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Di Simone Cerri, Dottore in Giurisprudenza
Dopo diversi anni dalla sua entrata in vigore, la moneta elettronica non ha avuto ancora un unanime, o perlomeno maggioritario, inquadramento a livello dottrinale.
Il tema, che ebbe grande rilevo nel periodo che va dalla sua definizione normativa, sino al primo lustro successivo, non pare più così di attualità, vuoi perché altre fattispecie hanno “rubato” l’attenzione (si pensi al c.d. fintech) un po’ per la sua diffusione che non è stata così ampia, specie nella sua natura ibrida.
È però ragionevole pensare che fattori economici e di sfiducia dei consumatori verso il mondo bancario (oltre alle enormi trasformazioni che questo mondo sta avendo) possano ridare attualità alla diffusione di IMEL, soprattutto in Italia, riproponendo questioni che parevano riposte in un cassetto.
La moneta elettronica è un credito nei confronti di un soggetto, detto emittente, autorizzato dalla Banca d’Italia come Istituto di Moneta Elettronica: al credito equivale un valore monetario espresso, in questo caso, in euro. Lo stesso è quindi memorizzato elettronicamente e può essere speso/utilizzato attraverso un supporto (c.d. hardware money, si pensi ad una tessera plastica con microchip) oppure mediante una app che utilizza un file memorizzato e che richiede quindi solo un dispositivo dal quale fare il pagamento (c.d. software money, si pensi come strumento a computer, smart phone ecc.).
La logica dello strumento, istituito con la direttiva 2009/110 (c.d. Direttiva PSD) è principalmente quella di accrescere la concorrenza in questo settore (gli Imel sono le imprese diverse dalla Banche, puntualizza il TUB), ampliando mezzi di pagamento fruibili a tutti, e inserendo soggetti non bancari nel circuito degli strumenti di pagamento, in particolare permettendo l’ingresso di soggetti commerciali; quando questi operano sono definiti Imel Ibridi, e necessitano di un patrimonio destinato. Ovviamente a differenza delle fidelity card, che sono di fatto, crediti utilizzabili solo nei confronti dell’emittente, in quanto moneta, la moneta elettronica ha una spendibilità generalizzata, ossia con tutti i soggetti che si sono convenzionati con l’emittente, e con il quale sia possibile dunque utilizzare il credito.
Il tema di diritto che si vuole approfondire, è quello della natura giuridica, e dell’esatto inquadramento di questo credito che per definizione viene “reso disponibile dall’emittente”: vi sono infatti diverse scuole di pensiero, le quali danno luogo a differenti conseguenze pratiche.
Secondo una prima linea di pensiero, minoritaria, in termini sostanziali si tratta di un ordine di pagamento, e dunque il fenomeno sarebbe da inquadrare nella delegazione attiva in particolare nella delegatio solvendi[1].
Come noto, la delegazione, come modifica del lato passivo dell’obbligazione ha due modalità di svolgimento, ossia la delegazione di pagamento (o “delegatio solvendi“), che si ha quando Il debitore delega un terzo a effettuare la prestazione dell’obbligazione, oppure quando egli delega altro (delegato) a obbligarsi ad adempiere l’identica obbligazione esistente nei confronti del creditore (delegatio promittendi). Il terzo delegatario assume insieme con il delegante che già è tale, la qualità di debitore. Ovviamente le due possibili ipotesi sono molto simili, ciò che li differenzia è il momento in cui viene cristallizzata la delega (ricevere la prestazione, oppure divenire creditore).
Disciplinata dall’art. 1269 c.c., mentre nella cessione del credito, il cessionario risulta essere l’unico soggetto a potere pretendere la prestazione oggetto, qui invece al rapporto -stante il fatto che l’istituto di base ha una struttura cumulativa- si aggiunge solamente il nuovo soggetto, anche se questa differenza di base può essere superata (come nella cessione del credito) da pattuizioni ad hoc.
Questo inquadramento ha il merito di individuare uno schema di funzionamento che ha riscontri nella pratica (ossia, l’ordine impartito per l’esecuzione del credito) e si basa sul fatto che la moneta elettronica, così come configurata nella fase di emissione e nelle successive pattuizioni tra emittente e titolare, ha principalmente la funzione di riconoscere al legittimato direttamente il diritto alla prestazione in esso indicata.
Essa pone l’accento sul lato passivo del rapporto obbligatorio, ossia sull’aspetto che si ritiene pivotale, quello dell’ordine di pagamento impartito cioè dal cliente all’emittente che è il soggetto delegato, di pagare l’esercente convenzionato, (il quale assume la veste di delegatario). In tale prospettiva il contratto di emissione della moneta elettronica funge da rapporto di provvista, tra delegante e delegato; quello invece di convenzione di tra esercente e titolare della IMEL regola il rapporto di valuta. L’emittente ottemperando a tale ordine, estingue il rapporto di valuta tra delegante e delegatario, e può quindi chiedere dal titolare della Moneta Elettronica la somma versata all’esercente convenzionato.
Si può notare che nel dire questo si rimane nell’alveo di ciò che la dottrina individua principalmente in materia di pagamenti con carte[2] forse perdendo quindi la prospettiva più originale della moneta elettronica.
Se invece si sposta l’accento sul creditore, allora il fenomeno può essere inquadrato come cessione del credito; in particolare un certo orientamento ha nello specifico, fatto leva sulla disciplina specifica dei titoli di credito forte di due posizioni assunte agli albori della moneta Elettronica. Innanzitutto, secondo Olivieri, la definizione (valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente), sarebbe “neutra poiché, non è determinante il supporto della memorizzazione bensì il contenuto, ossia il “diritto di credito nei confronti dell’emittente”[3]
Al fine di una decodificazione dell’istituto nel nostro sistema di diritto privato, sempre agli albori del fenomeno è utile citare anche la definizione di altro illustre autore: “Un titolo di credito digitale di carattere privato, firmato da una banca o da un’istituzione non bancaria, che contiene la promessa di pagare, sia a vista che al portatore, il valore nominale della moneta”[4]. Ecco dunque che, sin dagli inizi, l’elemento credito presente nella moneta elettronica ha avuto uno specifico inquadramento nel genus titolo di credito.
Questi orientamenti[5] si sono fatti forza grazie a due elementi: in primo luogo il peculiare supporto del credito (ossia digitale) non è certo contrario al principio della sottoscrizione dell’emittente, con la quale si effettua -come in una cambiale per l’appunto- una promessa a pagare a vista e al portatore il valore nominale della moneta (o meglio del credito). Oltre a questo elemento che richiama una degli elementi essenziali dei titoli di credito, ossia l’incorporazione nella moneta elettronica, vi sarebbe poi l’elemento dell’interpretazione letterale della normativa, la quale parla sempre di credito, come visto.
Giova a tale fine ricordare che, nel parere reso in merito al testo finale della direttiva che PSD , la Banca Centrale Europea manifestò alcune riserve in merito all’inserimento nella definizione di moneta elettronica delle parole valore monetario, ritenendo tale espressione “ troppo generica”, e ne proponeva la sostituzione con quella di “credito rimborsabile” (redeemable claim); ciò avrebbe ulteriormente spostato il concetto stesso di moneta elettronica nel campo dei crediti, forse ottenendo però un minus rispetto all’idea originaria -in particolare rispetto alla sua spendibilità- ma certo fugando ogni differenza ermeneutica.
È necessario sottolineare però alcune evidenti differenze che, nonostante gli sforzi dei sostenitori di questa teoria, non paiono facilmente superabili.
In primo luogo, nei titoli di credito al portatore il credito c.d. “incorporato” nello strumento e trasferito in pagamento al commerciante (o ad un successivo portatore) coincide sempre con l’importo e non è mai, ne può essere, parziale, mentre qui può assumere ogni forma intermedia – proprio in quanto “moneta” cioè può essere spesa nella quantità desiderata. Per gli interpreti favorevoli a questa teoria, l’utilizzatore, di fatto, acquista quando viene emessa la moneta elettronica, tanti titoli di credito quante sono le unità di conto in cui si lascia scomporre la valuta, conclusione che lascia ovviamente l’idea che si tratti di una forzatura.[6]
Inoltre, contro questa teoria si può notare (fatto di eguale e rilevante importanza), che il contratto da cui trae origine la moneta elettronica, e dunque il credito, sottopone il suo incasso a diverse condizioni fatto in palese contrasto con l’idea di promessa incondizionata che è elemento cardine del titolo di credito. Inoltre, dette condizioni sono applicabili dall’emittente ad ogni successivo portatore; dunque, sotto questo punto di vista sembrerebbe più appropriata l’idea di una ordinaria cessione del credito, certo si affievolisce il concetto di autonomia del titolo di credito, e soprattutto l’idea della circolazione della moneta elettronica attraverso un credito incorporato.
È corretto, infine, applicare le norme in materia di titoli di credito, che disciplinano la legittimazione in caso di pagamento al soggetto non avente diritto? Ci si riferisce in particolare alle norme che disciplinano gli accertamenti in caso di pagamento al non avente diritto (ossia accertamento legittimazione attiva e responsabilità del debitore), che invece sono soggette a regole contrattuali. Tutto ciò porterebbe, per esclusione e partendo dalla definizione legale di moneta elettronica, ad un inquadramento nell’ordinaria cessione del credito[7].
I sostenitori della teoria cartolare ricorrono anche ad una interpretazione teleologica dell’istituto, soprattutto nei confronti di chi, alla luce di quanto su esposto, inquadrerebbero il fenomeno nell’alveo della ordinaria cessione del credito, annotando che, se è pur vero che, ripartendo dalla definizione di moneta elettronica in termini di diritto di credito (scelta praticamente obbligata, in considerazione della previsione della rimborsabilità obbligatoria della moneta elettronica) si nota che tale cessione: ”Costituisce non già un fatto accidentale (…) ma rispecchia e attua la destinazione alla circolazione impressa l supporto monetario dell’emittente”[8] Questa affermazione, più di altre, coglie nel segno nel senso di sottolineare che si tratta di un credito destinato strutturalmente, a causa della sua funzione a circolare (e si potrebbe invece fare presente che un credito normalmente può essere ceduto ma non fa parte della sua ratio il suo trasferimento come invece è nei titoli di credito[9]).
Si può concludere che, creandosi la moneta elettronica, si crea anche l’obbligo a corrispondere la quantità di disponibilità monetaria memorizzata a chi acquisterà la titolarità dal primo, e infatti l’art. 1 comma 1 lett H-ter TUB) infatti afferma: “credito emesso per effettuare operazioni di pagamento”.
“Quando si crea insomma la moneta elettronica l’emittente si obbliga a corrispondere la quantità di disponibilità monetaria memorizzata non a chi ne ha versato la provvista ma a chi ne acquisti la titolarità del primo (infatti l’art. 1 comma 1 lett h-ter recita) un credito emesso per effettuare operazioni di pagamento. Dunque, considerando la ratio della moneta elettronica, e valutando il fatto che la funzione dell’obbligo assunto dall’emittente è proprio quello di creare un sostituto di una moneta; dunque, in re ipsa a favorire la sua circolazione, il credito in oggetto e soprattutto la sua circolazione verrebbe da inquadrare in un regime cartolare, pur con le varie forzature di cui si è accennato sopra[10].
L’unico elemento unanime nella dottrina, è la considerazione che sarà solamente la diffusione di questo strumento che permetterà di affinare, o meglio raccordare gli elementi degli istituti di diritto civile, con quelli della moneta elettronica, in particolare laddove si presentano gli elementi di maggiore interesse pratico ossia:
-il pagamento fatto dal debitore a soggetto non legittimato
-il momento esatto in cui il debitore si ritiene liberato? In uno schema delegatorio ciò avverrà l’accredito, o quando le somme sono messe a sua disposizione, mentre una interpretazione cartolare porta alla conclusione che il debito viene adempiuto nel momento in cui viene effettuato l’atto di disposizione del debitore[11].
Note:
[1] A tale fine si vedano: B. INZITARI, La Natura giuridica della moneta elettronica, in La moneta elettronica, a cura di S. Sica P. Stanzione V. Zeno Zencovich, Milano 2006 pag. 32 e anche D. VALENTINO, Moneta Elettronica e tutela del consumatore, in Il diritto, a cura di V Santoro, 2004, pag. 134.
[2] M.ONZA, Estinzione dell’obbligazione pecuniaria e finanziamento dei consumi: il pagamento con la carta, in Quaderni Romani di Diritto Commerciale, Milano 2013, pag. 164 e ss.
[3] G. OLIVIERI, Appunti sulla moneta elettronica-Brevi note in margine alla Direttiva 2000/46/CE riguardante gli Istituti di moneta elettronica, in Banca, Borsa, titoli di credito., 2001, p. 812 e ss.
[4] F. SARZANA DI S. IPPOLITO, Profili giuridici dei pagamenti elettronici, in C. SARZANA DI S. IPPOLITO-F. SARZANA DI S. IPPOLITO, Profili giuridici del commercio via Internet, Milano, 1999, p. 162.
[5] F. GUARRACINO, Titolo di credito e documento informatico, in Banca borsa e titoli di credito, 2001, pag. 154 e ss. G. FINOCCHIARO, Prime riflessioni sulla moneta elettronica, in Contratto e Impresa 2001, Volume III, pag. 1351. Ciò è avvenuto non solo in Italia: prima ancora, infatti, in Francia: BANQUE DE FRANCE, La nature juridique de la monnaie èlettronique, in Bullettin de la Banque de France, n. 70, ottobre 1999, p. 45 ss.
[6] Tra le varie critiche in tale senso si veda A. SPENA G. GIMIGLIANO, Gli Istituti di moneta elettronica, in Seminari di Diritto bancario e dei Mercati Finanziari, Milano, 2005, pag. 56.
[7] Ibidem pag. 57.
[8] G.Guerrieri, La moneta elettronica, Bologna, 2015, pag. 131
[9] Non così invece G. OLIvieri, Compensazione e circolazione della moneta nei sistemi di pagamento, Milano, 2002, pag. 268 e A. Serra, Considerazioni in tema di pagamenti elettronici e moneta elettronica
[10] L. Miotto M Speranzin, I pagamenti Elettronici, in diritto del Fintech a cura di M. Cian e C. Sandei, Milano, 2020
[11] ibidem
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