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Di Riccardo Santilli, Dottore in Legge
Tesi di Laurea
Sapienza Università di Roma
Anno Accademico 2017-2018
Facoltà di Giurisprudenza – Cattedra di Economia Internazionale
Corso di laurea Magistrale a ciclo unico
Relatore Prof.ssa Anna Rita Germani
Correlatore Prof. Marco Gambardella
INDICE:
ABSTRACT
CAPITOLO I: INTRODUZIONE
CAPITOLO II: CRIPTOVALUTE E BITCOIN: CONSIDERAZIONI GENERALI
2.1. Breve storia monetaria: dalla moneta metallica alla moneta elettronica
2.1.1. Spunti di riflessione sulla differenza tra moneta e denaro
2.1.2. Le funzioni della moneta
2.2. La rivoluzione “Cashless”
2.3. Cybermoneta, moneta elettronica, valute virtuali, valute digitali: un mutamento nel concetto di moneta
2.3.1. Cybermoneta e moneta elettronica
2.3.2. Le prime valute virtuali e la differenza con le con le valute digitali
2.3.3. Le criptovalute: dal movimento “Cypherpunk” ai bitcoin
2.4. Bitcoin: di cosa realmente si tratta?
2.5. Le radici del concetto di Bitcoin: la scuola austriaca
2.6. Il funzionamento della tecnologia blockchain
2.7. La validazione delle transazioni attraverso l’attività di mining
2.7.1. I costi energetici del mining
2.8. Possibili attacchi informatici alla rete Bitcoin
2.9. Aspetti normativi rilevanti
2.9.1. Criptovalute: alla ricerca della natura giuridica
2.9.2. Primi tentativi di regolamentazione in Europa
2.9.3. La situazione normativa italiana
CAPITOLO III: BITCOIN: BREVE RASSEGNA DELLA LETTERATURA ECONOMICO-GIURIDICA
3.1. Introduzione
3.2. Rassegna della letteratura accademica giuridica
3.2.1. Prime pubblicazioni accademiche in tema di Bitcoin
3.3. Rassegna della letteratura accademica economica
3.3.1. Bitcoin tra mezzo di scambio e attività speculativa
3.3.2. Analisi strutturale dei mercati di bitcoin
3.4. Impatto di Bitcoin quale valuta mondiale
3.5. Tabella riassuntiva della letteratura
CAPITOLO IV: OLTRE BITCOIN: LE POTENZIALITÀ DELLA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN
4.1. Introduzione
4.2. Ethereum e la differenza con Bitcoin
4.3. Smart contract: esempi concreti di applicazione della tecnologia blockchain
4.4. Digital notary e Digital identity
4.5. L’impatto della blockchain nel settore FinTech
4.5.1. L’impatto della tecnologia blockchain sui modelli aziendali nel settore dei pagamenti
4.6. Modelli di business decentralizzati: il passaggio da una governance aziendale centralizzata a una organizzazione autonoma decentralizzata (DAO)
4.7. Blockchain e IoT
4.8. Tracciabilità degli alimenti: l’utilizzo della blockchain nel settore agroalimentare
4.9. Potenziali impatti della blockchain nel sistema dei brevetti
4.10. La Blockchain in Italia: prospettive e sviluppi
CAPITOLO V: CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
5.1. Bitcoin: interrogativi e prospettive future
5.2. Blockchain: un futuro roseo all’orizzonte
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
RIFERIMENTI SITOGRAFICI
INDICE DELLE FIGURE
Fig. 2.1: crescita della quantità di bitcoin nel tempo (in milioni)
Figura 2.2: confronto tra consumi elettrici annuali di vari stati con il sistema Bitcoin, in TWh
Figura 3.1: prezzi di chiusura giornalieri dell’indice Coindesk Bitcoin (dollari USA)
Figura 3.2: prezzi di chiusura giornalieri dell’indice Coindesk Bitcoin (dollari USA) luglio 2010-dicembre 2012
Figura 3.3: indice di ricerca delle tendenze di Google per “Bitcoin”
Figura 3.4: grafico delle serie temporali
Figura 3.5: distribuzione degli scambi nelle 24 ore
Figura 3.6: distribuzione del volume degli scambi nei diversi siti presi in esame
Figura 3.7: impatto di Bitcoin rispetto al dollaro
Figura 4.2: differenze tra Bitcoin e Ethereum
INDICE DELLE TABELLE
Tabella 3.1: classi di investimenti finanziari
Tabella 3.2: statistica descrittiva di Bitcoin
Tabella 3.3: risultati dei test di efficienza del mercato
Tabella 3.4: percentuale di scambi con un volume intero
ABSTRACT
Bitcoin è un sistema di pagamento e una criptovaluta, nata nel 2009 ad opera di uno pseudonimo. Si caratterizza per essere totalmente decentralizzata, non istituita né controllata dà alcuna banca centrale e dunque non soggetta ad alcuna politica monetaria, con un controllo sulle transazioni eseguito da diverse entità indipendenti in maniera decentrata e distribuita, che garantisce anonimato e bassi costi di transizione. L’innovazione fondamentale di Bitcoin, in quanto tecnologia a supporto del sistema dei pagamenti, consiste nel distribuire la tenuta dei conti: il libro contabile dove sono registrate tutte le transazioni non è più tenuto da una singola banca, o dal sistema bancario nel suo complesso, bensì da ciascuno degli utenti nella propria memoria locale. In questo modo il registro oltre ad essere decentrato è anche distribuito in una rete in cui nessun nodo è centrale. Tale libro contabile distribuito (distribuited ledger) è ciò che viene chiamato blockchain. I bitcoin vengono immessi nel mercato attraverso un processo di estrazione definito mining: connettendosi alla rete e accedendo al software open source, gli utenti hanno la possibilità di avviare un processo di “estrazione” basato su calcoli effettuati dai computer per verificare l’univocità e la sicurezza delle transazioni; il computer che termina il calcolo assai complesso riceve in cambio dei bitcoin.
Il numero di Bitcoin è prestabilito e la loro produzione inversamente proporzionale alla durata, terminerà nel 2140. La maggior parte degli esperti è concorde nel ritenere bitcoin più un investimento (speculativo) che una vera e propria valuta a causa della sua estrema volatilità.
Le caratteristiche di immutabilità, sicurezza, consensualità e trasparenza, della blockchain, la tecnologia nata come supporto al sistema Bitcoin, l’hanno resa appetibile in molti altri settori, dal fintech, alla IoT, dal sistema brevetti alla gestione della filiera alimentare, dagli smart contracts al sistema notarile. Si tratta a detta di alcuni di una vera e propria rivoluzione digitale che porterà ad una “nuova generazione di internet”.
CAPITOLO I
INTRODUZIONE
La rivoluzione digitale e le moderne tecnologie hanno profondamente mutato le nostre abitudini e relazioni sociali, con trasformazioni repentine e inarrestabili. Il fenomeno non ha ovviamente risparmiato il settore dei pagamenti che anzi è tra quelli che meglio esprimono le potenzialità e i benefici collegati all’innovazione. Sull’onda della trasformazione digitale e dello sviluppo di nuovi servizi (ad esempio, l’e-commerce), gli strumenti di pagamento alternativi al contante hanno assunto un ruolo sempre più determinante per il commercio e la società.
Nel presente lavoro ho voluto analizzare un fenomeno recente e totalmente inedito, potenzialmente in grado di stravolgere gli attuali dogmi economici. Si tratta di Bitcoin (con la maiuscola, secondo l’uso invalso, per indicare il sistema di pagamento; con la minuscola se ci si riferisce alla moneta), una criptovaluta e un sistema di pagamento creato nel 2009 da un inventore anonimo, noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. Dietro queste cybermonete c’è una tecnologia chiamata blockchain (catena a blocchi), che alcuni ritengono possa riscrivere dalle fondamenta il modo in cui gestire le transazioni sul web.
Nel secondo capitolo ho ritenuto essenziale ripercorre in maniera sintetica i passaggi che hanno condotto all’avvento della moneta elettronica, a partire dalle prime monete di cui si abbia conoscenza, risalenti al regno di Creso nella Lidia del VII secolo a.C., soffermandomi successivamente sulla differenza lessicale tra due concetti che, sebbene spesso utilizzati in maniera analoga, presentano in realtà delle marcate differenze, la moneta e il denaro. Le varie funzioni della moneta (unità di conto, riserva di valore, mezzo di pagamento) hanno trovato collocazione in uno specifico paragrafo.
La moneta elettronica costituisce un surrogato elettronico di monete metalliche e banconote, destinato ad effettuare pagamenti di importo limitato, mediante il trasferimento di fondi da persona a persona in modo scritturale, ma senza supporto fisico. Essa si distingue da altri sistemi di pagamento di uso corrente in quanto, a differenza delle carte di pagamento tradizionali, il valore monetario è direttamente incluso nell’oggetto virtuale. Dunque, il pagamento non presuppone alcuna registrazione da conto a conto e il possesso di moneta elettronica non richiede che l’utente sia titolare di un conto bancario. In quanto strumento di pagamento elettronico che incorpora un valore monetario equivalente all’ammontare dei fondi ricevuti dal soggetto emittente, la moneta elettronica può essere memorizzata sia su una carta a microchip, che sulla memoria di un dispositivo elettronico, ed è accettata come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente. Per le sue caratteristiche può essere considerato uno strumento di pagamento alternativo al contante (Capogna et al., 2015).
Con bitcoin ci troviamo di fronte ad un fenomeno nuovo, che non rientra nel concetto di moneta elettronica. Si tratta di una valuta digitale totalmente decentralizzata, non istituita né controllata dà alcuna banca centrale e dunque non soggetta ad alcuna politica monetaria, con un controllo sulle transazioni eseguito da diverse entità indipendenti in maniera decentrata e distribuita. L’assenza di soggetti intermediari nelle transazioni ne abbassa notevolmente il costo (in media le transazioni prevedono un addebito al mittente di una cifra di bitcoin del valore di circa 0,02 €). Le transazioni garantiscono inoltre il quasi totale anonimato, avvenendo tra indirizzi pubblici dai quali è praticamente impossibile risalire alla reale identità della persona fisica o giuridica che effettua lo scambio di bitcoin. Tutte le transazioni sono totalmente trasparenti venendo registrate all’interno di un registro pubblico distribuito (distributed ledger), che ognuno può visualizzare. Ogni qual volta una transazione risulta convalidata dagli utenti del sistema, essa rimane registrata online all’interno di quello che può essere considerato un vero e proprio registro di dominio pubblico in modo tale da garantire agli utenti di poter verificare quella transazione in ogni momento. Dopo essere stata convalidata, la transazione si trasforma in un “blocco” (block) che diviene parte di una più grande catena (chain), da qui il nome della tecnologia blockchain[1]. Bitcoin, infine, garantisce delle transazioni veloci (ogni bitcoin impiega mediamente 10 minuti per essere confermata) e irreversibili.
La serie di calcoli matematici che i computer connessi alla rete Bitcoin elaborano per confermare le transazioni e incrementarne la sicurezza assume il nome di “mining”. Come ricompensa per i loro servizi, “i minatori” hanno diritto alle commissioni sulle transazioni che verificano, in aggiunta ad un premio che consiste nei nuovi bitcoin creati (Guttmann, 2014). L’attività di mining, necessitando di un’ingente potenza di calcolo per processare la complessa crittografia che garantisce la sicurezza delle transazioni in bitcoin, presuppone consumi energetici cospicui (per una sola transazione di bitcoin si consumano 146kWh elettrici, per un costo che in Italia ammonterebbe a circa 20 euro ed equivarrebbe al consumo giornaliero di 20 famiglie) (Faccini, 2017).
Bitcoin, affonda le sue radici nel movimento dei Cypherpunk, sorto in Usa negli anni’80 con l’obiettivo di utilizzare la crittografia e altre tecnologie al fine di tutelare e migliorare la privacy di ciascun individuo e nelle teorie di Hayek, membro di spicco della scuola austriaca, che nella sua opera The Denationalization of Money” del 1976, auspicava la fine del monopolio governativo nell’emissione di moneta. Non sembra essere un caso il fatto che Bitcoin sia sorto immediatamente dopo la grande crisi del 2008, in un clima estremamente ostile nei confronti degli interventi di quantitative easing ed easy money messi in atto dalla Federal Reserve (FED) e da altre banche centrali in giro per il mondo.
In realtà, già prima dell’avvento di Bitcoin erano sorte delle valute virtuali, in concomitanza con la seconda fase di sviluppo e diffusione di Internet (web.20), risalente all’incirca al 2005 e caratterizzata da un forte incremento nell’interazione tra sito e utente. Si trattava tuttavia di valute utilizzabili in veri e propri “mondi virtuali” interattivi come i MMPORG (“Massive Multiplayer Online Role-Playing”), giochi di ruolo svolti in rete contemporaneamente da più persone. Tra i più celebri si ricorda Second Life la cui economia virtuale era basata sullo scambio di Linden Dollar, utilizzabili per il commercio di case, oggetti e terreni (virtuali). La principale novità di tali valute virtuali risiedeva nella possibilità di riconvertirle in moneta reale, sulla base del cambio di riferimento (Capaccioli, 2015). Occorre tuttavia precisare che i bitcoin non rientrano nella categoria di valute virtuali, ma nella macrocategoria delle valute digitali, che in ogni caso le ricomprende. (Capaccioli, 2015). Le valute virtuali riprendono in parte la filosofia delle valute complementari, strumenti di commutazione con cui è possibile scambiare beni e servizi affiancando la valuta ufficiale. Tali tipi di monete, non aventi corso legale e accettate su base volontaria hanno una particolare diffusione nella zona di Brixton, in Gran Bretagna, zona nota per la vivacità culturale e la composizione multietnica della popolazione (Lemme, Peluso, 2016).
Al termine del secondo capitolo ho preso in considerazione gli aspetti giuridici maggiormente rilevanti intorno alle criptovalute. Ho ritenuto essenziale, fin da subito, identificarne la natura giuridica; ma bitcoin, non rientra né nel concetto di moneta merce, non avendo valore intrinseco, né di moneta rappresentativa, rappresentando solo sé stessa, né di valuta fiat, non essendo stata emessa da nessun ente. Occorre allora affermare che, al momento, le criptovalute non sono suscettibili di una definizione generale, condivisa e condivisibile e che tale incertezza definitoria comporta una certa difficoltà nell’identificazione della corretta normativa applicabile.
A livello europeo la definizione di “valuta virtuale”, in senso lato, è stata di recente introdotta attraverso la Direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018 (V direttiva antiriciclaggio), la quale definisce valuta virtuale: «una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente». Tale definizione, entrando a far parte del diritto comunitario, impone agli Stati Membri di recepirla quale canone interpretativo. La direttiva dovrà essere recepita entro il 10 gennaio 2020. La direttiva ha in realtà ribadito una definizione già recepita dal nostro ordinamento con il D.lgs. del 25 maggio 2017, n. 90, introdotto in attuazione della direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (IV direttiva antiriciclaggio).
Non si prevedono al momento ulteriori regolamentazioni, in quanto l’intenzione è di valutare le conclusioni del prossimo G20 in programma a Buenos Aires il prossimo marzo, quando si cercherà di elaborare una strategia comune tra le “potenze mondiali”.
Il terzo capitolo è dedicato ad una breve rassegna della letteratura economico-giuridica. Negli ambienti accademici, il fenomeno delle criptovalute non ha suscitato nell’immediatezza un grande interesse, ad eccezione di qualche ristretto circolo economico. Le ricerche erano inizialmente indirizzate ad aspetti riguardanti la sicurezza, l’etica e soprattutto la legalità delle criptovalute.
L’opera di Grinberg del 2011, rappresenta in tal senso una delle prime pubblicazioni accademiche in tema Bitcoin. L’autore pone a confronto le criptovalute con strumenti concorrenti come le monete elettroniche (Digicash, GoldMoney, Pecunix, Web-Money), le quali, non hanno avuto lo stesso successo per mancanza di vantaggi competitivi e gestionali e l’e-commerce. Bitcoin risulta rispetto a questi due strumenti, particolarmente competitivo nel settore dei micropagamenti avendo dei costi di transazione piuttosto bassi. Riguardo la sostenibilità di bitcoin, Grinberg trova un’analogia con lo “Swiss dinar” iracheno, una valuta circolante dopo la guerra del Golfo del 1991 non sostenuta né da un governo né da commodities.
Plasaras (2013), esamina gli effetti potenzialmente destabilizzanti delle criptovalute emergenti sul mercato internazionale delle valute, sostenendo che il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’istituzione responsabile del coordinamento della stabilità dei tassi di cambio, è mal equipaggiato per gestire l’uso diffuso di tale fenomeno e ne evidenzia l’incapacità di intervento in caso di attacco speculativo ad una valuta da parte degli utenti di Bitcoin. Infine, conclude suggerendo due interpretazioni di modifica al documento costitutivo del Fondo, lo Statuto, che gli consentirebbero di intervenire in caso di un simile attacco. Christian Beer e Beat Weber (2014), riportano e discutono le posizioni di media, governi, banche centrali e autorità regolamentari in tema Bitcoin.
La letteratura economica si concentra su aspetti propriamente monetari delle criptovalute. Uno specifico paragrafo è dedicato a studi che indagano sulla natura valutaria o speculativa di bitcoin. Si tratta di studi particolarmente interessanti, basati su modelli statistico-matematici ricavati dall’econometria che, onde evitare sconfinamenti in materie che richiedono specifiche competenze tecniche, ho deciso di riassumere nei loro tratti salienti e nei risultati finali. Tutti i modelli empirici sembrano affermare che bitcoin non possa essere considerato una vera e propria valuta, a causa dell’elevato livello di volatilità osservato nei diversi mercati nei quali vengono scambiati. Un ulteriore paragrafo è dedicato a studi basati su un’analisi strutturale dei mercati di bitcoin; Urquhart (2016) studia le proprietà dei rendimenti bitcoin e conclude che i mercati di bitcoin sono ancora inefficienti. Brandvold et al. (2015) indagano sui prezzi di dei sette principali Mercati bitcoin. Gli autori scoprono che il mercato dei bitcoin è dominato da Mtgox, che prima di dichiarare bancarotta nel febbraio del 2014, gestiva la maggior parte delle transazioni bitcoin nel mondo e BTC-e. Infine, Seetharaman et al. (2017), studiano i vari fattori che stanno contribuendo al successo internazionale di Bitcoin e analizzano un possibile impatto nei confronti dell’USD.
Il quarto capitolo è dedicato alla blockchain. Questa tecnologia, nata come cardine del sistema Bitcoin, presenta le caratteristiche di sicurezza, immutabilità, trasparenza, consensualità che la rendono appetibile in svariati altri settori. Ethereum, un’applicazione sorta nel 2012 sull’onda dello sviluppo di Bitcoin, ha portato all’introduzione degli “smart contracts”, software basati sulla tecnologia blockchain che eseguono le condizioni precedentemente postulate dagli sviluppatori, con caratteristiche simili ad un contratto tradizionale e i cui effetti sono garantiti da un algoritmo. L’e-commerce, l’assicurativo, il car-sharing, l’alimentare, il notariato, il finanziario sono solo alcuni dei settori che stanno subendo importanti trasformazioni dall’avvento di questa tecnologia.
Il settore nel quale la blockchain sta avendo il maggior impatto è quello della tecnologia finanziaria o Fintech. Accenture, la società di consulenza aziendale più grande al mondo, ha pubblicato nel 2017 un rapporto nel quale afferma che la tecnologia blockchain potrebbe ridurre in media del 30% i costi infrastrutturali di 8 delle 10 banche di investimento mondiali, permettendole un risparmio stimato tra gli 8 e i 12 miliardi di dollari sui costi annuali. Infatti, quando un istituto finanziario colloca strumenti finanziari quali syndicated loan o derivati, la registrazione della transazione richiede tempo e comporta processi di back-office piuttosto gravosi. Si tratta di processi che si basano sulla negoziazione di contratti con l’ausilio di importanti studi legali e contatti tra le parti per completare la transazione. In media il tempo per risolvere uno scambio di syndacated loan occorrono 20 giorni e le operazioni sono piuttosto costose per le istituzioni finanziarie (Centers, Fanning, 2016). Si può intuire come la blockchain si riveli uno strumento utilissimo in tal senso.
Riguardo i già accennati smart contract, uno specifico paragrafo ne illustra alcuni esempi concreti di applicazione; mi limiterò in questa sede ad accennarne alcuni. Visa e DocuSign hanno intrapreso già da qualche anno un esperimento condotto nel comparto del leasing delle vetture. Le due hanno utilizzato i registri distribuiti (blockchain) per la costruzione di un prototipo di sistema che ha come obiettivo la realizzazione di un processo che culmina con la concessione in leasing di un’auto in modo completamente autonomo e slegato dall’intervento di un operatore. Nel settore del car sharing, la start up israeliana La’Zooz, proponendosi come la “anti-Uber”, ha creato una propria moneta digitale che è registrata in modo digitale utilizzando la tecnologia blockchain. Invece di usare una rete centralizzata per chiamare i taxi, le persone possono interpellare La’Zooz per cercare altre persone che viaggiano su percorsi simili e utilizzare la criptomoneta “battuta” da La’Zooz per pagare il passaggio. Nel settore assicurativo, Axa ha lanciato la prima assicurazione da viaggio, Fizzy, una formula di copertura innovativa acquisibile sul web e da mobile che indennizza in modo automatico in caso di ritardo del volo aereo. Tutto il processo è garantito dalla combinazione di un’assicurazione parametrica (basata cioè su un parametro e in questo caso i dati storici ei voli aerei degli ultimi sette anni) e dalla tecnologia blockchain, che garantisce l’inviolabilità di dati e contratti. Nell’e-commerce, attualmente dominato da un colosso come Amazon, che ha saputo instaurare una grande fiducia negli utenti, startup come OpenBazaar stanno sviluppando utility basate sui registri distribuiti progettate per collegare acquirenti e venditori senza l’intervento di un intermediario super partes e, ovviamente, senza i costi di intermediazione associati (Casali, 2017).
Nel settore agroalimentare la blockchain potrebbe invece implementare i sistemi di tracciabilità. Diverse aziende hanno già iniziato ad esplorare il possibile utilizzo della blockchain nel settore della sicurezza alimentare. IBM ha di recente dato avvio a IBM Food Trust, un network di trasformatori, grossisti, distributori, produttori, rivenditori che utilizza la blockchain con l’obiettivo di migliorare la trasparenza, la standardizzazione e l’efficienza lungo tutta la filiera alimentare[2]. A tale network hanno già aderito dei colossi dell’industria alimentare come Nestlè, SA, Dole Food Co., Driscoll’s Inc., solo per citarne alcune (Nash, 2018).
Un altro settore nel quale la tecnologia blockchain potrebbe avere un importante impatto è quello dei brevetti in quanto permetterebbe di registrare pubblicamente l’esistenza di un documento in un certo tempo, senza rivelarne i contenuti (Boucher, Nascimento & Kritikos, 2017).
In ambito sanitario, la blockchain potrebbe essere utilizzata per archiviare e gestire le cartelle cliniche personali come un vasto sistema di registrazione di cartelle cliniche elettroniche (EMR). Sfruttando le caratteristiche di anonimato e privacy tipiche di questa tecnologia, le cartelle cliniche personali, potrebbero essere codificate come risorse digitali e registrate sulla blockchain proprio come valute digitali, in modo tale che i singoli individui possano concedere a medici, farmacie, compagnie assicurative e altre parti l’accesso ai propri dati sanitari attraverso una chiave privata (Swan, 2015). L’integrità del dato clinico contribuirebbe alla riduzione delle ripetizioni delle analisi e dei test (che spesso vengono ripetuti in assenza di una fonte affidabile o semplicemente perché il dato non è disponibile), riducendo allo stesso tempo le possibilità di errore nel riportare un dato clinico. Dall’altro lato, una migliore e più integrata disponibilità dei dati consentirebbe un loro miglior uso da parte del medico, riducendo gli errori sia in fase di diagnosi che di formulazione della terapia più appropriata.
Infine, nei settori delle professioni legali come il notariato, la blockchain, costituendo uno strato certificato – ovvero una sorgente di autenticità – potrebbe essere utilizzata per la creazione di registri di informazioni incontestabili, certe e immutabili. Tali funzionalità notarili potrebbero essere applicate sia a risorse digitali, sia fisiche quali: risorse finanziarie (contanti, titoli, derivati, ecc.), documenti, beni di lusso, ticket e coupon[3]. In Italia, nel 2017, è stata presentata Notarchain, una Blockchain “chiusa” (resa cioè accessibile solo alla categoria dei notai), nata sulla base di una collaborazione tra IBM e il Consiglio Nazionale del Notariato, che si pone l’ambizioso obiettivo di fornire risposte alle esigenze di digitalizzazione del paese pur mantenendo le garanzie di legalità ed affidabilità garantite dal sistema notarile[4].
Come si può intuire, si tratta di fenomeni, ai quali occorre guardare con grande attenzione, in quanto potenzialmente in grado di impattare in maniera decisiva sull’economia globale. Il nostro paese, attraverso la recente adesione alla Blockchain Partnership Initiative europea, un accordo siglato in seno all’Unione Europa per condividere esperienze e competenze su tale nuova tecnologia per lo scambio di dati, sembra volersi adeguare allo “spirito del tempo” che incombe.
CAPITOLO II
CRIPTOVALUTE E BITCOIN: CONSIDERAZIONI GENERALI
2.1. breve storia monetaria: dalla moneta metallica alla moneta elettronica
La moneta, nelle sue diverse forme, ha accompagnato millenni di storia della civiltà. Si potrebbe dire, senza voler apparire avventati, che ove vi è moneta vi è civiltà e ove vi è civiltà vi è moneta. Il termine deriva dall’epiteto latino di Giunone, Moneta, l’ammonitrice[5], perché la zecca si trovava presso il suo tempio.
La storia della moneta ha però radici molto più profonde. Si ritiene, infatti, che le prime monete coniate di cui si abbia conoscenza risalgano al regno di Creso nella Lidia del VII secolo a.C.: erano fuse in una lega naturale di oro e argento (l’elettro) e modellate in forma tonda recavano un’effige su un verso. Più o meno nello stesso periodo, re cinesi iniziarono a coniare monete in bronzo, recanti anch’esse un’effige e modellate a forma di attrezzi in miniatura (la vanga, il coltello). È però plausibile che tali monete fossero motivate più da finalità di prestigio sociale che per facilitare il commercio (Terzi, 2002).
Con la diffusione dei rapporti di mercato, la moneta si diffonde attraverso tutte le più importanti rotte commerciali, dalla Cina alla Grecia, da Roma a Bisanzio, dall’India ai paesi arabi. Essa diventa un presupposto fondamentale per gli scambi in relazione alla specializzazione della produzione (Terzi, 2002).
Dopo Alessandro Magno, si stabilì l’uso di raffigurare sulla moneta la testa del sovrano, si sostiene, più per garantire il peso e la qualità del metallo che come omaggio del regnante a se stesso. A detta di Svetonio poteva però avvenire anche il contrario: alla morte dell’imperatore romano Caligola, le monete con la sua effige vennero ritirate e rifuse per dimenticare non soltanto il nome, ma anche i lineamenti del tiranno (Galbraith, 1976).
La carta moneta fa invece la sua comparsa con il fiorire del commercio cinese intorno all’XI secolo, non sfuggendo all’osservazione di Marco Polo che nel Milione ne illustra in modo dettagliato la tecnica di produzione presso il Gran Kahn, mentre l’attività bancaria si sviluppa in Italia e nel resto d’Europa a partire dal XII secolo (Terzi, 2002).
Nel XIV secolo nasce a Venezia il deposito di conto corrente presso i “banchi di scritta”, sull’isola di Rialto: esso consente di eseguire pagamenti tra mercanti senza l’uso di moneta metallica. Si tratta della “moneta di banco” che la legge riconosce essere mezzo per saldare un debito (Terzi, 2002).
Qualche secolo più tardi, a metà del XVII, si diffonde l’uso del “biglietto di banca” come sostituto delle monete metalliche nella circolazione, nella forma di credito “al portatore”. A differenza della lettera di cambio, la cui circolazione era limitata ai grandi mercati, la banconota convertibile in moneta metallica si diffonde nella società e circola come denaro contante. Ciò accade in particolar modo in Svezia, dove il Banco di Stoccolma emette banconote sostitutive delle monete di rame fino ad allora in uso e in Inghilterra (Terzi, 2002).
Successivamente, con lo sviluppo delle tecnologie di produzione e di stampa, il supporto materiale del valore monetario diviene la banconota emessa in regime di monopolio dalla banca centrale. La carta moneta, inizialmente convertibile in moneta metallica, si trasforma infine in moneta “fiduciaria” o a “corso forzoso”, ossia non convertibile che in se stessa, il cui valore si fonda esclusivamente sulla fiducia che in essa ripongono i cittadini (Terzi, 2002).
La moneta infatti per essere tale, ha necessariamente bisogno di due condizioni: una traccia scritta e la sua utilizzazione in base ad un riconoscimento sociale, ovvero l’intenzionalità collettiva (Turri, 2009).
Oggi, con il passaggio dalla società analogica a quella digitale, ci troviamo di fronte ad una progressiva smaterializzazione del denaro, il cui fenomeno viene indicato con il termine anglosassone cashless society. Si tratta, a detta di alcuni della “quarta generazione” dei sistemi di pagamento, dopo l’era della moneta legale, bancaria e scritturale, ed è rappresentata dalla c.d. “moneta elettronica”.
2.1.1. Spunti di riflessione sulla differenza tra moneta e denaro
Si è fatto appena menzione di due concetti, denaro e moneta, che sebbene apparentemente analoghi, presentano in realtà delle marcate differenze. È opportuno, prima di procedere oltre, sgomberare il campo da ogni equivoco lessicale.
Maria Grazia Turri, economista e filosofa, ritiene che mentre il denaro è un concetto ontologico, la moneta è invece un oggetto sociale. Con ciò si intende che il denaro è correlato all’agire pratico degli uomini, in quanto la sua genesi è a noi tutti ascrivibile. Esso presenta una duplice caratteristica, avendo da un lato a che fare con il tempo, in quanto senza gli esseri umani non si dà il denaro, ma dall’altro è atemporale, non avendo una nascita precisa. Esso, inoltre, prescinde dallo spazio, in quanto ciò che consideriamo denaro in Italia è denaro anche in Groellandia o in Burundi. Per la moneta è invece possibile ricostruire, seppur in modo piuttosto approssimativo, la nascita; essa ha una validità circoscritta a precisi ambiti territoriali, ed è quindi definita temporalmente e spazialmente (Turri, 2009). Il denaro opera senza legami diretti con la materia, non è una cosa fisica, ma una cosa ideale ed è un simbolo; è di conseguenza un a priori pratico, che fonda le sue radici in un’ontologia naturale, ovverosia sull’atteggiamento pratico del “fare affidamento su”, e cioè su un atteggiamento intenzionale che ha la medesima dignità del conoscere (Turri, 2009). Di converso la moneta non è un puro oggetto fisico, bensì un oggetto sociale, intendendosi con ciò lo status che un oggetto fisico può assumere grazie a un processo attuato da esseri umani: a un dato tempo si può tramite un’azione intenzionale, attribuire a un oggetto fisico una certa funzione, che a sua volta viene codificata grazie a un segno, a una traccia, che è l’elemento proprio di quell’oggetto fisico affinché questo possa essere riconosciuto come oggetto sociale (Turri, 2009). Qualsiasi oggetto sociale non solo si rende indipendente dai soggetti che lo hanno costituito, ma tale autonomia è tale che esso procede in virtù di leggi sue proprie. La condizione necessaria dell’oggetto sociale moneta, il modo in cui esso si costituisce a seguito di un atto compiuto da almeno due individui, è una iscrizione che gli conferisce una riconosciuta validità-legalità. Non a caso in alcune società primitive, la merce utilizzata come moneta veniva “segnata”, in modo tale da inibirne l’uso originario (conchiglie, sale e attualmente la firma del governatore della Banca Centrale Europea). Solamente il segno distintivo permette che la merce sia assegnata come moneta e svolga le funzioni assegnatele (Turri, 2009).
2.1.2. Le funzioni della moneta
Dal punto di vista economico, la moneta svolge tre funzioni: unità di conto, riserva di valore e mezzo di pagamento.
- Unità di conto. La moneta si usa per confrontare in maniera omogenea il valore di prodotti e servizi molto diversi tra loro, agevolando così le decisioni economiche e gli accordi contrattuali.
- Riserva di valore. La moneta permette di spostare nel tempo la quota di reddito che non viene utilizzata immediatamente per consumare beni e servizi. In altri termini, consente di conservare (risparmiare) una quota del reddito corrente per spenderlo in futuro.
- Mezzo di pagamento. La moneta può essere scambiata istantaneamente con beni e servizi: l’acquirente consegna moneta al venditore e in questo modo si libera da ogni obbligo nei confronti di quest’ultimo che, accettandola, ne riconosce il valore[6].
Tali funzioni si ritiene siano in qualche modo collegate, ma sono concettualmente distinte. In linea di massima la tradizione teorica classica e neoclassica, considerano preminente nella moneta il suo ruolo di mezzo di scambio. Economisti come Adam Smith, sociologi come Mark Spencer e filosofi come Georg Simmel, hanno fatto dipendere la divisione del lavoro e la relazione tra soggetti dalla propensione allo scambio e hanno implicitamente assunto che il linguaggio umano rappresenti l’indicatore della natura scambista dell’uomo. Da questa concezione sulla struttura intrinseca dell’uomo al definire la moneta prevalentemente come mezzo di scambio il passo è stato breve (Turri, 2009).
La teoria Keynesiana considera invece fondamentale il ruolo di fondo di valore della moneta, alternativo a quello di altre attività finanziarie, ponendo però in evidenza le caratteristiche di liquidità della moneta. La nozione di liquidità presenta diversi gradi di intensità nei diversi strumenti monetari. Ne sorge la possibilità di considerare in qualche modo sostituibili diversi strumenti monetari in relazione alla loro funzione di fondo di valore, tenuto conto del loro grado di liquidità. In tal modo la classe di strumenti inclusi nell’ “aggregato moneta” può espandersi in maniera considerevole e la definizione di tale aggregato risulta convenzionale e rispondente alle diverse necessità dell’analisi. Quando lo spettro delle attività monetarie si amplia fino ad includere tutti i mezzi in qualche modo molto liquidi, ritenendo sostanziale la sostituibilità tra di essi, il concetto di moneta diviene evanescente e a esso tende a sostituirsi la nozione di liquidità (Arcelli, 1996).
2.2. La rivoluzione “Cashless”
Evoluzione tecnologica e digitalizzazione appaiono oggi come i grandi “game changer”, capaci di impattare sulla quotidianità delle attività economico-produttive e sulla vita delle persone. In tale contesto, il settore dei pagamenti è tra quelli che meglio esprimono le potenzialità e i benefici collegati all’innovazione. Sull’onda della trasformazione digitale e dello sviluppo di nuovi servizi (ad esempio, l’e-commerce), gli strumenti di pagamento alternativi al contante (“cashless”) stanno infatti assumendo un ruolo sempre più determinante per il business e la società.
A livello normativo l’accezione di moneta elettronica (ME) è indicata dall’art 2, n. 2) della direttiva 2009/110/CE: “valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento […] e che sia accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dall’emittente di moneta elettronica”. A tale fenomeno sono essenzialmente riconducibili le carte prepagate e i dispositivi virtuali a «spendibilità generalizzata», che variamente denominati, sono ormai sempre più spesso utilizzati anche nel commercio online, per l’esecuzione di pagamenti agli esercenti convenzionati (Guerrieri, 2015).
The European House – Ambrosetti[7] ha fondato la Community Cashless Society che ha tra gli obiettivi, attraverso l’Osservatorio Cashless Society, quello di esaminare l’evoluzione dello scenario dei pagamenti elettronici, in Italia e nel mondo, mettendo a punto gli strumenti di metodo ed analisi – come il Cashless Society Index (CSI) e il Cashless Society Speedometer (CSS), elaborati dalla Community a partire dal 2016 – per monitorare i risultati dell’Italia nel confronto con i principali competitor internazionali e valutare il contributo dei pagamenti elettronici allo sviluppo del Paese. I risultati del lavoro svolto nel secondo anno di attività della Community sono sintetizzati nel Rapporto del 2017.
Dal Rapporto emerge che all’incremento e allo sviluppo dei pagamenti elettronici, grazie alla loro tracciabilità, efficienza e sicurezza, sono associati molteplici benefici: la riduzione dei costi del contante (oggi in Italia pari a circa 10 miliardi di euro all’anno), l’emersione dell’economia sommersa e il recupero dell’IVA, l’incremento dei consumi e, più in generale, lo stimolo all’innovazione e alla modernizzazione. Nonostante ciò, in Italia il contante in circolazione continua ad aumentare (da 128 a 182 miliardi di euro tra 2008 e 2015) ed è cresciuto del 6,9% nel periodo 2014-2015. Il posizionamento dell’Italia è tra i più negativi per incidenza del contante sul sistema economico, anche nel confronto globale. Il nostro Paese è infatti venticinquesimo al mondo per cash intensity (intesa come rapporto tra il valore del contante in circolazione e PIL) tra le 131 economie prese in considerazione e il secondo peggiore Stato Membro dell’UE-28 (dopo la Bulgaria): 11,2% rispetto al 9,7% dell’Eurozona.
Avere un’economia fortemente cash-based rappresenta un freno alla modernizzazione e alla competitività del Paese e genera costi ed esternalità negative. La Banca d’Italia ha stimato che i costi derivanti dall’utilizzo del contante nel nostro paese (2012 su dati riferiti all’anno 2009) sono pari 15 miliardi di euro (1% del PIL nazionale, 260 euro in termini pro-capite). Uniformandosi all’incidenza media nell’Unione Europea dei costi del contante sul PIL, con un maggiore utilizzo dei pagamenti elettronici, l’Italia potrebbe avere un risparmio fino a 1,5 miliardi di euro all’anno.
Al maggior utilizzo del contante si accompagna poi una quota maggiore di economia sommersa. Si ritiene che un aumento del 10% annuo delle transazioni elettroniche per almeno 4 anni consecutivi porterebbe ad una riduzione dell’economia sommersa pari ad almeno il 5%. Si tratta di un beneficio cospicuo, considerando che l’economia sommersa italiana si attesta attorno al 21% del PIL, con un’evasione fiscale e contributiva pari a 111,6 miliardi di euro nel 2014 (7% del PIL nazionale).
I pagamenti cashless stimolano inoltre i consumi e l’attività economica[8], in quanto offrono un sostanziale contributo alla sicurezza delle transazioni. L’incidenza delle frodi sulle transazioni con carte di pagamento nel nostro paese è relativamente bassa (5,9 ogni 1.000 carte). In relazione al pagamento in contanti e più in generale ai sistemi di pagamento fisici, le rapine denunciate nel corso del 2015 sono state quasi 35.000[9], mentre nel solo secondo semestre del 2016 la Banca d’Italia ha riconosciuto false quasi 75.000 banconote.
Lo sviluppo dei pagamenti online, da ultimo, stimola l’innovazione e la value chain innovativa legata ai pagamenti digitali e all’economia. Il mondo delle transazioni elettroniche comprende infatti numerosi attori appartenenti a diversi settori (da quello bancario a quello delle infrastrutture fisiche e digitali, dagli schemi di pagamenti alle start-up fintech, dalla sicurezza al retail marketing). Dalle innovazioni che nascono all’interno della filiera dei pagamenti originano tecnologie e modelli di business di cui beneficia l’intero sistema economico, come nel caso dell’accessibilità legata ai pagamenti mobile, dell’offerta di servizi a valore aggiunto, dello sviluppo della tecnologia blockchain dei bitcoin (i quali appartengono però alla differente categoria delle criptovalute).
2.3. Cybermoneta, moneta elettronica, valute virtuali, valute digitali: un mutamento nel concetto di moneta
Il presente paragrafo ha come obiettivo quello di far luce sulle varie differenze nei concetti di moneta elettronica, cybermoneta (o criptovaluta), valuta virtuale, valuta digitale.
2.3.1. Cybermoneta e moneta elettronica
Bitcoin non rientra nella categoria di moneta elettronica, ma di cybermoneta (o criptovaluta). La moneta elettronica costituisce, infatti, un surrogato elettronico di monete metalliche e banconote, destinato ad effettuare pagamenti di importo limitato, mediante il trasferimento di fondi da persona a persona in modo scritturale, ma senza supporto fisico. Essa si distingue da altri sistemi di pagamento di uso corrente in quanto, a differenza delle carte di pagamento tradizionali, il valore monetario è direttamente incluso nell’oggetto virtuale, per cui il pagamento non presuppone alcuna registrazione da conto a conto e il possesso di moneta elettronica non richiede che l’utente sia titolare di un conto bancario. In quanto strumento di pagamento elettronico che incorpora un valore monetario equivalente all’ammontare dei fondi ricevuti dal soggetto emittente, la moneta elettronica può essere memorizzata sia su una carta a microchip, che sulla memoria di un dispositivo elettronico, ed è accettata come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente. Per le sue caratteristiche può essere considerato uno strumento di pagamento alternativo al contante (Capogna et al., 2015).
I bitcoin mancano invece di collegamento con una moneta reale e ciò comporta che:
- questa valuta dipenda da un tasso di cambio specifico non legato ad
una moneta tradizionale perché legata al semplice rapporto tra domanda/offerta;
- la mancanza di un collegamento con una moneta tradizionale potrebbe
rendere complessa la sua conversione in moneta reale;
- il controllo della moneta è rimesso ai privati.
Inoltre, mentre gli strumenti di pagamento tramite moneta elettronica sono emessi da banche e Istituti di moneta elettronica, sottoposti a notevoli controlli da parte delle competenti autorità bancarie (Banca d’Italia, Banca Centrale Europea, Autorità bancaria europea), ciò non avviene con riferimento ai bitcoin. La stessa peculiarità è relativa alle transazioni in bitcoin, che si verificano al di fuori dei canali bancari (Capogna et al., 2015).
2.3.2. Le prime valute virtuali e la differenza con le con le valute digitali
La nascita delle prime monete virtuali si ricollega senza dubbio alla seconda fase di sviluppo e diffusione di Internet (web 2.0), risalente all’incirca al 2005 e caratterizzata da un forte incremento nell’interazione tra sito e utente, con il passaggio da un atteggiamento passivo ad uno attivo di quest’ultimo. I fruitori del web sono diventati essi stessi autori del web attraverso chat, blog, forum, wiki; la condivisione delle informazioni è divenuta più efficiente attraverso strumenti peer to peer[10]o con sistemi di diffusione di contenuti multimediali come Youtube[11].
Tale evoluzione del web ha portato alla creazione di veri e propri “mondi virtuali” interattivi come i MMPORG (“Massive Multiplayer Online Role-Playing”), giochi di ruolo svolti in rete contemporaneamente da più persone. Tra i più celebri si ricordano senza dubbio “War of Warcfraft” e “Second-Life”. Il progredire di tali “mondi” ha contribuito allo sviluppo di vere e proprie economie virtuali e sistemi sociali. Da “Second-life” sono sorte delle monete virtuali dette “Linden Dollar”, tali da fondare un’economia reale nel virtuale, creare mercati e siti per lo scambio di tali valute[12] e una metavaluta (Open Metaverse Currency) usata per comprare o vendere beni o servizi in contesti virtuali, accettata dai diversi mondi virtuali (Capaccioli, 2015). Le monete virtuali riprendono in parte la filosofia delle valute complementari, intendendo per tali gli strumenti di commutazione con cui è possibile scambiare beni e servizi affiancando il denaro ufficiale (rispetto al quale sono complementari) (Capaccioli, 2015). Tali tipi di moneta sono diffuse un po’ in tutto il mondo ma in modo particolare in Gran Bretagna, ove l’esempio più noto è quello del Brixton pound, moneta complementare che circola nell’ambito della comunità di Brixton, nel sud est di Londra (zona nota per la vivacità culturale e per la composizione multietnica della popolazione, con significativa e risalente presenza di immigrati delle Indie Occidentali) (Lemme, Peluso, 2016). Tali tipi di moneta non hanno corso legale e sono accettate su base volontaria (Capaccioli, 2015).
I termini valuta virtuale e valuta digitale sono, di frequente, usati come sinonimi e per ciò considerati erroneamente intercambiabili. Mentre tutte le valute virtuali sono senz’altro anche monete digitali, non è altrettanto vero il contrario. Vi sono infatti alcune monete digitali (ad es. le criptovalute) che non possono essere considerate delle valute virtuali. Le valute digitali non sono altro che valute memorizzate elettronicamente. Per ciò ogni tipo di forma di denaro rappresentato in forma binaria (0 e 1) soddisfa questa definizione (Capaccioli, 2015). La prima valuta virtuale (E-Gold), apparve nel 1996 e permetteva di aprire conti espressi in grammi di oro e trasferirli.
Un caso particolarmente interessante, fu quello di Liberty Reserve, fondata intorno al 2001 ed incorporata in costa Rica nel 2006. Liberty Reserve era sostanzialmente un servizio centralizzato di moneta digitale che permetteva trasferimento di denaro, in quasi totale anonimato[13]. Il denaro perveniva tramite carta di credito o bonifica bancario, veniva “convertito” in Dollari Liberty Reserve o Liberty Reserve Euro, senza alcun limite. I servizi offerti erano molteplici, ma il principale riguardava le transazioni (irrevocabili), effettuate da utente ad utente (non verificati né identificati) con una commissione dell’1% su ogni trasferimento. Il sito è stato sequestrato, a seguito di un’indagine internazionale che ha coinvolto 17 paesi, per aver effettuato transazioni per 6 miliardi di dollari provenienti da attività criminali collegati a reati di frode di carta di credito, furto d’identità, frodi di investimento, pirateria informatica, pedopornografia e traffico di stupefacenti (Capaccioli, 2015).
2.3.3. Le criptovalute: dal movimento “Cypherpunk” ai bitcoin
L’invenzione del concetto di criptovaluta è ricollegabile alla nascita del movimento dei Cypherpunk, verso la fine degli anni’80, negli USA. Tale movimento aveva come obiettivo l’utilizzo della crittografia e di altre tecnologie, al fine di tutelare e migliorare la privacy di ciascun individuo. Il movimento comunicava grazie ad una serie di mailing lists[14] crittografate e sicure (Centomo, 2017). Le idee di tale movimento furono in particolare portate avanti da David Chaum, inventore di DigiCash (chiusa nel 1999), prima impresa ad integrare la crittografia con la moneta al fine di rendere anonime le transazioni con un sistema di emissione centralizzato e di compensazione (Capaccioli, 2005). DigiCash era una forma di pagamento elettronico anticipato: richiedeva il software utente per prelevare banconote da una banca e designare chiavi crittografate specifiche (una pubblica e una privata) da inviare al destinatario. Così facendo sarebbe stato impossibile per le banche o per i governi rintracciare gli utenti che facevano capo solamente ad una stringa alfanumerica (Centomo, 2017).
Nel novembre del 1998, Wei Dai, un ingegnere informatico, pubblicò un paper nel quale descrisse la sua idea di criptovaluta: “b-money, un sistema di cassa elettronico anonimo e distribuito”. All’interno del documento[15] pubblicato sulla mailing list dei cypherpunks, Dai propose due protocolli. Il primo, permetteva a ogni partecipante di mantenere un database separato, contenente la quantità nominale di denaro appartenente all’utente stesso. Il secondo, invece, aveva una variante rispetto al primo sistema: il conteggio dell’ammontare di denaro posseduto da ciascun utente era delegato a un sottoinsieme di partecipanti, che grazie ad un incentivo economico (secondo la teoria dei giochi), erano motivati a comportarsi in maniera onesta (Centomo, 2017).
Nel dicembre 2005 Szabo, il blogger, crittografo e inventore degli smart-contracts[16], nella ormai famosa mailing list, pubblicò la proposta di Bit Gold: una valuta digitale basata sul sistema RPOW[17]. Tale sistema inventato dal programmatore Hal Finney si basava su token crittografici[18] utilizzabili una sola volta.
La proposta di Bit Gold descriveva un sistema decentralizzato di PoW, dove ognuno, grazie all’utilizzo del timestamping[19] e della firma digitale, possedeva una chiave pubblica propria. Tuttavia, Szabo non propose un meccanismo per limitare l’offerta totale di Bit Gold, ma piuttosto pensò che le unità sarebbero state valutate in modo differente, ossia in base alla quantità di lavoro computazionale svolto per crearle (Centomo, 2017).
Il 31 ottobre 2008, a 11 anni dalla proposta di Wei Dai, apparve un articolo in una mailing list, da parte di un tale Satoshi Nakamoto (presumibilmente uno pseudonimo), che descrisse la prima criptovaluta, il bitcoin (Capaccioli, 2015). Nakamoto aveva compreso le potenzialità delle precedenti idee ed era riuscito a cogliere il meglio da ciascuna di esse, creando così un progetto totalmente innovativo: la blockchain. Con questo sistema, Nakamoto, ha risolto la maggior parte dei problemi riscontrati precedentemente negli altri progetti (Centomo, 2017).
2.4. Bitcoin: di cosa realmente si tratta?
Andreas Antonopoulos, uno dei più capaci divulgatori al mondo sul tema delle monete matematiche, nonché noto imprenditore e finanziatore della tecnologia blockchain (Guttmann, 2014) nel suo “Mastering Bitcoin” definisce il sistema Bitcoin come “una raccolta di principi e tecnologie che costituiscono la base di un ecosistema di denaro digitale. Le unità di valuta chiamate bitcoin vengono utilizzate per memorizzare e trasmettere valori tra i partecipanti alla rete bitcoin. Gli utenti di Bitcoin comunicano tra loro usando il protocollo Bitcoin principalmente via Internet, sebbene possono anche essere usate altre reti di network”. Aggiunge che gli utenti hanno la possibilità di trasferire bitcoin sulla rete per fare praticamente tutto ciò che può essere fatto con le valute tradizionali, come comprare e vendere beni, inviare denaro a persone o organizzazioni o estendere il credito. La tecnologia di Bitcoin include funzionalità basate su chiavi crittografiche e firme digitali per garantire la sicurezza della rete bitcoin. I bitcoin possono essere acquistati, venduti e scambiati con altre valute in borse di valute specializzate. Bitcoin è dunque in un certo senso è la forma perfetta di denaro per Internet perché è veloce, sicuro e senza limiti (Guttmann, 2014).
Il sistema Bitcoin sembra dunque unire i vantaggi della moneta elettronica e quelli del contante. Al pari di un bonifico bancario, consente pagamenti a distanza, ma come un pagamento in contanti, è (pressoché) istantaneo e non comporta costi né per chi lo effettua né per chi lo riceve. Come una banconota, è anonimo in quanto non richiede che siano rese note le identità delle controparti né la causale del pagamento; ma essendo digitale, ossia un puro numero, divisibile e moltiplicabile a piacere, consente trasferimenti per qualunque importo. Come una carta di pagamento, Bitcoin permette di pagare in tempo reale e in maniera sicura qualunque importo in qualunque parte del mondo; ma, in analogia col contante, non richiede l’intervento preventivo di un intermediario per certificare la disponibilità dei fondi e per autorizzare la transazione (Amato, Fantacci, 2016).
I costi di transazione risultano inoltre significativamente ridotti: 1% del valore della transazione rispetto al 2-4% dei sistemi di pagamento elettronici tradizionali (EBA, 2014).
Il principale merito, rivendicato dai suoi sviluppatori è stato quello di aver liberato i pagamenti elettronici dalla necessità di passare attraverso il sistema bancario, consentendo il trasferimento diretto di moneta elettronica tra utenti, secondo un sistema peer to peer, senza ritardi e senza oneri (Amato, Fantacci, 2016).
Ci si chiede, dunque, per quale motivo Bitcoin non si sia imposto con maggior forza sui sistemi di pagamento tradizionali. La risposta appare abbastanza semplice: Bitcoin è un sistema di pagamenti che, a differenza del sistema bancario e dei circuiti di carte di credito, non consente di trasferire euro o dollari o altre valute[20], ma soltanto bitcoin. Bitcoin non è infatti solo un sistema di pagamenti, ma anche una moneta. Bitcoin può essere utilizzato soltanto per trasferire bitcoin; se si vuole beneficiare dei vantaggi offerti da Bitcoin come sistema di pagamento bisogna accettare di utilizzare bitcoin come moneta (Amato, Fantacci, 2016).
Il bitcoin differisce dalla moneta di banca centrale non soltanto perché immateriale, impalpabile, astratto. Il bitcoin possiede un’altra fondamentale caratteristica che lo differenzia da ogni altra moneta da noi oggi utilizzata, ossia tanto dalla moneta scritturale creata dalle banche commerciali quanto dalla moneta metallica o cartacea emessa dalle banche centrali: è un attivo per chi lo detiene senza essere al contempo il passivo di nessun altro. I soldi che siamo soliti tenere in banca sono invece un attivo per noi, ma per la banca costituiscono un passivo, ossia un debito, che la impegna a convertire il nostro credito (il denaro che abbiamo sul conto) in contanti. In tale prospettiva, bitcoin è più simile all’oro che alla moneta legale. Anche l’oro, infatti, è un attivo di chi lo possiede ma non è il passivo di nessuno. Il detentore di bitcoin, come un possessore d’oro, è un “creditore senza debitori”. Il bitcoin, come l’oro, ha un potere di acquisto effettivo soltanto se c’è qualcosa da acquistare e qualcuno disposto a ricevere bitcoin o oro in cambio di qualcosa di (più) utile (Amato, Fantacci 2016). Come il valore dell’oro, anche quello dei bitcoin non dipende dall’impegno della banca centrale a non eccedere nell’emissione, né dall’accettazione obbligatoria per il pagamento delle tasse e dei debiti privati, ma deriva unicamente dalla sua scarsità e dalla libera accettazione degli utenti. Diversamente dall’oro, la cui scarsità è un dato naturale, legato alla finitezza della risorsa e alla difficoltà della sua estrazione, nel caso di bitcoin si ha una scarsità artificiale assicurata dal protocollo informatico che fissa arbitrariamente la sua quantità (Amato, Fantacci 2016). Il numero di bitcoin emessi nel tempo è definito a priori nel protocollo, in maniera tale da far crescere la quantità totale molto rapidamente all’inizio e poi sempre più lentamente fino a stabilizzarsi asintoticamente sotto la soglia di 21 milioni intorno al 2030 (figura 2.1).
Fig. 2.1: crescita della quantità di bitcoin nel tempo (in milioni)
Fonte: https://www.finaria.it/criptovalute/bitcoin-opinioni/
2.5. Le radici del concetto di Bitcoin: la scuola austriaca
Le radici dell’idea che sta alla base del sistema Bitcoin (e di altre criptovalute) affondano nel pensiero della scuola austriaca. Tale corrente aveva come pilastri delle sue costruzioni teoriche l’avversione ai governi e alle banche centrali, il giudizio negativo riguardo gli effetti dell’inflazione e il libertarianismo.
Bitcoin è chiaramente figlio di una concezione economica ben precisa, estremamente ostile all’intervento delle banche centrali, tornata alla ribalta dopo la crisi del 2008 e gli interventi di quantitative easing ed easy money messi in atto dalla FED e da altre banche centrali in giro per il mondo.
Friedrich von Hayek, nella sua opera “The Denationalization of Money” del 1976, paventava la fine del monopolio governativo nell’emissione di moneta, suggerendo che istituzioni private avrebbero dovuto stampare il proprio denaro indipendentemente, competendo nel mercato con altre valute private. Sembra esserci in tal caso una vera e propria corrispondenza tra le tesi del premio Nobel austriaco e il sistema Bitcoin. D’altro canto, in relazione alle quattro funzioni classiche della moneta (mezzo di scambio, unità di conto, riferimento per pagamenti dilazionati e riserva di valore), Hayek (1976) riteneva che l’instabilità monetaria metteva a rischio gli ultimi tre usi della moneta, indicando anche la non-desiderabilità di una moneta deflazionistica.
Essendo Bitcoin estremamente volatile, non sarebbe in grado di garantire tutte e quattro le funzioni fondamentali della moneta, ma solo quella di mezzo di scambio. La volatilità insita nel sistema Bitcoin proviene dal fatto che chi ha creato questa valuta digitale aveva intenzione di contrastare l’inflazione togliendo potere alle banche centrali, ritenendo che irrigidire la creazione di moneta sarebbe stato l’unico sistema per ottenere questo fine. In circostanze tali, Hayek avrebbe teorizzato che delle ipotetiche banche d’emissione di monete private avrebbero dovuto intervenire nel mercato, riducendo o aumentando la liquidità in circolazione con l’obiettivo di mantenere più stabili i prezzi. Solo così facendo Bitcoin avrebbe potuto essere accostato a ciò che consideriamo moneta. Gli aderenti alla scuola austriaca avrebbero apprezzato però che Bitcoin, grazie alla sua innovazione, ha dato vita ad un mercato (quello delle criptovalute) che in futuro potrebbe portare ad una concorrenza di valute private.
2.6. Il funzionamento della tecnologia blockchain
Nel sistema monetario conosciuto, la moneta elettronica non è altro che una disponibilità di potere d’acquisto registrata su un conto presso una banca. Un pagamento in moneta elettronica, per esempio per l’acquisto di un bene, non comporta il trasferimento fisico di denaro, ma semplicemente la riduzione del saldo dell’acquirente e il contestuale aumento del saldo del venditore per un importo corrispondente. Il trasferimento di moneta scritturale si perfeziona attraverso una semplice scrittura. Ad ogni modo, la presenza di una banca come intermediario, in questo schema, è fondamentale poiché spetta alla stessa banca attestare l’effettiva disponibilità dei fondi in capo all’acquirente, ricevere ed eseguire l’ordine di pagamento, addebitando il conto dell’acquirente e accreditando il conto del venditore, notificare ad entrambi l’avvenuto pagamento e la conseguente variazione dei rispettivi saldi (Amato, Fantacci, 2016).
L’inventore di Bitcoin ha invece proposto un sistema di pagamento elettronico basato su prove di crittografia, invece che di fiducia, permettendo alle parti di negoziare direttamente tra loro senza bisogno di un soggetto terzo (Capoti, Colacchi, Maggioni, 2015).
L’innovazione fondamentale di Bitcoin, in quanto tecnologia a supporto del sistema dei pagamenti, consiste nel distribuire la tenuta dei conti: il libro contabile dove sono registrate tutte le transazioni non è più tenuto da una singola banca, o dal sistema bancario nel suo complesso, bensì da ciascuno degli utenti nella propria memoria locale. In questo modo il registro, oltre ad essere decentrato è anche distribuito in una rete in cui nessun nodo è centrale. Tale libro contabile distribuito (distribuited ledger) è ciò che viene chiamato blockchain (Amato, Fantacci, 2016). La blockchain è quindi sia un database distribuito che contiene tutte le transazioni Bitcoin dall’inizio (3 gennaio 2009) sia un metodo per proteggere questo database (Franco, 2014).
In sintesi, si tratta dunque di un registro transnazionale sicuro, condiviso da tutte le parti che operano all’interno di una data rete distribuita di computer. Registra e archivia tutte le transazioni che avvengono all’interno della rete, eliminando in definitiva la necessità di terze parti “fidate”.
2.7. La validazione delle transazioni attraverso l’attività di mining
Il mining di bitcoin non è altro che la serie di calcoli matematici che i computer connessi alla rete Bitcoin elaborano per confermare le transazioni e incrementare la sicurezza. Come ricompensa per i loro servizi, “i minatori” hanno diritto alle commissioni sulle transazioni che verificano, in aggiunta ad un premio che consiste nei nuovi bitcoin creati. L’attività di mining è un mercato specializzato e competitivo, in cui le ricompense sono redistribuite proporzionalmente alla quantità di calcolo messa a disposizione (Guttmann, 2014).
Uno dei vantaggi del meccanismo di mining è stato quello di premiare i primi utenti Bitcoin per supportarne il network. Ciò è risultato particolarmente importante all’inizio, quando Bitcoin si è avviato in modo piuttosto rilevante. Non avendo infatti Bitcoin una società che lo supporta, il marketing necessitava di uno sviluppo in qualche modo “virale” e ciò sarebbe stato impossibile senza il supporto dei primi utenti. Stabilire un premio per i “minatori” è stato un modo per “arruolarli”, attraverso una rete passaparola (Franco, 2014).
Il merito attribuito a Nakamoto è stato quello di aver evitato, in un sistema monetario privo di un’autorità centrale, che una somma di denaro sia spesa due volte, in quanto ciò equivarrebbe di fatto alla creazione di nuova moneta.
In un sistema come quello delle carte di credito, come abbiamo già avuto modo di notare, questo non sarebbe un problema: essendoci un’autorità centrale che presiede a tutte le transazioni, la prima spesa che viene ricevuta è quella che viene registrata e la seconda viene rifiutata. Il sistema che governa le transazioni dei bitcoin invece è decentralizzato e coinvolge server e pc distribuiti su tutto il pianeta che, per normali problemi di latenza della rete Internet, possono essere in disaccordo su quale delle due spese sia quella legittima (Faccini, 2017). Per uscire da questa empasse il protocollo Bitcoin prevede un ingegnoso stratagemma, chiamato proof-of-work (prova-di-lavoro) che, per registrare (quindi rendere effettive) un certo numero di operazioni di transazione di bitcoin, prevede che prima venga compiuto un lavoro “faticoso”. In termini informatici è un lavoro che prevede una enorme quantità di calcoli da parte di molti processori informatici che gareggiano per scoprire un “segreto” matematico. La ricerca di questo “segreto” non è altro che il ‘mining‘ (estrazione mineraria). Chi trova il “segreto” per primo è quello che registra definitivamente un blocco di nuove transazioni nel registro pubblico (la blockchain). Questo meccanismo inoltre evita che un miner disonesto possa accettare entrambe le spese registrandole nella blockchain, perché per farlo dovrebbe scoprire il segreto prima di tutti gli altri utenti onesti e l’unico modo per avere qualche possibilità sarebbe avere a disposizione più processori (ed elettricità) di tutti gli altri (Faccini, 2017).
Il mining è dunque un’attività, che garantisce il corretto funzionamento del sistema Bitcoin, ma che è onerosa in termini economici (hardware ed elettricità impiegati) per chi la compie e deve essere incentivata. Ecco quindi che i “miners” sono ricompensati con nuovi bitcoin ogni volta che individuano un segreto ‘chiudendo’ un blocco. In pratica l’attività di mining è l’unica che garantisce l’immissione controllata di nuovi bitcoin. La quota immessa in questo modo si dimezza ogni quattro anni e attualmente è di 12,5 bitcoin ogni dieci minuti (l’ultimo dimezzamento c’è stato nel 2016, quindi il livello dell’attuale ricompensa durerà sino al 2020). Ciò garantisce che ci sia un numero massimo teorico di bitcoin (i 21 milioni citati sono il risultato di una serie geometrica convergente), sia un continuo incentivo per i miners che sostengono il sistema (Faccini, 2017). I “minatori” quindi elaborano le transizioni utilizzando degli hardware specializzati, raccogliendo in cambio nuovi bitcoin. Il protocollo è ideato in modo tale che i nuovi bitcoin siano creati con una velocità standard, a un tasso decrescente e prevedibile; ciò rende l’attività “di estrazione” piuttosto competitiva. Quanti più “minatori” si uniscono alla rete tanto diventa più difficile fare profitti.
Inizialmente i singoli operatori erano in grado di svolgere questa attività da soli, ma oggi l’estrazione dei bitcoin richiede capacità di calcolo così avanzate e complesse che solo gruppi di operatori che uniscono i loro potenti sistemi hardware, chiamati “mining pools”, possono riuscirci. I “Bitcoin Mining Pool” sono dunque dei servizi che permettono di utilizzare la tecnologia del calcolo distribuito per ottenere bitcoin. Iscrivendosi a uno di questi e utilizzando appositi client[21] è possibile dividere il carico di lavoro del mining (e di conseguenza le criptovalute “estratte” dalla rete) con i computer di altri utenti collegati in remoto, pagando naturalmente delle commissioni (Marro, 2017).
2.7.1. I costi energetici del mining
Si è detto dunque che l’attività di mining richiede un’ingente potenza di calcolo, necessaria per processare la complessa crittografia che garantisce la sicurezza delle transazioni in bitcoin. La potenza di calcolo, e dunque anche l’energia elettrica consumata, non è altro che il costo fisico per la produzione di bitcoin. Faccini (2017) ha condotto una ricerca sui costi energetici di tale attività. La Potenza di calcolo (hash rate, ogni hash è un singolo calcolo per tentare di indovinare il segreto) e il consumo elettrico risultano essere correlati; è possibile utilizzare due diversi metodi di stima.
Il primo, potrebbe consistere nel ricostruire l’intero numero dei calcolatori dedicati al mining per determinare l’efficienza media di calcolo e moltiplicare per l’hash rate globale. L’ultima stima disponibile per fine luglio 2017 [22] si attesta così sui 7-8TWh all’anno di elettricità, più o meno quanto produce una centrale nucleare da 1000MW.
Il secondo metodo prevede di fare metaforicamente i conti in tasca ai miners[23]. In tal caso l’ordine di grandezza non cambia, anche se si ottiene una stima doppia, attualmente intorno ai 16TWh/a. Tale stima risulta pari al consumo energetico della Tunisia o della Corea del Nord, ed equivalente a circa il 5% del consumo nazionale italiano. Come si può notare nella figura 2.2. Se il sistema Bitcoin fosse una nazione, sarebbe la 78esima (su 196) per consumi di energia elettrica.
Figura 2.2: confronto tra consumi elettrici annuali di vari stati con il sistema Bitcoin, in TWh.
Fonte: www. Digiconomist.net.
Il problema è che il sistema Bitcoin è ancora marginale nell’economia, e gestisce un numero basso di transazioni rispetto ai sistemi tradizionali: con circa 300.000 transazioni al giorno, per una sola transazione di bitcoin si consumano ben 146kWh elettrici, per un costo che in Italia sarebbe di circa 20€ ed equivale al consumo giornaliero di 20 famiglie[24]. Ciò che realmente spaventa è che tale vera e propria “follia energetica” non sembra avere segni di rallentamento. Uno studio di aprile 2017 del Cambridge Centre for Alternative Finance [25], individua un guadagno di due miliardi di dollari per i miners nel solo 2016. Il costo per il consumo di energia elettrica viene invece stimato ora in circa 1 miliardo di dollari. Tutto ciò fa sicuramente salire dei dubbi circa l’utilità dell’utilizzo delle criptovalute a fronte di questo spreco energetico, soprattutto se si pensa che il circuito delle carte di credito VISA, nato nel 1958, gestisce un numero di transazioni al giorno che supera di 700 volte quello del Bitcoin e consuma complessivamente 30 volte di meno [26].
La società di Singapore NewEra Energy ha ideato Carbon Grid Protocol. Si tratta sostanzialmente di un complesso sistema di algoritmi informatici che permettono di calcolare per ogni pagamento in bitcoin la quantità corrispondente di “diritti di emissione” di CO2 (si tratta dei carbon credit), che poi possono essere scambiati su un mercato digitale ricorrendo alla stessa blockchain. Il sistema presenta due vantaggi: consente agli utenti di assumere una maggiore consapevolezza sull’impatto ambientale delle proprie operazioni in rete, una sensibilità che spesso sfugge per via dell’apparente semplicità d’uso della tecnologia. In secondo luogo, il sistema contiene l’aumento delle emissioni climalteranti generando una vera e propria compravendita di crediti basata su un meccanismo di compensazione: in sostanza, a partire da un tetto massimo prestabilito di emissioni per utenza, chi emette meno CO2 può vendere i diritti in eccedenza, chi ne emette di più è costretto ad acquistarne[27].
2.8. Possibili attacchi informatici alla rete Bitcoin
Si è visto come il sistema Bitcoin sia sostanzialmente protetto dai miners (i computer che elaborano le transazioni di rete) che concordano le transazioni sul libro mastro condiviso (la blockchain). La blockchain si basa infatti sul proof-of-work (prova-di-lavoro) che, per registrare (quindi rendere effettive) un certo numero di operazioni di transazione di bitcoin, prevede che prima venga compiuto un lavoro “faticoso” in termini di potenza computazionale (Faccini, 2017). Questo sistema serve ad evitare il problema della doppia spesa ovvero la possibilità che un determinato utente possa spendere due volte lo stesso bitcoin (double spending)[28].
Una potenziale minaccia per Bitcoin può derivare dal cosidetto “attacco 51%”, che avviene quando un’organizzazione riesce a controllare la maggioranza della potenza di mining del network. Un attacco 51% permetterebbe infatti all’organizzazione di scrivere a proprio piacimento l’ordine delle transazioni e consentire la double spending[29]. È chiaro che un simile attacco non andrebbe a danneggiare direttamente i possessori della criptovaluta, in quanto a questi non verrebbero rubati bitcoin già in loro possesso, ma andrebbe a danneggiare gli utenti a cui i bitcoin minati dal momento dell’attacco e fino al suo termine sarebbero inviati[30].
Tuttavia, tentare di prendere il controllo della rete con un attacco del 51% non è però una garanzia di successo anche avendo a disposizione una grande potenza computazionale non garantendo la piena potenza sulla rete bitcoin in quanto più si va indietro nelle transazioni sulla blockchain, più il sistema rimane al sicuro contro questo tipo di attacco. Realisticamente, dunque, un utente malintenzionato sarebbe in grado di modificare le transazioni solo negli ultimi blocchi[31].
Nel 2014 luglio del 2014 è però accaduto che, la mining pool Ghash.io aveva ottenuto il controllo del 55% della rete di Bitcoin. La pool tuttavia, resasi conto della minaccia, ha volontariamente ridotto la propria potenza di mining per riportare la soglia di controllo sotto al 40%[32].
2.9. Aspetti normativi rilevanti
Nel seguente paragrafo vengono affrontati aspetti propriamente normativi. Una prima difficoltà risiede nell’identificare la natura giuridica delle criptovalute, risultando in tal modo complicato individuarne la normativa vigente applicabile.
A livello di regolamentazione europea non è ancora stata creata una normativa ad hoc. L’intenzione sembra essere quella di valutare le conclusioni del G20 del prossimo marzo, per elaborare una strategia comune con le altre “potenze” mondiali in modo da regolamentare il fenomeno in maniera omogenea.
Nel nostro paese le criptovalute trovano, per ora, la loro regolamentazione unicamente in relazione alla normativa sul contrasto al riciclaggio di denaro dopo l’entrata in vigore del Dlgs. 90/2107
2.9.1. Criptovalute: alla ricerca della natura giuridica
Partendo dal concetto di moneta, come si è già avuto modo di chiarire, questa può assumere tre funzioni essenziali: mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore. Altro tipo di classificazione praticabile è quella che vede la moneta come:
- merce (commodity money), ad esempio oro e argento, con quantità limitata per natura e spinte deflazionistiche.
- Moneta rappresentativa (representative money), che consiste in moneta che può essere scambiata per moneta merce in tutto o in una determinata quantità (backed asset money);
- moneta fiat, che non ha alcun valore intrinseco, non è garantita o scambiabile in alcuna merce, messa in circolazione da un governo o sostenuta dallo stesso, senza alcuna limitazione all’emissione, moneta su cui sono basate le economie moderne.
In relazione a tali concetti, si ritiene che la criptovaluta, costituisca una nuova forma di moneta in quanto non è moneta merce, dato che non ha valore intrinseco, non è moneta rappresentativa, poiché non rappresenta se non sé stessa e non ha alcun valore sottostante; non è inoltre moneta fiat, non essendo stata emessa da alcun ente (Capaccioli, 2015).
La criptovaluta non è dunque moneta, ma potrebbe in qualche modo configurare il concetto di valuta, essendo configurabile come unità di conto. Per unità di conto ci si riferisce ad un’unità numerica standard per la misura del valore di mercato di beni e servizi. Non è pertanto necessario che un’unità di conto sia anche moneta (nel senso di strumento di pagamento) e un esempio lampante è stata l’ECU (European Currency Unit), valuta (virtuale) introdotta dal Consiglio Europeo nel 1978, che non svolgeva funzione di strumento di pagamento. Il problema è che per essere considerata valuta, una criptovaluta dovrebbe avere un corso legale, ma nessun paese la riconosce come tale, pur avendone le caratteristiche (Capaccioli, 2015).
Alcuni hanno accostato le criptovalute al concetto di moneta merce o di commodities (Shcherbak, 2014). Per commodity si intende un bene per cui c’è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato ed è fungibile. Nella normativa sovrannazionale europea non vi è una definizione convenzionale di commodities. Occorre dunque far riferimento all’articolo 1 del Protocollo 4 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) il quale recita:
“ai fini del presente protocollo:
a) per «fabbricazione» s’intende qualsiasi tipo di lavorazione o trasformazione, incluso l’assemblaggio od operazioni specifiche;
b) per «materiale» s’intende qualsiasi ingrediente, materia prima, componente o parte, ecc., impiegato nella fabbricazione del prodotto;
c) per «prodotto» s’intende il prodotto che viene fabbricato, anche se esso è destinato ad essere a sua volta ulteriormente impiegato in un’altra operazione di fabbricazione;
d) per «merci» s’intendono sia i materiali che i prodotti;
i) per «capitoli» e «voci» s’intendono i capitoli e le voci (codici a quattro cifre) utilizzati nella nomenclatura che costituisce il Sistema armonizzato di designazione e di codificazione delle merci (in appresso denominato «Sistema armonizzato» o «SA»).”
Essendo le criptovalute immateriali ed intangibili, non posso rientrare nella definizione né di cosa materiale né di prodotto, non essendo utilizzati in processi di fabbricazione. Se anche si volesse considerare l’attività di miners una attività di fabbricazione, ci si scontra con la necessaria materialità e tangibilità del prodotto e dei beni. La lettera i), rinviando alla Nomenclatura Combinata del Sistema Armonizzato (World Customs Organizations) che fa riferimento solo ed esclusivamente a oggetti materiali, non coprendo gli oggetti digitali, risulta decisiva in tal modo e porta ad escludere le criptovalute dalle commodities (Capaccioli, 2015).
Si potrebbe tentare, attingendo ad altri strumenti giuridici e definizioni economiche o di senso comune, di inquadrare le criptovalute in una qualche categoria. Ogni tentativo risulterebbe però vano in quanto le cripto-valute non sono suscettibili di una definizione generale, condivisa e condivisibile, rendendo vano ogni sforzo di inquadramento. Tale incertezza definitoria comporta la difficoltà di comprendere se e quali normative sono applicabili alle criptovalute ed agli attori del mercato (Capaccioli, 2015).
L’atteggiamento dell’interprete sarà allora basato su un approccio teleonomico/atomistico per ogni norma, con risultati a-sistemici che valutati gli intorni delle nuove nozioni, gli interessi tutelati, gli scopi della normativa e i principi generali al fine di giungere a definizioni di criptovaluta diverse per ogni normativa. L’architettura informatica delle cripto-valute indica un futuribile sviluppo che potrebbe scuotere molti sistemi giuridici fino a qui dati per scontati, ed in particolar modo, tutti quelli che presuppongono la presenza di un ente centralizzato, su cui una o più parti confidano per l’esecuzione di una transazione (Capaccioli, 2015).
2.9.2. Primi tentativi di regolamentazione Europea
La Banca Centrale Europea ha recentemente pubblicato un chiarimento relativamente ai bitcoin [33], cercando di illustrarne i pericoli per gli investitori ed escludendo contemporaneamente che sia suo compito quello di regolare tale materia. Parallelamente il Governatore della BCE, Mario Draghi, in una sessione aperta con gli studenti del febbraio 2018, ha affermato che bitcoin non può considerarsi una valuta per due ragioni. La prima è che «il valore del bitcoin ha forti oscillazioni», mentre «un euro oggi è un euro domani e il suo valore è stabile», oltre al fatto che mentre le valute hanno «dietro le banche centrali dei loro Paesi e dei loro governi», questo non accade per la criptovaluta. Il governatore si è detto invece «molto interessato» alla tecnologia blockchain, definita «promettente», in quanto permette di fare «più velocemente» alcuni processi[34].
La Commissione Europea, ha istituito l’Osservatorio e Forum sulla blockchain [35], con l’obiettivo di monitorare gli sviluppi ed i progetti di utilizzo della blockchain più interessanti sul territorio europeo, mettendo a disposizione dei finanziamenti allo scopo di incoraggiare i governi, le industrie ed i cittadini europei di avvantaggiarsi delle opportunità fornite da tale nuova tecnologia. I vari paesi del territorio europeo si stanno invece muovendo in maniera piuttosto autonoma. Dal primo tavolo tra la Commissione europea, i regolatori, i supervisori e gli esperti del settore svoltasi nel febbraio di quest’anno a Bruxelles è emerso inoltre che nessuna regolamentazione di Bitcoin avrà luogo prima del 2019. L’intenzione è quella di valutare le conclusioni del G20 in programma a Buenos Aires il prossimo marzo dove si cercherà di trovare una strategia comune tre le “potenze” mondiali per inquadrare dal punto di vista normativo le valute digitali. Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha comunque assicurato che la Ue “continuerà a monitorare questi mercati con gli altri ‘stakeholder’ sia a livello europeo che a livello internazionale”[36].
2.9.3. La situazione normativa italiana
Nel nostro paese le criptovalute sono regolamentate unicamente dalla normativa sul contrasto al riciclaggio di denaro. Si tratta del D.Lgs. 90/2017, introdotto in attuazione della IV Direttiva Antiriciclaggio dell’Unione Europea (Direttiva UE 2015/859), che fa in realtà riferimento al concetto di “valuta virtuale” e di “prestatore di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale”. Ad oggi la definizione di tali due figure giuridiche non è ripresa da ulteriori testi normativi, con la conseguenza che la stessa incide solamente sugli obblighi antiriciclaggio.
Il D.Lgs. 90/2017, intervenendo sul Decreto Legislativo 231/2007 (strumento normativo adottato in attuazione della precedente direttiva 2005/60/CE sempre in tema di antiriciclaggio), inserisce nell’art. 1 del D.Lgs. 231/07 le seguenti definizioni, alle lettere qq) e ff):
qq) valuta virtuale: “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
ff) prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale: “ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale”;
Ulteriori interventi al D.Lgs. 231/07 inseriscono i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale nella categoria degli operatori non finanziari, ma solo limitatamente allo svolgimento dell’attività di conversione di valute virtuali da ovvero in valute aventi corso forzoso. Il D.Lgs. 90/17 modifica inoltre il D.lgs 13 agosto 2010, n. 141. Al comma 8-bis dell’articolo 17-bis (Attività di cambiavalute), si dispone che le previsioni ed i requisiti per l’esercizio dell’attività di cambiavalute si applicano anche “ai prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, come definiti nell’articolo 1, comma 2, lettera ff), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231“, i quali sono altresì tenuti all’iscrizione in una sezione speciale del registro tenuto dall’Organismo degli Agenti e dei Mediatori che raccoglie tutti i soggetti autorizzati ad esercitare l’attività di cambiavalute. Per il popolamento di tale sezione speciale del registro bisognerà attendere però apposito decreto del Ministro dell’economia e delle Finanze (come dispone l’art. 17 bis co. 8 ter del D.Lgs. 141/10). La normativa precisa inoltre che la comunicazione ai fini dell’inserimento nel registro, una volta operativa, costituirà condizione essenziale per l’esercizio legale dell’attività da parte dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (l’emanando decreto stabilità altresì le forme di cooperazione fra il MEF e le forze di polizia per interdire l’erogazione dei servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale da parte dei prestatori che non ottemperino all’obbligo di comunicazione).
Il D.Lgs. 90/17 interviene infine sul D.L. 167/90, imponendo agli intermediari finanziari e agli operatori non finanziari di trasmettere all’Autorità i dati anche con riguardo alle operazioni transfrontaliere oltre i 15.000 € avvenute in valuta virtuale. Orbene, se appare corretto da un punto di vista regolatorio che chi professionalmente si occupa convertire valuta virtuale in valuta corrente (o viceversa) venga a tutti gli effetti considerato un cambiavalute e debba iscriversi nel registro, poco si comprende perché tale obbligo venga esteso a chi professionalmente svolga una diversa attività, appunto commerciale, e si limiti unicamente ad accettare dei pagamenti in queste forme. La previsione potrebbe avere come effetto quello di ostacolare la diffusione dell’utilizzo di tali strumenti nel nostro Paese, mentre nel resto dell’Europa (e del mondo), gli interventi regolatori hanno ben altre finalità, ossia quelle di regolare il fenomeno della raccolta di capitali di rischio a tutela degli investitori. Effetto indiretto di una tale regolamentazione, inoltre, potrebbe essere quello di disincentivare le aziende che vogliono sviluppare soluzioni e prodotti su tale tecnologia dall’operare in Italia, preferendo collocarsi in Paesi in cui la legislazione sia più favorevole ed incentivante (Nicotra, 2018).
Nel successivo capitolo si esaminerà la principale letteratura accademica sul tema delle criptovalute, con una particolare attenzione per gli aspetti normativo- regolamentari delle istituzioni finanziarie internazionali (Fondo Monetario Internazionale) e aspetti prettamente finaziari.
CAPITOLO III
BITCOIN: BREVE RASSEGNA DELLA LETTERATURA ECONOMICO-GIURIDICA
3.1. Introduzione
La letteratura accademica, ad eccezione di qualche ristretto circolo economico, non è sembrata mostrare, sin da subito, una particolare attenzione per il fenomeno delle criptovalute. Gli studi erano inizialmente indirizzati ad aspetti di sicurezza, etici e soprattutto legali di Bitcoin (Grinberg, 2011, Plasaras, 2013, Bee e Weber, 2014).
La ricerca accademica sui bitcoin si è poi concentrata, in particolare, sugli aspetti propriamente monetari; in altre parole, se debbano essere considerati una valuta o piuttosto un investimento (speculativo) (si veda, ad esempio, Baur, Lee e Hong, 2015; Cheah e Fry, 2015; Dwyer, 2015; Bouoiyour e Selmi, 2016). Si tratta di studi particolarmente interessanti, basati su modelli statistico-matematici ricavati dall’econometria che, onde evitare sconfinamenti in materie che richiedono specifiche competenze tecniche, verranno riassunti nei loro tratti salienti e nei risultati finali. L’attuale consenso sembra affermare che bitcoin non possa essere considerato una valuta, in particolare a causa dell’elevato livello di volatilità osservato in questi mercati.
Studi correlati alla struttura del mercato degli scambi bitcoin sono invece più scarsi. Urquhart (2016) studia le proprietà dei rendimenti bitcoin e conclude che i mercati di bitcoin sono ancora inefficienti. Brandvold et al. (2015) indagano sul contributo alla scoperta dei prezzi di bitcoin di sette principali Mercati bitcoin. Gli autori scoprono che il mercato dei bitcoin è dominato da Mtgox e BTC-e. Va notato però che Mtgox ha dichiarato bancarotta il 28 febbraio 2014.
Infine, Seetharaman et al. (2017), studiano i vari fattori che stanno contribuendo al successo internazionale di Bitcoin e analizzano un possibile impatto nei confronti dell’USD.
3.2. Rassegna della letteratura accademica giuridica
Nel seguente paragrafo vengono passati in rassegna alcuni importanti studi accademici in tema bitcoin. Si tratta spesso di lavori contenenti sia aspetti normativi che economici; qui vengono riportati spunti e considerazioni riguardanti principalmente aspetti normativi.
3.2.1. Prime pubblicazioni accademiche in tema di Bitcoin
L’opera di Reuben Grinberg del 2011 “Bitcoin: An Innovative Alternative Digital Currency”, è una delle prime pubblicazioni accademiche, riguardante la più celebre tra le criptovalute.
La ricerca è di notevole interesse in quanto pone a confronto bitcoin con strumenti concorrenti come DigiCash, GoldMoney, Pecunix, Web-Money, i quali, a differenza di Bitcoin, non hanno avuto successo a causa di mancanze in termini di vantaggi competitivi e gestionali, incompetenza e dubbia legalità. Allo stesso modo, Grinberg, reputa improbabile che bitcoin possa essere particolarmente competitivo nel mercato dell’e-commerce tradizionale. Ritiene che la maggior parte dei consumatori non mostri interesse per le caratteristiche di bitcoin quali anonimato o decentralizzazione, che questi non abbiano intenzione di fare acquisti di beni reali i cui prezzi sono elencati in bitcoin anziché in dollari, che non mostrino particolare attenzione per l’eventuale inflazione di offerta di moneta da parte della Federal Reserve. Grinberg ritiene invece che bitcoin possa avere competitività nel settore dei micro-pagamenti, in quanto i costi di transazione attraverso i processori di pagamento esistenti sono così grandi, che effettuare dei pagamenti, ad esempio, da 10 a 30 centesimi su internet è generalmente poco pratico, mentre i costi di transazione di bitcoin sono molto bassi.
Riguardo la sostenibilità di bitcoin, è noto che la stragrande maggioranza delle valute è sostenuta da governi (o altre persone giuridiche), o da entrambe. Bitcoin non ha il sostegno né di governi né di commodities, e nonostante ciò sembra vantare una certa fiducia negli individui che acquistano bitcoin ad un ritmo sufficiente per mantenere bitcoin quasi alla parità con il dollaro (nel 2011, oggi il valore di bitcoin è aumentato a livelli esponenziali). Grinberg trova un’analogia tra Bitcoin e lo “Swiss dinar” iracheno, una valuta non sostenuta né dal governo né da commodities, che ha mantenuto un valore stabile per un buon periodo di tempo. Dopo la guerra del Golfo del 1991 ed a causa del blocco economico imposto all’Iraq, la tecnologia svizzera di stampa delle banconote, utilizzata fino a quel momento, non fu più disponibile. Venne dunque emessa una nuova serie di banconote di qualità più scadente, il “Saddam Dinars”, ma gli “Swiss Dinars” continuarono a circolare nelle regioni kurde settentrionali dell’Iraq, mantenendo un valore commerciale stabile.
Come tutto ciò in cui gli individui possono investire i loro soldi, anche Bitcoin è probabilmente suscettibile a bolle irrazionali e perdita di fiducia. La fiducia in Bitcoin potrebbe collassare a causa di cambiamenti imprevisti nel tasso di inflazione imposto dagli sviluppatori di software o altri, repressione governativa, creazione di valute alternative superiori. La fiducia potrebbe anche collassare a causa di problemi tecnici: se l’anonimato del sistema è compromesso, se il denaro viene perso o rubato, se gli hacker o i governi sono in grado di impedire qualsiasi nuova transazione.
Il lavoro, pubblicato nel 2013 da Nicholas A. Plassaras sul “Chicago Journal of International Law”, esamina gli effetti potenzialmente destabilizzanti delle criptovalute digitali emergenti sul mercato internazionale delle valute e in particolar modo di Bitcoin, definito un “programma digitale decentralizzato, parzialmente anonimo e in gran parte non regolamentato”. L’opera sostiene che il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’istituzione responsabile del coordinamento della stabilità dei tassi di cambio, è mal equipaggiato per gestire l’uso diffuso delle valute digitali nel mercato dei cambi di valuta estera. Evidenzia l’incapacità del Fondo di intervenire in caso di attacco speculativo a una valuta da parte degli utenti di Bitcoin. Infine, conclude suggerendo due interpretazioni di modifica al documento costitutivo del Fondo, lo Statuto, che gli consentirebbe di intervenire in caso di un simile attacco.
L’FMI è l’istituzione internazionale incaricata di coordinare il mercato internazionale delle valute estere. Stabilisce degli standard minimi in relazione a ciò che gli Stati membri possono fare al fine di preservare la stabilità economica globale. Le regole del FMI si applicano, al pari di qualsiasi altra organizzazione internazionale, solo alle nazioni aderenti al trattato (tutte tranne la Corea del Nord), di qui l’impossibilità di applicazione nei confronti di Bitcoin, che trascende da qualsiasi confine territoriale, non essendo formalmente sostenuto da alcun paese.
A ciò si deve aggiungere che i bitcoin verranno generati in maniera programmata, fino al 2030. Una volta che i bitcoin non potranno più essere creati, la loro offerta diventerà finita, incrementandone a dismisura il valore. Essendo necessario, al fine di contrastare efficacemente un attacco speculativo, che il Fondo Monetario si doti di una scorta di bitcoin, dovrà agire in fretta.
Ci sono, tuttavia, due modi per assoggettare Bitcoin al regime stabilito dal FMI. La prima opzione è sottoporre Bitcoin al controllo indiretto del Fondo Monetario attraverso un’interpretazione estensiva di una disposizione già presente nello statuto dell’FMI. La seconda opzione consiste nel concedere al Fondo Monetario un controllo diretto, attribuendo a Bitcoin e alle altre valute digitali lo status di “quasi-membro”. Questo approccio più radicale richiederebbe una modifica degli articoli dell’accordo e potrebbe mutare la strutturale concezione del ruolo del FMI quale attore non statale.
Lo statuto contiene già al suo interno una serie di disposizioni tali da poter mitigare l’impatto dei bitcoin sul mercato delle valute estere. L’articolo IV delinea gli obblighi generali degli stati membri relativi al regime di cambi: richiede che i paesi membri nel cooperare con le linee guida del FMI, adottino politiche interne che facilitino la stabilità economica internazionale e proibiscano le attività che destabilizzano i tassi di cambio. La Sezione 5 dell’articolo IV considera le nazioni membri responsabili sia della propria valuta principale che delle eventuali altre valute che potrebbero essere utilizzate. Più specificamente, qualsiasi atto del FMI nei confronti di uno stato membro si applica a tutte le valute di questo. Qualsiasi atto di un singolo stato membro, tuttavia, si applica a tutte le sue valute a meno che non specifichi che l’azione si riferisce a una valuta e non l’altra. Al fine di mitigare il potenziale impatto di Bitcoin, si potrebbe ampliare la sezione 5 dell’articolo IV fino ad includerne le valute digitali (il problema e lo vedremo in seguito, è che molti studiosi non sono in accordo nel ritenere Bitcoin una vera e propria valuta, quanto piuttosto un asset speculativo).
In alternativa, si potrebbe modificare l’articolo II che nella sezione 2 attribuisce la possibilità ad altri stati di poter aderire al Fondo, attraverso la concessione dello status di “quasi-membro” alle valute digitali.
Il lavoro di Christian Beer e Beat Weber (2014) si divide in varie sezioni che descrivono la nascita di Bitcoin, il sistema dei pagamenti in bitcoin, il bitcoin quale possibile mezzo valutario e infine la regolamentazione. La sezione nella quale vengono riportate e discusse le posizioni di media, governi, banche centrali e autorità regolamentari risulta essere quella di maggiore interesse.
La Banca Centrale Europea (BCE, 2012) si concentra maggiormente su quegli aspetti che sono ritenuti rilevanti per qualsiasi tipo di banca centrale, vale a dire il rischio per la stabilità dei prezzi, la stabilità finanziaria, il sistema di pagamento, i rischi di reputazione per le banche centrali (che in un sistema a valuta fiat rappresenta un elemento fondamentale). Nel complesso la BCE conclude che i sistemi di moneta virtuale non comportano dei rischi considerevoli, a causa di una bassa interazione con l’economia reale. La BCE rileva inoltre che, i sistemi di pagamento con regimi valutari virtuali, diminuiscono sotto una politica responsabile operata dalle banche centrali.
L’Autorità bancaria europea (EBA) ha dapprima emesso un avvertimento al fine di sensibilizzare i consumatori sui rischi derivanti dalla mancanza di regolamentazione delle valute virtuali (EBA, 2013), in seguito ha pubblicato un parere sulle valute virtuali nel luglio 2014 (EBA, 2014). Anche l’EBA ritiene che vi possono essere alcuni benefici come costi di transazioni inferiori e una maggiore inclusione finanziaria, ma tali benefici sono comunque ritenuti poco rilevanti all’interno dell’UE. D’altro canto, l’EBA identifica circa 70 categorie di rischi; ad esempio i rischi per gli utenti (hacking), i rischi per l’integrità finanziaria come il riciclaggio e altri reati finanziari, i rischi per i sistemi di pagamento esistenti ecc.
In Austria, gli avvertimenti dell’EBA sono stati reiterati dalla FMA (2014). Avvertimenti simili sono stati emessi, tra l’altro, dalla Banca d’Italia (2014) e la Banque de France (2013).
Un altro filone della discussione sulla regolamentazione riguarda la classificazione legale di Bitcoin nonché delle attività connesse a Bitcoin ai fini fiscali. A tal riguardo è interessante il parere riportato (anche se datato 2014) da parte del Ministero delle finanze austriaco (BMF, 2014), il quale sostiene che, mentre bitcoin non costituendo uno strumento finanziario non debba essere sottoposto ad alcune tassazioni (ad esempio l’IVA), alcune attività di business legate alle criptovalute possono invece rientrare in tale categoria e per questo essere sottoposte a tassazione. Diversamente l’autorità federale di vigilanza finanziaria tedesca (BaFin, 2014), considera Bitcoin uno strumento finanziario e non una moneta elettronica. Dunque, per poter operare operazioni di trading di bitcoin potrebbe essere richiesta un’autorizzazione.
3.3. Rassegna della letteratura accademica economica
Il seguente paragrafo passa in rassegna la letteratura accademica economico-finaziaria in tema bitcoin. Sono riportati lavori che indagano principalmente su aspetti monetari e sulla struttura del mercato di bitcoin.
3.3.1. Bitcoin tra mezzo di scambio e attività speculativa
Baur, Lee e Hong, (2015), analizzano la natura di bitcoin quale mezzo di scambio o bene e, più specificamente, il suo attuale utilizzo e quello futuro in relazione alle sue caratteristiche. Esaminando le proprietà statistiche di bitcoin si scopre che esso ha correlazioni con le “asset classes” tradizionali come azioni, obbligazioni e materie prime, sia in tempi normali che in periodi di turbolenze finanziarie. Analizzando i dati delle transazioni dei conti Bitcoin si scopre che questi, sono utilizzati principalmente come investimento speculativo e non come valuta alternativa e mezzo di scambio.
In via teorica, se bitcoin sarà usato principalmente come valuta per pagare beni e servizi, competerà con le valute fiat come il dollaro USA, e quindi potrà influenzare il valore della valuta fiat e le politiche monetarie attuate da una banca centrale. Se, d’altro canto, sarà principalmente utilizzato come investimento, entrerà in concorrenza con un gran numero di altre attività come titoli di stato, azioni e materie prime.
L’analisi empirica è svolta attraverso un’analisi delle proprietà dei rendimenti bitcoin, utilizzando dati giornalieri nel periodo tra luglio 2010 e giugno 2015. I dati sono raccolti dal sito web WinkDex[37] come tasso di cambio giornaliero di bitcoin in dollari statunitensi (USD). Secondo il sito web, il WinkDex viene calcolato miscelando i prezzi di negoziazione in dollari statunitensi per i primi tre scambi (in volume) di bitcoin qualificati. Tutti gli altri dati sui rendimenti provengono da Bloomberg. I tre studiosi basano la loro analisi sui rendimenti in eccesso rispetto ai buoni del tesoro a 3 mesi, anch’essi ottenuti da Bloomberg.
La tabella 3.1 elenca le risorse utilizzate per l’analisi dei rendimenti rispetto a bitcoin. Queste attività comprendono titoli azionari statunitensi, metalli preziosi, materie prime, energia, obbligazioni e valute.
Tabella 3.1: classi di investimenti finanziari
Fonte: Baur D., Lee A., Hong K. (2015), Bitcoin: Currency or Investment? (https://ssrn.com/abstract=2561183)
Per l’analisi degli utenti di Bitcoin, sono utilizzati i dati delle transazioni bitcoin di Kondor et al. (2014) disponibili sul loro sito web[38]. I dati sono transazioni effettive provenienti dal registro pubblico Bitcoin. Il set di dati contiene l’insieme completo di singole transazioni bitcoin che hanno il timestamp, la quantità trattata e l’invio e la ricezione degli IDs (cioè gli indirizzi del portafoglio Bitcoin). Il periodo di campionamento va dalla prima transazione bitcoin del 9 gennaio 2009 al 28 dicembre 2013.
L’analisi finale mostra che le proprietà di rendimento di bitcoin sono molto diverse dalle asset class tradizionali, comprese le valute, e offrono quindi grandi benefici in termini di diversificazione sia in tempi normali che in periodi di turbolenza. Il registro dei bitcoin, mostra inoltre che circa un terzo dei bitcoin è detenuto da speculatori (utenti che ricevono bitcoin e non li inviano mai ad altri). Una minoranza di utenti, sia nel numero che nei saldi, sembra utilizzare Bitcoin come mezzo di scambio. Ciò sembra suggerire che attualmente i bitcoin sono detenuti più ai fini di investimento anziché essere utilizzati per transazioni e quindi come mezzo di scambio.
Poiché la dimensione degli investimenti e delle transazioni in bitcoin è piuttosto limitata rispetto ad altre attività finanziarie, non sembra esserci un rischio immediato o addirittura una minaccia per la stabilità finanziaria o monetaria. Tuttavia, se l’accettazione di bitcoin o valute virtuali simili aumentasse significativamente a livello globale, ciò potrebbe influire sul valore delle principali valute legali e cambiare la rilevanza della politica monetaria.
Allo stesso modo Cheah e Fry (2015), si interrogano sullo status di bitcoin quale valuta alternativa o risorsa speculativa, attraverso un’indagine empirica sulla presenza di bolle speculative nei mercati Bitcoin.
I dati da loro raccolti comprendono i prezzi di chiusura giornalieri dell’indice Bitcoin Coindesk dal 18 luglio 2010 a 17 luglio 2014. Le figure 3.1 e 3.2 mostrano i prezzi di Bitcoin dal 18 luglio 2010 al 17 luglio 2014 e dal 18 luglio 2010 al 31 dicembre 2012. Dalla Figura 3.1 i prezzi di Bitcoin durante questo il periodo appaiono relativamente stabili prima di raggiungere un picco drammatico alla fine del 2013. Tuttavia, come mostrato nella figura 3.2, anche nei primissimi anni di questo periodo, gli aumenti dei prezzi osservati sono considerevoli.
Figura 3.1: prezzi di chiusura giornalieri dell’indice Coindesk Bitcoin (dollari USA).
Fonte: https://www.coindesk.com/price/
Figura 3.2: prezzi di chiusura giornalieri dell’indice Coindesk Bitcoin (dollari USA) luglio 2010- dicembre 2012
Fonte: https://www.coindesk.com/price/.
Seguendo studi simili (ad es. Geraskin, Fantazzini, 2013) indagano inoltre sull’indice di ricerca delle tendenze di Google, utilizzandolo per ricevere ulteriori informazioni. La figura 3.3 traccia l’indice delle tendenze di ricerca su Google per il termine “Bitcoin”. Come si può notare, è presente un picco notevole a fine 2013, rafforzando l’ipotesi della dimensione sociale delle bolle (Kindelberger, Aliber, 2005).
Figura 3.3: indice di ricerca delle tendenze di Google per “Bitcoin”
Fonte: https://trends.google.com/trends/explore?q=bitcoin.
Secondo Shiller (2014) le bolle speculative[39] sono caratterizzate da un particolare tipo di moda passeggera o epidemia sociale seguendo i principi della psicologia sociale, dei mezzi di informazione imperfetti e dei canali di formazione. La storia è piena di esempi di persone che hanno giocato d’azzardo e perso durante un boom economico (Reinhart, Rogoff, 2009). Inoltre, le prove suggeriscono che anche le speculazioni razionali possono ancora essere accompagnate da episodi di isteria di massa (Zeira, 1997). Dato che Il 70% dei bitcoin esistenti sono detenuti in conti dormienti (Weber, 2014), bitcoin sembra comportarsi più come una risorsa che come una valuta. La principale attrazione di bitcoin sembra essere la speculazione piuttosto che funzionare come una vera e propria valuta.
La ricerca, basata sull’analisi degli andamenti logaritmici e su modelli statistici tra cui il BDS test [40] (Brock et al., 1996), mostra come i bitcoin potrebbero essere stati soggetti ad una bolla speculativa. Seguendo MacDonell (2014), i due ricercatori inoltre studiano le bolle nell’indice bitcoin dal 1 ° gennaio 2013 – 30 novembre 2013 per determinare se il “crash” avvenuto nel dicembre 2013 sia stato preceduto da una bolla. I risultati ottenuti dimostrano prove significative della presenza di una bolla.
Dwyer (2015), dopo aver illustrato le caratteristiche di bitcoin, si sofferma su un’analisi comparativa dei possibili vantaggi di Bitcoin rispetto alla valuta digitale.
Risulta interessante lo studio riportato dall’autore nel documento, ad opera di Reid e Harrigan (2013), Ronand Shamir (2013), concernente dati relativi al registro “blockchain”, fino al 13 maggio 2012. Se ne può desumere il volume di affari del mercato bitcoin e la frazione di saldi che non sono stati trasferiti da una “entità” all’altra dalla creazione di bitcoin. Il valore del numero totale di trasferimenti era, al 13 maggio 2012, di circa 423 milioni di bitcoin. I 3,7 milioni di indirizzi diversi stimati, nel sistema erano associati a 1,9 milioni di entità diverse che effettuavano delle transazioni in bitcoin e 3,1 milioni di indirizzi diversi. Seicentonovemila indirizzi aggiuntivi non avevano mai inviato un bitcoin da un altro indirizzo. Da una stima approssimativa risultava inoltre che circa la metà del numero totale di bitcoin era di entità (fisica o giuridica) che detenevano 1000-10.000 bitcoin. Alla data del loro studio, la maggior parte dei bitcoin non era mai stata trasferita dall’indirizzo che li riceveva al momento della creazione. La loro stima indicava che il 78% di tutti i bitcoin avevano indirizzi che non avevano mai inviato un bitcoin a un altro indirizzo. Anche la distribuzione delle transazioni per entità risultava molto elevata, con il 97% di tutte le entità con meno di 10 transazioni e 75 entità con almeno 5000 transazioni.
Sebbene non risulti chiaro quanto bitcoin sia utilizzato nel commercio di beni e servizi, è certamente utilizzato ai fini speculativi, per il commercio e lo scambio con valute estere. Questo trading è piuttosto notevole nella microstruttura del mercato finanziario. Prima che chiudesse, dichiarando bancarotta, Mt.Gox era il sito che gestiva la maggior parte di scambi in cripto-valute.
Gli scambi di bitcoin illustrano un possibile vantaggio comparativo rispetto alla valuta digitale, in quanto sono oggi molto meno costosi rispetto alle alternative di trading offerte al consumatore finale. Se, ad esempio, una persona detiene dei conti in varie valute, questo è il modo meno costoso per trasferire fondi da un conto all’altro. Inoltre, Bitcoin può essere utilizzato per evitare i controlli valutari degli istituti di controllo dei vari governi nazionali; gli scambi di bitcoin sono inoltre garantiti dall’anonimato.
Nonostante questi e altrettanti vantaggi Dwyer ritiene che sia molto difficile che i bitcoin possano sostituire la moneta fiat come il dollaro, per le transazioni giornaliere. Ritiene invece possibile che i bitcoin possano avere grande successo nel mercato di scambio con altre valute.
Bouoiyour e Selmi (2016), si concentrano sull’analisi della volatilità dei bitcoin. La volatilità del prezzo di Bitcoin è stimata in relazione a due periodi principali: il primo periodo che si estende tra il 1° dicembre 2010 e il 31 dicembre 2014 e il secondo periodo che va dal 1° gennaio 2015 al 22 luglio 2016.
L’obiettivo perseguito è comprendere se possa esserci un inizio di cripto-mercato maturo, o si tratta invece solo di un periodo calmo che precede una tempesta finanziaria in questo settore. Per misurare adeguatamente la volatilità dei bitcoin, i due ricercatori hanno utilizzato il modello econometrico GARCH[41] ottimale (un componente con soglia multipla – GARCH e GARCH asimmetrico, rispettivamente, per i due periodi in esame) scelti tramite diversi criteri. I risultati ottenuti appaiono piuttosto interessanti:
(io) Per il periodo dal 1 ° dicembre 2010 al 31 dicembre 2014, il prezzo dei bitcoin sembra troppo volatile;
(ii) da gennaio 2015, la volatilità del prezzo di bitcoin diventa molto meno persistente;
(iii) per i due periodi investigati, la dinamica dei prezzi di bitcoin sembra più guidata verso il negativo (cattive notizie) rispetto agli shock positivi (buone notizie). Mettendo insieme tutti questi risultati il mercato bitcoin, nonostante abbia raggiunto un livello basso tasso di volatilità, rimane lontano da potersi considerare maturo.
Questi risultati non sono sorprendenti in quanto bitcoin è profondamente sensibile ai massicci attacchi informatici che possono giocare un ruolo destabilizzante nel suo sistema (Matonis 2012, Moore e Christin 2013). Bitcoin può anche soffrire di asimmetria informativa, in quanto il suo sistema è relativamente complesso e quindi potrebbe non essere facilmente comprensibile da tutti gli utenti (Ciaian et al., 2014). Il fatto che sia meno volatile al giorno d’oggi può essere spiegato considerando che misure di sicurezza adeguate stanno diventando più consistenti per il pubblico, garantendo che bitcoin sia il più sicuro possibile.
3.3.2. Analisi strutturale dei mercati di bitcoin
Urquhart (2016) studia l’efficienza dei mercati bitcoin attraverso una serie di test robusti[42]. Lo studio si basa sull’ipotesi di mercato efficiente (EMH), che è uno dei cardini fondamentali della finanza, sviluppato dal premio Nobel per l’economia Fama nel 1970. Un mercato è efficiente se i prezzi riflettono pienamente tutte le informazioni disponibili vale a dire se i prezzi sono determinati interamente dalle informazioni a disposizione degli operatori. Fama (1970) distingue tra tre forme di efficienza; la più comunemente esaminata è la forma debole, in cui si dice che un mercato sia debolmente efficiente se gli investitori non possono utilizzare le informazioni passate al fine di prevedere i rendimenti futuri.
I dati raccolti per i test, si riferiscono ai rendimenti percentuali dei bitcoin; sono tratti dal sito internet www.bitcoinaverage.com, che è il primo indice aggregato di prezzi bitcoin, in quanto aggrega i tassi di tutti gli scambi di bitcoin disponibili in tutto il mondo, consentendo una prospettiva mondiale sul prezzo e quindi sull’efficienza di bitcoin. I dati si riferiscono ai prezzi giornalieri di chiusura del mercato bitcoin in USD dal 1° agosto 2010 al 31° luglio 2016. Il periodo di campionamento è poi diviso in due sotto-campioni: il primo va dal 1° agosto 2010 al 31 luglio 2013 e il secondo va dal 1° agosto 2013 al 31° luglio 2016.
I rendimenti sono calcolati nel seguente modo:
Dove Rt si riferisce ai rendimenti di bitcoin e e sono i logaritmi naturali dei prezzi di bitcoin al tempo t e t-1.
Con la formula (1) si ottiene l’andamento percentuale quotidiano del prezzo bitcoin. Vengono utilizzati i logaritmi, per non compromettere la stazionarietà del processo statistico, in quanto i bitcoin sono molto variabili nel tempo, come si può notare dalla figura 3.4 che mostra il grafico delle serie temporali, rappresentante la variazione del prezzo e il volume di bitcoin nel tempo.
Figura 3.4: grafico delle serie temporali
Fonte: Urquhart A. (2016): “The inefficiency of Bitcoin,” Economics Letters, 148, 80–82
La tabella 3.2 è invece una statistica descrittiva di bitcoin per l’intero periodo di campionamento e per i due periodi di sotto-campionamento. N si riferisce al numero di osservazioni fatte nel periodo riportato, Mean alla variazione del rendimento di bitcoin in media, SD alla deviazione standard che è una misura statistica di dispersione attorno alla media che indica quanto è stata ampia, in un certo arco temporale, la variazione dei rendimenti, Kurt (curtosi) e Skew (skewness o indice di asimmetria), rispettivamente momento terzo e momento quarto di una funzione di ripartizione empirica di una normale, ci fanno comprendere che l’ipotesi di normalità è da scartare.
Tabella 3.2: statistica descrittiva di Bitcoin
Sample Period | N | Mean | SD | Max | Min | Kurt | Skew |
1/8/2010 – 31/7/2016 | 2183 | 0.4245 | 5.4176 | 37.2239 | -44.5641 | 13.0323 | -0.3919 |
1/8/2010 – 31/7/2013 | 1089 | 0.6853 | 6.4539 | 37.2239 | -44.4607 | 8.4745 | -0.1400 |
1/8/2013 – 31/7/2016 | 1094 | 0.1681 | 4.1247 | 25.9477 | -44.5641 | 23.7367 | -1.5167 |
Fonte: Urquhart A. (2016): “The inefficiency of Bitcoin,” Economics Letters, 148, 80–82
Per analizzare se bitcoin è efficiente, Urquhart utilizza una serie di test altamente potenti per casualità al fine di evitare risultati spuri e catturare tutte le dinamiche di bitcoin (Ljung-Box test, Runs test, Bartels test, Bartels test, BDS test, R/S Hurst). Come si può notare dalla tabella 3.3. vengono sostanzialmente rigettate tutte le ipotesi dei test, tranne l’ipotesi formulata dallo Jung box nel periodo compreso tra l’1/8/2013 e il 31/7/2016, che indica che in quel periodo di sotto-campionamento preso in esame vi sia una autocorrelazione dei rendimenti bitcoin.
Test | Ljung-Box test | Runs test | Bartels test | AVR test | BDS test | R/S Hurst |
1/8/2010 – 31/7/2016 | (0.00) | (0.00) | (0.00) | (0.01) | (0.00) | 0.353 |
1/8/2010 – 31/7/2013 | (0.00) | (0.00) | (0.00) | (0.00) | (0.00) | 0.363 |
1/8/2013 – 31/7/2016 | (0.35) | (0.00) | (0.00) | (0.64) | (0.00) | 0.406 |
Tabella 3.3: risultati dei test di efficienza del mercato
Fonte: Urquhart A. (2016): “The inefficiency of Bitcoin,” Economics Letters, 148, 80–82
Dunque, dai test risulta che il mercato dei bitcoin è debolmente efficiente durante l’intero periodo di campionamento. Per l’ipotesi di Fama significa che prezzo dei bitcoin non è interamente determinato dalle informazioni a disposizione degli operatori. Bitcoin potrebbe diventare più efficiente con alcuni dei test per l’efficienza del mercato, suggerendo che i ritorni di bitcoin sono casuali nel secondo sotto-campione. Tuttavia, l’inefficienza di bitcoin è abbastanza forte essendo un asset di investimento relativamente nuovo, simile a un mercato emergente e quindi il risultato dell’inefficienza non è così sorprendente. Coerentemente con questa argomentazione, bitcoin diventerà più efficiente nel tempo poiché un maggior numero di investitori analizzerà e scambierà bitcoin.
Brandvold et al. (2015) analizzano i prezzi dei sette principali mercati di bitcoin. Si tratta di Bit nex, Bitstamp, BTC-e (Btce), BTC China (Btcn) e Mt.Gox (Mtgox) che, nel periodo considerato, avevano il più grande volume di scambi in bitcoin e Bitcurex e Virtex, siti con un volume di scambi minore. Insieme questi siti rappresentano circa il 90% del mercato di scambi in bitcoin, e per lo scopo della ricerca si assume che essi coprano l’intero mercato dei cambi Bitcoin. Occorre notare che quattro delle borse sono denominate in USD, mentre Btcn è in CNY, Bitcurex è in PLN e Virtex è in CAD.
Il periodo preso in considerazione va dal 1° aprile 2013 al 25° febbraio 2014, che corrisponde anche all’ultimo giorno di funzionamento di Mtgox prima del suo fallimento.
Gli scambi di bitcoin sono aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7; risulta interessante soffermarsi sulla distribuzione delle negoziazioni nei diversi mercati di cambio. I risultati sono mostrati in figura 3.5. I grafici indicano che alcuni siti sono più globali di altri, in quanto gli scambi avvengono senza uno schema particolare in relazione all’orario. Ciò si può chiaramente notare in Mt.Gox, Btce e in una certa misura in Bit nex, all’interno dei quali le operazioni vengono eseguite in ogni momento della giornata. Viceversa, negli altri siti sembra esserci un notevole calo dell’attività commerciale nelle ore notturne del paese di scambio. Bitcurex (Polonia), Btcn (Cina) e Virtex (Canada) mostrano tutti questi segnali. In Bitstamp (Slovenia), il calo degli scambi è molto più ridotto. Il motivo per cui Bitcurex, Btcn e Virtex sembrano essere utilizzati principalmente dai traders locali potrebbe derivare dal fatto che sono tutti denominati nella loro valuta locale, complicando il processo di negoziazione per gli utenti stranieri.
Figura 3.5: distribuzione degli scambi nelle 24 ore
Fonte: Brandvold, M., Molnar P., Vagstad K., O. C. & A. Valstad (2015), “Price discovery on Bitcoin exchanges,”Journal of International Financial Markets, Institutions and Money, 36, 18-35.
La Figura 3.6 riassume la distribuzione del volume nei singoli scambi. Si noti che volumi bassi (<0,1 BTC) sono in generale di gran lunga il volume commerciale più comune.
Tuttavia, i vari scambi hanno alcune differenze significative che possono dare qualche intuizione preziosa. Si noti ad esempio che le grandi operazioni (> 5 BTC) rappresentano molte attività su Virtex. Si noti inoltre dalla tabella 3.4 che le transazioni con dimensioni intere sono molto meno comuni su Btce rispetto alle altre, mentre Btcn e Virtex hanno oltre il 15% delle transazioni di dimensioni intere.
Figura 3.6: distribuzione del volume degli scambi nei diversi siti presi in esame
Fonte: Brandvold, M., Molnar P., Vagstad K., O. C. & A. Valstad (2015), “Price discovery on Bitcoin exchanges,”Journal of International Financial Markets, Institutions and Money, 36, 18-35.
Un bitcoin può essere suddiviso in 8 porzioni decimali la cui unità più piccola è denominata satoshi. Alcuni siti relativi a Bitcoin (Bitcoinity.org) hanno già cambiato l’unità standard in un mBTC (0,001 BTC), e ciò è stato oggetto di molte discussioni nella comunità di Bitcoin (Bitcointalk.org, Maggio 2013).
Tabella 3.4: percentuale di scambi con un volume intero
Fonte: Brandvold, M., Molnar P., Vagstad K., O. C. & A. Valstad (2015), “Price discovery on Bitcoin exchanges,”Journal of International Financial Markets, Institutions and Money, 36, 18-35.
La metodologia utilizzata per la ricerca si basa su un modello multivariato di serie storiche che mira a una valutazione del contributo di vari scambi di informazioni generato dall’intero mercato. Per l’intero periodo di campionamento, Mtgox e Btce risultano i principali leader dei prezzi Bitcoin, avendo il maggior volume di scambi. Il resto degli scambi riferisce delle minori informazioni, ma fornisce comunque qualche informazione al mercato. Mtgox domina il processo di scoperta dei prezzi nella prima parte del campione, ma in seguito si nota una tendenza al ribasso nella quantità relativa di informazioni fornite al mercato. Il crescente interesse cinese in Bitcoin ha portato a un picco nella condivisione delle informazioni di Btcn. Btce ha una posizione unica nella scoperta dei prezzi di Bitcoin. Ha mantenuto una posizione come uno degli scambi più informativi durante l’intero periodo di campionamento.
3.4. Impatto di Bitcoin quale valuta mondiale
Seetharaman et al. (2017) tentano di comprendere i diversi fattori che stanno lanciando Bitcoin in vari campi della finanza globale e in particolar modo l’impatto che potrebbero avere sull’USD. Per la ricerca gli autori hanno utilizzato ADANCO 1.1.1. Si tratta di un software per la modellazione di equazioni strutturali basate sulla varianza e per la costruzione del modello PLS-SEM[43]. Le quattro variabili (figura 3.7) prese in considerazione per studiare l’impatto di Bitcoin rispetto all’USD sono:
- La regolamentazione o la mancanza di questa intorno al fenomeno Bitcoin a livello globale.
- La tecnologia, che garantisce la sicurezza e la privacy delle transazioni finanziarie.
- L’economia che ruota intorno al fenomeno Bitcoin, che è in costante crescita.
- L’utilizzo di Bitcoin come moneta.
Lo scopo della ricerca è limitato alla comprensione dell’impatto di Bitcoin sull’USD quale valuta mondiale, la cui posizione di dominio è già stata attentata
in passato, con risultati piuttosto scarsi, da alcune valute fiat quali lo Yen, l’euro e lo Yuan cinese.
Figura 3.7: impatto di Bitcoin rispetto al dollaro
Fonte: Seetharaman, A., Saravanan A.S, Nitin Patwa, Jigar Mehta. (2017): “Impact of Bitcoin as a World Currency”, Sciedu Press Accounting and Finance Research. Journal Article.
Riguardo la questione regolamentare, non vi sono linee guida comuni a livello internazionale circa gli standard legali, contabili e fiscali dei bitcoin. Diversi organismi governativi, banche centrali e autorità di regolamentazione hanno iniziato a pubblicare dei pareri su Bitcoin. Tali pareri discutono i rischi dei bitcoin e analizzano eventuali risposte normative adeguate. In Europa, la Banca Centrale Europea (BCE) fin dai suoi primi pronunciamenti ha concluso che i sistemi di moneta virtuale e in particolar modo le criptovalute, non presentano dei rischi significativi per la stabilità monetaria a causa della loro limitata interazione con l’economia reale. L’Autorità bancaria europea (EBA), ha invece affermato sin dal 2013 che la regolamentazione sui bitcoin non è in grado di proteggere gli operatori finanziari in quanto il valore è soggetto a persistente instabilità. Una posizione simile è stata assunta dalla Banca d’Italia nel 2014 e dalla Banque de France nel 2013. Secondo la Banca Mondiale, la natura astratta di Bitcoin rappresenta una sfida per i regolatori. La Federal Rserve (FED) nel suo “white paper” considera le criptovalute come un vero e proprio potenziale per i pagamenti in tempo reale nel settore bancario. Tuttavia, la FED, vorrebbe creare una criptovaluta ideale dotata però di un sistema centralizzato e non peer to peer come in Bitcoin.
Ipotesi 1 (H1): l’utilizzo della tecnologia Bitcoin avrà un effetto positivo sull’adozione e sull’utilizzo di Bitcoin per diventare una valuta legittima.
Ipotesi 2 (H2): la regolamentazione del sistema Bitcoin aiuterà la crescita di Bitcoin nell’e-commerce, con il corrispettivo aumento di fornitori correlati a Bitcoin.
Ipotesi 3 (H3): portando Bitcoin all’interno della regolamentazione della Banca Centrale e degli organismi di regolazione internazionale, si avrà un effetto molto positivo sull’adozione di Bitcoin quale valuta tradizionale.
Riguardo la tecnologia di Bitcoin si può certamente affermare che è piuttosto complessa e di difficile comprensione per chi non ha delle solide basi informatiche. Si tratta tuttavia di una tecnologia esistente e utilizzata in vari campi. Il processo di transazione Bitcoin utilizza la crittografia per verificare le transazioni, elaborare i pagamenti e controllare e controllare la fornitura di bitcoin.
Non tutti gli utenti hanno e avranno la possibilità di avviare un processo di “Mining”, per la difficoltà e il costo di reperire gli strumenti necessari, ma tutti sono in grado di comprendere i vantaggi di questa tecnologia che sono principalmente la privacy, la sicurezza e il basso costo delle transazioni.
Ipotesi 4 (H4): la tecnologia delle cripto-valute rende facile, conveniente e conveniente trasferire Bitcoin.
Riguardo l’economia, si è notato che alcuni rivenditori online hanno iniziato ad accettare pagamenti in bitcoin. Le solide e affidabili opzioni di pagamento sembrano evidenziare che tra qualche anno il sistema di pagamento Bitcoin potrebbe essere leader nell’ambito dell’e-commerce. Il fondatore di Netscape, Marc Andreesen, e il fondatore di LinkedIn Reid Hoffman già nel 2014 hanno investito in progetti Bitcoin 315 milioni di $. Nello stesso anno c’è stata una straordinaria crescita di start-up in grado di fornire servizi attinenti alla tecnologia Bitcoin. Il prezzo di Bitcoin è ora su Yahoo Finanza, Google Finanza e Bloomberg. I commercianti prima erano riluttanti nel voler accettare pagamenti in bitcoin ora società come Virgin Airlines e AliExpress di Alibaba hanno iniziato ad accettare tali tipi di pagamenti. Verso la fine del 2014, erano già 63.000 commercianti i commercianti che accettavano pagamenti in bitcoin. I numeri degli ATM Bitcoin sono cresciuti a 500 entro la fine del 2015 con la stessa America del Nord con oltre 280 sportelli automatici, vale a dire oltre il 56% degli ATM totali a livello mondiale (coinatmradar.com.2017).
Ipotesi: 5 (H5). L’aumento del numero di fornitori di servizi (scambi Bitcoin, Wallet Services, Hedge Funds, ecc.) e dei commercianti che accettano Bitcoin hanno un effetto positivo sull’uso di Bitcoin come valuta virtuale.
In relazione all’aspetto propriamente monetario, la maggior parte degli economisti sono soliti accostare bitcoin più all’oro che ad una valuta fiat.
Ipotesi: 6 (H6). La disponibilità di bitcoin come valuta ha un impatto positivo sul suo utilizzo e influenzerà il futuro delle valute del mondo come l’USD.
Le varie informazioni sono state reperite attraverso una revisione della letteratura accademica in tema Bitcoin (in via secondaria) e da un sondaggio sottoposto a 208 intervistati (in via primaria). L’indagine ha incluso domande sia qualitative che quantitative per i costrutti latenti. Sono stati intervistati professionisti finanziari e bancari, appassionati di Bitcoin, utenti di Bitcoin esistenti e potenziali a livello globale. Sugli input e feedback, è stato poi progettato il questionario di indagine finale. Per ogni costrutto latente, sono inoltre state formulate dalle tre alle cinque domande (indicatori) che hanno catturato lo stato corrente e futuro di Bitcoin e i corrispondenti effetti nei confronti dell’USD come valuta mondiale. Le risposte sono state misurate su una Scala Likert a 5 punti[44].
L’ultima sezione del sondaggio ha catturato i dettagli demografici degli intervistati. I dati sono stati raccolti attraverso un sondaggio online (tramite Google Documenti). A partire dal cut-off, sono state 208 risposte complete e utilizzabili. La tabella 3.2 di seguito riassume le caratteristiche demografiche degli intervistati di questo sondaggio.
Tabella 3.2: caratteristiche demografiche dei partecipanti al sondaggio
Caratteristiche demografiche dei partecipanti (n═208) NO % |
GENERE |
maschile 69 33.2% |
Femminile 139 66.8% |
ETA’ 44 21.0% |
21-30 115 55.3% |
31-40 43 20.7% |
41-50 6 2.9% |
Oltre i 50 |
INDUSTRIA |
Contabilità/revisione/studio legale 20 9.6% |
Bancaria/finanzaria 61 29.3% |
Chimica 5 2.4% |
Data centre 10 4.8% |
Prodotti elettronici 10 4.8% |
Ingegneria e costruzioni 6 2.9% |
Bevande e Cibo 5 2.4% |
Assistenza sanitaria 8 3.8% |
Informazione tecnologica 44 21.2% |
Logistica 12 5.8% |
Macchinari e attrezzature 7 3.4% |
Altri 20 9.6% |
DESIGNAZIONE |
Assistant Vice President/Assistant/Director 60 28.8% Vice President/Director |
Associate/ Assistant manager/ Manager/ 97 46.6% Senior Manager |
Junior/Executive level 29 13.9% |
Managing Director/ General Manager 15 7.2% |
Owner/Chairman/President/CEO/COO 7 3.4% |
REDDITO ANNUALE (USD) |
Meno di 10,000 8 3.8% |
10,000 – 25,000 31 14.9% |
26,000 – 50,000 34 16.3% |
51,000 – 75,000 51 24.5% |
76,000 – 99,000 40 19.2% |
100,000 e oltre 44 21.2% |
REGIONE |
Asia del Pacifico 100 48.1% |
Europa 43 20.7% |
Africa e Medio Oriente 45 21.6% |
Nord e Sud America 20 9.6% |
Fonte: Seetharaman, A., Saravanan A.S, Nitin Patwa, Jigar Mehta. (2017): “Impact of Bitcoin as a World Currency”, Sciedu Press Accounting and Finance Research. Journal Article.
Tutte e sei le ipotesi precedentemente formulate risultano supportate dai test statistici alle quali le domande del sondaggio sono state sottoposte. I risultati del documento di ricerca sono molteplici. Indica che poche variabili come la tecnologia, la sicurezza, la privacy e l’economicità, risultano caratteristiche riconosciute da tutti gli utenti Bitcoin. Combinati, questi possono incoraggiare l’uso di Bitcoin come valuta tradizionale in competizione con le valute legali. Inoltre, emerge una variabile (regolamentazione) che necessita di attenzione immediata da parte dei governi di tutto il mondo. Dimostra che esistono varie altre significative interrelazioni tra le quattro variabili fondamentali, come spiegato dalle varie ipotesi di cui sopra. La ricerca ha però un risultato limitato in quanto è stata condotta nella regione APAC (Asia del Pacifico) ed è limitata allo studio approfondito di solo variabili latenti, supportate da un’indagine bibliografica esistente.
In conclusione, Bitcoin ha un enorme potenziale, ma non può nella sua forma attuale influenzare l’USD, ma potrebbe danneggiarlo se il tasso di cambio rispetto l’USD aumenta drasticamente. Un altro aspetto da prendere in considerazione è l’offerta limitata di Bitcoin a 21 milioni di unità. Si potrebbe obbiettare che Bitcoin può essere ridotto in piccolissime unità quali ad esempio il “Satoshi” che corrisponde a 0.00000001 BTC. Se tale frazioni di Bitcoin dovesse essere utilizzata nelle transazioni, dovrebbe comunque avere un valore rispettabile, cioè il tasso di cambio con le altre principali valute dovrebbe essere molto alto.
3.5. Tabella riassuntiva della letteratura
LETTERATURA | ECONOMICA | GIURIDICA |
Grinberg R. (2012), Bitcoin: an alternative digital currency, Hastings Sci. and Tech. Law J. Winter 2012, 159-208 | Si tratta di una delle prime pubblicazioni in tema Bitcoin. viene fatta una comparazione con strumenti ad esso affini come le valute virtuali (DigiCash, GoldMoney, Pecunix…) ed e-commerce. Bitcoin risulta particolarmente competitivo nel settore dei micropagamenti in quanto i costi di transazione di bitcoin sono piuttosto bassi. In relazione alla sostenibilità Grinberg trova un’analogia con lo “Swiss dinar” iracheno non sostenuto né da un governo né da commodities. | |
Plasaras N. (2013), Regulating digital currencies: bringing Bitcoin within the reach of the IMF, Chic. J. of Int. Law 14, 377. | Esamina gli effetti potenzialmente destabilizzanti delle cripto-valute e in particolar modo di Bitcoin. Si sostiene che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) è mal equipaggiato per gestire la diffusione di tali tipi di valute e vengono proposte due differenti soluzioni per assoggettare le criptovalute al Fondo Monetario. | |
Beer C., Beat W. (2014), Bitcoin – The Promise and Limits of Private Innovation in Monetary and Payment Systems
| Vengono riprese e discusse le opinioni della Banca Centrale Europea (BCE), della Autorità bancaria europea (EBA) e di altri organismi regolatori di alcuni paesi europei. | |
Baur D., Lee A., Hong K. (2015), Bitcoin: Currency or Investment? Working paper, consultabile in SSRN: https://ssrn.com/abstract=2561183 | Il documento analizza le proprietà statistiche di Bitcoin, mettendole in comparazione con “asset classes” quali azioni, obbligazioni e materie prime. Bitcoin non sembra mostrare correlazioni con tali asset, sia in periodi normali che in periodi di turbolenza finanziaria. L’analisi dei dati delle transazioni dei conti Bitcoin, mostra che questi sono utilizzati principalmente come investimento speculativo.
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Cheah E.-T., Fry J. (2015), Speculative bubbles in Bitcoin markets? An empirical investigation into the fundamental value of Bitcoin, Economics Letters, 130, 32–36. | Gli autori si interrogano sullo status di Bitcoin quale valuta alternativa o altro tipo di risorsa speculativa, attraverso un’indagine empirica sulla presenza di bolle speculative nei mercati Bitcoin.
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Dwyer G. P. (2015), The economics of Bitcoin and similar private digital currencies, Journal of Financial Stability, 17, 81–91. | L’autore, dopo aver illustrato le caratteristiche di Bitcoin, si sofferma su un’analisi comparativa dei possibili vantaggi di Bitcoin rispetto alle valute digitali.
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Bouoiyour J., Selmi R. (2016), Bitcoin: a beginning of a new phase? Economics Bulletin, 36, 1–11. | La ricerca si concentra sull’analisi della volatilità dei bitcoin. Per misurare adeguatamente la volatilità di Bitcoin, i due ricercatori hanno utilizzato il modello econometrico GARCH.
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Urquhart A. (2016), The inefficiency of Bitcoin, Economics Letters, 148, 80–82. | L’autore studia l’efficienza dei mercati bitcoin attraverso una serie di test robusti. Lo studio si basa sull’ipotesi di mercato efficiente (EMH), che è uno dei cardini fondamentali della finanza, sviluppato dal premio Nobel per l’economia Fama nel 1970.
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Brandvold, M., P. Molnar, K. Vagstad, O. C. & A. Valstad (2015), Price discovery on Bitcoin exchanges, Journal of International Financial Markets, Institutions and Money, 36, 18–35. | Lo studio prende in considerazione sette siti di scambio di criptovalute, per analizzarne i diversi prezzi di scambio. Si tratta di Bit nex, Bitstamp, BTC-e (Btce), BTC China (Btcn) e Mt.Gox (Mtgox) che, nel periodo considerato, avevano il più grande volume di scambi in bitcoin e Bitcurex e Virtex, siti con un volume di scambi minore.
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Seetharaman A., Saravanan A.S., Nitin Patwa, Jigar Mehta. (2017), Impact of Bitcoin as a World Currency, Sciedu Press Accounting and Finance Research. Journal Article. | L’opera ha l’obiettivo di comprendere i diversi fattori che stanno lanciando Bitcoin in vari campi della finanza globale e in particolar modo l’impatto che potrebbero avere sull’USD.
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CAPITOLO IV
OLTRE BITCOIN: LE POTENZIALITÀ DELLA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN
4.1. Introduzione
Come si è avuto modo di vedere nel paragrafo 2.6, la blockchain non è altro che la tecnologia che sta alla base del sistema Bitcoin. Essa è nata con l’obiettivo di eliminare gli intermediari (le banche), permettendo di effettuare operazioni transattive criptate completamente anonime. Questa tecnologia consente un sistema di contabilità collettiva (libro mastro), che, tramite una funzione matematica (funzione di hash), consente ai partecipanti di raggiungere un accordo sull’approvazione di una transazione. Le informazioni relative alle singole transazioni sono raccolte in “blocchi” che vengono esaminati e verificati dalla rete e aggiunti in ordine cronologico sui computer di tutti i partecipanti alla rete (Holotiuk, Pisani & Jürgen, 2017). Le principali caratteristiche di tale tecnologia sono:
- Sicurezza: la blockchain è un database condiviso, decentralizzato, distribuito e criptato con precise regole di sicurezza basate su chiavi crittografate.
- Immutabilità: la blockchain è un database in grado di garantire la assoluta immutabilità e incorruttibilità di tutte le informazioni.
- Trasparenza: la blockchain è aperta e trasparente, tutti i partecipanti possono vedere tutto in qualsiasi momento.
- Consensualità: la blockchain è un archivio aperto a tutti i partecipanti che può essere modificato solo con il consenso di tutti i partecipanti (Bellini 2018).
Il presente capitolo ha l’obiettivo di approfondire lo sviluppo di questa tecnologia che, a detta di alcuni, rappresenta la “nuova generazione di internet” (Bellini, 2018), studiando gli eventuali impatti sul mondo dell’economia internazionale, considerando che numerose aziende già dal 2017 hanno iniziato a lanciare programmi pilota e progetti reali basati sulla blockchain in vari settori, dal settore fintech, alla IoT, dal sistema brevetti alla gestione della filiera alimentare, dagli smart contracts al sistema notarile.[45]
4.2. Ethereum e la differenza con Bitcoin
All’ombra del protocollo Bitcoin, è sorta nel 2012 una piattaforma, ad opera del fondatore russo Vitalik Buterin, già noto come ideatore di Bitcoin Magazine. Si tratta di Ethereum, rilasciata effettivamente nel Luglio del 2015 e basata sulla tecnologia blockchain. La novità di Ethereum consiste nella possibilità di creare, attraverso questa piattaforma distribuita non solo valore monetario, ma anche i cosiddetti smart contracts[46]. Gli smart contracts sono applicazioni software incorporate nella blockchain che non richiedono necessariamente l’intervento umano per completare la loro esecuzione. Si tratta sostanzialmente di protocolli informatici che facilitano, verificano, o fanno rispettare, la negoziazione o l’esecuzione di un contratto, permettendo talvolta la parziale o la totale esclusione di clausola contrattuale (Casali, 2017).
Una volta che il contratto intelligente viene avviato esso si esegue sulla blockchain come è stato programmato, senza alcuna possibilità di interferenza nè da parte di terzi nè da parte degli stessi contraenti, riducendo al minimo la possibilità di frode. Ether è la moneta di scambio, che funge sia da cryptovaluta che da “carburante” per far funzionare la rete peer-to-peer[47]. Ad esempio, quando un individuo vuole acquistare una casa da un’altra persona, tradizionalmente ci sono terze parti coinvolte nello scambio, compresi avvocati e agenti di deposito che rendono il processo lento e costoso. Con Ethereum, un pezzo di codice potrebbe trasferire automaticamente la proprietà di casa all’acquirente e i fondi al venditore, dopo che un accordo sia stato concordato, senza bisogno di terze parti che eseguiscano il tutto per loro conto (Cecero, 2017). Mentre Bitcoin, sin dalle origini era stato concepito come network per il trasferimento di valori monetari in una criptovaluta decentralizzata, con la blockchain di Bitcoin a garanzia della sicurezza delle transazioni finanziarie, Ethereum è stato concepito sin dal primo giorno come una piattaforma di sviluppo software per applicazioni decentralizzate e la sua blockchain è stata specificatamente progettata al fine di supportare le applicazioni in esecuzione su di essa. Ethereum ha quindi sostanzialmente tratto ispirazione dall’esperienza Bitcoin migliorandone alcuni difetti. Ad esempio, la blockchain di Ethereum è più veloce nello svolgimento delle verifiche, che vengono tipicamente completate in un intervallo tra 5 e 30 secondi, mentre Bitcoin impiega 10 minuti (Belvedere, 2016). La criptovaluta di Ethereum (chiamata “Ether”), si discosta dalla valuta Bitcoin in quanto il suo uso principale non è dato dal pagamento di beni o servizi, o dal suo utilizzo come strumento speculativo – due funzioni che Bitcoin svolge eccellentemente – ma è più simile ad un incentivo alla distribuzione, attraverso una sorta di metaforico impianto idraulico, di un “cripto-carburante” necessario a pagare i costi di transazione necessari per eseguire i vari programmi di smart business logic che gli utenti inviano alla blockchain (Belvedere, 2016).
Figura 4.2: differenze tra Bitcoin e Ethereum
Fonte: https://web.archive.org/web/20171111204634/https://cryptotrend.it/2017/10/23/guida-a-ethereum/
4.3. Smart contract: esempi concreti di applicazione della tecnologia blockchain
Si è già accennato agli smart contract con riferimento alla nascita di Ethereum; il seguente paragrafo illustra alcuni potenziali applicazioni in numerosi settori economici.
Visa e DocuSign hanno intrapreso già da qualche anno un esperimento condotto nel comparto del leasing delle vetture. Le due hanno utilizzato i registri distribuiti per costruire un sistema proof-of-concept per la realizzazione di un processo che culmina con la concessione in leasing di un’auto in modo completamente autonomo e slegato dall’intervento di un operatore. Il potenziale cliente sceglie l’auto che vuole ottenere in leasing e la transazione viene immessa sul registro pubblico delle blockchain. Una volta sedutosi al posto di guida, il cliente firma un contratto di locazione e una polizza assicurativa e il distribuited ledger viene aggiornato con le informazioni relative. Non sarebbe un’esagerazione immaginare che un processo di questo tipo potrebbe essere applicato alle procedure di vendite delle auto, come pure per la registrazione delle auto presso i pubblici registri come il PRA (Casali, 2017a).
Un altro settore nel quale la blockchain sta trovando applicazione è il car sharing. Secondo Bloomberg, la start up israeliana La’Zooz si propone sul mercato mondiale della sharing economy come la “anti-Uber”. Ha creato una propria moneta digitale che è registrata in modo sempre digitale utilizzando la tecnologia blockchain. Invece di usare una rete centralizzata per chiamare i taxi, le persone possono interpellare l’App La’Zooz per cercare altre persone che viaggiano su percorsi simili e utilizzare la criptomoneta “battuta” da La’Zooz per pagare il passaggio. Le stesse criptovalute potranno, poi, essere utilizzate (accumulate o spese) anche per corse successive. Gli utenti guadagnano (o spendono) queste monete lasciando che l’applicazione tracci la loro posizione per ottimizzare gli spostamenti della comunità degli utenti dei propri servizi (Casali, 2017a).
Un settore dove la blockchain sta avendo grande successo è sicuramente quello delle assicurazioni. Axa, il colosso francese delle assicurazioni ha già lanciato la prima assicurazione di viaggio Fizzy. Si tratta di una formula di copertura innovativa acquisibile sul web e da mobile che indennizza in modo automatico in caso di ritardo del volo aereo. Tale soluzione presenta il vantaggio di non obbligare a compilare nessun modulo per accedere al rimborso, dato che l’operazione di accredito viene effettuata non appena l’aereo atterra. Tutto il processo è garantito dalla combinazione di un’assicurazione parametrica (basata cioè su un parametro e in questo caso i dati storici ei voli aerei degli ultimi sette anni) e la tecnologia blockchain, che garantiscono l’inviolabilità di dati e contratti, oltre a sapere in anteprima l’entità del rimborso[48]. La start up Stratumn, la società di consulenza e servizi professionali Deloitte e il fornitore di servizi di pagamento Lemonway hanno recentemente presentato LenderBot, una micro-assicurazione basata sulla tecnologia blockchain e pensata per tutelare i clienti di servizi operanti nell’ambito della sharing economy. Aziende come AirBnB, Tujia e Wimdu offrono infatti alle persone un modo per scambiare temporaneamente beni (comprese anche le proprie abitazioni private) a fronte di un corrispettivo economico; tali aziende però non offrono la possibilità di assicurare i propri valori e beni, di qui l’importanza di un’applicazione come LenderBot (Casali, 2017a).
Attualmente, il settore dell’e-commerce è dominato da un colosso come Amazon, il quale ha saputo instaurare una grande fiducia negli utenti. Startup come OpenBazaar stanno sviluppando utility basate sui registri distribuiti progettate per collegare acquirenti e venditori senza l’intervento di un intermediario super partes e, ovviamente, senza i costi di intermediazione associati. In questi casi, la fiducia nel sistema sarebbe assicurata dal sistema stesso delle catene di blocchi e dall’ampio utilizzo di smart contract, come ha ben compreso la start up OB 1 che, per sviluppare un’applicazione da utilizzare in questo comparto, ha rastrellato investimenti per oltre 4 milioni di dollari (Casali, 2017a).
Un altro settore nel quale la tecnologia blockchain sta avendo un grande impatto è quello immobiliare. È noto che le promesse di vendita, i compromessi, e gli atti di vendita degli immobili devono essere trascritti presso i registri dell’ufficio pubblico della conservatoria dei registri; è risaputo peraltro che la maggior parte delle promesse di vendita non venga però registrata, esponendo i compratori a potenziali rischi nel caso di comportamenti fraudolenti del venditore. La blockchain potrebbe diventare la soluzione definitiva a questo problema. In questo senso stanno nascendo numerose start-up in grado di offrire tali servizi. Secondo il fondatore di una di queste (Homstate.it) sarebbe possibile costruire ad esempio una blockchain parzialmente pubblica attraverso la quale operatori del settore come agenti immobiliari, piattaforme come Homstate.it e notai potrebbero registrare tutti i contratti preliminari, offrendo la possibilità al pubblico di verificare lo stato di un certo immobile in tempo reale. Creata l’infrastruttura sarebbe sufficiente che ogni compratore richiedesse la registrazione del contratto sulla blockchain immobiliare tutelando sé stesso e gli altri utenti sul mercato. All’interno di un blocco la transazione non potrebbe più essere alterata e chiunque potrebbe verificare lo stato di un immobile prima di procedere con l’acquisto. Inoltre, una blockchain immobiliare potrebbe registrare tutta la storia finanziaria di un immobile garantendo una maggiore stabilità al mercato immobiliare[49].
4.4. Digital notary e Digital identity
La blockchain può essere utilizzata in chiave notarile (digital notary), costituendo uno strato certificato – ovvero una sorgente di autenticità – per la creazione di registri di informazioni incontestabili, certe e immutabili. Tali funzionalità notarili potrebbero essere applicate sia a risorse digitali, sia fisiche quali: risorse finanziarie (contanti, titoli, derivati, ecc.), documenti, beni di lusso, ticket e coupon[50].
Nel nostro paese è stata presentata nel 2017 Notarchain, una Blockchain “chiusa” (resa cioè accessibile solo alla categoria dei notai), nata sulla base di una collaborazione tra IBM e il Consiglio Nazionale del Notariato, che si pone l’obiettivo, ambizioso, di rispondere alle esigenze di digitalizzazione del paese pur mantenendo le garanzie di legalità ed affidabilità garantite dal sistema notarile[51].
La blockchain può poi essere utilizzata per la verifica delle identità digitali (digital identity). Il processo di verifica Know Your Customer (KYC) tipicamente è associato alla sottoscrizione di servizi finanziari, come l’apertura di un conto corrente o l’acquisto di un prodotto assicurativo. In particolare, questa verifica permette al service provider di conoscere la vera identità del cliente, definire un profilo di rischio, tutelarsi nel caso in cui il cliente utilizzi i servizi offerti per fini criminosi. L’adozione di un ledger blockchain permette ai gestori di identità di certificare su un registro decentralizzato gli attributi che compongono il profilo identificativo di ciascun utente. Ciò risulta particolarmente vantaggioso per i provider di servizi, che, dopo essere stati autorizzati dai propri clienti ad accedere alla digital identity, completano le attività di adeguata verifica autonomamente[52].
4.5. L’impatto della blockchain nel settore FinTech
L’area nella quale la tecnologia blockchain avrà il maggior impatto riguarderà sicuramente il settore FinTech[53]. Accenture, la società di consulenza aziendale più grande al mondo, ha pubblicato nel 2017 un rapporto[54] nel quale afferma che la tecnologia blockchain potrebbe ridurre in media del 30% i costi infrastrutturali di 8 delle 10 banche di investimento mondiali, permettendole un risparmio stimato tra gli 8 e i 12 miliardi di dollari sui costi annuali.
Quando ad esempio un istituto finanziario colloca strumenti finanziari quali syndicated loan o derivati, la registrazione della transazione richiede tempo e comporta processi di back-office piuttosto gravosi. Tali processi si basano su contratti negoziati con numerosi avvocati associati e su contatti tra le parti per completare la transazione. In media ci possono volere 20 giorni per risolvere uno scambio di syndacated loan e si tratta ovviamente di operazioni piuttosto costose per le istituzioni finanziarie (Centers, Fanning, 2016). Inoltre, in paesi come gli Stati Uniti in seguito alla grande recessione del 2007, sono stati introdotte delle misure a tutela del consumatore che richiedono agli istituti finanziari maggiori requisiti per la segnalazione, la trasparenza e la diffusione dei dati (si veda ad esempio il Dodd–Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act introdotto da Obama nel 2010). A tal riguardo, molte società finanziarie si stanno già da qualche anno attivando, al fine di sostituire i propri sistemi di back-office con la tecnologia blockchain, nella speranza di ovviare a tali problemi. R3, una start-up che lavora da qualche anno sulla tecnologia blockchain, ha sviluppato Corda, una piattaforma blockchain che ad oggi è utilizzata da società quali Barclays, Credit Suisse, Commonwealth Bank of Australia, HSBC, Naxitis, Royal Bank of Scotland, TD Bank, UBS, Unicredit e Wells Fargo (Centers, Fanning, 2016). Anche Goldman Sachs ha investito nella tecnologia blockchain attraverso la start-up Circle Internet Financial. Tale sistema dovrebbe fornire una maggiore facilità d’uso nei pagamenti online e personali, insieme a maggiore sicurezza e privacy per i consumatori (Centers, Fanning, 2016). UBS sta utilizzando la sua sede a Londra, Level39, per migliorare i propri servizi finanziari (Centers, Fanning, 2016). J.P. Morgan ha creato una delle più grandi reti di pagamenti blockchain: la Interbank Information Network (IIN). La società di servizi finanziari ha annunciato che la Royal Bank of Canada e L’Australia and New Zealand Banking Group Ltd. Hanno aderito alla IIN. J.P. Morgan ha creato questa rete blockchain per ridurre significativamente il numero di partecipanti necessari a rispondere alla conformità e ad altre richieste relative ai dati che possono ritardare i pagamenti[55].
Probabilmente il più sviluppato servizio finanziario che utilizza un sistema basato sulla tecnologia blockchain è Ripple che offre un mezzo per effettuare pagamenti transfrontalieri più semplici e veloci utilizzando un approccio distribuito alla rete globale. Infine, Nasdaq sta lavorando con aziende private come Chain per utilizzare la blockchain al fine di emettere azioni di aziende strettamente controllate sul mercato privato dei cambi. Il piano è di sostituire l’attuale sistema di certificati cartacei, con una riduzione dei costi e un aumento della velocità dell’offerta pubblica iniziale (Centers, Fanning, 2016).
4.5.1. L’impatto della tecnologia blockchain sui modelli aziendali nel settore dei pagamenti
A causa della sua influenza potenzialmente dirompente sui modelli di business (BM), la tecnologia blockchain ha scatenato un vivace dibattito tra i ricercatori. Holotiuk, Pisani & Moorman (2017), propongono uno studio basato sul metodo Delphi[56]. Ai fini dello studio sono stati selezionati esperti qualificati in base alla loro esperienza lavorativa, in materia di pagamenti e tecnologia blockchain. il gruppo Delphi era composto da un mix rappresentativo di esperti e comprendeva 45 partecipanti: 16 (35%) da consulenza, 11 (24%) dal settore fintech, 6 (13%) da banche, 4 (9%) dal mondo accademico, 3 (7%) da istituzioni pubbliche, 3 (7%) da fornitori di servizi di pagamento e 2 (4%) fornitori di tecnologia. L’elevato numero di consulenti è spiegato dal loro attuale ruolo di leader nei progetti di collaborazione con banche e società tecnologiche alla tecnologia blockchain.
Dallo studio emerge che la blockchain è una nuova tecnologia con potere potenzialmente dirompente, che produce implicazioni per un certo numero di settori. Si prospetta l’introduzione di nuovi servizi tali da favorire le transazioni Peer-to-peer, le transazioni cross-border e cross-currency, nonché la connessione tra i contratti e le transazioni che renderanno obsoleti i servizi correnti. Di conseguenza, le strutture finanziarie di BM esistenti cambieranno. Questi cambiamenti si rifletteranno nello sviluppo di nuovi BM, rendendo obsoleti alcuni BM esistenti. Infine, questi cambiamenti creeranno un potenziale per gli operatori nel settore fintech per entrare nel mercato sfruttando la tecnologia blockchain.
4.6. Modelli di business decentralizzati: il passaggio da una governance aziendale centralizzata a una organizzazione autonoma decentralizzata (DAO)
L’avvento della blockchain economy porta con sé degli stravolgimenti anche in relazione al concetto di governance. Per governance si intende sostanzialmente quell’insieme di regole che disciplinano la gestione e la direzione di una società o di un ente pubblico o privato[57]. Mentre per secoli l’economia mondiale si è fondata su modelli di business centralizzati, con decisioni assunte su scala gerarchica dai soggetti situati in una posizione apicale, l’avvento della tecnologia blockchain ha portato alla creazione di organizzazione autonome decentralizzate (DAO), la cui attività ed il cui potere esecutivo sono ottenuti e gestiti attraverso regole codificate come programmi per computer quali gli smart contract. Una spiegazione in chiave metaforica sul funzionamento di un’organizzazione decentralizzata è stata data dall’ex collaboratore di Bitcoin Core[58] il quale ha utilizzato l’immagine dell’automobile senza conducenti che gira alla ricerca di passeggeri da accompagnare. Dopo aver lasciato qualcuno di questi passeggeri utilizza i suoi profitti per un viaggio verso una stazione di rifornimento. Fatta eccezione per la programmazione iniziale, l’auto non ha bisogno di alcun aiuto esterno per determinare il modo attraverso il quale eseguire la propria missione[59]. Traslando la metafora ad un’ipotesi concreta, è noto che aziende aventi una struttura gerarchica come Google ed Apple, in relazione al controllo di denaro, utilizzano una suddivisione 70-30 sulle entrate per le applicazioni mobili, brani, ebook e gli altri prodotti venduti sulle loro piattaforme. I modelli di business decentralizzati su blockchain cercano di conquistare produttori di contenuti (ad esempio sviluppatori di apps, musicisti, ecc.) puntando su ricompense migliori per i produttori di contenuti (ad esempio Status e Blockstack)[60].
Piattaforme come Swarm City, consentono alle persone di comunicare e negoziare in modo completamente decentralizzato. Swarm City cerca di fornire una blockchain per la sharing economy che faciliti la costruzione di piattaforme sharing economy disintermediate. Gli sviluppatori possono personalizzare il design delle piattaforme di sharing economy scegliendo le aree di applicazione (ad esempio, ride sharing) o definendo le regole di governance (ad esempio, indipendentemente dal fatto che vengano addebitate commissioni di transazione). Swarm City prevede lo sviluppo di un mercato per piattaforme di sharing economy basate su blockchain, in cui diversi tipi di piattaforme competono tra loro (Beck, Muller-Block & King, 2017). In Swarm City, i rischi legali e gli obblighi sono delegati ai partecipanti alla rete e non si assume alcuna responsabilità per le transazioni che ospita e non obbliga i suoi utenti a rispettare le normative legali, dal momento che si considera semplicemente facilitando le transazioni peer-to-peer (Beck, Muller-Block & King, 2017).
4.7. Blockchain e IoT
Secondo la definizione dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU, 2015)[61] con l’espressione Internet of Things (IoT) ci si riferisce ad una rete di numerosi oggetti fisici che sono dotati di connessione Internet. Tali dispositivi acquisiscono informazioni sull’ambiente circostante e comunicano tra loro con sistemi software attraverso Internet. Come conseguenza di tale sviluppata interazione, producono anche una grande quantità di dati, a loro volta utilizzabili per abilitare servizi dipendenti.
La dimensione di tale mercato è in continua crescita. Secondo le stime dell’analista indiano MarketsandMarkets[62], il mercato Iot, in termini di valore, è destinato a crescere a un tasso medio annuo composito (CAGR) del 32,4%, passando dagli attuali 130 miliardi di dollari a 883,5 nel 2020. Per quella data saranno circa 34 miliardi i device smart connessi a Internet (24 miliardi di oggetti IoT e 10 miliardi di device più tradizionali come smartphone, tablet, smartwatch…), contro gli attuali 10 miliardi (Casali, 2017b).
Nonostante i vantaggi offerti da questi servizi, potrebbero sorgere problemi di privacy importanti. Questo perché i dispositivi collegati diffondono dati personali sensibili e rivelano comportamenti e preferenze dei loro proprietari. La privacy delle persone è particolarmente a rischio quando tali dati sensibili sono gestiti da società centralizzate, che possono farne un uso illegittimo (Conoscenti, De Martin & Vetrò, 2016). La tecnologia blockchain potrebbe essere in tal senso di grande aiuto nella costruzione di tale privacy IoT, in quanto, come si è già più volte ribadito, trattandosi di un libro mastro peer-to-peer, inizialmente utilizzato nella criptovaluta di Bitcoin per le transazioni economiche, ha la caratteristica di essere a prova di manomissione e contiene solo informazioni autentiche; inoltre, non è controllato da nessuna singola entità centralizzata (Conoscenti, De Martin & Vetrò, 2016).
Molti sostengono la necessità di uno spostamento verso un’architettura decentralizzata affinché l’ecosistema di dispositivi IoT in continua espansione sia sostenibile (Brody, Pureswaran, 2014). Dal lato del produttore, l’attuale modello centralizzato ha un costo di manutenzione elevato, considerando la distribuzione degli aggiornamenti software a milioni di dispositivi per anni dopo che sono stati interrotti a lungo, mentre dal lato del consumatore, come si è visto c’è un problema relativo alla privacy (Christidis, Devetsikiotis, 2016).
4.8. Tracciabilità degli alimenti: l’utilizzo della blockchain nel settore agroalimentare
Nella società si sta sviluppando una crescente domanda di informazione sul cibo che riflette la necessità di maggiore trasparenza e fiducia. Un recente studio del centro americano Food Marketing Institute[63], afferma che il 40% dei consumatori esige informazioni dettagliate sulle modalità di produzione del cibo acquistato. Allo stesso tempo, sempre più prodotti e bevande alimentari sono marchiati e accompagnati da una grande varietà di schemi di certificazione con un crescente rischio di frodi (vendita di prodotti non qualificati con etichette contraffatte e false attestazioni di qualità) e alterazioni (Brewster, Ge et al., 2017).
Nella situazione attuale, gran parte dei dati e delle informazioni di conformità vengono verificati da terze parti fidati e archiviati su carta o in un database centralizzato. Tali approcci sono noti per soffrire di molti problemi informativi come l’alto costo e l’inefficienza dei processi cartacei, frodi, corruzione ed errori sia su supporti cartacei che nei sistemi informatici (Brewster, Ge et al., 2017). Secondo un rapporto del 2017 del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi di prodotti agroalimentari (ICQRF)[64] su 53.733 controlli eseguiti nel nostro paese, di cui 40.857 controlli ispettivi e 12.876 analitici, le irregolarità rilevate hanno riguardato il 26,8% degli operatori, il 15,7% dei prodotti e il 7,8% dei campioni.
La tecnologia blockchain in tal senso potrebbe implementare i sistemi di tracciabilità. Diverse aziende hanno già iniziato ad esplorare il possibile utilizzo della blockchain nel settore del Food Safety. IBM ha di recente dato avvio a IBM Food Trust, un network di trasformatori, grossisti, distributori, produttori, rivenditori che utilizza la blockchain con l’obiettivo di migliorare la trasparenza, la standardizzazione e l’efficienza lungo tutta la filiera alimentare[65]. A tale network hanno già aderito colossi come Nestlè, SA, Dole Food Co., Driscoll’s Inc., Golden State Foods, Kroger Co., McCormick and Co., McCormick and Co., McLane Co., Tyson Foods Inc. e Unilever NV (Nash, 2018).
Interessante è il caso dell’iniziativa avviata dalla cooperativa finlandese di vendita al dettaglio, S- Group, che sta testando IBM food trust per offrire ai consumatori la possibilità di tracciare il percorso effettuato dalla specie ittica, dal punto di acquisto al luogo di pesca. Per farlo occorre dotarsi di un’applicazione per smartphone, tablet o altro dispositivo che consente di scannerizzare il QR code, posto sulla confezione o accedendo all’apposito sito web di monitoraggio. L’utilizzo di tale soluzione, permette a ogni soggetto coinvolto nella blockchain di registrare le informazioni per l’anello della catena che lo riguardano[66].
4.9. Potenziali impatti della blockchain nel sistema dei brevetti
I soggetti titolari di un brevetto godono del diritto di utilizzo esclusivo delle innovazioni da loro create per uno specifico periodo di tempo. Un brevetto è infatti il titolo che consente a chi ha realizzato un’invenzione di poterla produrre e commercializzare in esclusiva nello stato in cui il brevetto è stato richiesto[67]. Il sistema dei brevetti è stato progettato per incentivare l’innovazione, mettendo gli innovatori in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti, in modo da consentire loro di trarre profitto dalle idee sviluppate. Il sistema dei brevetti necessita di trovare un punto di equilibrio tra la protezione degli innovatori e quella dei concorrenti. Se gli innovatori non sono protetti, il rischio di essere esposti alla concorrenza di chi non ha dovuto sostenere alcun costo li scoraggerà dall’investire in nuove invenzioni. D’altro canto, senza protezione, i concorrenti saranno scoraggiati dall’investire per apportare miglioramenti e ridurre i costi e potrebbero anche non avere la possibilità di accedere al mercato e rompere così il monopolio dell’innovatore iniziale (Boucher, Nascimento & Kritikos, 2017).
Il sistema brevetti presenta però alcune criticità. Può accadere, ad esempio, che un innovatore non sia abbastanza forte o che non riesca a difendersi da violazioni illegali dei concorrenti e combinato all’onere per ottenere una protezione brevettuale in diverse regioni, fa sì che alcune aziende preferiscono assumersi il rischio di immettere nel mercato le loro innovazioni senza un’adeguata protezione brevettuale. Inoltre, le politiche vigenti variano nei vasi paesi europei e, nonostante i recenti sviluppi, non esiste ancora un sistema dei brevetti UE unificato. Tuttavia, l’Ufficio europeo dei brevetti offre uno “sportello unico” per la registrazione dei brevetti nel sistema di ciascuno Stato membro, sebbene il costo delle traduzioni, delle convalide e dei rinnovi in diversi sistemi renda il rilascio di brevetti in Europa relativamente costoso (Boucher, Nascimento & Kritikos, 2017).
L’uso della blockchain potrebbe innovare il settore, riducendo le controversie contrattuali e migliorando l’inefficienza delle registrazioni. Due funzioni della tecnologia blockchain la rendono particolarmente appetibile per il sistema dei brevetti, l’“hashing” e il “proof of existence” (letteralmente prova dell’esistenza). L’hashing è un processo mediante il quale un documento viene trasformato in un codice a lunghezza fissa, descritto come un’impronta digitale o “hash”. Tutti gli hash sono unici; lievissime differenze come un accento o una lettera mancanti in un documento produrrebbero un hash radicalmente diverso. Solo la ripetizione del processo di hashing su una copia identica del documento originale produce lo stesso hash ed è impossibile rigenerare un documento a partire dal suo hash. La funzione proof of existence, comporta invece la registrazione degli hash nella blockchain. In tal modo, viene creato un record circa l’esistenza dell’hash in un dato momento. Il record può essere verificato da chiunque, ma nessuno ha la possibilità di interpretare i contenuti dell’hash. Tuttavia, i titolari del documento originale possono provare che il documento esisteva al momento in cui è stata eseguita la transazione ripetendo il processo di hashing su una copia identica del loro documento originale (utilizzare lo stesso algoritmo di hashing per produrre lo stesso hash significa disporre dello stesso documento originale). Ciò permette di registrare pubblicamente l’esistenza di un documento in un certo tempo, senza rivelarne i contenuti (Boucher, Nascimento & Kritikos, 2017). Gli innovatori potrebbero utilizzare tale processo per proteggere il loro lavoro, registrando un hash sulla loro descrizione del brevetto (o del testo letterario o un estratto del codice informatico) nella blockchain (Cawrey, 2014).
Alcuni servizi “proof of exixtence” sono in realtà già disponibili in relazione al sistema brevetti. In tal caso, si appoggiano alle funzionalità di blockchain esistenti più grandi, specificatamente il sistema Bitcoin, anche se in futuro si potrebbe progettare un sistema su misura per registrare gli hash specificatamente per finalità “proof of evidence” (letteralmente “prova testimoniale”).
4.10. Sanità digitale: i vantaggi dell’utilizzo della tecnologia blockchain
Nell’ambito sanitario, la tecnologia blockchain, può favorire il miglioramento ed il rafforzamento dei servizi, agevolando tanto il paziente, quanto il sistema. Al pari di internet, il potenziale della blockchain cresce in relazione al numero dei partecipanti alla rete e risulta perciò di fondamentale importanza un approccio comune e condiviso, soprattutto in campo sanitario dove le necessità di tutela della privacy sono fondamentali (Barresi, 2018).
Le cartelle cliniche personali potrebbero essere archiviate e gestite tramite blockchain come un vasto sistema di registrazione di cartelle cliniche elettroniche (EMR). Sfruttando le caratteristiche di anonimato e privacy tipiche di questa tecnologia, le cartelle cliniche personali, potrebbero essere codificate come risorse digitali e registrate sulla blockchain proprio come valute digitali, in modo tale che i singoli individui possano concedere a medici, farmacie, compagnie assicurative e altre parti l’accesso ai propri dati sanitari attraverso una chiave privata (Swan, 2015). L’integrità del dato clinico contribuirebbe alla riduzione delle ripetizioni delle analisi e dei test (che spesso vengono ripetuti in assenza di una fonte affidabile o semplicemente perché il dato non è disponibile), riducendo allo stesso tempo le possibilità di errore nel riportare un dato clinico. Dall’altro lato, una migliore e più integrata disponibilità dei dati consentirebbe un loro miglior uso da parte del medico, riducendo gli errori sia in fase di diagnosi che di formulazione della terapia più appropriata (a sua volta riducendo costi per trattamenti inutili o inappropriati)[68].
Se si applicasse inoltre la tecnologia blockchain per il contrasto alla contraffazione dei farmaci, una riduzione del fenomeno (ed esistono già esempi di successo nel settore) porterebbe a una riduzione dell’ingente danno economico connesso alla contraffazione (stimato in circa 200 miliardi di dollari all’anno secondo il team Deloitte’s Rubix blockchain), ma anche a una riduzione dei casi di gravi danni e finanche morte dei pazienti a causa dei farmaci contraffatti (si è stimato che in Africa circa 100.000 persone sono morte a causa di farmaci antimalaria contraffatti)[69].
La blockchain avrebbe un impatto ancora maggiore in paesi nei quali il servizio sanitario è a carico dei cittadini, come negli Stati Uniti, dove Healthcoin potrebbe diventare una probabile moneta utilizzabile per le spese sanitarie, contribuendo a migliorare le inefficienze economiche all’interno del sistema sanitario. Nel complesso sistema sanitario statunitense infatti, ogni consumatore spesso si trova a pagare un importo diverso per uno stesso tipo di trattamento sanitario, a causa delle diverse polizze assicurative stipulate. L’utilizzo di Healthcoin potrebbe contribuire ad una trasparenza nei prezzi attraverso la creazione di un listino prezzi universale (Swan, 2015).
4.10. La Blockchain in Italia: prospettive e sviluppi
Il nostro paese sembra essere entrato ufficialmente nell’era blockchain, avendo aderito alla Blockchain Partnership Initiative europea. Ad oggi circa 26 Stati membri dell’Unione più la Norvegia hanno firmato la dichiarazione che crea il partenariato europeo Blockchain (EBP) e cooperato alla creazione di una European Blockchain Services Infrastructure (EBSI) che supporterà la fornitura di servizi pubblici digitali transfrontalieri, con i più alti standard di sicurezza e privacy. La commissione europea ha anche lanciato l’Osservatorio e il forum Blockchain dell’UE nel febbraio 2018 e ha già investito oltre 80 milioni di euro in progetti a sostegno dell’uso della blockchain nelle aree tecniche e sociali. Circa 300 milioni di euro in più saranno assegnati alla blockchain entro il 2020[70].
A seguito della formalizzazione dell’adesione dell’Italia alla Blockchain Partnership Initiative promossa dall’Unione europea, il Ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato il 28 settembre 2018 un “Avviso pubblico per la manifestazione di interesse per la selezione di 30 componenti del Gruppo di esperti di alto livello per l’elaborazione della strategia nazionale sulle tecnologie basate su registri distribuiti e blockchain”. Finalità del progetto sono l’adozione di una Strategia Nazionale per le distribuited ledger technologies (DLT) e la blockchain, l’approfondimento delle condizioni necessarie per promuovere la ricerca, lo sviluppo e l’impiego di tali tecnologie nei settori pubblici e privati. Ma anche l’elaborazione di strumenti tecnici e normativi necessari per diffondere l’applicazione degli smart contract[71].
Nell’ultima nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Def), nel capitolo dedito al sostegno delle imprese si legge che “la diffusione della rete 5G, della fibra e della tecnologia blockchain – che consentirà la riconoscibilità e la tracciabilità dei prodotti Made in Italy, oltre che contribuire alla disintermediazione attraverso gli smart contract – sono i punti che nutriranno impresa 4.0 e che il Governo intende confermare nelle sue linee generali”.
Si legge inoltre che, per la filiera delle imprese operanti nella difesa militare: “il governo intende creare centri di competenza ad alta specializzazione costituiti da università, ricerca e industria (grandi imprese e piccole medie imprese)”, che abbiano come obiettivo il trasferimento tecnologico e l’innovazione nei processi produttivi, nei prodotti e nei modelli di business di tecnologie abilitanti come blockchain, intelligenza artificiale, big data, data cloud, Iot, cyber security e tecnologie satellitari[72].
CAPITOLO V
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
5.1. Bitcoin: interrogativi e prospettive future
L’avvento della rivoluzione digitale e la nascita delle criptovalute inducono ad una riflessione sulla funzione della moneta all’interno della nostra economia. Ad oggi, secondo una stima del parlamento europeo dell’aprile 2018, circolano almeno 1500 criptovalute[73]. Quella con maggiore capitalizzazione è ovviamente Bitcoin, una criptovaluta decentralizzata, non soggetta a politiche monetarie, che garantisce anonimato e bassi costi di transizione e che ha aperto la strada a possibilità ancora tutte da esplorare. Ma se da un lato le sue caratteristiche possono rappresentare un vantaggio per i fruitori, dall’altro lato celano delle insidie.
Si è osservato come Bitcoin renda possibile il trasferimento dei propri valori ovunque nel mondo. Tutte le transazioni sono raccolte pubblicamente e custodite in modo permanente cosicché chiunque possa vedere il bilancio e le transazioni di qualsiasi indirizzo Bitcoin. Nessun privato e nessuna organizzazione possono controllare o manipolare il protocollo Bitcoin, perché la sua sicurezza è garantita dall’uso della crittografia. Tuttavia, l’identità dell’utente che si cela dietro un indirizzo resta ignota, offrendo la possibilità di trasferire in modo semplice ed economico i proventi di attività illecite ed emergendo quale strumento ad hoc per l’attività di riciclaggio e autoriciclaggio. Per tale motivo, economisti di spicco come il premio Nobel Stiglitz, ritengono la criptovaluta uno strumento assolutamente inutile, il cui scopo principale sembra essere quello di favorire attività illecite[74]. I pagamenti in bitcoin sono inoltre irreversibili, in quanto ogni transazione eseguita con Bitcoin non può essere annullata, ma può essere solamente rimborsata dalla persona (fisica o giuridica) che ha ricevuto i soldi. Ciò implica la necessità di assicurarsi di fare affari solo con persone e organizzazioni conosciute e fidate.
Per quanto riguarda le ipotesi di riciclaggio e autoriciclaggio regolate all’interno del nostro ordinamento rispettivamente agli artt. 648 bis e 648 ter 1 c.p., risulterà imprescindibile valutare l’effettiva sussumibilità dell’uso illecito della criptovaluta all’interno di tali fattispecie, al fine di evitare illecite estensioni della punibilità, in violazione del divieto di analogia in materia penale. Così, sotto un profilo oggettivo occorrerà innanzitutto chiarire se risulti corretto inquadrare le criptovalute sotto il genus di “bene” o comunque di “altra utilità”, richiamati dagli artt. 648 bis e ter 1 c.p., occorrendo poi discernere, sotto il profilo soggettivo, se il fatto ipotizzato integri il reato di riciclaggio ovvero di autoriciclaggio, a seconda che l’utente riciclatore sia lo stesso autore del reato presupposto ovvero un soggetto terzo, quale ad esempio il cambiavalute virtuale (exchanger), il wallet provider (depositario online di valute virtuali), l’host provider (colui che offre la piattaforma su cui effettuare lo scambio) o persino i miners (minatori), cioè gli utenti terzi convalidanti la transazione illecita, potendo questi essere chiamati a rispondere del reato sotto il profilo psicologico attraverso un ricorso estensivo al dolo eventuale (Sturzo, 2018). L’intervento riformatore del d.lgs. n. 90/2017 in attuazione della direttiva (UE) 2015/849 ha poi previsto la definizione di cambiavalute virtuali, imponendo in capo a questi l’obbligo di iscrizione in apposita sezione del registro dei cambia valute ed infine ad inserirli tra i soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio in forza del d.lgs. n. 231/2007. Per cui, ad oggi, coloro che esercitano l’attività di cambia valute virtuali non soltanto saranno tenuti a registrarsi in apposito registro tenuto presso l’Organismo degli agenti e dei mediatori, pena la sanzione amministrativa prevista dal d.lgs. n. 141/2010, ma risulteranno inoltre anch’essi obbligati ai sensi degli artt. 17 e s. d.lgs. n. 231/2007, in virtù dell’estensione di quegli obblighi di adeguata verifica, conservazione dei dati e comunicazione di operazioni sospette, già previamente previsti dalla normativa antiriciclaggio (Sturzo, 2018).
Al dì fuori del nostro continente, la regolamentazione delle criptovalute sta avvenendo a macchia di leopardo. In Asia, mentre la Cina e la Corea del Sud stanno assumendo posizioni sempre più restrittive, in Giappone le criptovalute sono state dichiarate una forma legale di pagamento dal 2017[75]. Negli Stati Uniti gli organi di controllo della Borsa, si sono attivati per bloccare alcune attività riconducibili alle criptovalute (in particolare il Texas Securities Board ha emesso un’ordinanza restrittiva nei confronti di BitConnect mentre il Texas Department of Banking ha emesso un ordine di cessazione dell’attività nei confronti di AriseBank, una piattaforma bancaria di criptovalute), anche se una vera e propria regolamentazione del fenomeno ancora non esiste (Nicotra, 2018). Il Lakota Nation, una riserva indiana semiautonoma nel South Dakota, ha deciso di adottare a partire dal 2014 bitcoin, quale valuta ufficiale attribuendogli il nome di “Mazacoin”[76]. Probabilmente una regolamentazione uniforme si avrà solo in seguito al G20 in programma a Buenos Aires il prossimo marzo.
Bitcoin, nato dalle ceneri della crisi economico-finanziaria del 2008, rappresenta il traguardo raggiunto da quella corrente di pensiero, promotrice di una democratizzazione finanziaria caratterizzata dall’assenza di intermediari e di controllo statale, che mira alla creazione di un’economia e di un mercato totalmente libero, la cui regolamentazione sia deputata esclusivamente ai singoli utenti partecipanti del sistema. Ma Bitcoin, lungi ancora dall’essere considerato una vera e propria valuta a causa della sua estrema volatilità (Baur, Lee e Hong, 2015; Cheah e Fry, 2015; Dwyer, 2015; Bouoiyour e Selmi, 2016), può essere piuttosto considerato come strumento di speculazione finanziaria. Occorre tuttavia rilevare che nel mese di settembre di quest’anno, bitcoin ha mostrato la minor volatilità negli ultimi 15 mesi, con oscillazioni contenute in un range di circa 1.500 dollari[77]. Alcuni hanno assimilato i bitcoin ad un bene rifugio come l’oro, essendo emessi fino ad un limite massimo, stabilito nel protocollo in 21 milioni che è ciò che ne garantirebbe l’aumento di valore (Amato, Fantacci, 2016). Non a caso bitcoin è stato largamente utilizzato da Cipro durante la crisi economica del 2013, che ha addirittura consentito agli studenti dell’università di Nicosia di utilizzarlo per il pagamento delle tasse universitarie.[78]
Uno dei problemi principali del sistema Bitcoin, che necessiterebbe di ulteriori approfondimenti riguarda il consumo energetico correlato all’attività di “Mining”. È infatti noto che i bitcoin sono generati in automatico all’interno di una rete B2B[79] che gestisce tale criptovaluta, distribuita online in modo del tutto casuale. Tuttavia, attraverso l’attività di Mining gli utenti, mettono a disposizione la propria potenza di calcolo per confermare le transazioni e incrementarne la sicurezza, ottenendo in cambio i bitcoin generati dalla rete e distribuiti online. La potenza di calcolo messa a disposizione dagli utenti per tale operazione richiede un consumo energetico ingente. Si è calcolato (come si è potuto vedere in 2.7.1.), attraverso una ricerca che ha ricostruito l’intero numero di calcolatori dedicati all’attività di calcolo, che l’energia utilizzata per tale operazione, si è attestata nel 2017 a 7-8 Twh, più o meno come l’energia prodotta da una centrale nucleare da 1000MW. Il problema è che essendo Bitcoin ancora piuttosto marginale per l’economia, gestendo un numero di transazioni relativamente basso rispetto ai sistemi tradizionali, (con circa 300.000 transazioni al giorno, per una sola transazione di bitcoin si consumano ben 146kWh elettrici, per un costo che in Italia sarebbe di circa 20€ ed equivale al consumo giornaliero di 20 famiglie) il rapporto tra costi e benefici in termini energetici è decisamente dubbio, soprattutto se si pensa che il circuito delle carte di credito VISA, nato nel 1958, gestisce un numero di transazioni al giorno che supera di 700 volte quello di Bitcoin e consuma complessivamente 30 volte di meno.
Il futuro di Bitcoin ad oggi appare quindi piuttosto incerto. Allo stesso modo di Stiglitz, anche un altro premio nobel come Paul Krugman ha mostrato un certo scetticismo nei confronti delle criptovalute, affermando che l’entusiasmo per le criptovalute è in realtà in contrasto con l’innovazione monetaria, in quanto, invece di avere una moneta creata attraverso un semplice “click” operato con il mouse del computer, con Bitcoin ci troviamo di fronte ad una moneta che necessita di essere “estratta” attraverso dei calcoli ad alta intensità di risorse. Krugman è infatti convinto che la fiducia verso le banche e le autorità governative debba ancora essere il fattore trainante per l’economia e che la tecnologia di bitcoin non è adatta ad infondere un tale sistema di fiducia. Per altro, Krugman ribadisce un argomento contro bitcoin già proposto da altri economisti, secondo cui la criptovaluta non ha alcun valore intrinseco o connessione con un mondo fisico che ne vincoli il prezzo[80].
Gli scenari dunque ipotizzabili per il futuro di Bitcoin potrebbero essere i seguenti[81]:
- Bitcoin diventa un mezzo per preservare il valore del risparmio: in un mondo nel quale le valute possono subire svalutazioni da parte delle Banche Centrali, Bitcoin, grazie alla sua facile conservabilità, alla relativa sicurezza nel possesso e all’offerta limitata, diventa uno strumento di protezione del risparmio, simile all’oro. Il problema rimane tuttavia la sua volatilità.
- Bitcoin si impone realmente come mezzo di scambio: solo in parte assolve già a questa funzione. D’altro canto, questa sua funzione potrebbe essere duramente avversata dai governi che hanno interesse a controllare e, soprattutto, tassare le transazioni[82].
- Sotto la pressione di governi e banche centrali Bitcoin cade in disuso, anche a causa della difficoltà di conversione in valuta ufficiale e delle nuove criptovalute, fornite di tecnologie più avanzate.
5.2. Blockchain: un futuro roseo all’orizzonte
La blockchain, abbiamo visto essere uno dei pilastri costitutivi del sistema bitcoin. Si tratta di un database decentralizzato, difficile da modificare una volta scritto, che contiene (nel caso di Bitcoin e altre criptovalute) un “libro mastro” con all’interno tutte le transazioni del network, dalla prima a quella più recente. Sebbene la blockchain sia sorta come tecnologia a supporto di Bitcoin con l’intento di creare un sistema di transazioni monetarie che non fosse sotto il controllo di alcun ente centrale, un sistema caratterizzato dalla sua natura decentralizzata e diffusa e dal suo essere “trustless” ovvero non “fiduciario”, di recente diversi stati stanno studiando delle soluzioni per la creazione di criptovalute di stato. La Svezia sta valutando di creare e-krona, una vera e propria criptovaluta dotata di un registro distribuito che non utilizzerebbe però una “chain” (abbiamo visto nell’introduzione a cosa si riferisca il termine), ma una nuova generazione di registro distribuito detto “Tangle”[83]. Il Venezuela ha emesso il Petro, una criptovaluta lanciata nel febbraio del 2018 e collegata alle riserve di petrolio, benzina, oro e diamanti del governo venezuelano. In realtà non si tratta di una vera e propria criptovaluta, in quanto non si basa su una propria blockchain, ma su una crittografica che si appoggia sulla blockchain di un’altra criptovaluta (NEM).
La blockchain è una tecnologia che, presentando le caratteristiche di consensualità, sicurezza, immutabilità e trasparenza, ha delle potenzialità che vanno ben al di là di quanto si era inizialmente immaginato e che sta trovando applicazione in svariati ambiti. Secondo alcuni ci si trova di fronte ad una vera e propria “nuova generazione di internet” (una sorta di internet delle transazioni o internet del valore) (Bellini, 2018) le cui potenzialità sono ancora tutte da scoprire. All’ombra di Bitcoin è sorta Ethereum, una piattaforma decentralizzata per la creazione e pubblicazione peer-to-peer di contratti intelligenti (smart contracts), che, come abbiamo avuto modo di comprendere, stanno avendo già applicazione in svariati settori dall’e-commerce, alle assicurazioni, dal car-sharing al settore immobiliare. Ma il settore dove la blockchain sta avendo il suo più grande impatto è certamente quello finanziario. Accenture, la società di consulenza aziendale più grande al mondo, ha pubblicato nel 2017 un rapporto nel quale afferma che la tecnologia blockchain potrebbe ridurre in media del 30% i costi infrastrutturali di 8 delle 10 banche di investimento mondiali, permettendole un risparmio stimato tra gli 8 e i 12 miliardi di dollari sui costi annuali. R3, una start-up che lavora da qualche anno sulla tecnologia blockchain, ha sviluppato Corda, una piattaforma blockchain che ad oggi è utilizzata da società quali Barclays, Credit Suisse, Commonwealth Bank of Australia, HSBC, Naxitis, Royal Bank of Scotland, TD Bank, UBS, Unicredit e Wells Fargo. Goldman Sachs ha investito sulla tecnologia blockchain attraverso la start-up Circle Internet Financial e J.P. Morgan ha creato una delle più grandi reti di pagamenti blockchain: la Interbank Information Network (IIN).
Un altro settore nel quale la blockchain potrebbe offrire un notevole contributo è quello dell’internet delle cose. Sappiamo che con tale espressione, tradotta dall’inglese Internet of Things (IoT), ci si riferisce ad una rete di numerosi oggetti fisici dotati di connessione Internet. Tali dispositivi acquisiscono informazioni sull’ambiente circostante e comunicano tra loro con sistemi software attraverso Internet. Uno dei principali problemi che si celano dietro questa nuova generazione di oggetti sta nella sicurezza e nei problemi relativi alla privacy. Infatti, come conseguenza di tale sviluppata interazione, producono anche una grande quantità di dati, a loro volta utilizzabili per abilitare servizi dipendenti. Su oltre trecento dispositivi elettronici connessi a Internet – come orologi e braccialetti intelligenti, contatori elettronici e termostati di ultima generazione – più del 60% non ha superato l’esame effettuato nel 2016 dei Garanti della privacy di 26 Paesi[84].
Adottare uno standard che coinvolga la blockchain attraverso una rete decentralizzata che gestisca centinaia di miliardi di transazioni fra i vari dispositivi elettronici, ridurrà in modo significativo i costi associati all’installazione, alla manutenzione e all’aggiornamento di grandi centri di elaborazione di dati (CED) centralizzati e aumenterà in questo modo la sicurezza.
Allo stesso modo, nel settore alimentare, la blockchain è utilizzata per garantire una migliore tracciabilità degli alimenti. Secondo il già citato rapporto del 2017 del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi di prodotti agroalimentari (ICQRF) su 53.733 controlli eseguiti nel nostro paese, di cui 40.857 controlli ispettivi e 12.876 analitici, le irregolarità rilevate hanno riguardato il 26,8% degli operatori, il 15,7% dei prodotti e il 7,8% dei campioni. IBM ha di recente dato avvio a IBM Food Trust, un network di trasformatori, grossisti, distributori, produttori, rivenditori che utilizza la blockchain con l’obiettivo di migliorare la trasparenza, la standardizzazione e l’efficienza lungo tutta la filiera alimentare. A tale network hanno aderito colossi come Nestlè, SA, Dole Food Co., solo per citarne alcuni.
Nel settore dei brevetti la blockchain porterebbe una ventata innovativa, riducendo le controversie contrattuali e migliorando l’inefficienza delle registrazioni, permettendo di registrare pubblicamente l’esistenza di un documento in un certo tempo, senza rivelarne i contenuti. Allo stesso modo nel settore sanitario, si è potuto notare, come la blockchain potrebbe archiviare e gestire le cartelle cliniche personali attraverso un sistema decentralizzato e totalmente sicuro.
La blockchain potrebbe inoltre rivoluzionare le professioni legali e in particolar modo il settore del notariato, costituendo uno strato certificato per la creazione di registri di informazioni incontestabili, certe e immutabili. In Italia è già stata presentata nel 2017 Notarchain, una Blockchain “chiusa” (resa cioè accessibile solo alla categoria dei notai), nata sulla base di una collaborazione tra IBM e il Consiglio Nazionale del Notariato. D’altronde non mancano prime sperimentazioni di successo della blockchain anche nella pubblica amministrazione sia in Italia (ad esempio, Corte dei Conti), sia in Europa.
Si può intuire come, al pari dell’automazione e l’intelligenza artificiale, la blockchain sia in grado di influire in maniera decisiva sul mercato del lavoro. Per tale motivo, un progetto di ricerca interdisciplinare tra il Cnel e l’università di Roma tre, sostenuto dall’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, ha come obiettivo quello di fornire una soluzione al problema della mancata interconnessione delle banche dati dei diversi soggetti che compongono la rete nazionale delle politiche del lavoro: Anpal, ministero del Lavoro, Inps, Inail, Inapp, Regioni e Province autonome, centri per l’impiego, Miur. La blockchain, infatti, come database decentralizzato che garantisce l’immutabilità e la certificazione dei dati, permetterebbe di costruire e alimentare il fascicolo elettronico del lavoratore, facendovi confluire i dati del singolo individuo in possesso dei diversi soggetti della rete nazionale e tracciando i percorsi educativi e formativi, i periodi lavorativi, gli ammortizzatori sociali fruiti, i contributi ecc.[85]
Da ultimo occorre menzionare la novità che la blockchain potrebbe introdurre nel sistema di voto delle moderne democrazie. Si è già più volte ribadito come questa tecnologia sia un mezzo per la registrazione e la verifica di record trasparente e distribuito tra gli utenti. Di norma, i voti sono registrati, gestiti, calcolati e controllati da un’autorità centrale (nel nostro paese la funzione della verifica dei verbali e la proclamazione degli eletti è affidata alle Corti d’Appello). Il voto elettronico abilitato alla blockchain (Blockchain-enabled e-voting, BEV) permetterebbe di eseguire tali attività personalmente, consentendo loro di conservare una copia del record di voto. Il record cronologico non potrebbe essere modificato perché gli altri elettori noterebbero immediatamente la diversità rispetto al record in loro possesso. Non sarebbe possibile aggiungere un voto illegittimo, poiché gli altri elettori sarebbero in grado di rilevarne l’incompatibilità con le regole (ad esempio perché il voto era già stato contato oppure perché non era associato a un record elettore valido). Il BEV sottrarrebbe potere e fiducia agli attori centrali, quali le autorità elettorali, e promuoverebbe lo sviluppo di un consenso della comunità in grado di avvalersi della tecnologia. Tuttavia, il BEV esprime il suo massimo potenziale in contesti organizzativi; ne è già stato fatto uso per le elezioni interne dei partiti politici in Danimarca e per i voti di azionisti in Estonia (Boucher, Nascimento & Kritikos, 2017).
Si tratta dunque di una tecnologia estremamente versatile, capace di avere un grande sviluppo. Per tale motivo è risultata imprescindibile l’adesione del nostro paese alla Blockchain Partnership Initiative, un accordo siglato in sede europea per la condivisione di esperienze e competenze sulla blockchain, per lo scambio di dati e per la costruzione di applicazioni basate su tale tecnologia da introdurre nel mercato unico digitale europeo
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http://www.vo.elte.hu/Bitcoin/default.htm
NOTE:
[2] https://www.ibm.com/us-en/marketplace/food-trust
[3] https://www.reply.com/it/blockchain
[4] http://www.quotidianogiuridico.it
[5] Secondo alcuni Moneta deriverebbe da monere (ammonire). Giunone l’ammonitrice, uno degli epiteti della dea perché le oche a lei sacre salvarono, con il loro strepito, il Campidoglio dall’assalto dei Galli (dizionario etimologico Rusconi 2004).
[6] https://www.bancaditalia.it/media/views/2017/moneta-fiscale/index.html
[7] Si tratta di una società con sede a Milano che si occupa di diverse attività tra le quali think tank, management consulting, leaders’ education, summit & workshop & forum.
[8] Secondo stime della Banca Centrale Europea, se i pagamenti con carte di pagamento nell’Unione Europea aumentassero di 1 milione di euro, il livello del PIL crescerebbe dello 0,07%.
[9] Fonte: OSSIF, “Rapporto OSSIF 2016”, dicembre 2016.
[10] Una rete peer-to-peer è un’architettura di calcolo distribuito nella quale i vari nodi (nodo è un qualsiasi dispositivo hardware del sistema in grado di comunicare con gli altri dispositivi che fanno parte della rete; può quindi essere un computer, una stampante, un fax, un modem ecc.) condividono tra di loro parte delle loro risorse informatiche (come la potenza di calcolo della CPU, lo spazio sull’hard disk e la memoria RAM, la larghezza di banda e così via) senza che ci sia bisogno di un nodo centrale (server) che coordini il tutto. I nodi, dunque, non sono gerarchizzati tramite il binomio client e server, ma si tratta di nodi paritari (peer in inglese, per l’appunto), in grado di svolgere sia il “ruolo” di cliente, sia quello di servente.
Pur trattandosi di un’architettura utilizzata sin dagli albori delle reti informatiche, il p2p è divenuto famoso grazie a Napster e gli altri software di file sharing, che consentivano di scaricare gratis file di ogni genere accedendo direttamente alla copia presente sul disco rigido di un altro utente (e condividendo, a propria volta, il materiale di cui si era in possesso o che si stava scaricando).
Nella sua configurazione più semplice, un network peer-to-peer è costituito da due computer che scambiano file tra di loro sfruttando un cavo USB come mezzo di comunicazione (in questo caso si parla anche di “rete dedicata”). Rientrano all’interno della categoria peer-to-peer anche delle LAN aziendali, composte da una decina di computer collegati tra loro con doppini di rame o cavi Ethernet, o reti più estese che utilizzano protocolli ad hoc per mettere in comunicazione i vari nodi che la compongono e consentire così lo scambio di dati. Un network di questo genere, dunque, si forma quando due o più calcolatori sono in grado di comunicare tra di loro e inviarsi reciprocamente delle informazioni senza che ci sia la necessità di passare attraverso un calcolatore centrale (o server) (http://www.fastweb.it/internet/cosa-e-come-funziona-p2p/).
[11] http://www.treccani.it/enciclopedia/web-2-0/
[12] Uno dei primi siti che svolge tale attività era www.virwox.com. Oggi I Dollari Linden possono essere comprati solamente dal Second Life Lindex exchange (visitato in data 27/03/2018).
[13] bastava inserire un nome, un indirizzo e-email valido e una data di nascita, senza alcuna verifica sulla veridicità di tali dati.
[14] una mailing list è un servizio/strumento fruibile da una rete di computer verso vari utenti e costituito da un sistema organizzato per la partecipazione di più persone ad una discussione asincrona o per la distribuzione di informazioni utili agli interessati/iscritti attraverso l’invio di email ad una lista di indirizzi di posta elettronica di utenti iscritti (https://it.wikipedia.org/wiki/Mailing_list).
[15] Il documento è consultabile nella sua interezza al seguente link http://www.weidai.com/bmoney.txt (visitato in data 30/03/2018)
[16] Per smart-contract (contratto intelligente) si intende un particolare tipo di contratto rafforzato dall’immutabilità e la oggettività dei codici crittografici; mentre un contratto standard è rafforzato dalla legge. Un contratto intelligente è essenzialmente un programma che esegue inevitabilmente le condizioni postulate precedentemente dagli sviluppatori. O meglio, un contratto tradizionale i cui effetti sono garantiti da un codice, un algoritmo (https://nextgenerationcurrency.com/smart-contracts/).
[17] Un sistema proof-of-work (POW) o protocollo proof-of-work, o funzione proof-of-work è una misura economica per scoraggiare attacchi denial of service (negazione di servizio) e altri abusi di servizio, come spam sulla rete, imponendo alcuni lavori dal richiedente del servizio, di solito intendendo tempo di elaborazione di un computer. Una caratteristica chiave di questi schemi è la loro asimmetria: il lavoro deve essere moderatamente complesso (ma fattibile) dal lato richiedente ma facile da controllare per il fornitore del servizio (service provider).
[18] Un token (chiamato anche, a seconda dei casi, security token o authentication token, o USB token o cryptographic token) è un dispositivo elettronico utilizzato per facilitare l’accesso a servizi web per cui è richiesta l’autenticazione dell’utente. Un security token è utilizzato per provare elettronicamente l’identità di una persona, come nel caso di un utente che tenta di accedere al proprio servizio di Internet banking. Il token è utilizzato al posto della password di accesso o in combinazione con essa per avere la certezza che l’utente sia chi dice di essere. Questo dispositivo, quindi, agisce come se fosse una chiave digitale (http://www.fastweb.it/internet/cos-e-e-a-cosa-serve-il-token/).
[19] Una marca temporale (timestamp) è una sequenza di caratteri che rappresentano una data e/o un orario per accertare l’effettivo avvenimento di un certo evento. La data è di solito presentata in un formato compatibile, in modo che sia facile da comparare con un’altra per stabilirne l’ordine temporale. La pratica dell’applicazione di tale marca temporale è detto timestamping.
Esempi di marche temporali sono: 2005-10-30 T 10:45 UTC; Sat Jul 23 02:16:57 2005 (https://it.wikipedia.org/wiki/Marca_temporale).
[20] I bitcoin possono però essere convertiti o in moneta (euro, dollaro, sterlina, ecc…) o in altre criptovalute. Il procedimento è molto semplice: basta iscriversi a uno dei tanti siti di scambio esistenti. I più famosi sono Coinbase, Kraken e Local Bitcoins. Bisogna registrarsi, e poi si potranno convertire i bitcoin in euro previo pagamento di una commissione.
(https://quifinanza.it/soldi/come-convertire-bitcoin-in-euro/172290/).
[21] Un client in informatica, indica genericamente un qualunque componente che accede ai servizi o alle risorse di un’altra componente detta server. (https://it.wikipedia.org/wiki/Client)
[22] http://blog.zorinaq.com/bitcoin-electricity-consumption/ (visitato in data 10/04/2018).
[23] https://digiconomist.net/bitcoin-energy-consumption (visitato in data 10/04/2018).
[24] La ricerca prende in considerazione le 300.000 transazioni medie del periodo gennaio-giugno 2017, mentre per il consumo elettrico fa riferimento alla stima economica di Digiconomist.net che pone il consumo elettrico a 44GWh/d. Per il costo del kWh in Italia si assume 15 centesimi per le imprese. Per il consumo medio di una famiglia tipo si fa riferimento all’AEEG con 2700kWhe/a, cioé 7,4kWhe/g.
[25]https://www.jbs.cam.ac.uk/faculty-research/centres/alternative-finance/publications/global cryptocurrency/#.Wst9ly5ubIW (visitato in data 10/04/2018).
[26] Calcoli approssimativi ottenuti dai dati pubblicati da Digiconomist.net: 82G transazioni VISA all’anno con un consumo di 50.000/1486000 volte quello del Bitcoin.
[27] https://valori.it/ambiente-usare-blockchain-per-ridurre-limpatto-di-blockchain/
[28] https://www.eticaeconomia.it
[29] http://timeofweb.com/attacco-del-51-per-cento/
[31] http://timeofweb.com/attacco-del-51-per-cento/
[32] https://www.cryptominando.it/2018/04/22/attacco-del-51-conseguenze/
[33] https://www.ecb.europa.eu/explainers/tell-me/html/what-is-bitcoin.en.html (visitato in data 10/04/2018)
[34] http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2018-02-13/draghi-studia-blockchain-e-bitcoin-dice-non-e-bce-dover-scrivere-regole–172020.shtml?uuid=AEPESUzD&refresh_ce=1 (visitato in data 10/04/2018)
[35] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/european-commission-launches-eu-blockchain-observatory-and-forum (visitato in data 10/04/2018)
[36] https://www.corrierecomunicazioni.it/finance/bitcoin-niente-regole-al-2019-la-ue-aspetta-g20/ (visitato in data 11/04/2018)
[37] Si tratta di un indice che fornisce aggiornamenti sui prezzi della criptovaluta. Prende il nome dai gemelli Winklevoss, famosi per la loro battaglia legale contro il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg (http://america24.com/news/gli-zuckenberg-mancati-lanciano-winkdex-indice-per-tracciare-prezzi-bitcoin).
[38] http://www.vo.elte.hu/Bitcoin/default.htm
[39] La bolla speculativa in economia è una particolare fase di mercato caratterizzata da un aumento considerevole e ingiustificato dei prezzi di uno o più beni, dovuto ad una crescita della domanda repentina e limitata nel tempo (https://it.wikipedia.org/wiki/Bolla_speculativa).
[40] Si tratta di un metodo non parametrico per testare la dipendenza seriale e la struttura non lineare in serie storiche (insieme di variabili casuali ordinate rispetto al tempo), ed esprime la dinamica di un certo fenomeno nel tempo). Verifica infatti, se le componenti di una serie sono indipendenti e identicamente distribuite (http://tesi.cab.unipd.it/40113/1/Lunardi_Lucia.pdf).
[41] Generalized AutoRegressive Conditional Heteroskedasticity
[42] Per “robustezza statistica” si fa riferimento ad una proprietà della statistica. Una statistica si dice robusta se produce risultati inferenziali che sono relativamente insensibili a modifiche nelle assunzioni del modello statistico(http://www.treccani.it/enciclopedia/robustezza-statistica_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/).
[43] Partial least squares path modeling: si tratta di un metodo statistico per la costruzione di equazioni strutturali che consente di stimare modelli di reazione-causa effetto complessi con variabili latenti (https://en.wikipedia.org/wiki/Partial_least_squares_path_modeling).
[44] La scala Likert è una tecnica per la misura dell’atteggiamento. Tale tecnica consiste principalmente nel mettere a punto un certo numero di affermazioni (tecnicamente definite item) che esprimono un atteggiamento positivo e negativo rispetto ad uno specifico oggetto. La somma di tali giudizi tenderà a delineare in modo ragionevolmente preciso l’atteggiamento del soggetto nei confronti dell’oggetto. Per ogni item si presenta una scala di accordo/disaccordo, generalmente a 5 o 7 modalità. Ai rispondenti si chiede di indicare su di esse il loro grado di accordo o disaccordo con quanto espresso dall’affermazione
(https://it.wikipedia.org/wiki/Scala_Likert).
[45] https://www.cwi.it/tecnologie-emergenti/blockchain.
[46] https://www.investiresicuro.com
[47] https://www.investiresicuro.com
[48] https://www.economyup.it/
[50] https://www.reply.com/it/blockchain
[51] http://www.quotidianogiuridico.it
[52] https://www.reply.com/it/blockchain
[53] Si tratta di un neologismo che accorpa FI= financial, con TECH=teconology
[54]https://www.accenture.com/t20171108T095421Z__w__/us-en/_acnmedia/Accenture/Conversion-Assets/DotCom/Documents/Global/PDF/Consulting/Accenture-Banking-on-Blockchain.pdf#zoom=50
[55] https://www.cwi.it/tecnologie-emergenti/blockchain
[56] Si tratta di un metodo d’indagine iterativo, particolarmente utilizzato nella ricerca scientifica in materia di business, che si svolge attraverso più fasi di espressione e valutazione delle opinioni di un gruppo di esperti o attori sociali ed ha l’obiettivo di far convergere l’opinione più completa e condivisa in un’unica “espressione”.
[57] http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/governance.html
[58] Si tratta del software sicuro per la gestione di un portafoglio bitcoin (bitcoin wallet)
[61] https://www.itu.int/en/ITU-D/Statistics/Documents/publications/misr2015/MISR2015-ES-E.pdf
[62] https://www.marketsandmarkets.com/telecom-and-IT-market-research-113.html
[63] Disponibile al seguente indirizzo: https://www.fmi.org/our-research/research-reports/u-s-grocery-shopper-trends (ultimo accesso 27/09/2018)
[64]Disponibile al seguente indirizzo: https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/394 (ultimo accesso 27/09/2018)
[65] https://www.ibm.com/us-en/marketplace/food-trust
[66]https://www.repubblica.it/economia/rapporti/paesedigitale/ibm/2018/09/21/news/ibm_dal_mare_alla_tavola_la_blockchain_tutela_la_qualita_-207002802/
[67] https://www.ufficiobrevetti.it/brevetti/
[68] https://italiacriptovalute.it/sanitablockchain
[69] https://italiacriptovalute.it/sanitablockchain
[73] https://www.truenumbers.it/quante-criptovalute/
[74] https://it.businessinsider.com/joseph-stiglitz-nobel-per-leconomia-il-bitcoin-non-ha-alcuna-funzione-lecita-abbiamo-gia-un-buon-mezzo-di-scambio-si-chiama-dollaro/
[75] https://www.coindesk.com/japan-bitcoin-law-effect-tomorrow/
[76]https://www.repubblica.it/economia/finanza/2014/03/08/news/usa_una_nazione_indiana_elegge_il_bitcoin_a_valuta_ufficiale-80512347/
[77] https://www.cryptominando.it/2018/10/01/bitcoin-settembre-bassa-volatilita/
[78] https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-11-21/le-tasse-universitarie-cipro-si-pagano-bitcoin-100050.shtml?uuid=ABsf1de
[79] Una rete Business-to-business, spesso indicato con l’acronimo B2B, è una locuzione utilizzata per descrivere le transazioni commerciali elettroniche tra imprese, distinguendole da quelle che intercorrono tra le imprese e altri gruppi, per esempio tra una ditta e i consumatori/clienti individuali (B2C, dall’inglese Business to Consumer, in italiano, vendita al dettaglio).
Si tratta di una espressione utilizzata nell’e-commerce che solitamente prende la forma di processi automatizzati tra partner commerciali, ma può anche riferirsi a tutte le transazioni effettuate in una catena di valore industriale, prima che il prodotto finito venga venduto al consumatore finale. (https://www.logisticaefficiente.it/wiki-logistica/supply-chain/b2b-business-to-business.html)
[80] https://ethereumworldnews.com/krugman-bitcoin-300-years-2018/
[81] https://magazine.euclidea.com/il-futuro-del-bitcoin-ecco-3-previsioni-su-cosa-accadra?utm_source=linkiesta&utm_medium=editoriale&utm_campaign=Futuro_Bitcoin_11042018
[82] Ad esempio, negli Stati Uniti Overstock.com è stato il primo grande retailer online ad accettare bitcoin nel gennaio del 2014. L’azienda consente ai suoi clienti di pagare di tutto con le principali criptovalute, dai frigoriferi e ai televisori all’arredamento per la casa. Anche Expedia, una delle più grandi agenzie di prenotazione viaggi online permette agli utenti di pagare in valuta digitale.
[83] Per ulteriori approfondimenti si consulti:
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[84] https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/5443681
[85] https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2018-08-20/con-blockchain-mercato-lavoro-piu-efficiente-210952_PRV.shtml?uuid=AEz22xcF
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