15
settembre 2017
La
Cassazione, con la sentenza in commento, ha espresso
il seguente principio di diritto:
“Qualora
l'avvenuta stipulazione fra le parti del contratto
di apertura di credito non sia in contestazione, la
natura ripristinatoria delle rimesse è presunta:
spetta dunque alla banca che eccepisce la
prescrizione di allegare e di provare quali sono le
rimesse che hanno invece avuto natura solutoria; con
la conseguenza che, a fronte della formulazione
generica dell'eccezione, indistintamente riferita a
tutti i versamenti intervenuti sul conto in data
anteriore al decennio decorrente a ritroso dalla
data di proposizione della domanda, il giudice non
può supplire all'omesso assolvimento di tali oneri,
individuando d'ufficio i versamenti solutori”.
Il
principio espresso dalla Cassazione con la sentenza
in commento segue quello già reso dalla Corte, a
Sezioni Unite, con la sentenza n. 24418 del 2
dicembre 2010.
Le S.U.,
con la sentenza la n. 24418/2010, avevano distinto
le rimesse ripristinatorie dalle rimesse solutorie
nei rapporti bancari, in ordine alla decorrenza
della prescrizione del diritto del cliente alla
ripetizione degli importi indebitamente versati alla
banca.
Le S.U.
avevano in particolare ritenuto che la prescrizione
decennale dell'azione di ripetizione da parte del
cliente delle somme addebitate nei rapporti bancari
inizia a decorrere dalla chiusura del rapporto per
le rimesse ripristinatorie (eseguite cioè in
presenza di un affidamento concesso e nei limiti
dello stesso, quale ripristino della disponibilità
ottenuta con il fido), ed invece da ogni singolo
addebito per le rimesse solutorie (eseguite cioè in
assenza di affidamento o oltre l’affidamento
concesso, in cui la rimessa ha l'effetto di
estinguere il debito del cliente verso la banca).
Nel primo
caso (rimesse ripristinatorie), la prescrizione
inizia a decorrere dalla formale chiusura del
rapporto.
Nel
secondo caso (rimesse solutorie), la prescrizione
decorre anche durante il rapporto, dalla data di
ogni singolo addebito per cui è domandata alla
banca, dal correntista, la restituzione di somme
precedentemente versate.
Ne
consegue che, nel primo caso, ogni addebito non
dovuto è richiedibile alla banca, dal correntista,
senza alcun limite temporale.
Nel
secondo caso, invece, il correntista può domandare
la restituzione soltanto degli addebiti
contabilizzati nell'ultimo decennio anteriore alla
messa in mora o alla citazione in giudizio della
banca.
La
Cassazione, con la sentenza n. 20933 del 7 settembre
2017, ha richiamato nel proprio decisum la
citata sentenza a sezioni unite (n. 24418/010)
confermando che qualora l'avvenuta stipulazione fra
le parti del contratto di apertura di credito non
sia in contestazione, la natura ripristinatoria
delle rimesse si debba ritenere presunta.
Spetta di
conseguenza alla banca che eccepisce la prescrizione
della domanda di ripetizione portata dal correntista
di allegare e provare quali siano le specifiche
rimesse che abbiano avuto invece natura solutoria.
Per la
Cassazione, nella sentenza qui in commento, a fronte
di una formulazione generica dell'eccezione di
prescrizione da parte della banca, ove sia
indistintamente riferita a tutti i versamenti
intervenuti sul conto in data anteriore al decennio
decorrente a ritroso dalla data di proposizione
della domanda, il giudice non può supplire
all'omesso assolvimento di tali oneri da parte della
banca, individuando d'ufficio i versamenti solutori,
ma deve rigettare l’eccezione di prescrizione
portata dalla banca, in quanto non specificamente
individuata per ogni singola rimessa solutoria.
La
Cassazione, a supporto di tale conclusione, ha
richiamato il principio stabilito in precedenza
nella sentenza n. 4418 del 26 febbraio 2014.
Con la
sentenza n. 4518/2014, la Corte aveva difatti già
ritenuto che la natura ripristinatoria dei
versamenti eseguiti in costanza di rapporto fosse da
ritenersi presunta, in mancanza di una specifica
allegazione e prova da parte della banca, e questo
in quanto il rapporto di conto corrente è un
contratto di durata e non si esaurisce in un’unica
operazione.
Una
diversa finalità dei versamenti - in particolare la
natura solutoria dei medesimi - doveva essere, per
la Corte - già nella sentenza n. 4418/2014, e con
principio adesso ripetuto nella sentenza in commento
n. 20933/2017 - allegata e provata dalla banca che
eccepisce la prescrizione in proprio favore.
La
Cassazione, con la sentenza n. 4518/2014, aveva per
tutto ciò espresso il seguente principio di diritto:
“I
versamenti eseguiti sul conto corrente in costanza
di rapporto hanno normalmente funzione
ripristinatoria della provvista e non determinano
uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens
e, poiché tale funzione corrisponde allo schema
causale tipico del contratto, una diversa
finalizzazione dei singoli versamenti, o di alcuni
di essi, deve essere in concreto provata da parte di
chi intende far percorrere la prescrizione dalle
singole annotazioni delle poste illegittimamente
addebitate. Nella specie non è stata mai né dedotta
né allegata tale diversa destinazione dei versamenti
in deroga all’ordinaria utilizzazione dello
strumento contrattuale”.
Anche la
giurisprudenza di merito, prima dell'intervento
della Cassazione con le sentenze citate, si era
pronunciata in relazione all’onere probatorio della
parte processuale che invoca la prescrizione
applicabile alle rimesse solutorie, pur senza
affermare che si dovessero presumere ripristinatorie
tutte le rimesse eseguite in costanza di rapporto.
In
particolare la Corte d’Appello di Milano (sez. I,
sentenza del 20/02/2013, Pres. Vigorelli, Est. C.R.
Raineri), applicando correttamente il principio
espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza
n. 24418/2010, ha ritenuto che la banca ha obbligo
di eccepire l'intervenuta prescrizione delle rimesse
solutorie per decorso di dieci anni dai singoli
addebiti, individuando esattamente a quale rimesse
si riferisca l'eccezione:
“La
difesa appellante si è limitata, genericamente, ad
eccepire la prescrizione decennale in tema di
indebito e l’efficacia interruttiva della lettera 21
novembre 2000, ma non ha indicato se ed in quale
misura alcuni pagamenti potessero rivestire
carattere solutorio, ai fini dell’accertamento della
eventuale intervenuta prescrizione, secondo i
principi dettati dalle Sez. Un. della Suprema Corte
nella sentenza. n. 24418/2010. In virtù del
principio generale che regola l’onere della prova
(art. 2697 c.c.), la banca era tenuta ad eccepire
l’intervenuta prescrizione, non in forma generica,
bensì specificamente, precisando il momento iniziale
dell’inerzia del correntista in relazione a ciascun
versamento extrafido con funzione solutoria. In
difetto di tali allegazioni, e stante l’effetto
devolutivo dell’appello, tale accertamento non può
più essere compiuto”.
Secondo
tali principi, l’eccezione della banca di
prescrizione della domanda del correntista deve
essere pertanto precisa, con l’indicazione dei
versamenti che abbiano avuto una funzione solutoria
(eseguiti in assenza di affidamento o oltre
l’affidamento concesso).
in
mancanza di una specifica individuazione delle
rimesse solutorie (prescritte) l'eccezione della
banca non è invece accoglibile e rimane senza
effetto relativamente all'azione di ripetizione del
cliente, che potrà essere in tal caso estesa a tutti
gli addebiti contabilizzati nell'intera durata del
rapporto bancario (quelli per cui siano prodotti gli
estratti conto, che consentano il ricalcolo del
saldo).
Il
principio in forza del quale grava sul soggetto che
invoca la prescrizione l’onere di dimostrare la
natura solutoria delle rimesse ha trovato
applicazione anche nella giurisprudenza di merito
(ex multis: Tribunale di Pescara, sent. del
24/6/2013; Tribunale di Prato, sent. dell’1/3/2013;
Corte d’Appello di Lecce, sent. del 19/2/2013;
Tribunale di Novara, sent. dell’1/10/2012; Tribunale
di Taranto, sent. del 28/6/2012; Tribunale di
Taranto, sent. del 27/6/2012).
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