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Rivista di Diritto Bancario e Finanziario dello
Studio fondata nell'anno 1998
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Issn 2039-7410 | © RIPRODUZIONE
VIETATA
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La
Cassazione sull’equiparazione delle polizze unit linked a
strumenti finanziari
Di
Valerio Sangiovanni,
Avvocato cassazionista
Master of Laws (University of London)
Dottore di ricerca (Universität Heidelberg)
Rechtsanwalt
Componente del Collegio di Milano dell’Arbitro Bancario Finanziario
19 settembre 2013
[Si riproduce per
gentile concessione dell’autore e dell’editore la
nota già pubblicata in Corriere giuridico, 2013, p.
767-777]
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CASSAZIONE CIVILE, sez.
III, 18 aprile 2012, n. 6061 – Pres. Petti – Rel.
Spirito – Banca Fideuram s.p.a. (avv. Eroli) c. E.
G. (avv.ti Camici, Nespoli e Camozzi), Eurizon Vita
s.p.a. (avv. Carbonetti) e P. V. (avv. Frattarelli)
In tema di contratto di
assicurazione sulla vita stipulato prima
dell’entrata in vigore della l. n. 262/2005 e del
d.lgs. n. 303/2006, nel caso in cui sia stabilito
che le somme corrisposte dall’assicurato a titolo di
premi vengano versate in fondi di investimento
interni o esterni all’assicuratore e che alla
scadenza del contratto o al verificarsi dell’evento
in esso dedotto l’assicuratore sarà tenuto a
corrispondere all’assicurato una somma pari al
valore delle quote del fondo mobiliare al momento
stesso (polizze denominate unit linked), il giudice
del merito, al fine di stabilire se l’impresa
emittente, l’intermediario e il promotore abbiano
violato le regole di leale comportamento previste
dalla specifica normativa e dall’art. 1337 c.c.,
deve interpretare il contratto al fine di stabilire
se esso, al di là del nomen iuris attribuitogli, sia
da identificare effettivamente come polizza
assicurativa sulla vita (in cui il rischio avente a
oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è
assunto dall’assicuratore), oppure si concreti
nell’investimento in uno strumento finanziario (in
cui il rischio c.d. di performance sia per intero
addossato sull’assicurato). Tale giudizio, in quanto
rispettoso delle regole di ermeneutica contrattuale
ed espresso con motivazione congrua e logica, non è
sottoposto a censura in sede di legittimità.
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La sentenza della Corte
di cassazione merita di essere commentata in quanto
appare essere la prima della giurisprudenza di
legittimità che si occupa delle polizze unit linked.
Secondo la Cassazione tali polizze – trasferendo il
rischio dall’impresa assicuratrice all’assicurato -
possono essere equiparate a contratti
d’intermediazione finanziaria, con conseguente
applicazione delle disposizioni del t.u.f. Dal
momento che il t.u.f. prescrive la forma scritta a
pena di nullità nonché il rispetto delle norme di
comportamento degli intermediari finanziari, da un
lato il contratto di cui manca un testo debitamente
sottoscritto deve reputarsi nullo e, da un altro
lato, l’inosservanza delle regole di condotta
implica l’obbligo di risarcire il danno patito.
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Introduzione
Nella sentenza in
commento la Corte di cassazione decide sui ricorsi
presentati avverso una sentenza della Corte di
appello di Torino[1]
in materia di polizze vita linked[2].
L’autorità giudiziaria torinese aveva affermato che
i contratti linked si sostanziano nell’acquisto di
uno strumento finanziario in cui il rischio (avente
a oggetto la c.d. performance di quello strumento) è
a carico del risparmiatore e dipende non dal fattore
tempo, ma dalle dinamiche dei mercati mobiliari, dal
rendimento del titolo e dalla solvibilità
dell’emittente. Il criterio guida per discriminare
fra prodotti assicurativi e prodotti finanziari è
dato dal tipo di rischio e dalla sua collocazione a
carico dell’una piuttosto che dell’altra parte. I
contratti linked, anche prima dell’entrata in vigore
della l. n. 262/2005 e del d.lgs. n. 303/2006, non
potevano considerarsi alla stregua di normali
prodotti assicurativi ma piuttosto come strumenti
finanziari. Questi principi sono stati ribaditi
dalla Corte di cassazione, la quale ha respinto i
ricorsi.
Bisogna dire che la
sentenza in commento si inserisce in un filone
giurisprudenziale ormai discretamente ricco di
pronunce. La presenza di un certo numero di
controversie che si fondano sulle polizze linked è
riconducibile, dal punto di vista della sua
giustificazione economica, al fallimento di alcuni
emittenti nei titoli dei quali i premi assicurativi
erano stati investiti. Il caso probabilmente più
eclatante è quello della Lehman Brothers[3].
È difatti accaduto che i premi pagati dai contraenti
sono stati investiti in strumenti finanziari di tale
società, la quale – però – a causa di difficoltà
finanziarie è entrata in una situazione d’insolvenza
che ha reso impossibile onorare i debiti. In
fattispecie del genere l’investitore ha difficoltà a
recuperare il capitale investito direttamente
dall’emittente e può pensare di rivolgersi
all’intermediario dell’operazione, rappresentando
una qualche violazione che legittima una richiesta
risarcitoria.
Nella sentenza in
commento la Corte di cassazione riqualifica il
contratto di assicurazione come contratto
d’intermediazione finanziaria. La pronuncia usa il
termine “contratto di investimento”, da considerarsi
ai nostri fini come sinonimo di “contratto
d’intermediazione finanziaria”[4].
A ben vedere, peraltro, nella operatività
dell’intermediazione finanziaria il contratto quadro
va tenuto distinto dalle operazioni attuative del
medesimo: il master agreement contiene solo la
disciplina generale e astratta del rapporto
d’intermediazione fra le parti, al quale fanno
seguito uno o più investimenti. Questa distinzione
non può essere applicata tout court al diverso
rapporto assicurativo classico, in cui non vi è un
investimento finanziario.
La riqualificazione da
contratto di assicurazione in contratto
d’intermediazione finanziaria, operata dalla
sentenza in commento, porta con sé una conseguenza
gravosa: il collocamento della polizza rappresenta
prestazione di un servizio d’investimento e si
applica il t.u.f. Due sono i principali effetti
della riqualificazione: sotto un primo profilo chi
vende tali prodotti deve osservare il requisito di
forma scritta del contratto; sotto un secondo
profilo vanno rispettate le norme di comportamento
degli intermediari finanziari[5].
Si noti infine che la
materia delle polizze linked è stata riformata
alcuni anni fa sia a livello legislativo sia a
livello regolamentare. Originariamente i prodotti
assicurativi emessi da imprese di assicurazione
erano esclusi dall’ambito applicativo della
disciplina sulla sollecitazione all’investimento.
Con la l. n. 262/2005 è stato però introdotto l’art.
25 bis t.u.f. che si occupa proprio di prodotti
finanziari emessi da imprese di assicurazione[6].
L’art. 25 bis comma 1 t.u.f. dichiara espressamente
applicabili alla sottoscrizione e al collocamento di
prodotti finanziari emessi da imprese di
assicurazione gli artt. 21 e 23 t.u.f. La Corte di
cassazione, nella sentenza in commento, ha applicato
la normativa anteriore. In questa nota ci occuperemo
pertanto solo della disciplina previgente. Si tratta
peraltro di materia di rilevanza pratica,
considerate le numerose controversie in corso sulla
base delle polizze stipulate prima delle recenti
riforme.
Le caratteristiche
delle assicurazioni sulla vita
Il legislatore definisce
l’assicurazione come il contratto col quale
l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si
obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti
convenuti, del danno ad esso prodotto da un
sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita
al verificarsi di un evento attinente alla vita
umana (art. 1882 c.c.). Con questa nozione viene
definita sia l’assicurazione contro i danni (prima
parte della frase) sia l’assicurazione sulla vita
(seconda parte della frase).
L’assicurazione sulla
vita è un contratto con obbligazioni a carico di
ambedue le parti: il contraente deve pagare i premi
assicurativi, mentre l’impresa assicurativa deve
versare il capitale o la rendita.
Con riferimento
all’obbligazione del contraente, l’assicurazione
sulla vita comporta il pagamento di un premio. A
seconda dei casi il premio può essere versato in
soluzione unica, all’inizio del rapporto
contrattuale, oppure in più soluzioni (ad esempio
semestrali o annuali) nel corso della durata del
rapporto. Nel caso delle polizze linked il premio
viene pagato in soluzione unica all’inizio: il
pagamento anticipato serve per effettuare subito gli
investimenti. La circostanza della immediata messa a
disposizione del danaro da parte del contraente, che
diventa oggetto di un investimento, è un indizio
della natura finanziaria del contratto.
Con riguardo invece
all’obbligazione dell’impresa assicurativa nelle
assicurazioni sulla vita, alla scadenza del rapporto
contrattuale (che ha tipicamente una durata
piuttosto lunga: ad esempio 5 o 10 anni),
l’assicurato ha diritto al pagamento di un importo,
che gli viene corrisposto in un’unica soluzione
(capitale) oppure nel corso di un certo periodo di
tempo (rendita).
In questa sede possiamo
dare solo qualche indicazione di massima sulle
funzioni svolte dai contratti di assicurazione sulla
vita. In essenza tale contratto persegue l’obiettivo
di garantire un sostegno economico in connessione
con eventi attinenti alla vita umana. Nel caso del
pagamento di una rendita emerge il carattere
previdenziale dell’assicurazione sulla vita: in
questa prospettiva si può affermare che chi conclude
un contratto di assicurazione sulla vita mira a
garantirsi un reddito ulteriore. Vedremo come le
polizze linked, quando non offrono alcuna garanzia
di restituzione del capitale, rischiano di produrre
l’effetto contrario, nel senso che – invece di
garantire un futuro capitale o rendita - mettono a
repentaglio la somma di cui dispone il contraente.
Più in generale la causa
del contratto di assicurazione è la tutela contro
certi rischi, che vengono trasferiti dal contraente
all’impresa assicurativa. Nel caso di assicurazione
sulla vita si può in particolare distinguere fra
rischio “demografico” e rischio “finanziario”. Il
rischio “demografico” è connesso alla durata della
vita umana. Tale durata non può essere ovviamente
prevista con certezza in anticipo, ma solo sulla
base di calcoli probabilistici. A seconda del
momento in cui si verifica l’evento dedotto in
contratto (il decesso del contraente),
l’assicuratore è tenuto a una determinata
prestazione. Le condizioni contrattuali variano
molto da caso a caso, ma – in linea generale – si
può affermare che prima si verifica la morte del
contraente minore è il guadagno dell’impresa di
assicurazione. Al rischio demografico si aggiunge
quello “finanziario”. L’impresa assicurativa
raccoglie i premi dai contraenti, ma deve poi essere
in grado di farli fruttare bene al fine di
corrispondere il capitale o la rendita promessi,
oltre che di trarre un profitto dall’attività
svolta. Nel concludere i contratti l’impresa
assicurativa deve tener conto di e gestire tali
rischi.
Nella concezione
classica del contratto di assicurazione sulla vita,
la prestazione cui è tenuta l’impresa assicurativa è
certa. Il testo contrattuale prevede con apposite
clausole quali saranno le prestazioni
dell’assicuratore al verificarsi di determinati
eventi. Le prestazioni possono essere differenti a
seconda delle circostanze del caso, ma sono
determinate in contratto, e comunque prevedono una
qualche attribuzione patrimoniale in favore
dell’assicurato. Al fine di garantire tale certezza,
l’assicuratore valuta in anticipo e gestisce su
grande scala sia il rischio demografico sia quello
finanziario. In alcuni casi il decesso del
contraente si verificherà presto e l’impresa sarà
tenuta a corrispondere un importo elevato; in altri
casi non si verificherà del tutto nel corso della
durata del contratto e l’impresa sarà tenuta a una
prestazione di valore inferiore. Le variazioni delle
prestazioni dovute sono a carico dell’assicuratore,
il quale valuta il complesso dei rischi secondo
criteri statistici e deve essere in grado, con i
premi raccolti, di far fronte a tutte le proprie
obbligazioni. Allo stesso modo la compagnia si fa
carico del rischio finanziario: l’andamento degli
investimenti nei quali vengono collocati i premi può
essere più o meno positivo, ma essa rimane tenuta
alle prestazioni cui si è obbligata nei confronti
dell’assicurato. Indipendentemente dunque
dall’andamento del rischio demografico e di quello
finanziario all’assicurato viene garantito un certo
capitale o una certa rendita al termine del rapporto
contrattuale.
Nella prassi può
capitare che le polizze linked, seppure formalmente
denominate “assicurazioni sulla vita”, svolgano in
realtà una funzione speculativa. Ci si riferisce al
fatto che tali contratti altro non sono che lo
strumento giuridico mediante il quale vengono
raccolte le risorse per effettuare investimenti e
l’investimento implica per definizione una
componente di rischio. La politica d’investimento in
attuazione del contratto di assicurazione può
talvolta contemplare, nell’auspicato intento di
massimizzare il ritorno economico, il compimento di
operazioni particolarmente rischiose, aggravando il
rischio che il contraente corre.
La concezione
tradizionale di assicurazione ha subito modifiche
nel corso degli anni. I prodotti linked sono stati
sviluppati al fine di massimizzare il ritorno
economico per le imprese di assicurazioni e per i
contraenti[7].
Tipicamente le assicurazioni sulla vita hanno una
durata piuttosto lunga e il primo obiettivo da
perseguirsi è quello di evitare una perdita di
valore dei premi conferiti a causa dell’inflazione.
A tal fine è necessario che i premi vengano
adeguatamente investiti. Si è progressivamente fatta
strada l’idea che i danari conferiti dai contraenti
potessero essere investiti in strumenti finanziari
che, auspicabilmente, non solo contrastano il
fenomeno inflattivo, ma assicurano anche un buon
guadagno.
Nelle polizze linked
alla funzione assicurativa-previdenziale si viene ad
aggiungere un obiettivo d’investimento (funzione
finanziaria-speculativa) perseguito dal contraente.
La prestazione cui è tenuta l’impresa assicurativa
al termine del rapporto contrattuale è variabile;
inoltre tale prestazione può, in certi casi, perfino
venire a mancare del tutto. L’espressione “linked”
(letteralmente, “collegato”) indica che vi è un
collegamento fra l’aspettativa finale di
capitale-rendita dell’assicurato e l’andamento degli
indici sottostanti. Tali sottostanti possono essere
rappresentati da quote di fondi investimento (“unit
linked”) oppure da indici di borsa o panieri
azionari (“index linked”). La variabilità degli
elementi sottostanti introduce un elemento (talvolta
forte) d’incertezza nel rapporto contrattuale: il
quantum della prestazione cui è tenuto
l’assicuratore è variabile e, in alcuni casi,
nemmeno l’an è certo.
A questo riguardo si
deve osservare che, oltre al rischio connesso
all’andamento – più o meno positivo – degli
strumenti finanziari, vi è il pericolo d’insolvenza
dell’emittente: nel caso in cui questi non sia più
in grado di onorare i propri debiti, l’assicurato
potrebbe non ricevere nulla in base al contratto di
assicurazione, pur avendo regolarmente pagato il
premio (a questo rischio ci si riferisce usualmente
denominandolo “di controparte”).
Di norma i premi vengono
gestiti dalle imprese assicurative in modo
scollegato rispetto al portafoglio di chi li paga:
le imprese si assumono il rischio degli investimenti
e l’andamento dei medesimi non incide sul diritto
degli assicurati a percepire un capitale o una
rendita. Nelle polizze linked la prospettiva è
invece diversa: è l’assicurato a reggere il rischio
collegato all’andamento degli investimenti.
Il trasferimento del
rischio sull’assicurato
In questa sede non è
possibile esaminare in dettaglio tutte le
caratteristiche che possono presentare, nella
prassi, le polizze linked; in alcuni casi sono
prodotti finanziari di alta complessità[8].
Sarebbe peraltro semplicistico concludere nel senso
che tutte le polizze che prevedono che i premi siano
direttamente investiti debbano essere qualificate
come strumenti finanziari; va invece effettuata una
valutazione singola che tenga conto di tutte le
peculiarità del rapporto che si instaura fra le
parti. In questo senso, volendo operare una
distinzione fondamentale, si può differenziare fra
linked garantite, linked parzialmente garantite e
linked pure.
Nel primo caso (linked
garantite) la restituzione del capitale da parte
dell’impresa assicurativa è effettivamente
garantita. La clausola contrattuale può, ad esempio,
essere formulata nel senso che - al termine del
periodo assicurativo - l’assicurato otterrà comunque
la restituzione di tutto il capitale (e qui la
natura assicurativa-previdenziale del contratto
difficilmente può essere negata). Tale previsione è
associata alla clausola per cui il contratto può
dare un certo rendimento, che non va però a
intaccare il diritto del contraente alla
restituzione del capitale originario. Una
strutturazione del genere non fa venire meno il
carattere assicurativo-previdenziale del contratto,
in quanto è solo il possibile guadagno a essere in
dubbio (dipendendo dall’andamento degli
investimenti), non la restituzione del capitale.
Con una seconda e
diversa formulazione contrattuale (linked
parzialmente garantite) può essere prevista la
restituzione di una parte del capitale investito,
oltre a una maggiore somma eventuale in relazione
all’andamento degli investimenti effettuati. In
questa fattispecie alla funzione assicurativa si
aggiunge un obiettivo d’investimento.
In una terza modalità di
strutturazione dei contratti (linked pure), la
corresponsione di un capitale all’assicurato alla
fine del rapporto contrattuale non è affatto certa,
in quanto dipende dall’andamento del sottostante.
Nell’ipotesi estrema d’insolvenza del soggetto
emittente gli strumenti finanziari, il valore della
polizza può ridursi a zero. In questi casi la
funzione della polizza cessa di essere
assicurativa-previdenziale, per divenire
finanziaria-speculativa. Se i premi vengono
investiti in strumenti finanziari e non vi è
garanzia in merito alla corresponsione di un
capitale, le polizze sono prodotti finanziari. In
questo caso i contratti di assicurazione altro non
sono che lo strumento giuridico con cui vengono
effettuati investimenti, con il rischio che non è
più assunto dall’assicuratore, ma rimane in toto in
capo alla controparte. A ragione dunque, a queste
condizioni, diverse sentenze hanno qualificato le
polizze linked come prodotti finanziari e non come
contratti di assicurazione[9].
Più nello specifico il
contratto di assicurazione può prevedere una
clausola in forza della quale le conseguenze
derivanti dall’insolvenza dell’emittente vengono
trasferite sull’assicurato. Una parte delle
controversie aventi a oggetto le polizze linked
concerne proprio tale pattuizione. A questo riguardo
il Tribunale di Napoli ha affermato che è
vessatoria, in quanto fonte di un significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti,
la clausola di un contratto di assicurazione sulla
vita che subordina il pagamento del minimo garantito
all’andamento del valore del titolo strutturato di
riferimento[10].
Inoltre il Tribunale di Milano ha statuito che sono
nulle le clausole di una polizza index linked con
cui si pone a carico del cliente il rischio
dell’inadempimento o dell’insolvenza dell’ente che
ha emesso i titoli collegati alla polizza medesima,
sia per il loro carattere di vessatorietà sia perché
non approvate specificamente per iscritto[11].
Ne consegue che la compagnia assicuratrice è tenuta
a corrispondere al cliente il capitale minimo
garantito previsto nel contratto.
La sentenza della Corte
di cassazione in commento si caratterizza per il
fatto di individuare gli elementi che fanno ritenere
preponderante l’elemento finanziario-speculativo
rispetto a quello assicurativo-previdenziale. In
particolare si è accertato che il contratto di
assicurazione non garantiva un rendimento minimo né
la restituzione del capitale versato: sono fattori
che fanno affermare la natura finanziaria dello
strumento contrattuale. A queste condizioni appare
corretto riqualificare il contratto come contratto
d’intermediazione finanziaria, indipendentemente dal
nomen iuris utilizzato dalle parti.
La forma scritta del
contratto
Una volta che le polizze
linked sono state qualificate come prodotti
finanziari, trova applicazione il t.u.f. Una delle
disposizioni più significative da applicarsi è
l’art. 23 t.u.f. sul requisito di forma scritta del
contratto; può pertanto essere contestata l’assenza
di forma scritta, che determina nullità[12].
Una parte non trascurabile del contenzioso fra
investitori e intermediari finanziari si risolve
velocemente proprio per il fatto che non è
soddisfatto il requisito di forma scritta del
contratto d’intermediazione finanziaria. La nullità
del contratto per tale ragione è, difatti,
assorbente rispetto ad ogni altra problematica, ad
esempio rispetto alla questione della possibile
inosservanza delle norme di comportamento degli
intermediari[13].
Per quanto riguarda il
requisito di forma scritta del contratto
d’intermediazione finanziaria e di quello di
assicurazione, bisogna evidenziare come la soluzione
fatta propria dal legislatore sia diversa: nel primo
caso lo scritto è richiesto a pena di validità[14],
nel secondo a soli fini probatori. In materia di
contratto di assicurazione non si ha la prescrizione
del requisito di forma scritta ai fini della
validità. L’art. 1888 comma 1 c.c. si limita a
stabilire che il contratto di assicurazione deve
essere provato per iscritto[15].
Come è noto, l’effetto principale del requisito
della forma scritta ad probationem è indicato
nell’art. 2725 comma 1 c.c.: quando un contratto
deve essere provato per iscritto, la prova per
testimoni è ammessa soltanto quando il contraente ha
senza sua colpa perduto il documento che gli forniva
la prova. Trattandosi quest’ultima (la perdita del
documento senza colpa) di un’evenienza rara, nei
fatti – in assenza di contratto scritto – sarà molto
difficile fornire la prova dei contenuti del
medesimo. Nella giurisprudenza vi è uniformità di
decisioni nel senso di confermare, come già indica
la legge espressamente, che il requisito dello
scritto per i contratti di assicurazione serve solo
a fini probatori[16].
L’attore in giudizio che
riesce a dimostrare che il rapporto intercorso fra
le parti non va qualificato come contratto di
assicurazione ma deve essere qualificato come
contratto d’intermediazione finanziaria “eleva” il
rango formale previsto per il contratto, con la
conseguenza che - in assenza di contratto scritto -
si verifica nullità, con obblighi restitutori in
capo alle parti.
Le norme di
comportamento degli intermediari finanziari
La seconda importante
conseguenza della qualificazione del contratto di
assicurazione come contratto d’intermediazione
finanziaria è l’applicazione delle c.d. “norme di
comportamento” degli intermediari finanziari[17].
Tali regole di condotta sono contenute in parte
nell’art. 21 t.u.f. e in parte nel regolamento
Consob di attuazione.
Si noti che in materia
si sono succeduti negli ultimi anni diversi testi
legislativi e regolamentari, in attuazione delle
normative comunitarie e delle riforme italiane. Con
particolare riguardo ai regolamenti Consob, si deve
segnalare che il reg. n. 11522/1998 è stato
sostituito dal reg. n. 16190/2007.
Pur nelle novità che
sono state introdotte negli ultimi anni, in essenza
le norme di comportamento degli intermediari
finanziari si lasciano ricondurre a tre: il dovere
d’informare l’investitore, il dovere di compiere
operazioni adeguate e il dovere di gestire i
conflitti d’interesse.
Il dovere informativo
che fa capo agli intermediari finanziari trova
riscontro nel passaggio della legge in cui si
afferma che, nella prestazione dei servizi e delle
attività di investimento, i soggetti abilitati
devono acquisire le informazioni necessarie dai
clienti e operare in modo che essi siano sempre
adeguatamente informati (art. 21 comma 1 lett. b
t.u.f.)[18].
Si tratta di un flusso informativo bi-direzionale:
dall’investitore all’intermediario (essenzialmente
per la sua profilatura e per l’individuazione degli
investimenti adeguati) e, viceversa,
dall’intermediario all’investitore (su
caratteristiche e rischi degli investimenti).
Proprio nel contesto delle polizze linked, la
giurisprudenza ha già avuto modo di pronunciarsi
relativamente all’applicazione del dovere
informativo. In particolare il Tribunale di Trani ha
affermato che il contratto di sottoscrizione di
polizze di assicurazione unit linked, in conformità
del quale le prestazioni assicurative sono
direttamente collegate al valore delle quote di un
fondo mobiliare senza alcuna garanzia di risultato
in favore del sottoscrittore, indipendentemente dal
nomen iuris si sostanzia nell’acquisto di uno
strumento finanziario, ossia di una quota di un
fondo comune di investimento, con la conseguenza che
alla banca - che abbia svolto attività
d’intermediazione nella sottoscrizione di polizze
unit linked - si applica la disciplina degli
obblighi d’informazione prescritta dal t.u.f. e dal
reg. Consob n. 11522/1998[19].
In aggiunta al dovere
d’informare gli investitori, una seconda importante
regola di comportamento degli intermediari
finanziari è quella di adeguatezza delle operazioni
d’investimento[20].
Stranamente tale regola non ha una base normativa
primaria. Il principio trova invece riscontro nella
normativa secondaria: se ne occupano gli artt. 39-40
reg. n. 16190/2007. Con il nuovo regolamento
intermediari n. 16190/2007, la regola di adeguatezza
si è ora sdoppiata in “adeguatezza” e
“appropriatezza” (artt. 41-42 reg. n. 16190/2007)[21].
Senza entrare in eccessivo dettaglio nell’analisi
della normativa regolamentare, basterà qui ricordare
che il principio di adeguatezza impone agli
intermediari di valutare che la specifica operazione
consigliata o realizzata nel quadro della
prestazione del servizio di gestione di portafogli
soddisfi i seguenti criteri: a) corrisponda agli
obiettivi di investimento del cliente; b) sia di
natura tale che il cliente sia finanziariamente in
grado di sopportare qualsiasi rischio connesso
all’investimento compatibilmente con i suoi
obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per
cui il cliente possieda la necessaria esperienza e
conoscenza per comprendere i rischi inerenti
all’operazione o alla gestione del suo portafoglio
(art. 40 comma 1 reg. n. 16190/2007).
La raccolta
d’informazioni dal cliente è finalizzata alla sua
corretta profilatura, la quale costituisce – a sua
volta - presupposto per l’identificazione e il
compimento di operazioni adeguate per quello
specifico investitore[22].
Nella sentenza della Corte di cassazione in commento
la contestazione che viene mossa all’assicuratore è
di non avere provveduto a tale profilatura. La
mancata conoscenza del cliente impedisce nei fatti
un’assistenza finanziaria sensata e rende
impossibile prestare con professionalità i servizi
d’investimento.
La terza norma di
comportamento degli intermediari finanziari cui è
utile accennare concerne i conflitti d’interessi[23].
Al riguardo la legge prevede che, nella prestazione
dei servizi d’investimento, gli intermediari: a)
adottano ogni misura ragionevole per identificare i
conflitti di interesse che potrebbero insorgere con
il cliente o fra clienti, e li gestiscono … b)
informano chiaramente i clienti, prima di agire per
loro conto, della natura generale e/o della fonti
dei conflitti di interesse quando le misure adottate
ai sensi della lettera a) non sono sufficienti per
assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio
di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato
(art. 21 comma 1 bis t.u.f.).
Brevi osservazioni
conclusive sulla tutela di investitori e contraenti
deboli
In definitiva la
soluzione fatta propria dalla Corte di cassazione
colloca la sentenza in commento nel più ampio filone
della giurisprudenza a tutela degli investitori, a
sua volta sottoinsieme della giurisprudenza (e
normativa) a tutela del contraente debole. La
pronuncia produce in sostanza l’effetto di estendere
anche ai contratti anteriori al 2005 la protezione
che è stata poi prevista in via generale con le
successive riforme legislative.
Si tratta di una
giurisprudenza “sostanzialistica”, che va al di là
del dato formale per assicurare tutela al contraente
debole. In particolare non viene attribuito alcun
peso alla denominazione del contratto, che viene
invece scrutato nelle sue caratteristiche
sostanziali per essere qualificato in modo difforme
dal nome che reca. Una volta che si è riqualificato
il contratto di assicurazione come contratto
d’intermediazione assicurativa, il soggetto tutelato
è solo formalmente un contraente-assicurato; nella
sostanza è un investitore.
Negli ultimi dieci anni
è maturata una giurisprudenza fortemente favorevole
agli investitori. Il punto di partenza di tale
giurisprudenza sono stati alcuni importanti default
di emittenti titoli obbligazionari. I casi più
eclatanti sono stati rappresentati, a livello
italiano, dalle insolvenze di Cirio e Parmalat e, a
livello internazionale, dal default dello Stato
argentino. I sottoscrittori delle obbligazioni
emesse da tali soggetti, una volta subentrata
l’insolvenza, non hanno più potuto percepire gli
interessi e hanno rischiato il capitale investito.
Le azioni in giudizio si sono indirizzate
prevalentemente verso gli intermediari finanziari e
non verso gli emittenti. Agire in giudizio nei
confronti degli emittenti presenta lo svantaggio di
prendersela con soggetti in difficoltà finanziaria,
che non sono in grado di ristorare completamente il
danno patito dagli investitori. Al contrario, gli
intermediari dispongono generalmente di risorse
sufficienti per essere utilmente convenuti in
giudizio. A partire, dunque, dai primi anni del
duemila è nato il filone giurisprudenziale della
responsabilità degli intermediari finanziari. Le
disposizioni principali su cui è stata fondata la
responsabilità delle banche sono i due già citati
art. 21 t.u.f. sulle norme di comportamento degli
intermediari e art. 23 t.u.f. sul requisito di forma
scritta del contratto d’intermediazione finanziaria.
La giurisprudenza, come
avviene abbastanza frequentemente, ha anticipato gli
sviluppi normativi. I grandi default dei primi anni
duemila hanno evidenziato carenze normative cui il
legislatore ha posto riparo con l’adozione di
modifiche legislative e regolamentari.
Nel settore delle
assicurazioni, a ben vedere, esistono complessivi
normativi e regolamentari affini alle disposizioni a
tutela degli investitori. Nel codice delle
assicurazioni sono numerose le norme che si occupano
di tutela del contraente-assicurato. Volendo
limitarsi a dei cenni, si può pensare a quanto
prevede l’art. 120 c. ass. in tema di informazione
precontrattuale e regole di comportamento oppure
all’art. 183 c. ass. sempre sulle regole di
comportamento. È però paradossale osservare come la
situazione sia completamente diversa da quella che
si è realizzata nell’area dell’intermediazione
finanziaria: in materia assicurativa è molto scarsa
la giurisprudenza sulla responsabilità degli
intermediari assicurativi.
Ragionando in termini
ancora più generali, la sentenza in commento è un
ulteriore tassello degli orientamenti normativi e
giurisprudenziali finalizzati a tutelare il
contraente debole. L’assunto di fondo è che il
contraente-assicurato, così come l’investitore e il
consumatore, non dispongono di capacità sufficienti
per tutelarsi adeguatamente a fronte di una
controparte ben più forte che è in grado di
sfruttare tale asimmetria a proprio favore e di
fissare a proprio piacimento le condizioni
contrattuali. Le evoluzioni normative e
giurisprudenziali degli ultimi anni mostrano il
chiaro tentativo di ridurre le asimmetrie[24].
--------------------------------------------------------------
Motivazione della
sentenza
Motivi della decisione
… Omissis …
Premessi questi concetti
(rispetto ai quali non v’è alcuna sostanziale
contestazione da parte dei ricorrenti), la sentenza
(sempre diretta ad accertare quali avrebbero dovuto
essere i comportamenti delle parti nello svolgimento
della trattativa e nella formazione del contratto,
secondo il paradigma dell’art. 1337 c.c.) procede
alla ricerca della disciplina all’epoca (si
ribadisce, all’epoca) applicabile a questi prodotti
dalla natura mista: assicurativa e finanziaria al
contempo; tenendo, dunque, conto dell’elemento
“rischio” contenuto sia nel contratto di
assicurazione, sia in quello d’investimento.
Quanto al rischio, è
giuridicamente corretta l’affermazione secondo cui
nel contratto di assicurazione vita esso è assunto
dall’assicuratore, il cui margine di profitto è
direttamente proporzionale alla frazione di tempo
intercorrente tra la stipula del contratto e
l’evento della vita in esso dedotto. Nello strumento
finanziario, invece, il rischio concernente la
performance del prodotto è a carico dell’investitore
e non dipende dal fattore tempo, bensì dalle
dinamiche dei mercati mobiliari, dal rendimento del
titolo e dalla solvibilità dell’emittente.
Altrettanto corretta è
l’affermazione secondo cui la componente di rischio
rileva in senso causale solo nel contratto
d’assicurazione (“l’assicurazione è il contratto col
quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio,
si obbliga … a pagare un capitale o una rendita al
verificarsi di un evento attinente alla vita umana”,
art. 1882 c.c.), mentre nel contratto d’investimento
il rischio è estraneo alla causa e rientra nella
normale alea contrattuale.
Sicché, sulla base di un
corretto fondamento giuridico e di una logica
argomentazione, il giudice, per stabilire se la
polizza della quale si discuta vada assimilata a un
prodotto assicurativo oppure a uno finanziario (con
i conseguenti obblighi di comportamento che ne
derivano a carico dell’emittente, dell’intermediario
e del promotore nella fase antecedente alla
stipula), ha utilizzato l’elemento rischio, la sua
collocazione a carico dell’una e dell’altra parte e
la sua rilevanza causale.
A questo punto la
sentenza procede all’attività interpretativa della
polizza in questione, in ordine alla quale, lo si
diceva in precedenza, gli ambiti del giudizio di
cassazione sono ristretti al controllo del rispetto
dei canoni ermeneutici e al vaglio di eventuali vizi
della motivazione. Si diceva pure che nessuno dei
ricorsi in trattazione impugna la sentenza per
violazione dei canoni ermeneutici, né la polizza
risulta compiutamente trascritta nei motivi di
ricorso.
L’analisi della polizza
conduce il giudice ad accertare che: il pagamento
del premio avveniva in unica soluzione al momento
della stipula; la prestazione a carico della
compagnia era legata all’andamento di un fondo
interno, scelto dal contraente tra quelli
appositamente costituiti dalla stessa compagnia; il
premio destinato all’investimento era pari a quello
netto, decurtato del costo della copertura per il
caso di morte; il premio era destinato all’acquisto
delle quote del fondo; in caso di morte
dell’assicurato era garantito il pagamento di una
somma pari al controvalore delle quote del fondo
interno associato alla polizza, presenti sulla
polizza stessa al verificarsi dell’evento; in caso
di morte, la compagnia garantiva il pagamento di un
importo ottenuto moltiplicando il controvalore delle
quote presenti sulla polizza per determinati
coefficienti, correlati all’età dell’assicurato al
momento del decesso.
Così ricostruiti i
termini del contratto, il giudice ne ha dedotto che
esso non presentava alcuna assunzione di rischio da
parte dell’assicuratore (il costo della copertura
per il caso di morte era detratto dal premio netto;
al beneficiario non erano garantiti né un rendimento
minimo, né la restituzione del valore nominale del
capitale versato al verificarsi dell’evento morte) e
che piuttosto l’unico rischio era posto a carico
dell’assicurato come conseguenza della maggiore o
minore redditività del fondo le cui quote aveva
acquistato. Ha, dunque, concluso che quello in
questione era “un prodotto chiaramente del tipo unit
linked, per essere la prestazione a carico della
società di assicurazione collegata al valore del
fondo interno prescelto dal contraente e come tale
assimilabile a un fondo comune d’investimento, senza
alcuna garanzia di esito non negativo della gestione
e connotato da un livello di rischiosità dipendente
dal tipo di fondo scelto dal contraente fra quelli
appositamente costituiti dalla stessa compagnia di
assicurazione”.
La conseguenza è stata
l’applicazione della normativa all’epoca vigente per
un ordinario prodotto finanziario e, in particolare,
degli artt. 21 e 23 t.u.f. (obbligo per gli
operatori di acquisire dai clienti le informazioni
necessarie e di tenerli sempre adeguatamente
informati; inversione dell’onere della prova, nei
giudizi risarcitori, circa l’adozione della
specifica diligenza prevista), nonché degli artt. 28
e 29 reg. Consob n. 11522/1998 (obbligo di
profilatura dell’investitore circa la sua
esperienza, la sua situazione finanziaria, i suoi
obiettivi e la sua propensione al rischio; obbligo
per l’intermediario di astenersi dall’effettuare
operazioni non adeguate per tipologia, oggetto,
frequenza o dimensione).
L’esame della
fattispecie concreta ha condotto il giudice ad
accertare che la profilatura
dell’assicurato/investitore non era stata affatto
compiuta (con la correlata precisazione
dell’irrilevanza del fatto che il G. fosse persona
nota sia alla banca sia al promotore) e che, ad ogni
buon conto, la scelta era caduta su un prodotto a
elevata rischiosità (riservato, secondo il prospetto
dello stesso fondo di riferimento, a “un investitore
che vuole massimizzare le opportunità di crescita
del capitale nel tempo, accettando un grado elevato
di rischio per il raggiungimento degli obiettivi”).
Tutto questo nella considerazione finale che “se la
ragione per cui l’attore si era indotto
all’investimento era … di lasciare in morte alle
sole figlie le proprie disponibilità liquide,
escludendone la moglie, l’investimento non era
neppure soggettivamente adeguato poiché implicava
l’assunzione di un’elevata componente di rischio
tutt’altro che necessaria allo scopo”.
A corollario di questa
complessa argomentazione la sentenza impugnata fa
riferimento alla legislazione successiva al
contratto in questione al solo scopo di dimostrare
che l’assimilazione dei contratti del tipo unit
linked agli strumenti finanziari costituisce un
esito normativo ormai acquisito. E al riguardo fa
riferimento: alla l. n. 262/2005, la quale è
intervenuta sul t.u.f. abrogando la lett. f del
comma 1 dell’art. 100 (che escludeva i prodotti
assicurativi emessi da imprese di assicurazione
dall’ambito applicativo della disciplina sulla
sollecitazione all’investimento) e inserendo l’art.
25 bis (che al primo comma estende gli artt. 21 e 23
alla sottoscrizione e al collocamento di prodotti
finanziari emessi da banche e da imprese di
assicurazione); al d.lgs. n. 303/2006, il quale ha
inserito nel comma 1 dell’art. 1 t.u.f. la lett. w
bis, in base alla quale per prodotti finanziari
emessi da imprese di assicurazione si intendono le
polizze e le operazioni “le cui prestazioni
principali sono direttamente collegate al valore di
quote di organismi di investimento collettivo del
risparmio o di fondi interni ovvero a indici o altri
valori di riferimento”, riferendosi, dunque, proprio
alle polizze unit o index linked.
La considerazione
conclusiva è che queste sopravvenute disposizioni
normative nascono dalla ricognizione di dati
economici preesistenti e dall’osservazione della
funzione economico-giuridica da loro assolta, con la
conseguenza che i contratti in questione anche prima
non potevano essere considerati alla stregua di
normali prodotti assicurativi.
Alla maggior parte dei
rilievi mossi nei motivi di ricorso si è già fin qui
risposto, rilevando soprattutto che: le questioni
proposte sono eminentemente interpretative, ma le
parti non propongono censure sotto il profilo della
violazione dell’ermeneutica contrattuale; la polizza
non risulta compiutamente trascritta e, dunque,
anche sotto il profilo del vizio della motivazione
non è possibile delibare quelle censure che
imprescindibilmente richiedono l’esame dell’atto;
sotto il profilo della violazione di legge, s’è dato
atto che il giudice ha puntualmente e correttamente
configurato il quadro normativo che regge la vicenda
e ogni riferimento a disposizioni successive alla
data di stipula della polizza ha il mero scopo, per
un verso, di individuare la corretta definizione
della polizza unit linked e, per altro verso, di
corroborare approcci interpretativi che potevano
essere tratti già prima dell’entrata in vigore delle
novità legislative e regolamentari.
Quanto al “rischio
demografico” (che, secondo le parti, non sarebbe
stato adeguatamente valutato dal giudice) la mancata
trascrizione della polizza impedisce alla Corte di
cogliere il senso stesso della censura, al di là
degli accenni (peraltro generici) contenuti nei
motivi che ne trattano.
Quanto alla questione
della “profilatura” s’è già dato conto della congrua
e logica motivazione fornita in proposito e sul
punto il controricorso del G. (non smentito dalle
controparti) cita: un brano della nota informativa
della Fideuram Grandi Patrimoni nella quale alla
voce “Fondo interno” si legge che “è un patrimonio
indiviso di strumenti finanziari, gestito
professionalmente dalla società, nel quale
confluiscono i premi destinati all’investimento”; il
prospetto riassuntivo consegnato dal promotore
all’assicurato, nel quale alcuni dei prodotti sono
contrassegnati da un asterisco che rimanda alla nota
dove si legge: “elencato come prodotto assicurativo,
ma equiparabile a gestione patrimoniale” (cfr. p. 31
del controricorso).
La distinzione,
introdotta dalla Banca Fideuram, tra prodotti
finanziari e strumenti finanziari non solo è poco
comprensibile, per quanto non assume rilievo
rispetto al tenore della decisione impugnata.
Quanto al fatto che il
G. fosse persona nota agli operatori finanziari, la
sentenza spiega compiutamente le ragioni per le
quali la circostanza è irrilevante ai fini della
omessa “profilatura” e soprattutto perché il
comunicato motivo di un simile investimento
(lasciare tutto il patrimonio alla sua morte alle
figlie, escludendone la moglie) imponeva agli
operatori di segnalarne l’inadeguatezza in ragione
dell’alta rischiosità.
Circa la quantificazione
del danno, basti dire che i ricorrenti solo
genericamente affermano che l’anticipato riscatto
potrebbe essere stato di per sé causa del danno (o
di un maggior danno) e che il giudice avrebbe dovuto
indagare sul punto, senza neppure indicare quale sia
stato l’andamento del fondo (al quale era collegata
la polizza) in epoca successiva al riscatto stesso.
Circostanza, questa, che rende inutile invocare il
concorso di colpa del danneggiato.
Quanto al V., la sua
responsabilità è stata desunta, quale promotore
finanziario, in solido con l’intermediario e
l’impresa emittente.
In conclusione i ricorsi
della Banca Fideuram, dell’Eurizonvita e del V.
vanno respinti in ragione del seguente principio di
diritto:
in tema di contratto di
assicurazione sulla vita stipulato prima
dell’entrata in vigore della l. n. 262/2005 e del
d.lgs. n. 303/2006, nel caso in cui sia stabilito
che le somme corrisposte dall’assicurato a titolo di
premi vengano versate in fondi di investimento
interni o esterni all’assicuratore e che alla
scadenza del contratto o al verificarsi dell’evento
in esso dedotto l’assicuratore sarà tenuto a
corrispondere all’assicurato una somma pari al
valore delle quote del fondo mobiliare al momento
stesso (polizze denominate unit linked), il giudice
del merito, al fine di stabilire se l’impresa
emittente, l’intermediario e il promotore abbiano
violato le regole di leale comportamento previste
dalla specifica normativa e dall’art. 1337 c.c.,
deve interpretare il contratto al fine di stabilire
se esso, al di là del nomen iuris attribuitogli, sia
da identificare effettivamente come polizza
assicurativa sulla vita (in cui il rischio avente a
oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è
assunto dall’assicuratore), oppure si concreti
nell’investimento in uno strumento finanziario (in
cui il rischio c.d. di performance sia per intero
addossato sull’assicurato). Tale giudizio, in quanto
rispettoso delle regole di ermeneutica contrattuale
ed espresso con motivazione congrua e logica, non è
sottoposto a censura in sede di legittimità.
… Omissis …
---------------------------------------------------------------------------
Note
[1]
App. Torino, 16 novembre 2009, in Foro pad.,
2011, I, 45 ss., con nota di Ghigliotti.
[2]
La definizione di polizze linked è
rinvenibile nel passaggio del codice delle
assicurazioni in cui si opera la
classificazione per rami (art. 2 c. ass.):
la classificazione per ramo comprende anche
le assicurazioni le cui principali
prestazioni sono direttamente collegate al
valore di quote di organismi di investimento
collettivo del risparmio o di fondi interni
ovvero a indici o ad altri valori di
riferimento. Fra i contributi che si
occupano di polizze linked cfr. Bet, Le
linked life policies, in Società, 2012, 318
ss.; Gobio Casali, La pignorabilità delle
somme dovute in relazione a polizze vita di
natura prevalentemente finanziaria, in Giur.
it., 2011, 1561 s.; A. Greco, Violazione del
principio di buona fede e tutela dei
sottoscrittori di polizze vita index linked,
in Obbl. contr., 2010, 584 ss.; Guadagno, La
natura delle polizze unit linked e la
disciplina applicabile, in Nuova giur. civ.
comm., 2011, II, 155 ss.; Landini, Art. 1923
cod. civ. e polizze index e unit linked, in
Riv. giur. sarda, 2011, I, 394 ss.;
Palmentola, Sulla pignorabilità delle
polizze index linked, in Nuova giur. civ.
comm., 2011, I, 190 ss.; Schettino,
Impignorabilità delle polizze index linked:
la funzione previdenziale delle polizze di
assicurazione sulla vita, in Dir. econ. ass.,
2011, 712 ss.; Sangiovanni, Le polizze
linked come prodotti finanziari e la forma
scritta del contratto, in Contratti, 2012,
357 ss.; Tarantino, Caveat emptor: polizze
index linked e garanzia di restituzione del
capitale alla scadenza, in Banca borsa tit.
cred., 2011, II, 617 ss.
[3]
Sulla vicenda Lehman Brothers v. Bencini, Il
caso Lehman Brothers: cause di default e
prospettive di tutela, in Foro tosc., 2009,
129 ss.; Fantetti, Titoli Lehman Brothers e
responsabilità della banca, in Resp. civ.,
2010, 273 ss.; Gobio Casali, Polizze linked
e caso Lehman Brothers: tramonto della
funzione previdenziale dell’assicurazione
sulla vita?, in Giur. it., 2010, 2349 ss.;
Parrella, La ripartizione del rischio
finanziario nelle polizze index linked: un
caso Lehman Brothers, in Società, 2010, 459
ss.; Procopio, Il cosiddetto crack Lehman
Brothers: i profili tributari delle
indennità riconosciute agli assicurati, in
Dir. econ. ass., 2011, 481 ss.; N. Salanitro,
Prodotti finanziari assicurativi collegati
ad obbligazioni Lehman Brothers, in Banca
borsa tit. cred., 2009, I, 491 ss.;
Sangiovanni, Inadempimento contrattuale e
responsabilità nel caso Lehman Brothers, in
Corr. mer., 2010, 721 ss.
[4]
Sul contratto d’intermediazione finanziaria
cfr. il volume di Restuccia, Profili del
contratto di gestione patrimoniale
individuale, Milano, 2009. V. inoltre
Achille, Contratto d’intermediazione
finanziaria e violazione degli obblighi
d’informazione: tra nullità del contratto e
responsabilità dell’intermediario, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2008, 1451 ss.;
Guerinoni, Le controversie in tema di
contratti di investimento: forma,
informazione, ripensamento e operatore
qualificato, in Corr. giur., 2011, 35 ss.;
La Rocca, Il contratto di intermediazione
mobiliare tra teoria economica e categorie
civilistiche, in Riv. crit. dir. priv.,
2009, 107 ss.; Michieli, Principi generali
del contratto di attività di intermediazione
finanziaria: limiti alla risarcibilità del
danno non prevedibile, in Giur. comm., 2009,
II, 416 ss.; Sangiovanni, Il contratto
d’intermediazione finanziaria, in Obbl.
contr., 2011, 770 ss.
[5]
Ulteriore conseguenza della riqualificazione
del contratto è l’inapplicabilità dell’art.
1923 c.c. sul divieto di azione esecutiva o
cautelare. Diverse sentenze hanno affermato
l’inapplicabilità dell’art. 1923 c.c. alle
polizze linked. Cfr., ad esempio, Trib.
Cagliari, 2 novembre 2010, in Riv. giur.
sarda, 2011, I, 387 ss., con nota di Landini,
il quale ha affermato che i contratti
stipulati con imprese assicurative, qualora
privi del rischio demografico, non possono
essere qualificati come contratti
assicurativi puri, con la conseguenza di
essere acquisibili al fallimento. V. inoltre
Trib. Parma, 10 agosto 2010, in
Assicurazioni, 2010, 781 ss., con nota di de
Francesco; in Giur. it., 2011, 1560 s., con
nota di Gobio Casali; in Nuova giur. civ.
comm., 2011, I, 189 s., con nota di
Palmentola; in Società, 2011, 55 ss., con
nota di Guffanti; secondo cui il divieto di
azione esecutiva e cautelare previsto
dall’art. 1923 c.c. non si applica alle
polizze sulla vita index linked e unit
linked qualora si accerti che queste non
assolvono a una funzione previdenziale,
tipica delle assicurazioni sulla vita, bensì
costituiscono veri e propri investimenti
finanziari.
[6]
Su diversi profili della legge di riforma
del risparmio cfr. Antonucci, Le incertezze
dell’investitore e i passi spezzati della
legge risparmio, in Nuova giur. civ. comm.,
2006, II, 463 ss.; Capriglione, Crisi di
sistema ed innovazione normativa: prime
riflessioni sulla nuova legge sul risparmio
(l. n. 262 del 2005), in Banca borsa tit.
cred., 2006, I, 125 ss.; Guerri, Le
modifiche alle competenze in materia
antitrust introdotte con la legge di riforma
della tutela del risparmio e la disciplina
dei mercati finanziari, in Dir. econ., 2006,
279 ss.; Perini, Prime osservazioni sui
profili penali della nuova legge sul
risparmio, in Giur. it., 2006, 875 ss.;
Schlesinger, Il progetto di riforma del
risparmio e le rivincite della politica, in
Corr. giur., 2004, 705 ss.
[7]
Sulle ragioni che hanno portato alla
creazione di strumenti contrattuali quali le
polizze linked cfr. Tarantino, op. cit., 623
s. Si tratta di costruzioni del mondo
giuridico anglosassone (come rivela del
resto l’uso dell’espressione inglese),
successivamente diffusesi anche in Italia.
[8]
Per un’approfondita analisi della struttura
finanziaria delle polizze linked cfr. Piras,
Polizze “index linked” collegate ad
obbligazioni Lehman Brothers, in Banca borsa
tit. cred., 2012, II, 76 ss.
[9]
Ad esempio Trib. Milano, 21 dicembre 2009,
in Banca borsa tit. cred., 2011, II, 603
ss., con nota di Tarantino, ha affermato che
i contratti con contenuto meramente
finanziario e speculativo sono in contrasto
con la causa giuridica del contratto di
assicurazione vita che è incompatibile con
l’esposizione a un puro rischio finanziario
del capitale investito. V. anche Giud. pace
Palermo, 25 gennaio 2012, in Contratti,
2012, 357 ss., con nota di Sangiovanni,
secondo cui quando le future prestazioni
dell’impresa assicurativa sono direttamente
collegate al valore di certi strumenti
finanziari e non vi è la garanzia di
restituzione del capitale originariamente
investito, le polizze linked rivestono la
natura di prodotto finanziario, dovendosi
osservare le prescrizioni del t.u.f.
[10] Trib. Napoli, sez. dist. Portici,
13 giugno 2011, in Assicurazioni, 2011, 751
ss., con nota di Riva.
[11] Trib. Milano, 12 febbraio 2010, in
in Banca borsa tit. cred., 2012, II, 63 ss.,
con nota di Piras; in Foro it., 2010, 1626
ss., con nota di Bechi e Palmieri.
[12] Secondo Trib. Ferrara, 27 giugno
2011, in Assicurazioni, 2011, 761 ss., con
nota di Riva, la distribuzione di polizze
linked da parte di un istituto bancario per
conto di un’impresa di assicurazione è
soggetta alla disciplina
dell’intermediazione mobiliare e, in
particolare, all’art. 23 t.u.f., con la
conseguenza che la mancanza di forma scritta
del contratto quadro determina la nullità
del rapporto negoziale e l’obbligo
dell’impresa assicuratrice di restituire al
cliente la somma versata.
[13] In materia di nullità per difetto
di forma, la disposizione di riferimento è
l’art. 1418 comma 2 c.c., il quale prevede
che produce nullità del contratto la
mancanza di uno dei requisiti indicati
dall’art. 1325 c.c. Fra i requisiti
prescritti da quest’ultima disposizione vi è
la forma “quando risulta che è prescritta
dalla legge sotto pena di nullità”. Nel caso
dei contratti d’intermediazione finanziaria
la forma scritta è prescritta a pena di
nullità: l’art. 23 comma 1 t.u.f. prevede
difatti che i contratti relativi alla
prestazione dei servizi d’investimento sono
redatti per iscritto e che nei casi
d’inosservanza della forma prescritta il
contratto è nullo.
[14] In materia di forma dei contratti
nel diritto dell’intermediazione finanziaria
v. Baratella, La forma scritta e i c.d.
contratti di intermediazione finanziaria
nella ricostruzione giurisprudenziale, in
Resp. civ., 2010, 688 ss.; Barenghi,
Disciplina dell’intermediazione finanziaria
e nullità degli ordini di acquisto (in
mancanza del contratto-quadro): una ratio
decidendi e troppi obiter dicta, in Giur.
mer., 2007, 59 ss.; D’Auria, Forma “ad
substantiam” e uso selettivo della nullità
nei contratti di investimento, in Corr.
mer., 2011, 703 ss.; Della Vecchia, Forma
dei contratti e obblighi informativi nella
prestazione dei servizi di investimento, in
Società, 2011, 682 ss.; Della Vedova, Sulla
forma degli ordini di borsa, in Riv. dir.
civ., 2010, II, 161 ss.; Maragno, La nullità
del contratto di intermediazione di valori
mobiliari per difetto di sottoscrizione
dell’intermediario, in Nuova giur. civ.
comm., 2010, I, 932 ss.; Nocco, Ordine di
negoziazione di titoli “Parmalat” ed
inosservanza della forma scritta, in Danno
resp., 2011, 865 ss.; Sangiovanni, Mancata
sottoscrizione e forma del contratto di
intermediazione finanziaria, in Corr. mer.,
2011, 140 ss.
[15] Sul requisito di forma scritta del
contratto di assicurazione cfr., da ultimo,
Bracciodieta, Commento all’art. 1888, in Il
contratto di assicurazione. Disposizioni
generali, Milano, 2012, 81 ss.
[16] In questo senso ad esempio Cass. 11
gennaio 2005, n. 367; Cass., 3 aprile 2000,
n. 4005; Cass., 18 febbraio 2000, n. 1875.
[17] In materia di norme di
comportamento degli intermediari finanziari
(e soprattutto di conseguenze della loro
inosservanza), la dottrina è molto ampia.
Fra i volumi apparsi sul tema cfr. in
particolare Bersani, La responsabilità degli
intermediari finanziari, Torino, 2008;
Guerinoni, Contratti di investimento e
responsabilità degli intermediari
finanziari, Milano, 2010; Iudica, La
responsabilità degli intermediari
finanziari, Milano, 2011; Lobuono, La
responsabilità degli intermediari
finanziari, Napoli, 1999. V. altresì, fra i
tanti contributi pubblicati, Calisai, La
violazione degli obblighi di comportamento
degli intermediari finanziari. Il contratto
di intermediazione davanti ai giudici, fino
alla tanta attesa (o forse no) pronuncia
delle Sezioni Unite della Corte di
cassazione, in Riv. dir. comm., 2008, II,
155 ss.; Carbone, La responsabilità degli
intermediari, in Danno resp., 2002, 103 ss.;
di Majo, Prodotti finanziari e tutela del
risparmiatore, in Corr. giur., 2005, 1282
ss.; Gentili, Inadempimento
dell’intermediario e vizi genetici dei
contratti di investimento, in Riv. dir.
priv., 2009, 23 ss.; Guadagno, Violazione
degli obblighi di condotta da parte
dell’intermediario finanziario: lo stato
dell’arte dopo le Sezioni Unite, in Nuova
giur. civ. comm., 2010, II, 293 ss.; Houben,
Gestione di portafogli di investimento e
dovere di diversificazione: violazioni degli
obblighi comportamentali degli intermediari
e onere probatorio, in Banca borsa tit. cred.,
2010, II, 165 ss.; Lucchini Guastalla, In
tema di responsabilità degli intermediari
finanziari, in Resp. civ. prev., 2011, 741
ss.; Mariconda, L’insegnamento delle Sezioni
Unite sulla rilevanza della distinzione tra
norme di comportamento e norme di validità,
in Corr. giur., 2008, 230 ss.; Montani,
L’investitore in cerca di tutela: in bilico
tra nullità e risoluzione contrattuale, in
Danno resp., 2011, 1053 ss.; Nappi, Le
sezioni unite su regole di validità, regole
di comportamento e doveri informativi, in
Giust. civ., 2008, I, 1189 ss.; Renzulli, La
rilevanza della negligenza dell’investitore
tra effettività della tutela e violazione
delle regole di condotta, in Banca borsa
tit. cred., 2011, II, 401 ss.; U. Salanitro,
Violazione della disciplina
dell’intermediazione finanziaria e
conseguenze civilistiche: ratio decidendi e
obiter dicta delle sezioni unite, in Nuova
giur. civ. comm., 2008, I, 445 ss.
[18] In tema di doveri informativi degli
intermediari finanziari cfr. la recente
monografia di F. Greco, Informazione
pre-contrattuale e rimedi nella disciplina
dell’intermediazione finanziaria, Milano,
2010. V. inoltre Alpa, Gli obblighi
informativi precontrattuali nei contratti di
investimento finanziario. Per
l’armonizzazione dei modelli regolatori e
per l’uniformazione delle regole di diritto
comune, in Econ. dir. terz., 2009, 395 ss.;
Bertolini, Problemi di forma e sanzioni di
nullità nella disciplina a tutela
dell’investitore. Perequazione informativa o
opportunismo rimediale?, in Resp. civ. prev.,
2010, 2333; Bruno, L’esperienza
dell’investitore e l’informazione “adeguata”
e “necessaria”, in Giur. comm., 2008, II,
391 ss.; Frumento, Le informazioni fornite
ai clienti, in La Mifid in Italia, a cura di
Zitiello, Torino, 2009, 279 ss.; Gobio
Casali, Prodotti assicurativi finanziari:
disciplina normativa, qualificazione
giuridica e tutela informativa del
risparmiatore, in Giust. civ., 2010, II, 301
ss.; F. Greco, Intermediazione finanziaria e
regole d’informazione: la disomogeneità del
quadro rimediale e la “tranquillità” della
tradizione, in Resp. civ. prev., 2010, 2561
ss.; Maragno, L’orientamento del Tribunale
di Venezia in tema di sanzioni degli
inadempimenti ai doveri informativi a carico
degli intermediari finanziari, in Nuova giur.
civ. comm., 2008, I, 1280 ss.; Musco
Carbonaro e Pantaleo, Impatto della Mifid
sul contenzioso tra banche e clienti - Gli
obblighi informativi, in La Mifid, cit., 917
ss.; Natoli, Le informazioni dei
risparmiatori nella formazione del contratto
“di risparmio”, in Contratti, 2010, 67 ss.;
Purpura, Strumenti finanziari e dovere di
informazione degli intermediari: un
“moderno” approccio giurisprudenziale a
confronto con la normativa post Mifid, in
Banca borsa tit. cred., 2010, I, 609 ss.; F.
Romeo, Informazione e intermediazione
finanziaria, in Nuove leggi civ. comm.,
2010, 647 ss.; Sangiovanni, Omessa
informazione sulla rischiosità
dell’investimento e risoluzione del
contratto, in Corr. mer., 2009, 973 ss.;
Sartori, Violazione delle regole informative
e modelli di responsabilità, in L’attuazione
della Mifid in Italia, a cura di D’Apice,
Bologna, 2010, 615 ss.
[19] Trib. Trani, 11 marzo 2008, in
Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 130 ss.,
con nota di Fabiano.
[20] Sulla regola di adeguatezza degli
investimenti finanziari cfr. Antonucci,
Declinazioni della suitability rule e
prospettive di mercato, in Banca borsa tit.
cred., 2010, I, 728 ss.; Fiorio, Onere della
prova, nesso di causalità ed operazioni non
adeguate, in Giur. it., 2010, 343 ss.; F.
Greco, Intermediazione finanziaria: rimedi e
adeguatezza in concreto, in Resp. civ. prev.,
2008, 2556 ss.; Guadagno, Inadeguatezza e
nullità virtuale, in Nuova giur. civ. comm.,
2010, I, 460 ss.; Malerba e Bentoglio,
Impatto della Mifid sul contenzioso tra
banche e clienti - I profili di adeguatezza
e appropriatezza, in La Mifid, cit., 939
ss.; Sangiovanni, L’adeguatezza degli
investimenti prima e dopo la Mifid, in Corr.
giur., 2010, 1385 ss.; Santocchi, Le
valutazioni di adeguatezza e di
appropriatezza nei rapporti contrattuali fra
intermediario e cliente, in I contratti del
mercato finanziario, a cura di Gabrielli e
Lener, 1° vol., Torino, 2011, 281 ss.;
Sartori, Le regole di adeguatezza e i
contratti di borsa: tecniche normative,
tutele e prospettive Mifid, in Riv. dir.
priv., 2008, 25 ss.; Spreafico e Pennati,
L’adeguatezza e l’appropriatezza, in La
Mifid, cit., 327 ss.
[21] Cui bisogna aggiungere la
disciplina della mera esecuzione o ricezioni
di ordini (artt. 43-44 reg. n. 16190/2007).
[22] La materia era disciplinata nei
previgenti artt. 28 e 29 reg. n. 11522/1998,
richiamati dalla Corte di cassazione nella
sentenza. Si prevedeva che gli intermediari
autorizzati si astengono dall’effettuare con
o per conto degli investitori operazioni non
adeguate per tipologia, oggetto, frequenza e
dimensione (art. 29 comma 1 reg. n.
11522/1998). A questo fine gli intermediari
autorizzati tengono conto delle informazioni
di cui all’art. 28 e di ogni altra
informazione disponibile in relazione ai
servizi prestati (art. 29 comma 2 reg. n.
11522/1998). L’art. 28 reg. n. 11522/1998
regolava lo scambio d’informazioni fra
intermediari e investitori.
[23] In materia di conflitto d’interessi
nella prestazione dei servizi d’investimento
cfr. Callegaro, Validità del contratto,
conflitti di interesse e responsabilità
nell’intermediazione finanziaria, in
Contratti, 2010, 605 ss.; Inzitari,
Violazione del divieto di agire in conflitto
d’interessi nella negoziazione di strumenti
finanziari, in Corr. giur., 2009, 976 ss.;
Lener, Conflitti di interesse fra
intermediario e cliente, in I contratti,
cit., 313 ss.; Mariani e Zanin, Impatto
della Mifid sul contenzioso tra banche e
clienti - Il conflitto di interessi, in La
Mifid, cit., 957 ss.; Mocci, Il conflitto di
interessi: mappatura dei conflitti,
costruzione della conflict policy, registro
dei conflitti di interessi, in La Mifid,
cit., 170 ss.; C. Romeo, Il conflitto di
interessi nei contratti di intermediazione,
in Contratti, 2009, 441 ss.
[24] In questo contesto si può collocare
anche il dibattito sul c.d. “terzo
contratto”. Con questa espressione ci si
riferisce a quei contratti, in cui – pur non
confrontandosi formalmente un professionista
e un consumatore – il rapporto di forze è
sbilanciato in favore di una delle parti, la
quale riesce a imporre le proprie condizioni
contrattuali senza che l’altra goda di una
particolare tutela. In tema di terzo
contratto cfr. AA.VV., Il terzo contratto.
L’abuso di potere contrattuale nei rapporti
fra imprese, a cura di Gitti e Villa,
Bologna, 2008; Rosario, Il terzo contratto:
da ipotesi di studio a formula problematica.
Profili ermeneutici e prospettive
assiologiche, Padova, 2010.
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Esempio: CASTIGLIONI M., La securitization in
Italia, in Magistra Banca e Finanza - Tidona.com
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