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CASSAZIONE CIVILE, SEZ. III, n. 21863 dell’11/7/2022
MASSIMA ESTRATTA N. 1:
Sotto il nome di “assicurazioni collettive” la prassi accomuna pratiche commerciali molto diverse tra loro. Talora con tale espressione si designa una pura e semplice assicurazione per conto altrui, stipulata dal contraente – che sostiene l’onere del premio – a favore di soggetti che abbiano determinati requisiti, ovvero che potranno averli in futuro: è l’ipotesi, ad esempio, dell’assicurazione contro gli infortuni in incertam personam, stipulata da un datore di lavoro a favore dei propri dipendenti e di quanti lo diverranno in futuro; oppure dell’assicurazione contro gli infortuni stipulata da una associazione a favore dei propri iscritti e di quanti lo diverranno in futuro. In altri casi l’espressione “assicurazione collettiva” viene impiegata come metonimia, per designare ipotesi in cui il contraente non versa alcun premio all’assicuratore, ma si limita a concordare con questi le condizioni generali che saranno applicate a quanti in futuro vorranno beneficiare della copertura assicurativa, manifestando il consenso ed accollandosi il premio. In queste ipotesi l’accordo tra il contraente e l’assicuratore non è una “assicurazione”, perché di tale contratto mancano due elementi essenziali: il rischio e il premio. Manca il primo, perché l’assicuratore non si accolla alcun rischio; manca il secondo perché il contraente non versa e non si obbliga a versare alcunché. Accordi di questo genere vanno qualificati come “contratti normativi”, mentre “assicurazione” sarà solo il contratto stipulato “a valle”, dal singolo aderente. Ricorrendo questa ipotesi, dovrà qualificarsi “contraente” della polizza non chi ha stipulato il contratto normativo presupposto, ma il c.d. “aderente”, perché è questi che manifesta il consenso alla copertura assicurativa e sostiene l’onere del premio.
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