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21 Giugno 2019 In Diritto bancario

Brevi riflessioni sulla nota questione della fideiussione bancaria omnibus rilasciata su schema ABI e sulla normativa antitrust

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Di Ernesto Sparano e Domenico Nolè, Avvocati

 

Il tecnico del diritto va in cerca di indicazioni certe e ben argomentate per svolgere correttamente la sua attività sia di consulenza che difensionale.

Il principio della nomofilachia è stato per molti decenni una bussola per tutti gli addetti ai lavori. Ha un senso ancora oggi un tale auspicio?

Si insegnava che uno dei compiti essenziali della Corte di Cassazione fosse quello di vigilare sull’esatta e uniforme interpretazione della legge, nella prioritaria esigenza di garantire la certezza del diritto.

La disciplina codicistica che riserva tale importante funzione alle pronunce a Sezioni Unite della Corte di Cassazione risulta tuttavia incongrua al perseguimento di tale illuminata finalità, per i tempi, a volte anche molto lunghi, con cui queste ultime intervengono a diramare ogni possibile dubbio sulle specifiche materie contestate.

È stato autorevolmente affermato che la vera forza nomofilattica va ricercata nella capacità della singola pronunzia di disegnare un percorso argomentativo solido e convincente e- quel che più conta – in aderenza con le esigenze giuridiche del momento storico.

Queste riflessioni nascono spontanee allorquando su un particolare argomento, nello specifico quello dei rapporti della fideiussione omnibus bancaria con i provvedimenti antitrust, si registrano tante pronunzie di merito, l’una in contrasto con le altre, e perché gli interventi della Suprema Corte sono stati finora ritenuti anzitutto condizionati dalle caratterizzazioni delle fattispecie giudicate, nonché, sia pur a diverso titolo, tardivi e comunque non adeguati ad indicare quel percorso argomentativo convincente auspicato da tutti gli operatori della giustizia.

Il tema in discussione è ben noto. In estrema sintesi, nel 2005 la Banca di Italia esaminava il testo della fideiussione omnibus e rilevava la sussistenza di tre clausole che risultavano aggravare la posizione del garante, in ritenuta violazione della Legge n. 287del 1990 dettata a tutela della concorrenza.

Una prima osservazione. L’intervento della Banca di Italia è successivo alla legge n. 287 di 15 anni e sino ad oggi ne sono trascorsi quasi altrettanti.

Eppure si tratta di situazioni che vanno anzitutto collocate nel tempo.

L’istruttoria della Banca di Italia, durata circa due anni, con l’intervento anche dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, espose i dati forniti dall’ABI, Associazione di categoria, sempre all’epoca dell’interpello, prendendo in considerazione come riferimento il mercato nazionale di quei tempi.

Si deve partire da questo dato per verificare se l’indicazione dell’Organo di Vigilanza possa considerarsi tuttora attuale e da prendere in considerazione ai medesimi fini, dopo oltre 14 anni dalla sua pubblicazione, e peraltro a seguito del verificarsi di due fenomeni: l’allargamento del mercato, che è divenuto ben più ampio di quello nazionale, e le modalità di reazione del sistema bancario al discusso provvedimento della Banca di Italia, dopo che la stessa ABI aveva diffuso testi di garanzia privi delle tre clausole contestate.

Infine, si deve necessariamente tener conto che nell’evidenziare le note tre clausole considerate anticoncorrenziali, la Banca di Italia aveva ipotizzato – ed a giusta ragione, a nostro avviso – la violazione “nella misura in cui [le tre clausole] vengano applicate in modo uniforme”. Si è quindi ritenuto da parte di numerosi tribunali che l’indicazione debba essere, sempre e comunque, subordinata ad una necessaria verifica in fatto.

Orbene, ciò premesso, il nostro dire parte dall’esame delle sole tre pronunzie espresse sul tema dalla Suprema Corte, e precisamente: l’ormai ben nota ordinanza 12.12.2007 n. 29810, quella del 28.11.2018 n. 30818 e, da ultima, l’ordinanza del 22.8.2019 n. 13846 che addirittura è stata accolta da molti come risolutiva di ogni questione, occorrendo invece, a nostro avviso, valutarla attentamente non tanto o soltanto per ciò che dice, quanto soprattutto per ciò che non dice.

Con l’ordinanza del 22.8.2019 n. 13846 la Corte è infatti intervenuta non sulla esistenza o meno di una violazione dell’art. 2 della legge n. 287, ma ha inteso esprimere, ad avviso nostro e di altri commentatori, alcuni meri contenuti di carattere processuale.

Di fatto, rileva due errori giuridici nei quali la Corte di Appello di Bergamo sarebbe incorsa e afferma un principio di diritto – ci sia permesso osservare – tutto sommato ovvio.

Vi è un provvedimento della Banca di Italia intervenuto sulla questione che necessariamente andava valutato come un dato avente una elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale.

Ad avviso della Cassazione tale valutazione non sarebbe stata svolta dalla Corte Distrettuale.

Si potrebbe dire: poco male perché sono numerosi i casi in cui non vengono rispettate le valutazioni di un Organo di Vigilanza, salvo poi verificarne, a fronte della fattispecie concreta da giudicare, l’attualità e la reale possibilità di applicazione al caso di specie.

Invero, più difficile risulta interpretare la seconda raccomandazione che la Cassazione propone: la Corte distrettuale deve anche tener presente ed apprezzare il contenuto complessivo del provvedimento della Banca di Italia.

Per tutti coloro che hanno letto e riletto il lungo e articolato dire dell’intervento della Banca di Italia è sembrato che le conclusioni rappresentino l’esatta sintesi di quello che questa intendeva affermare.

Riprendiamo l’interpretazione che l’ABI ha dato al provvedimento del 5 maggio 2005: sono state invece ritenute in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a) della legge n. 287/90, “nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme”, le clausole di deroga ai termini previsti dall’art. 1957 del codice civile per l’escussione del fideiussore e quelle di “sopravvivenza” della fideiussione. Ciò, in quanto tali clausole hanno lo scopo di addossare al garante le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa (cfr. punto 96 del Provvedimento).

Dunque le conclusioni finali (paragrafo 92 e seguenti) sintetizzano la fattispecie.

Le indicazioni della Banca di Italia[1] sono chiare e riassunte nel testo della “disposizione” emanata che così recita: gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90.

Una precisazione è pure necessaria: per una valutazione complessiva della fattispecie nessun elemento utile e interpretativo può desumersi dalle parole della AGCM dell’aprile 2005, perché questa impostò il suo intervento su valutazioni sostanzialmente para giuridiche.

In ogni caso, l’argomento della c.d. prova privilegiata non è semplice, ma va calato nella realtà processuale. Sul versante della idoneità della prova offerta dal garante, pur potendosi condividere la posizione di chi rileva l’inesistenza nel nostro ordinamento della categoria della prova privilegiata, distinta da quella della prova legale, “non si può discutere l’elevata attitudine probatoria dell’accertamento compiuto dall’Autorità alla quale è stata affidata la tutela della concorrenza”.

Tuttavia, l’oggetto della controversia non riguardava del tutto la complessa materia del contendere: la Banca di Italia aveva infatti affermato che le tre clausole incriminate avrebbero dovuto ritenersi in violazione della legge 287, se fossero risultate applicate in modo uniforme. Dunque, l’elevata attitudine di prova privilegiata non riguarda affatto la condotta anticoncorrenziale in sé considerata, bensì la sussistenza di una intesa che andasse (e che va) comunque adeguatamente comprovata, fornendo il materiale da cui risulti che vi è stata effettivamente uniformità di comportamento.

Di conseguenza il provvedimento citato copre solo una parte delle indagini a farsi e lascia sempre a carico dell’attore l’onere della prova sulle altre circostanze, come l’uniformità di comportamento. Infatti, il momento rilevante, come dichiara la Banca di Italia, è la dimostrazione della misura in cui [le tre clausole] vengano applicate in modo uniforme.

Peraltro, in punto di prova del danno, non sono mancate varie pronunzie di merito che hanno sottolineato che il soggetto che pretenda di usufruire della tutela di cui all’art. 33, comma 2, l.287/1990 “dovrà non soltanto allegare la nullità dell’intesa vietata, ma altresì precisare la conseguenza che tale vizio ha prodotto sul proprio diritto ad una scelta effettiva tra una pluralità di prodotti concorrenti”

L’ordinanza della Suprema Corte ha comunque una sua logica perché se, da una parte, non interviene nel merito della controversia ed ha cura di chiedere che venga accertato la pretesa coincidenza del testo rilasciato alla banca con quello ABI, dall’altra, conferma la permanente vigenza del principio di diritto che grava sull’attore provare il carattere uniforme della clausole che si assume essere oggetto dell’intesa (il singolare  utilizzato fa ritenere che si sia trattato della clausola di deroga all’art. 1957 c.c.).

In conclusione, la pronunzia appare rivestire non altro che un’assorbente valenza processuale, peraltro per molti profili chiaramente riferibile allo specifico caso concreto al suo esame!

Di conseguenza, tutte le principali questioni di merito rimangano in vita ed ancora da risolvere.

Invero, i primi e più approfonditi commenti tecnici appaiono improntati a grande prudenza, potendosi affermare con validi motivi non esser intervenuta una pronunzia sulle questioni di fondo né, tanto meno, essendo stata ritenuta nulla, dalla Cassazione, l’intera fideiussione per l’ipotesi di accertamento della presenza delle tre clausole incriminate.

Vi sarebbero altre osservazioni da svolgere, sebbene la ricostruzione dei fatti di causa non risulta agevole sulla scorta delle indicazioni portate nell’ordinanza.

In estrema sintesi:

a) non è esatto dire che l’ABI non abbia preso atto della disposizione della Banca di Italia, avendo invece l’associazione diffuso, subito dopo (il 26.9.2005), un testo emendato della fideiussione; b) non è chiaro per quale motivo si apprezza il principio sull’onere della prova a carico dell’attore, ma si afferma che la fattispecie all’esame della Corte è ben diverso da quello esaminato con la pronunzia del 28.11.2018 n. 30818. Tra l’altro, la circostanza lapalissiana per cui la detta ordinanza non avesse le stesse parti del processo allora all’esame della Cassazione, non sembra di alcun concreto rilievo ai fini della decisione. c) Inoltre, non è chiara la successiva indicazione che non vi fosse coincidenza di materia del contendere. Salvo errore, si era dibattuto prima e si dibatteva allora sulle conseguenze dell’inserimento di clausole anticoncorrenziali nel testo fideiussorio.

 

La precedente ordinanza del 28.11.2018 n. 30818 aveva specificamente affrontato invece la questione dell’onere della prova.

In particolare, nei gradi di merito era stato riconosciuto che il fideiussore non avesse fornito la prova sulla uniformità dell’applicazione della clausola anticoncorrenziale ed era ricorso alla Suprema Corte perché, a suo avviso, in base al principio della vicinanza della prova, sarebbe stato onere della banca dimostrare che occasionalmente avesse inserita la clausola censurata nei rapporti con la clientela.

La Corte ha, di conseguenza, osservato che nel provvedimento della Banca di Italia il carattere uniforme della applicazione delle clausole anticoncorrenziali è elemento costitutivo della pretesa dell’attore e, di conseguenza, tale elemento andava provato da colui che avesse avanzato la pretesa.

Una statuizione tanto chiara che non merita commenti.

Nessuna statuizione particolare è stata invece prodotta sulla fattispecie di merito.

 

L’ordinanza, ancora precedente, del 12.12.2017 n. 29810, è stata invece commentata per sostenere il suo valore esegetico ovvero per sostenere, al contrario, che la Corte ha solo osservato come in tema di accertamento del danno da condotte anticoncorrenziali ai sensi dell’art. 2 della L. n. 287 del 1990, spetti il risarcimento per tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all’accertamento della loro illiceità da parte dell’autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato.

In sintesi, in tale decisione la Corte ha osservato che l’eventuale violazione della legge antitrust sussiste, se sussiste, anche prima dell’accertamento svolto dalla Banca d’Italia nel 2005.

Di conseguenza, ha affermato che le fideiussioni omnibus possono essere considerate nulle anche se abbiano violato la normativa antitrust prima che l’Autorità competente accertasse tale violazione.

Gran parte dei Giudici di merito ha ritenuto di dover in proposito precisare che la Corte di Cassazione non avesse con ciò dichiarato sic et simpliciter nulle le fideiussioni omnibus rilasciate su moduli predisposti dall’ABI.

 

In definitiva, risulta confermato come finora la Suprema Corte non sia ancora entrata nel merito delle numerose ed importanti questioni dibattute nei vari giudizi, tra cui in particolare i seguenti.

A) La rilevanza della pretesa del garante sulla circostanza che la banca abbia pedissequamente (è il termine utilizzato nei vari giudizi) applicato alla clientela il medesimo testo che l’ABI aveva pubblicato molti anni prima e riprodotto da ultimo nella circolare del 2003. Trattasi della prova circa l’effettivo carattere uniforme della applicazione di tale prassi e della prova che la singola banca della fattispecie concreta, e non il sistema, utilizzasse unicamente il testo ABI. Questa precisazione è certamente necessaria come lo stesso provvedimento della Banca di Italia indica.

B) Se i principi desumibili dal detto provvedimento del 2005 valgano all’infinito, sebbene il lungo tempo trascorso da allora e malgrado il mercato di riferimento non sia più l’originario mercato nazionale di 15 e più anni fa.  Con ciò, di fatto decidendo se con ciò escludere dal contesto tutte le garanzie acquisite dopo l’emanazione delle disposizioni emesse dagli Organi della Comunità ed aventi le medesime caratteristiche, sulla base di clausole invece pacificamente riconosciute in sé valide, ed anzi ricorrenti (se non addirittura predominanti), specie in ambito internazionale.

C) Se la tutela desunta dalla legge 287 del 1990 sia riservata ai soli consumatori ovvero si estenda ad ogni tipo di coobbligato, in virtù del mero rilascio di analoga garanzia.

D) Quali siano quantomeno le connotazioni principali della prova a carico del garante, in merito ai danni subiti per violazione dell’art. 2 della citata legge.

E) Sarebbe poi da chiarire se la sola inclusione nel testo fideiussorio delle clausole incriminate di per sé determini le pretese conseguenze di nullità ovvero se ciò avvenga soltanto se la banca si sia effettivamente giovata dei contenuti delle stesse clausole, e ciò con un occhio prospettico allo specifico contenzioso.

F) Infine – e diremmo, soprattutto – sarebbe da precisare quali conseguenze debbano trarsi dalla utilizzazione delle clausole incriminate: la nullità parziale ovvero la nullità totale della garanzia.

Naturalmente, saranno le fattispecie concrete che saranno, di volta in volta, decise della Suprema Corte a fornire ulteriori utili indicazioni interpretative su ciascuno dei punti aperti e, tuttavia, seppur a fronte di pronunce in sé chiare (anche per i limitati principi nello specifico espressi), assisteremo ad ulteriori e diverse chiavi di lettura.

Almeno sino a quando interverranno le Sezioni Unite.

 

NOTE:

[1] “IX. CONCLUSIONI

91. L’articolo 2, comma 1, della legge n. 287/90 considera intese gli accordi e le pratiche concordate tra imprese nonché “le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari”. Le condizioni generali di contratto comunicate dall’ABI relativamente alla “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, in quanto deliberazioni di un’associazione di imprese, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 287/90.

92. Il successivo comma dell’articolo 2 della legge n. 287/90 vieta “le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali”, quando queste siano suscettibili di restringere la concorrenza sui mercati interessati. Le determinazioni di un’associazione di imprese, costituendo elemento di valutazione e di riferimento per le scelte delle singole associate, possono contribuire a coordinare il comportamento di imprese concorrenti11. Relativamente a quest’ultimo profilo, la restrizione della concorrenza derivante da una siffatta intesa risulterebbe significativa nel mercato rilevante, atteso l’elevato numero di banche associate all’ABI.

93. Le verifiche compiute nel corso dell’istruttoria hanno mostrato, con riferimento alle clausole esaminate, la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati dalle banche rispetto allo schema standard dell’ABI. Tale uniformità discende da una consolidata prassi bancaria preesistente rispetto allo schema dell’ABI (non ancora diffuso presso le associate), che potrebbe però essere perpetuata dall’effettiva introduzione di quest’ultimo.

94. La standardizzazione contrattuale non produce necessariamente effetti anticoncorrenziali. Essa può risultare compatibile con le regole di concorrenza a condizione che gli schemi uniformi non ostacolino la possibilità di diversificazione del prodotto offerto, anche attraverso la diffusione di clausole che, fissando condizioni contrattuali incidenti su aspetti significativi del rapporto negoziale, impediscano un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti.

95. In questo senso, non è ingiustificato l’onere per il fideiussore determinato dalla presenza nello schema ABI della clausola “a prima richiesta”. Come emerso nel corso dell’istruttoria – infatti – essa risulta funzionale, quando non assolutamente necessaria, a garantire l’accesso al credito bancario. Tale valutazione trova conferma nel raffronto con le esperienze estere, da cui emerge un’ampia diffusione della clausola in questione, e in quanto previsto nell’Accordo di Basilea 2, che considera la clausola stessa essenziale ai fini del riconoscimento delle garanzie personali come strumenti di attenuazione del rischio.

96. Viceversa, per la clausola relativa alla rinuncia del fideiussore ai termini di cui all’art. 1957 cod. civ. e per le c.d. clausole di “sopravvivenza” della fideiussione non sono emersi elementi che dimostrino l’esistenza di un legame di funzionalità altrettanto stretto. Tali clausole, infatti, hanno lo scopo precipuo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa”.



Rivista di Diritto Bancario Tidona - Il contenuto di questo documento potrebbe non essere aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito a concrete fattispecie.

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