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12 Luglio 2019 In Diritto Fallimentare e Crisi di impresa, Notizie dalla Corte Bancaria

CASSAZIONE – Gli atti di ordinaria amministrazione consentiti al debitore nella fase del preconcordato e nel concordato preventivo

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Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 14713 del 29 maggio 2019

La legittimità degli atti di ordinaria amministrazione (astrattamente consentiti) deve essere valutata caso per caso

 

Massima 1:

Se è indubbio che nel corso della procedura di concordato preventivo l’imprenditore insolvente conserva la gestione dell’impresa e può quindi porre in essere atti di ordinaria amministrazione della stessa, i quali atti non debbono, però, essere in condizione di pregiudicare gli interessi della massa dei creditori; e se è altresì indubbio che proprio questi ultimi interessi sono presi in considerazione dall’art. 167, comma 2, nel prevedere che gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione devono essere autorizzati, pena l’inefficacia; se, in altre parole, è indubbio che l’interesse della massa viene tenuto in conto a mezzo del vaglio preventivo del giudice in ordine a tutti quegli atti che, dovendosi qualificare di straordinaria amministrazione, sarebbero potenzialmente in grado di incidere negativamente sugli interessi in questione; se questo è, non è meno evidente che la valutazione in proposito risente della condizione dell’impresa. Invero già questa Corte ha affermato che atti astrattamente qualificabili come di ordinaria amministrazione se compiuti nel normale esercizio di una impresa possono, invece, assumere un diverso connotato se compiuti dopo la presentazione di una domanda di concordato (v. esplicitamente Cass. n. 14484-04) – e qui devesi aggiungere soprattutto se “con riserva” -, poichè, ove abbiano a investire interessi del ceto creditorio o incidere negativamente sulla procedura, quegli atti possono risultare idonei a sottrarre risorse, ovvero a pregiudicare la consistenza del patrimonio, compromettendo la capacità residua di soddisfacimento delle ragioni dei creditori. E non a caso, di recente, seppure ai fini della revoca dell’ammissione ai sensi della L. Fall., art. 173 a fronte di azioni giudiziali promosse dall’imprenditore senza autorizzazione, si è inteso precisare che la relativa valutazione da parte del tribunale va condotta caso per caso, secondo “la specifica finalità che l’atto (..) risulta perseguire rispetto all’obbiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori” (v. Cass. n. 2664618). Da questo punto di vista gli atti legalmente compiuti, di cui all’art. 161, comma 7, postulano quindi un giudizio di coerenza con la situazione nell’ambito della quale sono posti in essere. Pertanto suppongono una riconduzione nell’alveo della categoria di atti consentiti in rapporto al tipo di concordato, poichè un medesimo atto può bensì considerarsi come di ordinaria amministrazione dinanzi a una situazione implicante, per esempio, la continuità aziendale, ma non dinanzi a una situazione del tutto diversa, come quella connotata dal mero fine liquidatorio – e anche qui con l’appendice di ulteriori potenziali differenziazioni a seconda che vi sia, o meno, l’esigenza di completare i contratti in essere prima della liquidazione.

 

Massima 2:

Nell’ambito della fase di preconcordato è certamente concessa al debitore la facoltà di compiere atti di gestione dell’impresa, senza necessità di autorizzazione, ma pur sempre tenendo conto del fine primario di conservazione dell’integrità e del valore patrimoniale. Chè altrimenti vano sarebbe parlare di rilevanza dell’atto secondo il criterio – tratto dal predominante indirizzo giurisprudenziale sopra citato – della idoneità a incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone la capacità a soddisfare le ragioni dei creditori. Questo sta a significare che, ai fini della possibilità di ravvisare il fondamento della prededuzione del credito derivante da atti di amministrazione ordinaria “legalmente compiuti”, secondo la specifica previsione dell’art. 161, comma 7, la prospettiva del concordato non può essere completamente “in bianco”. In vero è necessaria quella che taluni hanno definito una minima discovery, vale a dire una certa qual indicazione, finanche nel caso solo di massima, ma comunque idonea a segnalare il tipo di proposta che si intenda presentare, così da stabilire almeno verso quale forma di concordato l’imprenditore abbia inteso indirizzarsi, per modo da confrontare rispetto a essa la valutazione degli atti consentiti. Ove la domanda sia prospettata come veramente “in bianco”, l’atto incidente sul patrimonio non può che considerarsi, ai fini dell’insorgenza di un conseguente credito prededucibile, come eccedente l’ordinaria amministrazione.



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