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Brevi note a Cassazione Civile, sezione I, ordinanza interlocutoria n. 11486 del 30/4/2021
Di Maurizio Tidona, Avvocato
La Prima Sezione della Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 11486 del 30 aprile 2021, ha rimesso al Primo Presidente della Corte di Cassazione la valutazione sulla necessità della trasmissione alle Sezioni Unite della questione di massima importanza relativa alle conseguenze giuridiche di una fideiussione bancaria per cui sia contestata la nullità per violazione dell’art. 2 della Legge Antitrust (Legge n. 287 del 10/10/1990).
In particolare, ci si riferisce alla fideiussione bancaria ritenuta frutto di una intensa limitativa della concorrenza, in quanto stesa sullo schema contrattuale predisposto dall’ABI nell’ottobre 2002, giudicato dall’Autorità garante della Concorrenza (AGCM) frutto di un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza, come da accertamento della Banca d’Italia, n. 55 del 2 maggio 2005.
È utile un breve excursus dei fatti relativi, prima di dar cenno all’ordinanza di rimessione al Primo Presidente della Cassazione.
Nell’ottobre del 2002 l’ABI ha concordato con alcune organizzazioni di tutela dei consumatori il contenuto di uno schema di contratto di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, notificando alla Banca d’Italia lo schema finale con lettera del 7 marzo 2003.
Lo schema di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie” predisposto dall’ABI si componeva di una sezione preliminare e di tredici articoli, che disciplinavano l’oggetto della garanzia (art. 1), gli obblighi del fideiussore (artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8 e 10), gli obblighi e le facoltà della banca (artt. 5, 9, 11 e 12); infine, le clausole ritenute non applicabili alla fideiussione prestata da un soggetto che rivesta la qualità di consumatore ai sensi dell’art. 1469-bis, comma 2, c.c. a favore di un soggetto che presenti la medesima qualità (art. 13).
Lo schema era caratterizzato dalla c.d. clausola omnibus, che prevede che il fideiussore garantisca il debitore di una banca per tutte le obbligazioni da questo assunte, comprensive non solo dei debiti esistenti nel momento in cui la garanzia fideiussoria viene prestata, ma anche di quelli che possano derivare in futuro da operazioni di qualunque natura intercorrenti tra la banca ed il debitore principale.
La Banca d’Italia, al fine di accertare se lo schema contrattuale predisposto dall’ABI potesse configurare un’intesa restrittiva della concorrenza, ha dato inizio l’8 novembre 2003 all’istruttoria prevista dagli artt. 2 e 14 della Legge n. 287 del 10/10/1990 (Legge Antitrust).
La Banca d’Italia, con il Provvedimento n. 55 del 2/5/2005, ha concluso che alcune specifiche clausole dello schema predisposto dall’ABI fossero da ritenere lesive della concorrenza.
In particolare, le clausole dello schema predisposto dall’ABI ritenute lesive della concorrenza – in applicazione dell’art. 2, comma 2, lettera a, della Legge Antitrust – sono state le seguenti:
– Artt. 2 e 8: c.d. clausole di “sopravvivenza” della fideiussione;
– Art. 6 (clausola derogatoria dell’art. 1957 c.c.).
Tali clausole prevedevano nello schema Abi quanto segue:
– Art. 2 dello schema (c.d. “clausola di reviviscenza”): “[il fideiussore è tenuto] a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”. La clausola impegna pertanto il fideiussore a tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento, anche quando egli abbia confidato nell’estinzione della garanzia a seguito del pagamento del debitore;
– Art. 6 dello schema (rinunzia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.): “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato”;
– Art. 8 dello schema: “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”. La clausola prevede l’insensibilità della garanzia prestata agli eventuali vizi del titolo in virtù del quale il debitore principale è tenuto nei confronti della banca.
Lo schema Abi è stato fatto proprio negli anni da diverse banche, dal che ne consegue la rilevanza della questione.
L’orientamento iniziale della Cassazione è stato quello di ritenere applicabile in tali fattispecie una pronuncia di nullità parziale ex art. 1419 c.c., limitatamente però alle sole singole clausole rivenienti dalle intese illecite (ossia delle clausole prima indicate: nn. 2, 6 e 8).
In tal senso, la pronunzia della Cassazione Civile, sez. I, n. 24044 del 26/9/2019:
“Avendo l’Autorità amministrativa [AGCM e Banca d’Italia] circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese, ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 c.c. e ss. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 c.c., come avvenuto nel presente caso, laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite. Va osservato in proposito che la decisione della Corte di appello, che ha ritenuto di preservare la dichiarazione fideiussoria espungendo le clausole frutto di intese illecite, favorevoli alla banca, che non incidevano sulla struttura e sulla causa del contratto, non ha pregiudicato la posizione dei garanti, che risulta meglio tutelata proprio in ragione della declaratoria di nullità parziale”.
L’art. 1419 c.c. dispone in particolare, in relazione alla nullità parziale, che “[I]. La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”.
In altri termini, più chiaramente: la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole non comporta la nullità dell’intero contratto, se è ritenibile che i contraenti lo avrebbero comunque concluso, anche senza quella parte del suo contenuto che è stata colpita dalla nullità.
La Prima Sezione della Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 11486 del 30/4/2021, si domanda ora, tra le altre questioni, se sia corretta ed ammissibile una tale dichiarazione di nullità parziale della fideiussione, oppure se la fideiussione si possa e debba ritenere interamente nulla, indagando in questo la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia senza le clausole invalide, epurate dal testo contrattuale per intervento del giudice.
In particolare, la prima Sezione richiama i principi statuiti dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 2207 del 4/2/2005, in materia di polizze di assicurazione. Le SS.UU. furono allora chiamate a pronunciarsi sull’individuazione del giudice competente in ordine all’azione di restituzione del maggior importo versato a titolo di premio per una polizza di assicurazione r.c.a. stipulata in conformità delle condizioni stabilite dal cartello delle compagnie assicuratrici; le SS.UU. ritennero che la competenza spettasse alla corte d’appello, ai sensi dell’art. 33 [Competenza giurisdizionale] della legge n. 287 del 1990, riconoscendo altresì al consumatore la legittimazione a proporre le azioni previste dal comma secondo di tale disposizione [azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle relative disposizioni], nonostante la sua estraneità all’intesa anticoncorrenziale, ed ammettendo il concorso tra la tutela risarcitoria e l’azione di nullità, ritenuta proponibile non solo nei confronti dell’intesa a monte, ma anche nei confronti dei contratti c.d. a valle.
Le SS.UU., con la pronunzia n. 2207/2005, affermarono in specie che “il contratto cosiddetto “a valle”, ovvero il prodotto offerto al mercato, del quale si allega … la omologazione agli altri consimili prodotti offerti nello stesso mercato, è tale da eludere la possibilità di scelta da parte del consumatore”.
Le SS.UU. affermarono che in questo: “in definitiva, poiché, come è stato scritto argutamente, la legge non si occupa dell’intesa tra i barbieri di piccolo paese, il dato quantitativo conferma che oggetto immediato della tutela della legge non è il pregiudizio del concorrente ancorché questo possa essere riparato dalla repressione della intesa, bensì un più generale bene giuridico”.
Conseguendone uno stretto ed inscindibile collegamento tra l’intesa a monte, ritenuta illecita, con i contratti a valle, che ne costituiscono il frutto, in quanto “il consumatore, che è l’acquirente finale del prodotto offerto al mercato, chiude la filiera che inizia con la produzione del bene. Pertanto la funzione illecita di una intesa si realizza per l’appunto con la sostituzione del suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente. E ciò quale che sia lo strumento che conclude tale percorso illecito. A detto strumento non si può attribuire un rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare, giacché il suo collegamento funzionale con la volontà anticompetitiva a monte lo rende rispetto ad essa non scindibile”.
La prima Sezione della Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 11486/2021, richiamando quanto espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 2207 del 2005 lamenta adesso che le pronunzie più recenti (richiama: Cass. n. 24044 del 26/9/2019) avrebbero comportato un ingiustificato indebolimento del rapporto tra i contratti a valle (le fideiussioni) e l’intesa a monte (di cui allo schema Abi) e questo comporterebbe esiti contraddittori, avendo giustificato l’applicazione di un principio abbandonato dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2005, avendo la più recente giurisprudenza affermato che «dalla declaratoria di nullità di un’intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dall’Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti», e per altro verso l’affermazione secondo cui, «avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese […], ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 cod. civ. e ss. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 cod. civ. […] laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite” (così Cass., Sez. I, n. 24044 del 26/ 9/2019).
La prima Sezione della Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 11486/2021, ritiene di massima importanza che sia data risposta alle seguenti questioni, da rimettere nuovamente alle Sezioni Unite:
a) se la coincidenza totale o parziale delle fideiussioni con lo schema Abi ritenuto lesivo della concorrenza giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno da parte del danneggiato;
b) ove sia ritenuta applicabile la nullità predetta, quale sia in concreto il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere;
c) se sia pertanto ammissibile o meno una dichiarazione di nullità solo “parziale” della fideiussione;
d) se, in tutto questo, l’indagine del giudice debba avere ad oggetto, oltre alla coincidenza delle fideiussioni con lo schema Abi ritenuto lesivo della concorrenza, anche la potenziale volontà del fideiussore di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia senza le clausole invalide; oppure, eliminate le clausole invalide, si realizzi un mutamento tale dell’assetto d’interessi derivante dal contratto, tale da dover condurre necessariamente ad una nullità dell’intera fideiussione.
A seguire la massima estratta dell’ ordinanza interlocutoria n. 11486/2021 con le ragioni integrali a sostegno.
– Cassazione Civ, sezione I, ordinanza interlocutoria n. 11486 del 30/4/2021
– MASSIMA ESTRATTA:
“L’insieme di tali interrogativi rende evidente la necessità di una rimeditazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità dei contratti stipulati in conformità d’intese restrittive della concorrenza, volta a verificarne l’applicabilità alle fideiussioni bancarie prestate in conformità delle condizioni uniformi predisposte dall’ABI, ed in particolare a stabilire a) se la coincidenza totale o parziale con le predette condizioni giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno, b) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere, c) se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione, e d) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto d’interessi derivante dal contratto. Trattasi di questione di massima che riveste particolare importanza, in considerazione della frequente ricorrenza della fattispecie, che consente di attribuire al relativo esame uno spiccato rilievo nomofilattico, tale da giustificare la rimessione degli atti al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374 c.p.c.”.
– TESTO INTEGRALE:
“LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
RAGIONI DELLA DECISIONE:
(…)
5.2. Il concentrarsi del dibattito giurisprudenziale sulla questione di competenza, unitamente all’attenuazione della distinzione tra l’azione risarcitoria e quella restitutoria, ricollegabile all’osservazione secondo cui «una parte che chiede dichiararsi la nullità di un’intesa allega un fatto illecito nella cui struttura vi è l’elemento psicologico del dolo o della colpa» (cfr. Cass., Sez. Un., 4/02/2005, n. 2207, cit.), ha prodotto come inevitabile conseguenza una minore attenzione verso l’azione di nullità, il cui fondamento, come rilevato dalla dottrina, è rimasto alquanto incerto, oscillando apparentemente tra la contrarietà dell’atto a norme imperative, e segnatamente all’art. 2 della legge n. 287 del 1990, e l’illiceità della causa.
Nel contempo, l’attività svolta dalle Autorità preposte alla tutela della concorrenza e del mercato ha condotto all’emersione di altri tipi di intesa, riguardanti settori diversi dell’economia, ed in particolare quello bancario, nell’ambito del quale la Banca d’Italia, con provvedimento del 2 maggio 2005, n. 55 (allegato a sostegno della domanda proposta nel presente giudizio), ha dichiarato contrarie all’art. 2, comma secondo, lett. a), della predetta legge, se applicate in modo uniforme, le clausole dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie che prevedevano la rinuncia del fideiussore ai termini di cui all’art. 1957 cod. civ. e la sopravvivenza della garanzia all’inefficacia dei pagamenti o all’invalidità dell’obbligazione principale.
È così accaduto che, a fronte di azioni come quella in esame, proposte da soggetti che avevano prestato garanzia mediante contratti o dichiarazioni redatti in conformità dello schema predisposto dall’ABI, si è provveduto all’automatica applicazione dei principi enunciati in riferimento alla nullità dei contratti di assicurazione, senza approfondirne adeguatamente le ricadute, in relazione alle differenze riscontrabili tra le due fattispecie.
In proposito, si è richiamata per un verso l’affermazione delle Sezioni Unite secondo cui «il consumatore finale che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 della legge n. 287», e per altro verso l’osservazione di una più risalente pronuncia (cfr. Cass., Sez. I, 1/02/1999, n. 827), riguardante l’ambito applicativo della disciplina antitrust, secondo cui detta legge, «allorché dispone che siano nulle ad ogni effetto le “intese” fra imprese che abbiano ad oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, non ha inteso riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico ovvero negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un particolare “voluto”», ma «in realtà ed in senso più ampio proibire il fatto della distorsione della concorrenza, in quanto si renda conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche; il che può essere il frutto anche di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”»; si sono quindi considerate rilevanti «qualsiasi condotta di mercato (an- che realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale), purché con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonché anche le fattispecie in cui il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”», concludendosi che, «allorché l’articolo in questione stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza» (cfr. Cass., Sez. I, 12/12/2017, n. 29810).
L’aver impostato l’intera problematica riguardante l’invalidità dei contratti a valle in termini di diretta contrarietà dell’atto alla disciplina antitrust ha condotto inoltre alla svalutazione del collegamento tra la dichiarazione di nullità dello stesso e l’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale da parte dell’Autorità Garante, ritenuto idoneo a giustificare l’accoglimento della domanda proposta dal consumatore anche nel caso in cui sia intervenuto dopo la stipulazione del contratto (a condizione, beninteso, che quest’ultima risulti successiva all’intesa), e relegato comunque al rango di prova privilegiata della condotta anticoncorrenziale, che il giudice di merito è tenuto a valutare nel suo contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, al fine di accertare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, senza che possa attribuirsi rilievo decisivo alla prescrizione contenuta nel provvedimento amministrativo, con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario (cfr. Cass., Sez. I, 22/05/2019, n. 13846; sostanzialmente nel medesimo senso, in tema di assicurazione r.c.a., v. Cass., Sez. I, 28/05/2014, n. 11904; Cass., Sez. VI, 23/04/2014, n. 9116; Cass., Sez. III, 9/05/2012, n. 7039).
L’indebolimento del rapporto tra i contratti a valle e l’intesa a monte ha condotto peraltro ad esiti contraddittori, avendo giustificato per un verso la riesumazione del principio, abbandonato a partire dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui «dalla declaratoria di nullità di un’intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dall’Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti», e per altro verso l’affermazione secondo cui, «avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese […], ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 cod. civ. e ss. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 cod. civ. […] laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite (cfr. Cass., Sez. I, 26/ 09/2019, n. 24044).
Tutto ciò sulla base del mero accertamento della coincidenza tra le clausole dichiarate anticoncorrenziali dal provvedimento della Banca d’Italia e quelle contenute nel contratto a valle e dell’oggettiva constatazione dell’inidoneità della loro espunzione ad alterare l’assetto d’interessi emergente dallo stesso, prescindendosi da qualsiasi valutazione in ordine alla potenziale volontà delle parti di concludere ugualmente il contratto, senza quella parte del suo contenuto colpita dalla nullità.
5.3. Tali incertezze dell’elaborazione giurisprudenziale sono state puntualmente rilevate dalla dottrina, la quale, pur mostrando di condividere l’estensione al consumatore finale della legittimazione ad avvalersi della tutela assicurata dalla disciplina antitrust, anche alla stregua delle indicazioni emergenti dagli artt. 3 e 101 e ss. TFUE, si è a sua volta divisa sull’individuazione dei relativi strumenti, essendosi insistito da parte di alcuni sull’inammissibilità dell’azione di nullità, anche in virtù del richiamo all’art. 1, comma primo, del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, il quale, nel dare attuazione alla direttiva 2014/104/UE, volta a disciplinare l’azione di risarcimento del danno per violazione delle disposizioni in materia di diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’UE, non ha fatto alcun cenno alla tutela reale del consumatore finale pregiudicato da un’intesa restrittiva.
Tra coloro che hanno ritenuto invece ammissibile l’azione di nullità, sulla base della considerazione che la nullità delle intese restrittive della concorrenza si ridurrebbe a una sanzione meramente formale se si consentisse alle imprese di darvi ugualmente attuazione attraverso la stipulazione di validi contratti a valle, non vi è poi accordo in ordine all’individuazione del tipo di nullità, essendo state prospettate, oltre alle già menzionate nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, una nullità per illiceità dell’oggetto (limitata al vantaggio che l’impresa ha tratto dalla stipulazione del contratto a valle), una nullità derivata (riconducibile a quella dell’intesa a monte, in virtù del collegamento funzionale esistente con il contratto a valle) o una nullità di protezione (prevista a tutela del soggetto danneggiato dall’intesa, e quindi deducibile esclusivamente da quest’ultimo).
Discussa è altresì la configurabilità di una nullità parziale, come quella ravvisata nel caso in esame dalla sentenza impugnata, e ciò in ragione della diversità delle parti del contratto a valle, rispetto a quelle dell’intesa a monte, e della conseguente difficoltà di stabilire se le prime avrebbero ugualmente prestato il proprio consenso, in mancanza delle clausole riproduttive del contenuto dell’intesa: indagine, questa, che nel caso della fideiussione bancaria potrebbe risultare peraltro superflua, ove si consideri che, nonostante l’espunzione delle predette clausole, la banca può avere interesse a conservare la garanzia, non essendo certo che il debitore sia in grado di offrirne altre in sostituzione.
L’insieme di tali interrogativi rende evidente la necessità di una rimeditazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità dei contratti stipulati in conformità d’intese restrittive della concorrenza, volta a verificarne l’applicabilità alle fideiussioni bancarie prestate in conformità delle condizioni uniformi predisposte dall’ABI, ed in particolare a stabilire a) se la coincidenza totale o parziale con le predette condizioni giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno, b) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere, c) se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione, e d) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto d’interessi derivante dal contratto. Trattasi di questione di mas- sima che riveste particolare importanza, in considerazione della frequente ricorrenza della fattispecie, che consente di attribuire al relativo esame uno spiccato rilievo nomofilattico, tale da giustificare la rimessione degli atti al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374 c.p.c.”.
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