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Di Fabrizio Petillo, Avvocato
La Corte di Cassazione è intervenuta per dirimere il contrasto, determinatosi nell’ambito della giurisprudenza di merito, circa gli interessi da corrispondere per l’ultimo decennio (21° – 30° anno) in relazione ai buoni fruttiferi postali serie Q/P.
Tale autorevole intervento, però, non sembra aver risolto il contrasto che da anni caratterizza le pronunce della giurisprudenza di merito.
Buoni fruttiferi postali serie Q/P: premessa.
Con alcune recenti pronunce[1], la prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha assunto, come anticipato, una posizione circa la questione degli interessi che Poste Italiane S.p.A. è tenuta a corrispondere, per l’ultimo decennio, in relazione ai buoni fruttiferi postali serie Q/P.
Con tali pronunce la Suprema Corte ha provato ad individuare un punto fermo circa una questione che ha visto divisa la giurisprudenza di merito e, parte di essa, porsi in contrasto con quanto sostenuto, invece graniticamente, dall’Arbitro Bancario Finanziario.
Una premessa risulta necessaria per comprendere la causa che ha determinato la controversia circa la reale entità dell’obbligazione assunta da Poste Italiane S.p.A. a seguito della sottoscrizione dei buoni della serie Q/P: secondo quanto previsto dal D.M. datato 13.6.1986 l’intermediario avrebbe potuto emettere buoni fruttiferi della nuova serie Q anche utilizzando i moduli della serie precedente P. Tale facoltà è stata subordinata, dalla normativa ministeriale, all’espletamento di alcuni adempimenti e, in particolare, all’apposizione di due timbri, uno per ogni facciata del buono. Sul fronte avrebbe dovuto essere apposto un timbro con la dicitura “Serie Q/P” e, sul retro, un timbro recante la misura dei tassi di interesse relativi alla nuova serie (i quali, lo si precisa, si presentano meno vantaggiosi rispetto a quelli della precedente serie P).
Ai sensi dell’art. 5 del D.M. del 1986 – che ha istituito la nuova serie di buoni – i buoni emessi tramite i moduli della precedente serie P, con l’apposizione dei due timbri sopracitati, devono essere considerati “a tutti gli effetti, titoli della nuova serie ordinaria [la serie Q]”.
La controversia che si esporrà di seguito è sorta, in particolare, perché Poste Italiane S.p.A. ha apposto, sui buoni emessi utilizzando i moduli della serie precedente, un timbro considerato “incompleto” e, in particolare, un timbro riguardante esclusivamente gli interessi da corrispondere per il primo ed il secondo decennio di riferimento, nulla stabilendo in relazione agli ultimi dieci anni. Circa tale ultimo periodo, quindi, gli interessi da corrispondere sono stati esplicitamente indicati solo dalla tabella già stampigliata sul retro del modulo relativo alla precedente serie e, quindi, riguardante la serie P.
La tesi dell’A.B.F. e della giurisprudenza di merito maggioritaria.
Secondo la totalità dei Collegi d’Italia dell’A.B.F.[2] e secondo quella che sembra la parte maggioritaria della giurisprudenza di merito[3], Poste Italiane S.p.A., in relazione ai buoni fruttiferi serie Q/P, ha l’obbligo contrattuale di corrispondere quanto previsto dalle tabelle stampate sul retro dei buoni e per l’ultimo decennio, quindi, la cifra maggiore stabilita dalla tabella già stampigliata sul modulo e relativa alla precedente serie P, che non è mai stata sostituita da una nuova stampa.
Tale prima tesi si fonda, principalmente, su quanto statuito dalla Suprema Corte in una pronuncia a Sezioni Unite del 2007[4] circa la necessità di tutelare l’affidamento incolpevole dei risparmiatori che, sottoscrivendo i buoni (qualificati come titoli di legittimazione dalla Corte), si sono vincolati alle condizioni poste sugli stessi. Le Sezioni Unite hanno poi aggiunto che, se è vero che in virtù della normativa applicabile ai buoni in esame Poste italiane S.p.A. avrebbe potuto modificare il tasso di interessi da corrispondere con efficacia anche in relazione ai buoni precedentemente emessi (ai sensi del D.P.R. n. 156/1973, cd. “Codice Postale”), altrettanto vero è che deve essere considerato vincolante quanto individuabile sui buoni se sugli stessi sono stampigliati sin dal momento della sottoscrizione – per un fatto imputabile all’intermediario – tassi di interesse diversi da quelli previsti dalla normativa vigente.
Quanto sopra affermato resta fermo anche considerando qualificabili, i buoni fruttiferi postali, come documenti di legittimazione e non come titoli di credito (sulla natura dei buoni fruttiferi vi è, tra l’altro, pieno accordo in giurisprudenza). Difatti, tale tipologia di qualificazione non esclude quanto sopra esposto circa il fatto che Poste Italiane S.p.A. deve essere considerata vincolata a quanto indicato nelle tabelle individuabili sui buoni, dal momento che la sottoscrizione degli stessi determina l’instaurazione di un rapporto negoziale tra il risparmiatore e l’emittente il cui contenuto risulta caratterizzato proprio da quanto riportato sui buoni (lo stesso art. 173 del cd. “Codice Postale”, stabilisce espressamente che “Gli interessi vengono corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni”).
Sempre secondo la tesi in esame – in virtù della quale, quindi, per l’ultimo decennio devono essere corrisposti gli interessi (più alti) ricavabili da quanto stampigliato sul buono (in particolare, gli interessi previsti per i più vantaggiosi buoni della serie precedente P) – quanto sopraesposto non risulta smentito dalla recente sentenza delle SS.UU. n. 3963/2019 la quale, lungi dal porsi in contrasto con quanto in precedenza statuito dalle stesse Sezioni Unite nel 2007, ha ribadito solo che la normativa ministeriale può modificare in peius i tassi di interesse dei buoni precedentemente sottoscritti, ma non ha stabilito la prevalenza di quanto delineato dalla normativa ministeriale rispetto ai divergenti tassi di interesse ricavabili, sin dal momento della sottoscrizione, dai buoni fruttiferi stessi.
La tesi della giurisprudenza di merito minoritaria.
Alla luce invece della tesi che sembra minoritaria[5] nell’ambito della giurisprudenza di merito non può essere configurato, in conseguenza della sottoscrizione dei buoni della serie Q/P, alcun tipo di affidamento da tutelare in capo al risparmiatore.
Tale affermazione è stata fondata, tra l’altro, sul fatto che il principio espresso con la sentenza delle Sezioni Unite del 2007 sopracitata si riferisce, secondo la tesi in esame, ad una ipotesi diversa da quella rappresentata dai buoni della serie Q/P (in particolare la fattispecie presa in considerazione della Sezioni Unite nel 2007 riguarda buoni fruttiferi emessi con moduli della serie precedente senza, però, l’aggiunta di alcun timbro che consentisse di considerare quel buono come appartenente ad una serie diversa) e, soprattutto, sulla considerazione che il risparmiatore, pienamente consapevole della tipologia di buono fruttifero sottoscritto, non ha potuto in realtà maturare alcun dubbio sull’entità degli interessi che sarebbero stati poi corrisposti, i quali non potevano non essere quelli di cui al D.M. istitutivo dei buoni della nuova serie Q, come stabilito anche dal Legislatore che, come sopra visto, ha espressamente equiparato i buoni con il timbro Q/P ai buoni di nuova emissione della serie Q.
Risulta quindi necessario, secondo tale tesi, determinare il contenuto del rapporto contrattuale tramite il meccanismo “sostitutivo” di cui all’art. 1339 c.c., dovendo essere qualificate come “imperative” le norme dell’ordinamento che delineano i tassi di interesse da corrispondere in relazione ai buoni fruttiferi postali. Tali tassi, quindi, in virtù della sopracitata disposizione codicistica, diventano parte del contenuto del rapporto contrattuale instaurato tra Poste Italiane S.p.A. e il risparmiatore.
A sostegno della tesi in esame, la giurisprudenza che vi ha aderito ha richiamato, tra l’altro, i principi espressi dalle SS.UU. del 2019 sopracitate.
Le pronunce della Corte di Cassazione del 2022.
Con le ordinanze sopracitate, la Corte di Cassazione – che sembra aver richiamato argomenti posti a base della tesi minoritaria – ha assunto una posizione per dirimere il conflitto interpretativo creatosi nell’ambito della giurisprudenza di merito.
Tra le molteplici considerazioni esposte nelle articolate pronunce della Suprema Corte pare particolarmente rilevante quella secondo la quale non può essere configurata alcuna forma di affidamento tutelabile in capo al risparmiatore.
Il Giudice della nomofilachia, pur mantenendo fermo il principio garantista enunciato dalle Sezioni Unite nel 2007, ha affermato che nel caso dei buoni serie Q/P il risparmiatore era consapevole della tipologia di buono sottoscritto, essendo stati apposti tutti i timbri previsti, e aveva la possibilità di conoscere gli interessi relativi all’ultimo decennio semplicemente consultando le tabelle allegate al D.M. del 1986 che, come detto, ha istituito la nuova serie Q.
Le Sezioni Unite nel 2007, invece, hanno preso in esame un buono sul quale nessuno dei timbri previsto dalla normativa vigente era stato apposto e in relazione al quale non poteva non essere configurata la necessità di tutelare l’affidamento incolpevole del risparmiatore.
Sempre secondo la Corte, poi, nell’ipotesi dei buoni della serie Q/P deve considerarsi applicabile il meccanismo sopracitato di “sostituzione” previsto dall’art. 1339 c.c. In virtù di tale ultima disposizione codicistica deve ritenersi che quanto ricavabile dal buono in relazione ai tassi di interesse da corrispondere deve essere sostituito con quanto previsto, sempre in relazione agli interessi da corrispondere, dalla normativa statale cogente in materia di buoni della serie Q.
La Corte di Cassazione ha, altresì, evidenziato che l’apposizione di un timbro relativo agli interessi maturati per i soli primi due decenni non può consentire di configurare una dichiarazione di volontà che, in virtù del principio di autoresponsabilità, possa far considerare vincolato l’intermediario. Ciò anche perché si tratta di un’evidente “imperfezione dell’operazione materiale di apposizione del timbro”, dalla quale il risparmiatore non può pretestuosamente ricavare alcuna univoca dichiarazione fatta discendere “dalla forzata giustapposizione, dal collage, di due clausole che stanno invece ognuna per proprio conto: l’una, apposta a timbro, concernente i buoni della serie “Q/P”, l’altra, preesistente, quelli della serie “p””.
Infine la Corte ha richiamato l’art. 1342 c.c. in tema di contratti conclusi con moduli, affermando che deve prevalere quanto indicato sui moduli con i timbri successivamente apposti, trattandosi di clausole aggiunte al modulo incompatibili con quanto previsto originariamente sullo stesso.
Infine la Suprema Corte ha anche sottolineato che, aderendo alla tesi favorevole al risparmiatore, si finirebbe per creare una sorta di buono fruttifero “ibrido”, in relazione al quale dovrebbero essere corrisposti interessi afferenti a buoni di serie diverse in base al decennio di riferimento.
L’orientamento della giurisprudenza di merito successiva alla tesi esposta dalla Suprema Corte.
Prima di tutto va segnalato, come dato rilevante, che parte della giurisprudenza di merito immediatamente successiva alle pronunce della Suprema Corte sopracitate sembra aver ribadito la tesi favorevole ai risparmiatori precedentemente esposta.
In particolare, vari Giudici di merito[6], in aperto contrasto con quanto affermato dalla Suprema Corte, hanno ribadito la tesi alla quale aderisce quella che sembra essere, da sempre, la giurisprudenza di merito maggioritaria.
Per mera completezza si segnala inoltre che, in piena coerenza con quanto da sempre sostenuto dall’unanimità dei Collegi, l’A.B.F. ha continuato a condividere la tesi favorevole al risparmiatore, anche dopo la posizione assunta recentemente dalla giurisprudenza di legittimità[7].
Tali pronunce sono interessanti perché particolarmente articolate nella parte motiva proprio perché tramite le stesse – oltre ad essere stati richiamati gli argomenti posti a base della tesi favorevole ai risparmiatori – sono state esposte svariate argomentazioni per criticare la posizione della Suprema Corte al fine di giustificare il discostamento da quanto dalle stesse statuito.
Più nello specifico la principale critica che è stata avanzata dalla giurisprudenza di merito riguarda quell’argomentazione esposta dalla Suprema Corte in virtù della quale non può configurarsi alcuna forma di errore nella dichiarazione – e, di conseguenza, alcuna forma di tutela dell’altro contraente – nella mera imperfezione della stampigliatura effettuata da Poste Italiane S.p.A. la quale, come noto, non copre completamente la stampa preesistente nella quale sono indicati gli interessi corrisposti per la precedente serie P.
Secondo i Giudici di merito – i quali sembrano aver esposto una considerazione simile a quella elaborata dallo scrivente nel primo commento alle ordinanze della Suprema Corte del 10.2.2002 e del 14.2.2022[8] – tale affermazione non persuade, dal momento che non rileva tanto il fatto che il timbro apposto sul modulo della precedente serie copra in maniera adeguata o meno la stampa relativa agli interessi della precedente serie P ma il fatto che, considerando complessivamente il buono, Poste Italiane S.p.A. abbia apposto un timbro “incompleto” che riporta esclusivamente gli interessi relativi ai primi due decenni.
Premesso quanto sopra, con le varie pronunce di merito adottate successivamente al mese di febbraio 2022, è stato affermato – evidentemente anche nel tentativo di fondare tali decisioni su un precedente che possa giustificare l’aperto contrasto con le recentissime ordinanze della Corte di Cassazione – che non può non darsi rilevanza alla necessità di tutelare l’affidamento del risparmiatore così come statuito dalle Sezioni Unite con la nota pronuncia del 2007 più volte richiamata.
In particolare, secondo la posizione assunta dalla giurisprudenza di merito (la quale ha sempre richiamato la suddetta pronuncia delle Sezioni Unite per motivare la tesi favorevole al risparmiatore), deve essere tutelato chi ha sottoscritto i buoni serie Q/P dopo l’entrata in vigore del D.M. n. 148/1986 (tramite il quale è stata istituita la nuova serie di buoni fruttiferi postali) proprio perché, sin dal momento della sottoscrizione, gli interessi indicati per l’ultimo decennio erano diversi da quelli previsti per la serie Q/P e tale dato rende la questione dei buoni serie Q/P comunque non dissimile, a ben vedere e checché ne dica la Suprema Corte, da quella esaminata con la pronuncia delle Sezioni Unite del 2007 (con la quale il Giudice di legittimità, lo si ricorda, ha preso in considerazione il caso di un buono, appartenente a tutt’altra serie, nel quale alcun tipo di timbro era stato apposto – in violazione di quanto prescritto dalla normativa vigente – e, quindi, in relazione al quale non era in alcun modo possibile sapere che allo stesso sarebbero stati applicati tassi di interessi previsti per una serie diversa rispetto a quella alla quale apparteneva il modulo).
La critica appena esposta, quindi, attribuisce rilevanza esclusivamente al fatto che, sia nei buoni serie Q/P, sia in quelli della serie presa in considerazione dalle Sezioni Unite del 2007, si configurano, semplicemente visionando i buoni, delle omissioni circa le informazioni relative ai tassi di interesse che Poste Italiane S.p.A. avrebbe dovuto successivamente corrispondere. La minima differenza riscontrabile tra la fattispecie sottoposta oggi all’attenzione dei Giudici di merito e quella esaminata dalla Suprema Corte nel 2007 non giustifica, a parere della tesi critica in esame, la mancata applicazione del principio esposto dalle Sezioni Unite.
In altri termini è stato sostenuto che ciò che rileva – sia nella fattispecie presa in esame dalle Sezioni Unite del 2007, sia in quella relativa ai buoni serie Q/P – è la necessità di tutelare il risparmiatore in relazione a dei buoni che, sin dal momento della sottoscrizione, riportavano dei tassi di interesse non corrispondenti a quelli previsti dalla normativa vigente (perché Poste Italiane S.p.A. non aveva apposto alcun timbro sul modulo del buono fruttifero – come nella fattispecie sottoposta alle Sezioni Unite nel 2007 – o perché aveva apposto dei timbri incompleti che nulla comunicavano in relazione all’ultimo decennio).
Irrilevante poi è, secondo la tesi di parte della giurisprudenza successiva alle ordinanze della Corte di Cassazione del 2022, il fatto che in base alla normativa vigente (D.P.R. n. 156/1973) i tassi di interesse da corrispondere al risparmiatore potessero variare successivamente alla sottoscrizione del buono fruttifero proprio perché, nei procedimenti riguardanti i buoni della serie Q/P, il tasso di interesse riportato sul buono fruttifero è stato indicato erroneamente sin dal momento della sottoscrizione e non è variato successivamente (come la normativa sopracitata consentiva). Alla luce di quanto sopra premesso, quindi, non può che essere tutelato l’affidamento del risparmiatore.
Potendo quindi essere applicato il principio esposto dalle Sezioni Unite del 2007 anche alle controversie relative ai buoni della serie Q/P (e non potendo essere considerato tale principio superato dalla successiva pronuncia delle Sezioni Unite del 2009 la quale – come esposto nei paragrafi precedenti – riguarda una fattispecie diversa e, in particolare, l’ipotesi di buoni sottoscritti prima dell’entrata in vigore di una normativa che ha, successivamente, modificato il tasso di interessi), deve conseguentemente essere considerata pienamente giustificata, secondo le recenti sentenze di merito, l’adozione di decisioni che si pongano in contrasto con quanto enunciato, nel 2022, dal Giudice di legittimità.
Secondo la tesi della recente giurisprudenza di merito, infine, non è di ostacolo a quanto sopra affermato il fatto che, andando contro quanto delineato dalla Corte di Cassazione nel 2022, si finisce per applicare, al medesimo buono serie Q/P, una regolamentazione degli interessi “mista”, relativa cioè a buoni di serie diverse (difatti, solo per l’ultimo decennio, troverebbero applicazione i tassi di interesse più favorevoli relativi alla precedente serie P). Tale affermazione risulta fondata sul fatto che, tramite la sottoscrizione dei buoni fruttiferi, si instaura tra il risparmiatore e Poste Italiane S.p.A. un rapporto contrattuale la cui regolamentazione risulta, prima di tutto, da quanto individuabile sul buono.
Infine nelle recenti pronunce dei Giudici di merito è stato sottolineato anche che l’esplicito discostamento da quanto statuito dalla Corte di Cassazione è, a ben vedere, solo apparente. Difatti, secondo i recenti provvedimenti in esame, la giurisprudenza di merito, a ben vedere, non si sta ponendo in contrasto con quella di legittimità ma sta, semplicemente, applicando il principio espresso autorevolmente dalle Sezioni Unite del 2007 e si sta – giustificatamente quindi – discostando da quanto statuito da una Sezione Semplice della Suprema Corte.
Considerazioni conclusive.
Le recenti ordinanze della Suprema Corte determineranno, verosimilmente, una decisa battuta di arresto in relazione alle numerose domande dei risparmiatori che si stavano rivolgendo all’Autorità Giudiziaria, per ottenere quanto spesso già riconosciutogli dalle decisioni dell’A.B.F. non ottemperate spontaneamente da Poste Italiane S.p.A.
Quanto sopra detto potrebbe restare fermo anche se parte della giurisprudenza di merito continua ad aderire alla tesi favorevole ai risparmiatori, almeno sino a quanto la Corte di Cassazione non rivedrà, magari stimolata proprio dal mancato adeguamento della giurisprudenza di merito, la propria posizione[9].
Delle articolate argomentazioni esposte dalla Corte di Cassazione con le ordinanze del 2022 sembra rilevante quella in virtù della quale la situazione relativa ai buoni fruttiferi postali della serie Q/P debba essere considerata sensibilmente diversa da quella esaminata dalle Sezioni Unite nel 2007.
Se è vero però che nel caso sottoposto all’attenzione dei Supremi Giudici nel lontano 2007 non vi era alcun elemento sul buono per comprendere che lo stesso facesse parte di una serie diversa, è anche vero che sui buoni della serie Q/P l'”informazione” relativa agli interessi è stata complessivamente fornita comunque in maniera indubbiamente incompleta o, quantomeno, fuorviante.
Non si tratta forse solo di un timbro che, semplicemente, non copre completamente quello stampigliato sul modulo della serie precedente, ma di un timbro incompleto che nulla dice circa gli interessi da corrispondere in relazione all’ultimo decennio.
Come sopradetto tale contestazione è stata avanzata anche dalla Corte di Appello di Firenze – sez. II civ., sent. n. 1308/2022 – nell’ambito dei vari argomenti esposti per giustificare una decisione che, nel tutelare il risparmiatore, si discosta apertamente da quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con le pronunce più volte citate.
Si sottolinea, infine, che nel caso in cui l’orientamento enunciato della Corte di Cassazione dovesse essere confermato potrebbe forse essere configurata, nel tentativo di tutelare in altro modo i risparmiatori, una responsabilità risarcitoria precontrattuale a carico di Poste Italiane S.p.A. per la violazione, da parte di quest’ultima, del canone di buona fede e avendo il risparmiatore, in conseguenza di tale violazione, stipulato un contratto valido, efficace ma svantaggioso.
Difatti, secondo una tesi condivisa da una parte della dottrina e della giurisprudenza[10] , la responsabilità precontrattuale per violazione del canone della buona fede, di cui agli artt. 1337 c.c. e ss., può essere configurata non solo nelle ipotesi tradizionali di trattative ingiustificatamente e improvvisamente interrotte o di stipulazione di un contratto invalido, ma anche quando la violazione del canone della buona fede, da parte di uno dei contraenti, abbia condotto alla stipulazione di un contratto valido ma svantaggioso per l’altra parte.
Per tale via potrebbe essere configurata una forma di tutela risarcitoria per il risparmiatore che ha sottoscritto i buoni della serie Q/P i cui moduli, come visto, appartengono alla precedente serie P e in relazione ai quali il tasso di interessi da corrispondere non è stato comunicato al sottoscrittore aggiungendo sul modulo della precedente serie le informazioni volte a rendere sufficientemente edotto il risparmiatore degli interessi che sarebbero maturati nell’ultimo decennio.
Se, come statuito autorevolmente dalla Suprema Corte, il contratto stipulato con la sopracitata sottoscrizione deve essere considerato valido ed efficace e non può condurre, tramite la tutela del legittimo affidamento del risparmiatore, alla corresponsione di interessi maggiori per l’ultimo decennio – cosi come da sempre riconosciuto dall’A.B.F. e da larga parte della giurisprudenza di merito – potrebbe forse essere tutelato il risparmiatore configurando una responsabilità risarcitoria precontrattuale a carico di Poste Italiane S.p.A. la quale, violando il canone oggettivo della buona fede, ha determinato la stipulazione di un contratto valido ed efficace ma meno vantaggioso di quanto il risparmiatore avrebbe potuto immaginare al momento della sottoscrizione, almeno per quanto riguarda gli interessi da corrispondere in relazione all’ultimo decennio.
In particolare, secondo la tesi che ritiene configurabile l’estensione della responsabilità precontrattuale anche all’ipotesi di contratti validi ma svantaggiosi, il danno risarcibile dovrebbe essere determinato considerando il “minor vantaggio” o il “maggior aggravio economico” sopportato dalla parte che ha subito la violazione del canone di buona fede.
Il canone della buona fede, sempre secondo la tesi in esame, in relazione alla fattispecie della responsabilità precontrattuale da contratto valido ma svantaggioso, deve essere considerato violato, tra l’altro, ogniqualvolta nella fase delle trattative si viola il generale dovere di informare adeguatamente la controparte (tale generale dovere di informazione assume, nelle ipotesi di evidente squilibrio informativo delle parti – come quello ravvisabile, a ben vedere, tra Poste Italiane S.p.A. e il risparmiatore – ancor più rilevanza).
Note:
[1] Cass., sez. I civ., ord. n. 4384/2022 del 10.2.2022 e, successivamente, Cass. ord., sez. I civ., nn. 4748/2022, 4751/2022, 4763/2022 (queste ultime tutte pubblicate in data 14.2.2022).
[2] A.B.F. – Collegio di Napoli, dec. n. 6142/2018 e dec. datata 28.7.2020 (prot. n. 0014955/20); A.B.F. – Collegio di Roma, dec. n. 8791/2017; A.B.F. – Coll. di Coord. n. 5674/2013. Si veda poi, soprattutto, A.B.F. – Coll. di Coord., dec. n. 6142/2020 la quale, tra l’altro, ha richiamato il principio statuito dalle SS.UU. della Corte di Cassazione del 2007. Ancor più di recente, A.B.F. – Collegio di Bari, dec. n. 21790/2021 e A.B.F. – Collegio di Milano, dec. n. 21614/2021.
[3] Corte di Appello di Torino, sez. I civ., sent. del 15.2.2021; Corte di Appello di Torino, sent. n. 1799/2019 del 17.9.2019; Corte di Appello di Brescia, sez. I civ., sent. datata 7.10.2021; Trib. di Milano, sez. VI civ., sent. n. 91/2020 del 9.1.2020; Trib. di Genova, ord. datata 16.4.2021; Trib. di Brescia, sez. I civ., ord. datata 5.7.2017; Trib. di Ivrea, ord. del 8.7.2021; Trib. di Torino, ord. datata 24.4.2019; Trib. di Parma, ord. del 2.5.2018. In relazione ad una fattispecie relativa a buoni appartenenti ad una serie diversa, nella quale però sono stati ribaditi i medesimi principi espressi dalle SS.UU. del 2007, si veda Trib. di Roma, sez. XVI civ., sent. del 21.11.2019 e Trib. di Benevento, sez. II civ., sent. del 10.1.2019.
[4] Cass., SS.UU., sent. n. 13979/2007. Il principio generale espresso dalla SS.UU. nel 2007 è stato successivamente richiamato dalla Suprema Corte, ad esempio, con Cass., sez. I civ., ord. n. 4761/2018 e Cass., sez. I civ., ord. n. 19002/2017.
[5] Tra le varie si vedano Trib. di Milano, sez. VI civ., sent. n. 10105/2019 del 7.11.2019; Trib. di Bergamo, sez. III civ., sent. n. 1396/2019 del 12.6.2019; Trib. di Monza, I sez. civ., proc. n.r.g. 3975/2017; Corte di Appello di Milano, I sez. civ., sent. n. 5025/2019 del 16.12.2019; Corte di Appello di Milano, sez. I civ., sent. n. 435/2020 del 7.2.2020.
[6] Corte di Appello di Firenze, sez. II civ., sent. n. 1308/2022 del 21.6.2022; Trib. di Trapani, sez. civ., sent. n. 174/2022 del 16.2.2022; Trib. di Velletri, sez. II civ., sent. n. 2113/2022 del 16.11.2022. Si segnala, come esempio di pronuncia che invece si è limitata a richiamare la tesi esposta dalle recenti ordinanze della Suprema Corte e ad adeguarsi a quanto dalle stesse stabilito: Corte di Appello di Salerno, sez. civ., sent. n. 1208/2022 del 22.9.2022.
[7] A.B.F. – Collegio di Roma, dec. datata 8.3.2022.
[8] F. PETILLO, “Buoni fruttiferi postali serie Q/P: quali interessi spettano”, in www.studiocataldi.it.
[9] Deve essere segnalato però che, di recente, la Corte di Cassazione ha confermato il proprio orientamento con ord., sez. VI civ., n. 87/2023 del 3.1.2023. Tale pronuncia è rilevante perché la stessa – oltre a ribadire la posizione assunta dalla Suprema Corte nel 2022 pur avendo parte della giurisprudenza di merito continuato ad aderire alla tesi favorevole ai risparmiatori – è stata adottata da una Sezione diversa della Corte e quindi, a differenza di tutte le pronunce del 2022, non dalla medesima Sezione (la prima) composta dagli stessi magistrati (e dallo stesso relatore).
[10] In giurisprudenza si vedano, ad esempio, Cass., sez. I civ., sent. n. 19024/2005 del 29.9.2005 e Cass., SS.UU., sent. nn. 26724/2007 e 26725/2007 del 19.12.2007.
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