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A fronte dell’ormai vasto dibattito esistente sui rapporti fra fondi comuni di investimento[1] non costituiti in forma societaria e società di gestione del risparmio[2], questo elaborato si limiterà a fornire un quadro di alcune delle molte tematiche che – a parere di chi scrive – più sembrano di immediato rilievo pratico per l’operatore, quali, oltre ai “classici” quesiti 1) sulle modalità per realizzare le forme pubblicitarie per il trasferimento di beni immobili, e 2) sulla legittimazione processuale attiva e passiva per le cause in cui il fondo è interessato, ci si soffermerà anche su altri aspetti, quale 3) la legittimazione attiva con riguardo alla azione di responsabilità della società di gestione, dei suoi amministratori e fund managers.
Il filo conduttore, per come affermato dalla giurisprudenza di Cassazione, sembra doversi ritrovare nel predicare l’assenza di soggettività giuridica in capo al fondo e una titolarità formale dei beni in capo alla società di gestione. In realtà, l’importanza di tale ricostruzione è probabilmente sopravvalutata, e portatrice di incertezze applicative. Dopo aver dato alcune indicazioni sugli estremi di tale dibattito, si esamineranno i principali provvedimenti di legittimità e di merito con riguardo agli aspetti richiamati.
1. Cenni introduttivi
Attualmente, l’art. 36, co. 4, d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, come da ultimo modificato dall’art. 4, co. 6, d. lgs. 4 marzo 2014, n. 44, prevede che: «Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell’interesse degli stessi […]» (enfasi aggiunte)[3].
La sentenza della Cass., Sez. I, 15 luglio 2010, n.16605, est. Rordorf, la prima di legittimità sul tema e costantemente ripresa fino ad oggi[4], pronunciatasi secondo l’allora vigente legge fallimentare (art. 107 l.fall., art. 586 c.p.c.), ha affermato la validità del decreto di trasferimento a seguito di vendita all’incanto emesso a favore della società di gestione, che aveva operato per conto di un fondo gestito. Andando al di là della specifica questione, la Corte, ritenendo dover dare una indicazione “di sistema”, ha negato che possa predicarsi la soggettività giuridica del fondo. Inoltre, ha affermato che proprietario formale dei beni trasferiti nel fondo è il gestore, mentre i partecipanti sarebbero proprietari sostanziali.
A favore di tale tesi si è invocato che: (1) il fondo non esercita un potere di autodeterminazione mediante una «struttura organizzativa minima, di rilevanza anche esterna», essendo assente un organo con pieni poteri deliberativi (essendo insufficiente il potere di sostituzione del gestore della delibera dei partecipanti ai fondi chiusi diversi dai FIA riservati di cui all’art. 37, co. 3, TUF); inoltre, ulteriori argomenti si ricaverebbero (2) dallo sfavor dell’ordinamento per patrimoni adespoti, nonché (3) dalla responsabilità del gestore secondo l’art. 36 (oggi co. 4) TUF, nella parte in cui chiama il gestore a rispondere del proprio operato direttamente nei confronti dei partecipanti al fondo, e non nei confronti del fondo medesimo. Ritenendo la SGR intestataria degli assets dei fondi, è stato notato[5], si giungerebbe a dover tenere conto, ai fini del rispetto per la SGR del divieto di interlocking, degli attivi, e ai fini degli obblighi di OPA, dei prodotti finanziari (art. 1, co. 1, lett. u) TUF) riferibili ai fondi gestiti.
Oltre alle incertezze insite nella nozione (se utile) di proprietà formale e sostanziale, peraltro, la pronuncia sembra fraintendere il funzionamento economico di base del fondo, nella parte in cui invoca una responsabilità sussidiaria della società di gestione nei confronti dei creditori del fondo per obbligazioni contratte nell’interesse di questo[6].
Rimettendo ai paragrafi successivi le conseguenze in tema di pubblicità immobiliare e di legittimazione processuale che la S.C. ricava da tale tesi, il Tribunale di Milano, Sez. Spec. Impresa, con un provvedimento del 2016[7] si è opposta a tale indirizzo, ritenendolo non più compatibile con lo ius superveniens[8]. Tali innovazioni, secondo il giudice milanese, «univocamente si pongono nel senso di riconoscere autonomia patrimoniale – dunque capacità di essere titolare di diritti sostanziali e processuali – ai fondi comuni di investimento».
Nel caso di specie, lo statuto della società partecipata dal fondo accordava una prelazione ai soci. Tuttavia, la sostituzione del gestore deliberata dall’assemblea dei partecipanti al fondo, ex art. 37, co. 3, TUF, non aveva determinato un trasferimento della proprietà delle azioni, per cui il diritto di prelazione non poteva essere esercitato dagli altri soci, in quanto le azioni erano rimaste imputabili, nonostante la sostituzione del gestore, alla distinta “autonomia patrimoniale” del fondo partecipante. Tuttavia, al di fuori di questo risvolto applicativo, non constano altre pronunce che si siano sostanzialmente distaccate dall’orientamento della S.C. del 2010.
2. Le forme pubblicitarie
La pronuncia del 2010 della S.C. ha comportato conseguenze decisive per la realizzazione delle modalità di pubblicità nella trascrizione di atti traslativi di beni immobili nell’interesse del fondo. Per quanto riguarda gli strumenti finanziari, invece, nulla è cambiato, in quanto, all’interno del patrimonio della SGR, la separatezza fra patrimonio gestito per conto dei fondi e non gestito viene garantita dall’obbligo di custodia della banca depositaria (artt. 47 ss. TUF)[9].
Al contrario, per quanto riguarda gli atti traslativi di beni e diritti immobiliari, secondo la prassi notarile anteriore al 2010 le note di trascrizione per l’acquisto e l’alienazione venivano effettuate, rispettivamente, a favore e contro il fondo, il quale veniva considerato autonomo «centro d’interessi»[10]. In questo modo, alla segregazione patrimoniale riconosciuta dall’art. 36 TUF corrispondeva l’inopponibilità prevista dagli art. 2644 e 2914 ss. cod. civ.: nessun creditore del gestore avrebbe potuto trascrivere il sequestro o il pignoramento sui beni destinati al fondo, una volta compiuta la trascrizione direttamente a favore di esso; nessun terzo avente causa che avesse trascritto la domanda di rivendica dopo la trascrizione a favore del fondo avrebbe potuto ottenere la consegna del bene.
Dal riconoscimento della proprietà formale al gestore la S.C. fa discendere la necessità di trascrivere gli acquisti in nome e per conto del gestore, mentre solo nella Sezione D della nota di trascrizione (“ulteriori informazioni”) sarebbe possibile indicare il fondo come beneficiario. Sennonché, secondo l’opinione maggioritaria, non sarebbe in questo modo possibile documentare all’esterno la segregazione del bene dal patrimonio del gestore, perché la Sezione D è considerata o mera informazione completiva, o annotazione con effetto di pubblicità-notizia[11]. Secondo altri, sarebbe possibile effettuare una distinta trascrizione contro la SGR con indicazione nella Sezione D del fondo, in analogia alla prassi sviluppatasi in tema di trust[12], ovvero, ove ne ricorrano i presupposti, applicando l’art. 2645-ter[13]. Altrimenti, la destinazione del bene al segmento patrimoniale autonomo del fondo dovrebbe essere accertata di volta in volta, con tutti i connessi “costi dell’incertezza” (i.e. trascrizione di pignoramenti e opposizioni all’esecuzione ex art. 615, co. 2, c.p.c.).
L’incertezza è destinata ad aumentare, sia per vicende attinenti al gestore (come nel caso di sostituzione non traslativa del gestore, oppure di non coincidenza fra SGR promotrice e SGR gestore), sia intra-fondi (ad es. cessione di beni fra fondi dello stesso gestore), che potrebbero essere documentate solo con l’annotazione nella lett. D) della nota di trascrizione[14].
Peraltro, l’esclusione della trascrivibilità a favore di un segmento patrimoniale autonomo in caso di fondo si scontra con l’opposta, positiva risposta data da crescente giurisprudenza di merito in tema di trust[15].
3. Legittimazione attiva e passiva nel processo
Sempre tale pronuncia del 2010 ha riconosciuto la legittimazione processuale esclusiva in capo al gestore del fondo. Per l’effetto, il decreto di trasferimento, a seguito di vendita all’incanto secondo l’allora vigente legge fallimentare (art. 107 l.fall., art. 586 c.p.c.), era stato correttamente emesso a favore della società di gestione. Per vero, tale sentenza sembra postulare una corrispondenza biunivoca fra soggettività e legittimazione processuale, ignorando quelle ipotesi in cui l’ordinamento attribuisce ad un munus la legittimazione (correttamente intesa come legitimatio ad processum[16]) per far valere diritti inerenti a patrimoni senza, o a prescindere dal suo titolare, come nel caso del curatore dell’eredità giacente[17] o del liquidatore giudiziale per le cause di diritto patrimoniale sul patrimonio del debitore dichiarato insolvente.
La successiva pronuncia del Tribunale di Milano dell’11 maggio 2015[18], superando la questione della qualificazione della legittimazione del gestore come sostitutiva o rappresentativa (entrambe ipotesi che presupporrebbero la soggettività del fondo), riconduce la stessa legittimazione processuale ai poteri gestori del fondo attribuiti alla SGR (quasi quale un munus) dall’ art. 36 TUF[19].
Sempre in tale pronuncia si prende posizione sull’estendibilità delle norme che regolano la successione nel processo alla sostituzione del gestore per delibera assembleare ex art. 37, co. 3, TUF nei fondi chiusi (diversi dai FIA riservati). Nel caso di specie si afferma la possibilità di intervento del gestore subentrato, pur richiamandosi sia l’art. 111 co. 4 che – inconferentemente – l’art. 105 c.p.c.[20], con le note ripercussioni sulla possibilità di estromissione, ammessa per la prima solo con il consenso di tutte le parti.
Se in tale vicenda la qualificazione dell’intervento non comportava particolari ricadute applicative (essendo l’estromissione del gestore sostituito avvenuta comunque in base alle norme della l.c.a. ex art. 92, co. 9, TUB, senza necessità di consenso ex art. 111, co. 4, c.p.c.), più netta è stata la presa di posizione della S.C., con la sentenza depositata lo scorso 15 febbraio 2023[21], in cui si è affermato che, in caso di successione nella gestione (nella specie, successione però traslativa per cessione di ramo d’azienda), si verifica una successione a titolo universale inter vivos comprensiva anche dei connessi rapporti processuali, con la possibilità per il successore di esplicare intervento ex art. 111 co. 4 c.p.c.[22].
Ancora aperto resta il dibattito se gli investitori possano essere ammessi a rispondere dei debiti non liquidati dopo la chiusura del fondo (eventualmente estendendo analogicamente l’art. 2495 c.c.)[23].
4. Le azioni di responsabilità contro il gestore, contro gli amministratori e contro i fund managers
Poiché il visto art. 36, co. 4, TUF limita la sola responsabilità patrimoniale, non devono ritenersi escluse eventuali azioni di responsabilità contro il gestore e contro i suoi organi (arrivandosi altrimenti ad una inammissibile deroga ai principi in tema di responsabilità contrattuale, specie all’art. 1229 cod. civ., nonché alla tutela del credito, specie sub art. 2394 cod. civ.). Tali azioni risarcitorie, tuttavia, non sarebbero tutelabili sui beni imputati al patrimonio proprio del gestore, ai patrimoni a questi affidati in gestione portafogli[24], nonché agli altri fondi gestiti non interessati dall’azione di responsabilità.
La gestione affidata ad un fund manager delegato non escluderebbe la responsabilità del delegante, dovendosi dimostrare se la mala gestio del preposto sia ascrivibile alla mancata o insufficiente predisposizione da parte degli amministratori di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili (art. 2086, co. 2, cod. civ.)[25].
A norma dell’art. 36, co. 3, TUF, la SGR che ha istituito o che è subentrata nella gestione risponde della gestione nei confronti dei partecipanti con la responsabilità del mandatario. La natura e le conseguenze di tale responsabilità sollevano molteplici interrogativi, quali, in particolare, la legittimazione attiva e passiva in caso di responsabilità da mala gestio.
5. Proponibilità dell’azione di responsabilità proposta contro la società di gestione
Proprio per l’espressa previsione di cui all’ art. 36, co. 3, TUF, è indubbio che i partecipanti possano agire contro il gestore. Meno chiaro è a chi vengano destinate le somme a titolo risarcitorio, ossia se al patrimonio personale del partecipante o al fondo interessato dalla mala gestio, a beneficio di tutti i partecipanti del fondo (come accade nell’azione di cui all’art. 2393-bis cod. civ.)
La risposta (tuttora aperta, anche dopo una pronuncia del Tribunale di Milano, su cui subito infra nel testo) dipende da numerosi fattori, che deve tenere conto della natura, aperta o chiusa, del fondo, quali[26]:
i) l’esistenza di un eventuale vincolo sugli apporti (i.e. limite per la richiesta di rimborso) che sono confluiti nel patrimonio comune con la raccolta (solo fondi chiusi);
ii) l’esistenza di un mercato secondario per le quote del fondo, in cui il prezzo risenta della diminuzione di valore del patrimonio comune derivante dalla mala gestio (generalmente, solo fondi aperti);
iii) la frequenza della determinazione del Net Asset Value – NAV – (elevata per i fondi aperti, meno per i chiusi), dopo la quale sarebbe possibile per i successivi acquirenti scontare dal prezzo della quota la diminuzione di valore derivante alla mala gestio;
iv) il rischio di indebiti benefici a favore dello stesso gestore inadempiente (in quanto il NAV, da cui dipende la determinazione delle commissioni di gestione, potrebbe incrementarsi per l’effetto della destinazione del risarcimento al patrimonio comune).
Tali differenze dovrebbero far concludere nel senso che:
a) solo in caso di fondi aperti il risarcimento dovrebbe essere devoluto a favore del singolo quotista, al fine di evitare un incremento del NAV che aumenti le fees del gestore, così come un vantaggio indebito per chi ha acquistato la quota a prezzo già scontato;
b) al contrario, nel fondo chiuso, il risarcimento dovrebbe essere devoluto al patrimonio comune, anche perché sarebbe incoerente vincolare temporalmente l’apporto e devolvere immediatamente la somma. Inoltre, nel caso (raro) in cui le quote del fondo chiuso siano oggetto di scambio in un mercato secondario, sarebbe opportuno tutelare gli investitori che acquistino la quota anteriormente alla determinazione al ribasso del NAV, perché non potrebbero scontare il prezzo[27].
Se resta comunque fermo che, nel caso sub b), il gestore del fondo chiuso potrebbe incassare fees più alte in ragione dell’incremento del NAV, è pur vero che il giudice potrebbe condannare il gestore al risarcimento di un’ulteriore voce di danno per compensare il beneficio.
6. Proponibilità dell’azione di responsabilità contro gli amministratori da parte della società di gestione
La società di gestione potrebbe sostenere una pretesa risarcitoria per la mala gestio degli amministratori del fondo non solo per il pregiudizio subito dal fondo (in virtù di una legittimazione in proprio della società ex art. 36 TUF “nell’interesse” dei partecipanti)[28], ma anche per quello subito ex se. Infatti, se è pur vero che, per l’operare della segregazione patrimoniale, il pregiudizio del fondo non può considerarsi un pregiudizio del patrimonio “proprio” del gestore (i.e. quello non gestito in monte), la società subirebbe un danno emergente non solo per le azioni risarcitorie proposte nei suoi confronti dai partecipanti, ma anche per l’eventuale danno reputazionale derivante dalle richieste di rimborso, anche dei partecipanti di altri fondi, e la riduzione conseguente della quota di mercato[29].
Nel caso di azione promossa “nell’interesse” dei partecipanti contro gli amministratori, come già visto per il caso di responsabilità del gestore fatta valere dagli stessi partecipanti, si pone il problema della destinazione del risarcimento, se a beneficio dei partecipanti, ovvero a destinazione comune. Il risarcimento dovrebbe essere pari alla diminuzione del valore pro quota per ogni investitore. Anche in questo caso, se il fondo è aperto, dovrebbe tenersi conto dei soli partecipanti al momento dell’evento dannoso (perché è prevedibile attendersi che i successivi acquirenti abbiano acquistato la quota a prezzo “scontato”), mentre, se il fondo è chiuso, dovrebbe tenersi conto dei partecipanti fino al momento della prima determinazione del NAV successiva all’evento dannoso[30].
7. Proponibilità dell’azione di responsabilità contro gli amministratori da parte dei partecipanti?
Occorre per ultimo chiedersi se i partecipanti possano proporre azione di risarcimento nei confronti degli amministratori del gestore, nonostante l’intervenuta abrogazione dell’art. 3, co. 6, L. 23 marzo 1983, n. 77, che lo prevedeva espressamente. Tale iniziativa potrebbe mirare al risarcimento del partecipante direttamente danneggiato, e non al pregiudizio subito dalla massa dei quotisti (non essendo stato replicato lo schema dell’art. 2393-bis cod. civ.)[31].
Un’eventuale iniziativa individuale (artt. 2043, 2395 c.c.) potrebbe essere un correttivo, in assenza di una disciplina collettiva sull’azione sociale (come previsto per le società). Altrimenti, ritenere il solo gestore legittimato potrebbe aprire delle “zone franche” con possibili risvolti solo in sede di liquidazione (l’art. 84, co. 5, TUB, richiamato dall’art. 57, co. 3, TUF, legittima i commissari liquidatori all’azione di responsabilità degli organi decaduti su autorizzazione di Banca d’Italia).
Nella già richiamata pronuncia del Tribunale di Milano dell’11 maggio 2015, n. 5876, chiamata a pronunciarsi sulla legittimazione attiva della SGR in l.c.a. contro i suoi organi, i convenuti amministratori ritenevano che solo i singoli quotisti e creditori avrebbero potuto far valere in via diretta la loro responsabilità invocando le norme di cui agli artt. 2394, 2395 cod. civ.. Esclusa una responsabilità “diretta” degli amministratori nei confronti della SGR per fatti inerenti alla gestione dei fondi, questa avrebbe potuto soltanto agire in rivalsa, dopo essere stata condannata nei confronti dei partecipanti. Secondo il Giudice di Milano, al contrario, la segregazione patrimoniale del fondo escluderebbe che il partecipante possa far valere il pregiudizio derivante dalla mala gestio nei confronti degli organi del gestore, poiché tale pregiudizio potrebbe imputarsi al solo patrimonio del fondo poiché separato dal patrimonio del singolo quotista. Il pregiudizio subito in proprio sarebbe solo un danno riflesso irrisarcibile. Solo il gestore, in qualità di proprietario formale del patrimonio separato (come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità), potrebbe far valere tale pregiudizio contro gli amministratori, con la conseguenza, tuttavia, che il risarcimento sarebbe destinato a favore del patrimonio leso (per effetto di una sorta di un meccanismo simile alla surrogazione reale[32]).
Tale pronuncia lascia aperti molti dubbi. In particolare, essa non sembra dar conto del fatto che la segregazione patrimoniale di cui all’art. 36 TUF è solo un limite alla responsabilità patrimoniale[33], e non dovrebbe invocarsi per ritenere i fatti di mala gestio non causali rispetto al danno subito dal partecipante, sia pure pro quota. Inoltre, tale pronuncia, intervenuta in un contesto “terminale” e patologico (SGR in l.c.a. sostituita ex art. 37, co. 3, TUF con altro gestore), sembra sottovalutare le potenzialità di un’iniziativa individuale dei singoli partecipanti, specie quando il pregiudizio per il fondo emerga ben prima del dissesto, qualora non sia possibile sperare in un tempestivo “passaggio di testimone” ai commissari liquidatori.
Note:
[1] Di cui all‘art. 1, co. 1, lett. j, d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, TUF, al Decreto 5 marzo 2015, n. 30 MEF, Regolamento attuativo dell’articolo 39 TUF, e al Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, Provvedimento Banca d’Italia del 19 gennaio 2015, come da ultimo modificato dal Provvedimento del 16 novembre 2022
[2] Precisamente, gli OICVM di cui all‘art. 1, co. 1, lett. m), TUF, con l’esclusione delle SICAV rientranti nell’ambito della dir. 2009/65/CE (Direttiva UCITS), e i FIA di cui all‘art. 1, co. 1, lett. m-ter), TUF, con l’esclusione delle SICAV e delle SICAF rientranti nell’ambito della dir. 2011/61/UE (Direttiva AIF), che possono essere gestiti da una società ammessa alla gestione collettiva del risparmio di cui all‘art. 1, co. 1, lett. n) e o), nonché agli artt. 34 ss. TUF.
[3] Il periodo, qui riportato in grassetto, ha modificato il precedente (introdotto con il D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con L. n.122 del 30 luglio 2010), a tenore del quale non era la società di gestione, bensì il fondo a rispondere delle obbligazioni contratte per suo conto. Sul significato esatto di tali modifiche v. L. Bullo, Trust, destinazione patrimoniale ex art. 2645-ter c.c. e fondi comuni di investimento ex art. 36, comma 6° del T.U.F.: quale modello si segregazione patrimoniale?, in Riv. Dir. Civ., 4, 2012, 560 ss..
[4] Cass. Civ., sez. I, 15 luglio 2010, n.16605, in Foro it., 6, 2011, I, 1853, con nota di Pellegatta, nonché in Banca borsa tit. cred. 2011, 4, II, 417, con nota di Lemma e di Gentiloni Silveri. Critica tale impostazione A. Paolini, Fondi comuni immobiliari, SGR e trascrizione, Studio CNN n. 90/2012/I. L‘orientamento inaugurato con tale pronuncia è stato costantemente seguito da Cass., 17 ottobre 2012, n.17793, in Giust. Civ. Mass., 2012, 10, 1220; Cass., 20 maggio 2013, n. 12187, in Dir. e Giust., 2013, 23 maggio, con nota di Terlizzi; Cass., 19 giugno 2013, n. 15319, in Giust. Civ. Mass., 2013 nonché dal Tribunale di Milano, 11 maggio 2015, n. 5876, in Giur. comm., fasc. 5, 2016, 1115 ss.; Trib. Bari, sez. II, 21 marzo 2017, n.1532, in DeJure; Cass., sez. I., 8 maggio 2019, n.12062, Banca Borsa Tit. Cred., 5, 2020, 733, con nota di G. M. D‘Aiello, e da ultimo Cass., 15 febbraio 2023, n. 4741, in www.dirittobancario.it.
[5] P. Basile, La soggettività dei fondi comuni di investimento: appunti a margine della pronuncia del Tribunale di Milano, in Riv. Dir. Banc., ottobre/dicembre 2017, p. 135.
[6] Paolini, Fondi comuni immobiliari, SGR e trascrizione, cit., p. 7; L. Iacumin, I fondi comuni di investimento. Diritto sostanziale e processo, Eut, Trieste, 2020, p. 44 e riferimenti ivi.
[7] Tribunale di Milano, Sez. Spec. Impresa, sent., 10 giugno 2016, n. 7232 (pres. Riva Crugnola, est. Mambriani), in DeJure, sulla quale v. Basile, La soggettività dei fondi comuni di investimento, op. cit., 125 ss..
[8] Infatti, pochi giorni dopo la pubblicazione del provvedimento della S.C. (15 luglio 2010), veniva convertito in legge il D.L. n. 78/2010, con il quale all’art. 36 TUF veniva aggiunto il periodo «delle obbligazioni contratte per suo conto, il fondo comune di investimento risponde esclusivamente con il proprio patrimonio»[8]. Inoltre, la c.d. Legge di Stabilità del 2012 (L. del 12 novembre 2011, n. 183), all’ art. 6, co. 1, ha previsto che il MEF possa direttamente trasferire immobili dello Stato a fondi d’investimento immobiliari. Infine, con il d. lgs. 16 aprile 2012, n. 47 è stata introdotta con l’art. 57, co. 6-bis, TUF, la possibilità di aprire la l.c.a. per il singolo fondo, anche se la rispettiva società di gestione è in bonis.
[9] Paolini, Fondi comuni immobiliari, SGR e trascrizione, cit., p. 10.
[10] Paolini, op. ult. cit., p. 14; Consiglio di Stato, Parere n. 608/99, 11 maggio 1999, Ministero delle Finanze, Circolare 11 novembre 1999, n. 218/T.
[11] Paolini, op. cit., p. 15; Bullo, Trust, destinazione patrimoniale, cit., p. 556; Iacumin, I fondi comuni di investimento, cit., p. 39, se ben si comprende, nel senso di una inaggredibilità dei beni del fondo derivante dalla combinazione della nota a favore della SGR e dal regime legale di cui all’art. 36 TUF.
[12] Paolini, op. cit., p. 17; R. Colaiori, La destinazione intrasoggettiva di beni immobile nel sistema die fondi comuni di investimento, in Riv. Not., 1, 2014, 11, 1 ss,, par. 8; in questa stessa direzione, Basile, La soggettività dei fondi comuni, cit., p. 134.
[13] D’Aiello, I fondi chiusi immobiliari non hanno soggettività giuridica, in BBTC, 5, 2020, cit., 1 ss., par. 4.
[14] Paolini, op. cit., pp. 10, 15 ss.; Iacumin, I fondi comuni di investimento, cit., p. 39 e ivi per ulteriori riferimenti.
[15] Cfr. ad es. Trib. Torino, sez. III, decr.,10 febbraio 2011, n. 7559, in Trust e att. fid., 2011, 627 ss. sul quale v. Bullo, Trust, destinazione patrimoniale, cit., p. 548; Trib. di Torino, sez. III, decr., 10 marzo 2014, in www.altalex.com, Corte d’App. di Venezia, sez. III civile, 10 luglio 2014, in www.altalex.com. Contro: Corte d’Appello di Trieste, provv. 30 luglio 2014 (data dep.), di cui si dà notizia Bullo (a c. di), La trascrizione del trust, in www.federnotizie.it, 30 Gennaio 2015.
[16] Tra gli altri, C. Mandrioli – A. Carratta, Diritto processuale civile, I, Nozioni introduttive e disposizioni generali, 27a ed., Giappichelli, 2019,335 ss.; C. Mandrioli, La rappresentanza nel processo civile, Torino, 1959, 321 ss.
[17] Iacumin, I fondi comuni di investimento, cit., p. 65.
[18] Trib. Milano, sent. 11 maggio 2015, n. 5876, in Giur. It., 1, 2016, 89, con nota di Iacumin; in Giur. Comm., 5, 2016, II, 1107 ss., con nota di Seminara; in Le Società, 10, 2015, 1132, v. in part. p. 1136, in termini di una «una legittimazione autonoma in capo alla SGR di agire a tutela dell’integrità del patrimonio separato in quanto coessenziale alla struttura, posizione e funzione della SGR stessa».
[19] L. Iacumin, L’azione sociale di responsabilità esperita dalla S.G.R. a tutela del fondo gestito, nota a Trib. Milano, sent. 11 maggio 2015, n. 5876 in Giur. It., 1, 2016, cit., p. 95.
[20] Iacumin, L’azione sociale di responsabilità, cit., p. 96.
[21] Cass., Sez. II, sent.,15 febbraio 2023, 4741, est. Caponi, spec. par. 4, in www.dirittobancario.it
[22] La cessione della res litigiosa, non comportando interruzione del processo, non sarebbe invece riconducibile all’art. 110 c.p.c., che postula il venir meno del soggetto trasferente. In tema di cancellazione della società e sull’applicabilità dell’art. 110 c.p.c., si richiama la sentenza della S.C. a sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070 – Pres. Preden – Est. Rordorf, in Corr. Giur., 2, 2014, 252, con nota di Speranzin.
[23] A titolo di esempio, si registrano a favore: F. Carbonetti, Chiusura del fondo comune di investimento e diritti dei creditori, in Riv. Soc., 4, 2022, 953 ss.; contro, G. Meo, Diritti delle controparti contrattuali del fondo di investimento verso gli investitori dopo la sua liquidazione (parere pro veritate), in Banca Borsa Tit. cred., I, 2021, 473 ss.; F. Assegnati – E. Guadalupi, La liquidazione dei fondi immobiliari, le responsabilità della SGR e le possibili coperture, in Dir. Banc., 4 maggio 2020.
[24] Potendosi intendere con «ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società» la gestione di portafogli di cui all’art. 1, co.5, lett. d) e co. 5-quinquies, TUF, cfr. Paolini, op. cit., p. 12.
[25] P. Spolaore, Gestione collettiva del risparmio e responsabilità, in Riv. Soc., 6, 2015, pp. 1176 ss..
[26] Rispettivamente, OICR aperto, art. 1, co. 1, lett. k-bis, TUF od OICR chiuso, art. 1, co. 1, lett. k-ter, TUF. In questo, Spolaore, Gestione collettiva del risparmio, cit., pp. 1162 ss..
[27] Spolaore, op. ult. cit., p. 1164.
[28] Cfr. la pronuncia già richiamata del Tribunale di Milano dell’11 maggio 2015, n. 5876, nota 18.
[29] Spolaore, op. ult. cit., p. 1172 e nota 87.
[30] Spolaore, op. ult. cit., p. 1176.
[31] V. Spolaore, op. ult. cit., p. 1181 in senso affermativo.
[32] Iacumin, L’azione sociale di responsabilita, cit., p. 95.
[33] Così Paolini, op. cit., p. 8.
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