Opinare diversamente significherebbe
violare il principio di legalità, affidando all'alea
dell'apprezzamento del giudice il contenuto precettivo di una
norma dalla cui violazione discende una sanzione grave come la
nullità.
Così delineato, il rapporto tra l’intero
complesso normativo del settore dell'intermediazione
finanziaria e la risposta sanzionatoria dell'ordinamento, in
caso di violazione, si presenta con una correlazione coerente
tra la tipologia di norma violata e la conseguente reazione:
alla violazione di specifiche regole cui l'intermediario è
tenuto (ad esempio: gli intermediari autorizzati devono
chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in
materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua
situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento,
nonché circa la sua propensione al rischio; .. devono
consegnare, agli investitori il documento sui rischi generali
degli investimenti in strumenti finanziari) può conseguire, su
domanda del cliente, la nullità del contratto per violazione
di una regola di tutela, o di protezione del cliente medesimo,
di natura imperativa; alla violazione di norme generali di
prudenza e diligenza professionale nel proprio operato, non
meglio specificate o codificate in sede regolamentare o
attuativa, segue unicamente, in virtù dei principi generali in
materia d'inadempimento delle obbligazione, ed in particolare,
in forza dello specifico disposto dell'art.23, comma VI° del
T.U.F., l'azione per il risarcimento dei danni.
Né vale argomentare, a detrimento della
ricostruzione qui offerta, che così facendo si finisce per
applicare la sanzione minore (la tutela risarcitoria) alla
violazione delle regole legislative generali, e la sanzione
più grave (la tutela reale della nullità) alla violazione
delle norme regolamentari: al contrario, invece, la sanzione
della nullità viene applicata alla violazione di quelle, tra
le norme generali (obblighi generali di diligenza, correttezza
e trasparenza; obblighi di-informazione; obblighi di evitare o
ridurre gli effetti dei conflitti d'interesse) che trovano
specificazione nelle regole attuative in comportamenti
specifici e definiti, mentre l'area della tutela risarcitoria
è riservata alle altre violazioni - all'evidenza meno gravi -
che non riguardano obblighi specificamente imposti agli
intermediari, ma la cui determinazione è rimessa al prudente
apprezzamento del giudice (così già Trib.Monza 16 dicembre
2004, Brugolà c.Banca Intesa; conforme Trib. Parma, 14 marzo
2005, Galani c.Cassa R. Firenze)”.
[29] Cfr. Tr. Taranto Sez.III Civile Giudice
Cavallone n. 2273 del 27/10/04, Tr. Monza 27/7/04, Tr. Genova,
Sez. I n. 1230 del 15/3/05, Tr. Roma, Sez. II Pres. Misiti
25/5/05, Tr. Milano, Giudice Bernardini 25/7/05 e in parte il
Tr. Parma, Sez. I° B. Stellario N. Sinfisi, 16/6/05.
[30] Tr. Genova, n. 1230 15/3/05: “..In
particolare la negoziazione dei prodotti finanziari deve
avvenire secondo regole di diligenza, correttezza e
trasparenza nell’interesse dei clienti, specificate nel T.U.F.
e nel Regolamento attuativo della Consob, regole precise e
dettagliate, in quanto i doveri di informazione richiesti agli
intermediari si pongono come obbligazioni di carattere
primario, il cui adempimento deve essere valutato a stregua
dell’art. 1176 c.c. co. 2°, nel quale è indicato il criterio
di determinazione della specifica diligenza richiesta
nell’adempimento da parte di chi svolge attività
professionale.
La violazione delle regole di
informazione e di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione
proposta ai clienti risparmiatori costituisce inadempimento
imputabile all’intermediario e trattandosi di regole di
comportamento esplicitamente codificate nell’interesse del
cliente l’inadempimento è da porsi in relazione causale con
l’evento dannoso. Ricade sull’intermediario l’onere di provare
che tra la violazione ed il danno non vi è alcun nesso di
causalità, dimostrando che il danno è derivato da eventi
estranei alla sua sfera di azione e la convenuta nulla ha
provato al riguardo.( v. Tribunale di Roma sentenza
dell’8.10.2004)”.
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www.magistra.it - ISSN: 2039-7410, anno
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Esempio: CASTIGLIONI M., La securitization in
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