Premessa
Natura e presupposto
Le sentenze della Corte di Cassazione
La posizione dell’Agenzia delle Entrate
Considerazioni finali
L’agognata decisione dell’Agenzia delle Entrate di
rivedere il proprio convincimento sui presupposti
dell’ imposta IRAP è avvenuta con la Circ. 28/E del
maggio 2010, un revirement
sull’obbligatorietà dell’imposta, dovuta
principalmente ad una serie di sentenze della Corte
di Cassazione SS.UU. n. 12108,12109, 12110,12111 del
26/05/2009 alle quali l‘Agenzia delle Entrate si è
adeguata.
Premessa
L’attività del Promotore Finanziario da un punto di
vista tributario, va inquadrata come attività
imprenditoriale, ai sensi del combinato disposto
della disciplina dell’imprenditore commerciale (art.
2195 c.c. n. 5 – la Corte di Cass. sent. n. 8485
del 28/05/2003, fornisce una pregevole
interpretazione dell’impresa ausiliaria) e dell’art.
55 del TUIR; i redditi prodotti pertanto sono
considerati redditi d’impresa.
Natura e presupposto dell’IRAP
L’IRAP è imposta che colpisce quella capacità
contributiva autonoma, reale separata dalla capacità
contributiva personale propria dei singoli
individui, in qualità di proprietari, di percettori
di redditi o di consumatori; un’imposta (relazione
Commissione Prof. Gallo) che “assoggetta a
tassazione una capacità contributiva impersonale,
basata sulla capacità produttiva che deriva dalla
combinazione di uomini, macchine, materiali”.
Essa ha come presupposto, laddove non si tratti di
attività esercitata dalle società e dagli enti,
compresi gli organi e le amministrazioni dello
Stato (ipotesi in cui l’imposta si applica in ogni
caso),“l’esercizio abituale di una attività
autonomamente organizzata diretta alla
produzione o allo scambio di beni ovvero alla
prestazione di servizi” (art.2 del d.lgs 446/97)
La tassazione IRAP non colpisce dunque il reddito,
ma la struttura di cui si avvale il professionista,
cioè quel complesso dato dalla combinazione di mezzi
e di uomini, capace di creare, come sottolinea la
Corte Costituzionale, “valore aggiunto” e cioè
l’incremento di capacità produttiva rispetto alla
semplice attività personale.
Le sentenze della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, chiamata a
dirimere un contrasto giurisprudenziale circa
l’assoggettabilità di talune figure professionali
(agenti di commercio e promotori finanziari)
all’imposta regionale sulle attività produttive,
attraverso la lente interpretativa della Corte
Costituzionale (Corte Cost. sentenza n.156 del
21/05/2001), con una serie di sentenze (n. 12108,
12109, 12110, 12111 del 2009), riconosce come le
stesse si pongano su di una linea sottile di confine
tra attività che costituisce “esercizio d’impresa”
ai sensi dell’art 2195 c.c. e lavoro autonomo.
La pregevole attività ermeneutica dei giudici di
legittimità si focalizza sui criteri che permettono
il discernimento tra attività imprenditoriale e
lavoro autonomo, traccia il profilo giuridico delle
“attività ausiliarie” attraverso il quadro
giurisprudenziale anche costituzionale e riconosce
che la persona fisica può svolgere le attività
ausiliare (nella quale rientra l’attività del
promotore quando non svolta come dipendente)
sia come imprenditore che lavoro autonomo .
Orbene è evidente per la Corte di Cassazione che in
tale contesto, non aiuta la nozione civilistica di
imprenditore e lavoro autonomo, in quanto il primo è
categoria soggettiva, il secondo, qualifica
contrattuale, ben potendo coesistere nella medesima
persona; appare diverso invece il quadro normativo
che emerge dalla disciplina tributaria.
Il legislatore formula la normativa ai fini IRPEF
ponendo in rilievo aspetti qualitativi: “includendo
nel reddito di impresa l’esercizio di tutte quelle
attività che abbiano natura oggettivamente
commerciale, senza tener conto del profilo
quantitativo, cioè proprio della dimensione
organizzativa dell’attività, nella quale deve essere
valutato il "peso" del lavoro personale del
soggetto, che quell’attività svolge, sull’impiego
del capitale e sull’utilizzazione del lavoro altrui:
tanto non sorprende, se si prende in considerazione
la circostanza che il citato art. 51 (TUIR)
(art.55 TUIR post modifica 2003) considera le
attività indicate dall’art. 2195 c.c. produttive di
reddito di impresa “anche se non organizzate in
forma d’impresa”. Ma a quel che è stabilito per le
imposte sul reddito non può essere riconosciuta una
efficacia condizionante ai fini dell’interpretazione
di imposte, come è l’IRAP, che rispondono ad altri
criteri e ad una diversa ratio impositiva”.
I giudici di legittimità giungono quindi ad
affermare che vi è un”area grigia, “una linea
mobile di confine, rappresentata dallo svolgimento
delle attività ausiliarie di cui all’art. 2195 c.c.,
le quali, pur essendo ai fini delle imposte sul
reddito considerate produttive di reddito d’impresa,
possono essere (e spesso sono) svolte dal soggetto
senza “organizzazione di capitali o lavoro altrui”.
I
giudici di legittimità riconoscono infatti che
qualora queste attività si considerassero produttive
di redditi d’impresa tout court, - e quindi anche ai
fini IRAP, ebbene, ci troveremmo di fronte ad una
sovraimposta, il reddito prodotto dal lavoro
personale verrebbe tassato prima con l’imposta
personale e quindi lo stesso reddito viene
sottoposto ad un nuova imposta.
Si sottolinea quindi come base dell’imposta
regionale sulle attività produttive, non sia la
oggettiva natura dell’attività svolta, ma il modo -
autonoma organizzazione - in cui la stessa è svolta;
“una razionale giustificazione di una
imposizione sul valore aggiunto prodotto, un quid
che eccede il lavoro personale del soggetto agente
ed implica appunto l’organizzazione di capitali o
lavoro altrui”: se ciò non fosse, e il
lavoro personale bastasse, l’imposta considerata,
non solo non sarebbe vincolata all’esistenza di una
“autonoma organizzazione”, ma si trasformerebbe
inevitabilmente in una sostanziale "imposta sul
reddito".
Rileva infine la Corte di Cass. come la legge non
esiga l’esistenza di una particolare struttura per
lo svolgimento dell’attività dell’agente di
commercio e del promotore finanziario, ribadendo il
principio che la soggezione ad IRAP della loro
attività è possibile solo nell’ipotesi nelle quali
sussista il requisito dell’autonoma organizzazione
che costituisce accertamento di fatto spettante al
giudice di merito e non censurabile in sede di
legittimità se congruamente motivato. Il promotore
finanziario è escluso dall’applicazione dell’imposta
soltanto qualora si tratti di attività non
autonomamente organizzata.
Si aggiunge per completezza che la Corte di Cass.
indica precisi requisiti per l’individuazione
dell’autonoma organizzazione il cui accertamento
spetta al giudice di merito ed è insindacabile in
sede di legittimità.
Essa ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto
qualsiasi forma, il responsabile
dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in
strutture organizzative riferibili ad altrui
responsabilità ed interesse; b) impieghi beni
strumentali eccedenti, secondo l’id quod
plerumque accidit, il minimo indispensabile per
l’esercizio dell’attività in assenza di
organizzazione, oppure si avvalga in modo non
occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del
contribuente che chieda il rimborso dell’imposta
asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza
delle predette condizioni.
A
tal proposito la presenza di prestazione altrui, di
cui il PF si avvale ed in maniera non occasionale,
ben rappresenta un tipico esempio di organizzazione
del lavoro tale da divenire presupposto dell’imposta
in parola
.
La posizione dell’Agenzia delle Entrate Circ. n.48/E
del 2008; Circ. n. 28/E del 2010
L’agenzia delle Entrate con la circolare del 2008 n.
48/E stabilì in sostanza l’impossibilità di
dichiarare in modo generalizzato l’assoggettabilità
dei liberi professionisti ed in genere del lavoro
autonomo all’imposta regionale sulle attività
produttive, dovendo essere sempre valutata
l’esistenza effettiva di autonoma organizzazione; si
affermava inoltre come il requisito dell’autonoma
organizzazione fosse ontologicamente presente in
attività imprenditoriali e suggeriva a mo’ di
strategia difensiva processuale che in subordine
fosse comunque dedotta l’autonoma organizzazione di
figure professionali quali l’agente di commercio ed
il promotore finanziario.
Le ripetute sentenze della Corte di Cassazione a
SS.UU e pertanto nella massima espressione della
funzione nomofilattica, impongono
all’Amministrazione Finanziaria un classico
revirement, che si concretizza con la Circolare
n.28 del maggio 2010 con la quale pur confermando
che “ai fini della verifica dell'autonoma
organizzazione rileva comunque la disponibilità di
beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile
per lo svolgimento dell'attività, anche qualora non
vengano acquisiti direttamente, ma siano forniti da
terzi, a qualunque titolo”, di fatto prende
contezza e conseguentemente si impegna ad adottare
comportamenti conformi al decisum dei
Giudici di legittimità: concretamente in presenza di
“lavori autonomi” (il virgolettato è dell’Agenzia
delle Entrate che lascia ipotizzare che si intenda
la categoria reddituale in senso estensivo - secondo
i dettami della Corte di Cassazione - anche alle
attività ausiliarie che ai fini IRPEF sono
considerate produttive di reddito d’impresa), è
necessario considerare se si è in presenza di
organizzazione di capitale e/o lavoro.
Per quanto concerne il contenzioso in essere avente
ad oggetto l’imposta de quo, l’Agenzia delle Entrate
dichiara di volerlo abbandonare, qualora
evidentemente il ricorso del contribuente sia
fondato alla luce dei principi richiamati dalla
giurisprudenza di legittimità e qualora
evidentemente non siano sostenute altre questioni .
Orbene fondamentalmente l’attività del Promotore
finanziario non viene esclusa tout court dal
versamento dell’imposta IRAP; è onere evidentemente
del promotore finanziario, magari aiutato dal
proprio commercialista o avvocato, valutare se
l’organizzazione della propria attività possa
configurare una tipica autonoma organizzazione,
rilevando in ciò i beni materiali, servizi e
personale di cui dispone avvalendosene tanto
direttamente, quanto indirettamente. A tal proposito
l’Agenzia delle Entrate riprendendo un’ordinanza
della Corte di Cassazione (n. 12078/2009) sottolinea
che l’autonoma organizzazione si configura
indifferentemente dal mezzo giuridico con cui essa è
attuata : dipendenti o società di servizi ( nel caso
in esame attraverso il contratto di outsourcing).
Considerazioni finali
Il dettato interpretativo della Circolare 28/E
dell’Agenzia delle Entrate, non solleva
dall’obbligatorietà del presupposto di imposta
l’attività esercitata dal promotore finanziario.
Non può pertanto nascere aprioristicamente un invito
a non versare l’IRAP in quanto, tale omissione
potrebbe avere come effetto un possibile avviso di
accertamento con la quale l’Agenzia richiede la
liquidazione dell’imposta con interessi e sanzione
(dal 120% al 240% dell’IRAP).
Va precisato comunque che un eventuale emissione del
provvedimento di avviso di accertamento per aver
omesso la presentazione della dichiarazione, può
essere impugnato per insussistenza del presupposto o
eventualmente per difetto di motivazione dell’avviso
qualora lo stesso ne sia sprovvisto ed in tema di
onus probandi è compito dell’Amministrazione
finanziaria fornire la prova del presupposto
impositivo .
Ulteriore ipotesi di comportamento è quello del
contribuente che presenta la dichiarazione ma non
versa l’imposta: in tal caso si rischia di ricevere
una notifica di cartella di pagamento con la quale è
richiesta l’imposta non versata, gli interessi e la
sanzione (30% del non versato).
In tal caso è facoltà del promotore finanziario
chiedere la sospensione della cartella esattoriale e
successivamente impugnare la cartella.
Una terza possibilità è evidentemente quella di
presentare la dichiarazione IRAP, versare l’imposta
e chiederne il rimborso dimostrando l’assenza di
autonoma organizzazione. L’eventuale rifiuto (o
silenzio rifiuto) di rimborso è fonte di
contenzioso, nel quale il P.F. dovrà fornire la
dimostrazione della carenza del presupposto IRAP.
Nel solco di numerosi provvedimenti legislativi e
regolamentari che sanciscono il principio della
reciproca affidabilità tra contribuente ed
Amministrazione finanziaria, è possibile tuttavia
per il promotore finanziario in fase di eventuale
svolgimento di attività istruttorie da parte
dell’Amministrazione, ed in contradditorio con la
stessa come nell’applicazione di istituti
deflattivi del contenzioso, evidenziare la
struttura della propria attività; l’Agenzia delle
Entrate anche sollecitata dal contribuente può
rinunciare all’imposizione e annullare l’atto
attraverso il ricorso al procedimento di autotutela
anche qualora sia pendente un giudizio, posto che
tra le fattispecie previste dall’art. 2 del
D.M.37/97 vi è proprio l’errore sul presupposto
dell’imposta.
A
proposito poi dell’eventualità di ricorso ad un
contenzioso, va sottolineato che il secondo comma
dell’art 92 del c.p.c., novellato dall’art. 45 della
L. 18/06/2009 n. 69 (che ai sensi dell’art 1 del
d.lg 31/12/1992 n.546 si applica anche al processo
tributario), dispone che la compensazione delle
spese processuali è lecito solo se concorrono
gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente
indicate nella motivazione.
Niente paura dunque di veder accolta la propria
domanda ma dover comunque subire un esborso di
denaro. Il processo tributario con la riforma
dell’art. 92 c.p.c. garantisce un efficace e totale
ristoro per il contribuente, posto che con
l’accoglimento del ricorso, l’opzione perequativa,
impegna il giudice tributario a motivare
specificatamente le ragioni dell’eventuale
compensazione, circoscrivendo di fatto la sua
discrezionalità entro il limite dell’endiadi “gravi
ed eccezionali ragioni”.
La seconda considerazione è di ordine sistematico e
riguarda la figura del Promotore Finanziario.
Non sia considerata una semplice boutade la
domanda se il P.F. oggi rientri nel più ampio
genus dell’imprenditore tout court ai sensi
dell’art 2082 c.c. prima ancora di disquisire di
impresa commerciale ausiliaria (ex art. 2195 c.c. co.1
n.5).
L’esperienza di migliaia di professionisti la cui
attività è inserita organicamente in strutture
aziendali, non solo dal punto di vista funzionale,
lascia in realtà alcuni dubbi circa la natura
giuridica dell’attività: l’organizzazione di mezzi,
capitale e l’assunzione di rischio segni essenziali
(non unici) e prodromici per identificare un’
attività come imprenditoriale (Corte di Cass.
20/12/2002, 18135), risultano minimi se non assenti
del tutto.
Evidentemente il retaggio culturale prima ancora che
giuridico, duro a morire, del promotore finanziario
qualificato come venditore door to door (rectius
offerta fuori sede) durante gli anni ottanta e
novanta, con “organizzazione autonoma ” al fine di
promuovere strumenti finanziari e servizi d
investimento del preponente (art. 30 del T.U. F.),
costituisce un imprescindibile punto di partenza per
la qualificazione giuridica dell’attività posta in
essere.
Orbene, qualificare l’attività del promotore
finanziario alla stregua di quella di un
imprenditore (sia pure nella species prevista
dall’art 2195 co.1 n.5) ne amplia evidentemente i
confini giuridici-economici rispetto alla
fattispecie della locatio operarum e
sin’anche della locatio operis
(rispettivamente lavoratore subordinato ed
autonomo), posto che l’attività imprenditoriale è la
massima espressione della libertà di organizzazione
di un’attività economica, una etero-organizzazione
dei fattori produttivi esterni al lavoro personale,
come il lavoro altrui e/o proprio ed il capitale
altrui e/o proprio, non ricorrendo il fenomeno dei
impresa, neppure piccola (art 2083 c.c.), laddove vi
sia solo auto-organizzazione stricto sensu .
D’altra parte, la continua evoluzione della figura
professionale in parola, introdotta nel nostro
ordinamento con l’art. 5 della L. 1/91 (Disciplina
dell'attività di intermediazione mobiliare e
disposizioni sull'organizzazione dei mercati
mobiliari ) alla quale sono poi succeduti il
D.Lgs 415/96 ( Recepimento della direttiva 93/22/Cee
del 10 maggio 1993 e della direttiva 93/6/Cee del 15
marzo 1993) e il D.Lgs 58/1998 (T.U.F. delle
disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria ai sensi degli artt. 8 e 21 legge
52/1996), ha traslato il focus dell’attività, dalla
libera iniziativa economica ad una professione
disciplinata con ben più stringenti vincoli
normativi pubblicistici (uno per tutti il
superamento di un esame e l’iscrizione ad un albo);
così come la preclusione per i promotori finanziari
di unirsi in società, sia di capitali che di
persone, trova la sua giustificazione nella
necessità di mantenere un rapporto personale e
fiduciario con il cliente (A. Chieppa
Maggi in Testo Unico della Finanza, Commentario
diretto da Campobasso, 2002 e V. Roppo in
Commentario al Testo Unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, a cura di
Alpa, Capriglione, 1998).
Inoltre accanto all’attività di promozione e
collocamento, attività tipicamente commerciale nel
tempo ha assunto sempre più valore l’attività
consulenziale.
Ai sensi della previgente disciplina (ante MIFID),
si trattava di un’attività tipicamente strumentale
posto che era fatto divieto al promotore
l'esercizio dell'attività di consulenza di cui
all'articolo 1, comma 6, lett. f), del Testo Unico,
salvo il caso che l'attività sia svolta per conto
del soggetto abilitato per il quale opera o di altro
soggetto appartenente al medesimo gruppo
(art 94 lett. a Reg.to Intermediari 11522/98).
L’introduzione della direttiva europea n. 2004/39/CE
(MIFID) nel nostro ordinamento ha poi riproposto
nuovamente l’attività di consulenza come servizio di
investimento sino ad allora servizio accessorio e
perciò non sottoposto ad alcuna riserva per il suo
esercizio (l’attività di consulenza finanziaria fu
introdotta tra le attività di intermediazione
mobiliare con l’art. 1, legge 1/91, una
innovazione non di poco conto, la stessa Legge SIM
tuttavia inibiva al promotore ogni forma di attività
di consulenza porta a porta” ex’art. 5, co. 3,
successivamente non riproposto nel D.lgs. 415/96,
attività derubricata a sevizio accessorio e così
riproposto nel d.lgs. 58/98 –T.U.F. ).
L’erogazione del servizio ed attività di consulenza
prestato da persona fisica quale il promotore
finanziario, ancorché accompagnata ad ulteriori
servizi di investimento (ricezione e trasmissione di
ordini o collocamento), di fatto sposta
inevitabilmente il perimetro normativo che inquadra
l’attività a ridosso della fattispecie prevista per
i liberi professionisti o comunque del lavoro
autonomo.
Una figura professionale oggi tesa a coniugare la
distribuzione con la consulenza all’interno di un
rapporto cliente-promotore finanziario, nel quale
assurge sempre più rilevanza la fiducia del cliente
riposta nel professionista.
Così con un mercato finanziario pieno di insidie,
con i maggiori e più importanti players (le banche),
spesso attori offerenti medesimi servizi e strumenti
finanziari (con luci ed ombre parimenti
distribuite), l’incontro tra risparmiatore –
professionista risulta avvenire alla stregua della
più classica e consueta relazione tra libero
professionista e cliente, intuitu personae,
con una forte caratterizzazione dell’elemento
personale.
Ebbene dunque, la sottile linea di confine tra un
lavoratore autonomo (quando non si è in presenza dei
canoni previsti per il lavoratore subordinato),
professionista che collabora con un’impresa, e
un’impresa individuale diviene ancora più labile nei
riguardi dell’attività esercitata dal promotore
finanziario.
Entrambi svolgono un attività economica, e laddove
l’accezione “ economica” individua un’attività
imprenditoriale che mira quantomeno al pareggio tra
costi di produzione e ricavi, non si può certo dire
che l’attività di un avvocato può esimere dal tener
in considerazione il giusto equilibrio tra compensi
e spese; così come l’elemento della professionalità
caratterizza entrambi le fattispecie.
L’elemento organizzativo diviene dunque il
discrimen : va ricordato che essa è pur presente
nel lavoro autonomo, ma il carattere rigorosamente
personale delle prestazioni riveste un ruolo
preminente, l’elemento dell’organizzazione ha quasi
carattere accessorio che non incide sull’essenza
dell’attività del professionista che continua a
promanare da lui e che consegue il risultato
prescindendo dalla forme organizzatorie.
L’attività posta in essere dal promotore finanziario
è dunque più articolata e sfugge ad una
semplicistica catalogazione: si pensi al promotore
che di fatto “gestisce” (in senso atecnico) un
portafoglio clienti rilevante e dedica all’attività
commerciale (promozione e collocamento) momenti
residuali rispetto alla più complessa attività
consulenziale.
La titolarità di un’auto, a volte di un notebook ed
usufruire di un ufficio (spesso un bene collegato
giuridicamente all’intermediario) sono elementi che
non consentono di configurare a cuor leggero
l’attività del p.f. come imprenditoriale.
L’attività esercitata dal promotore finanziario nel
tempo infatti ha subito un costante allontanamento
dai tipici canoni normativi dell’attività
imprenditoriale, per collocarsi, per usare le parole
della Corte di Cassazione in “un’area grigia tra
il territorio dell’impresa ed il territorio del
lavoro autonomo.”
Si deve prendere atto che talune figure
professionali, hanno necessità di un “tagliando
normativo” (forse l’introduzione della direttiva
europea MIFID sarebbe stata un’ottima occasione per
creare realmente ex novo un promotore finanziario
autonomo collaboratore dell’impresa bancaria ), al
fine di permettere ai professionisti coinvolti, di
poter serenamente guardare al proprio futuro con
piena consapevolezza del proprio ruolo, e non
ancorarlo invece, prima ancora che a principi
giuridici, a visioni metagiuridiche
impresocentriche, svilendone l’ambizione di
assurgere a categoria a tutto tondo di
professionisti della finanza; un’occasione persa per
permettere di risolvere definitivamente quella
spiacevole distonia tra un’attività che oggi
rivendica il diritto di erogare prestazioni
consulenziali ed un figura professionale che per
alcuni è sempre alla ricerca di un proprio
“profitto” come deve legittimamente aspirare un
‘attività imprenditoriale.
Vien da pensare forse che l’opera inizialmente
svolta dalla giurisprudenza di legittimità debba
continuare nel più idoneo alveo legislativo in modo
più organico e sistematico al fine di addivenire. |