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Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 27865 del 30/10/2019
La Cassazione ha affermato che l’art. 186-bis Legge Fallimentare quando attribuisce al tribunale il potere di revocare l’ammissione al concordato con continuità aziendale, qualora l’esercizio dell’attività di impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori, non significa che l’organo giudicante abbia il compito di procedere alla valutazione della convenienza economica della proposta ma che debba invece verificare che l’andamento dei flussi di cassa e dell’indebitamento sia coerente con l’obiettivo del risanamento dell’impresa come indicato nella proposta e nel piano, e che non sia tale da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori.
Principio di diritto:
In tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto a una verifica della fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, e tale fattibilità è concetto ben diverso dalla convenienza economica, questa seconda riservata invece ai creditori. La verifica di fattibilità comprende sia l’aspetto giuridico sia l’aspetto economico del concordato, perché entrambe le valutazioni si impongono nel perimetro dell’unica complessiva attinente alla realizzabilità prima facie (ovvero alla plausibilità) della causa concreta (v. per riferimenti Cass. n. 5825-18). Questa Corte ha invero chiarito che il tribunale è tenuto a una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta). E ha precisato che tali principi vengono maggiormente in rilievo nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis L. Fall., perché qui la rigorosa verifica della fattibilità “in concreto” ancor più presuppone un’analisi inscindibile dei presupposti giuridici ed economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa in un contesto in cui il favor per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese a evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività non può che essere funzionale (Cass. n. 9061-17). In linea con le coordinate di siffatto indirizzo, è dunque possibile affermare che la previsione dell’art. 186-bis, u.c., L. Fall., attribuendo al tribunale il potere di revocare l’ammissione al concordato con continuità aziendale qualora l’esercizio dell’attività di impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori, non implica che l’organo giudicante abbia il compito di procedere alla valutazione della convenienza economica della proposta, ma che si debba verificare che l’andamento dei flussi di cassa e dell’indebitamento sia coerente con l’obiettivo del risanamento dell’impresa così come indicato nella proposta e nel piano, e che non sia tale da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori. Ove un sindacato del genere sia svolto, quale che ne sia infine l’esito, non si è mai dinanzi a un caso di esorbitanza dai confini della valutazione di convenienza economica, ma si è proprio all’interno della valutazione riservata al (e doverosa per) il giudice del merito.
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