Cassazione Civile, sez. VI, sent. n. 28803 del 7/11/2019
La Suprema Corte di Cassazione ha affermato la nullità della procura notarile rilasciata dalla banca mandataria alla società mandante, per il recupero giudiziale di crediti definiti in modo generico “anomali” in quanto essa non includeva la specifica “categoria” dei crediti affidati in gestione [la procura recitava ” … per la gestione, anche stragiudiziale, dei propri crediti e delle proprie cause passive connesse a posizioni per cui sussistono tali crediti anomali …”.
Il giudice di primo grado aveva in coerenza a tale assunto osservato che “il concetto di credito anomalo, e con esso l’oggetto della procura rilasciata, si appalesa “evanescente” e perciò non rispettoso del principio di “determinatezza/determinabilità posto a pena di nullità dei negozi giuridici in virtù del combinato disposto degli artt. 1418,1346,1324 c.c.”).
La S.C., affermando la nullità della procura siffatta, ha ritenuto altresì che “non può del resto condividersi l’affermazione per cui il “concetto di credito anomalo” si sovrapporrebbe a quello di “credito in default, quest’ultimo comprensivo di sofferenze, incagli, crediti ristrutturati e crediti scaduti o sconfinati”.
Principio di diritto:
“Il lemma “crediti in default” – inteso come nozione in cui “rientrano le sofferenze, gli incagli, i crediti ristrutturati e i crediti scaduti o sconfinanti” – non risulta di per sé in grado di dare sufficienti gradi di determinatezza al negozio di procura in questione (d’altronde, una cosa è vigilare sull’organizzazione delle imprese, un’altra disciplinare gli atti negoziali, con tutte le diversità di metodo e di funzione normativa che ne conseguono, ben al di là dei differenti contesti lessicali dei relativi settori). In effetti, la sua eventuale inerenza alla detta procura – che ha testo fermato sui “crediti anomali” – non risulta ancorata a nessun dato oggettivo. D’altro canto, la stessa stringa definitoria di credito in default pare lasciare ampi margini di incertezza: è sufficiente notare, al riguardo, che se tutti i crediti “scaduti” sono da considerare come crediti in default, non risulta per nulla agevole isolare un significato preciso e univoco per le altre voci chiamate a formare la stringa (di “default”), come per l’appunto relative a crediti che scaduti ancora non sono”.
Motivazione:
9.1.- Il secondo motivo di ricorso si articola in due distinti ordini di censura.
9.2.- La prima critica si sostanzia nell’affermazione che il Tribunale ha errato nel ritenere “evanescente” la nozione di “credito anomalo”, di cui all’oggetto del mandato con rappresentanza di cui si discute.
In realtà, tale “definizione” rappresenta – osserva il motivo “una categoria di crediti aventi un andamento irregolare (appunto anomalo) rispetto alle pattuizioni contenute nei contratti o nelle convenzioni stipulate tra la banca e il cliente”.
9.3.- L’altra censura intende puntualizzare che, in ogni caso, la “Banca d’Italia, attraverso una serie di circolari e atti normativi che hanno recepito gli accordi internazionali, ha definito quali crediti “anomali”, sinonimo di crediti in “default”, le sofferenze, gli incagli, i crediti ristrutturati e i crediti scaduti o sconfinanti”. Così, in particolare, la nota del giugno 2005 esplicita che sono state “introdotte alcune evidenze informative che rendono la rilevazione dei crediti anomali coerente con la nozione di esposizioni in default”. Così, poi, la Circolare n. 263 del 2006: “elemento essenziale per la stima delle componenti di rischio è la nozione di default, basa su un approccio per controparte: vi rientrano le sofferenze, gli incagli, i crediti ristrutturati e i crediti scaduti o sconfinanti. Per le esposizioni in dettaglio le banche possono adottare una definizione di default a livello di singola transazione, se coerente con le proprie prassi negoziali”.
“Ne consegue” – avverte il ricorrente – che “come chiarito dalla Banca d’Italia, “crediti anomali” e crediti in default sono espressioni di contenuto identico e coerente e che in tale categoria rientrano le “sofferenze, gli incagli, i crediti ristrutturati e i crediti scaduti o sconfinanti””.
Il Tribunale di Napoli ha quindi “disatteso”, in definitiva, il “valore e la portata” della regolamentazione dettata dalla Banca d’Italia in materia.
10.- Il motivo non merita di essere accolto.
Per potere meglio affrontare la tematica così proposta – per darle, cioè, lo sfondo sistematico che le compete -, appare opportuno in via di approccio osservare che il generale requisito della determinatezza (determinazione ovvero determinabilità) dell’oggetto dei contratti e dei negozi unilaterali ex art. 1346 e 1324 c.c. risponde senza dubbio alcuno alla tutela di un interesse pubblico (quale, se non altro, quello della serietà e certezza dei rapporti tra privati), posto che la necessità della sua presenza nelle fattispecie concrete è presidiato dal rimedio nella nullità (art. 1418 c.c., comma 2, u.p.).
Con riferimento al mandato con rappresentanza – e al negozio unilaterale di procura, che, sul piano sostanziale, del primo costituisce negozio di attuazione (quale che ne sia, poi, la forma espressiva che nel concreto prenda) – detto requisito e il correlato interesse pubblico si riflettono non solo sul contratto di mandato, ma pure, e in via distinta, sul negozio unilaterale di procura.
Ora, a quest’ultimo proposito (del negozio di procura), è importante anche sottolineare che viene qui ad emergere, in una con gli altri interessi, pure l’esigenza di tutela dell’interesse dei terzi, quali soggetti destinati a venire in contatto con il rappresentante: stando al disposto dell’art. 1393 c.c., invero, “il terzo che contratta col rappresentante può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri e, se la rappresentanza risulta da un atto scritto, che gliene dia una copia da lui firmata”.
Come ha osservato, con rilievo acutissimo, la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 21 ottobre 2009, n. 22234, “il conferimento del potere di rappresentanza, sia nella forma esplicita della procura (art. 1392 c.c.), sia come facoltizzazione implicita in altro negozio, consiste sempre in una dichiarazione unilaterale ricettizia” (in quanto sostanzialmente diretta, appunto, anche ai terzi che sono destinati a entrare in futuro contatto con il rappresentato): “o indirizzata alla controparte o, comunque, destinata ad esserle resa nota (art. 1393 c.c.)”.
11.- Ciò posto, va adesso segnalato, con particolare riferimento alla prima delle censure che nutrono il motivo (sopra, n. 9.2.), che l’assunto del ricorrente per cui la formula “credito anomalo” si scioglie in quella di “categoria di crediti aventi un andamento irregolare (appunto anomalo) rispetto alle pattuizioni contenute nei contratti o nelle convenzioni stipulate tra la banca e il cliente” non viene a delimitare in modo idoneo l’oggetto della procura. Neanche questa seconda formula, infatti, viene a tracciare con nettezza ciò che sta dentro e ciò che sta fuori dall’impegno negoziale.
Si può dire, in effetti, che si tratti di formule equivalenti quanto alla dimensione degli spazi di incertezza e indeterminatezza che lasciano aperti.
Così, per fermarsi a un’indicazione di primissimo riscontro, rimane oggettivamente indeterminato se nella “categoria” richiamata dal ricorrente rientrino anche i crediti contestati secondo quanto propriamente accaduto nel giudizio giunto ora all’esame di questa Corte – e/o quelli senz’altro privi di titolo valido (nel caso, se pure quelli che fondano la loro esistenza e misura sul titolo dell’indebito).
Peraltro, portando il discorso a un livello più generale, il rilievo di indeterminatezza e incertezza, che affetta la procura in questione, si manifesta, in sé stesso, come oggettivamente scontato: in tale procura non risultando indicato, in effetti, dove principi e dove finisca l’assunta anomalia ovvero non regolarità dei crediti a cui il medesimo negozio intenderebbe fare riferimento.
12.- Passando ora alla seconda censura mossa dal motivo (sopra, n. 9.3.), occorre rilevare che gli atti della Banca d’Italia non possono derogare oppure introdurre deviazioni rispetto al principio di diritto comune della determinatezza dell’oggetto dei contratti e dei negozi unilaterali, secondo quanto appare per contro suggerire il ricorrente.
Per quanto generali (alle imprese bancarie e alla loro attività di impresa) possano nel caso essere, gli atti della Vigilanza, infatti, debbono comunque rispettare le norme di legge (costituzionale e ordinaria), essendo alle stesse soggetti (cfr. Cass., 9 luglio 2005, n. 14470).
13.- Nel caso di specie, peraltro, gli atti della Banca d’Italia richiamati dal ricorrente non risultano in alcun modo attentare alle norme che la legge ordinaria detta in punto di determinatezza negoziale.
Si tratta, infatti, di disposizioni rivolte unicamente alle banche e all’organizzazione delle loro imprese (a livelli di amministrazione, di esecuzione e di compliance): senz’alcun riflesso sul piano negoziale; ed espressione, piuttosto, dell’attività di vigilanza, che per legge la Banca d’Italia è tenuta a svolgere nei confronti di date cerchie di imprese: com’è del resto reso evidente dal fatto che la nota del 2005 si occupa, in realtà, di allineamenti informatici e la circolare del 2006 dell’adeguamento delle banche italiane ai dettami della c.d. “Basilea 2”.
14.- A parte questo (e spostando dunque il discorso dal piano del valore degli atti della Vigilanza a quello delle clausole negoziali introdotte per diretta volontà delle parti), in ogni caso il lemma “crediti in default” – inteso come nozione in cui “rientrano le sofferenze, gli incagli, i crediti ristrutturati e i crediti scaduti o sconfinanti” – non risulta di per sé in grado di dare sufficienti gradi di determinatezza al negozio di procura in questione (d’altronde, una cosa è vigilare sull’organizzazione delle imprese, un’altra disciplinare gli atti negoziali, con tutte le diversità di metodo e di funzione normativa che ne conseguono, ben al di là dei differenti contesti lessicali dei relativi settori).
In effetti, la sua eventuale inerenza alla detta procura – che ha testo fermato sui “crediti anomali” – non risulta ancorata a nessun dato oggettivo. D’altro canto, la stessa stringa definitoria di credito in default pare lasciare ampi margini di incertezza: è sufficiente notare, al riguardo, che se tutti i crediti “scaduti” sono da considerare come crediti in default, non risulta per nulla agevole isolare un significato preciso e univoco per le altre voci chiamate a formare la stringa (di “default”), come per l’appunto relative a crediti che scaduti ancora non sono.
15.- Il terzo motivo di ricorso ha corpo articolato.
Il motivo assume, dapprima, l’errore del Tribunale che ha affermato avere la Banca intrapreso l’espropriazione forzata del bene ipotecato ricavandone l’importo di Euro 99.300,00. In realtà, la Banca ha percepito – dichiara il motivo – la diversa somma di Euro 9.782,45 + Euro 71.625,98.
In coda a questo rilievo, il motivo soggiunge che, “con la presente costituzione”, […] viene a “reiterare e far proprio l’operato della mandataria […]”.
16.- Il motivo è inammissibile.
Quanto alla doglianza di cui alla prima sua parte, è da notare quale ragione più liquida al riguardo – che il Tribunale di Napoli ha limitato la propria decisione al punto della nullità della procura (cfr. già sopra, nel n. 8, a proposito del primo motivo di ricorso).
La dichiarazione di […] di “far proprio” l’operato di […], poi, introduce una questione nuova, nel senso prima di ogni altra cosa di questione non proposta all’attenzione del Tribunale. Lo stesso motivo pure informa – va aggiunto per completezza – che in precedenza, sin dall’aprile 2017 cioè, la stessa […] ha ceduto il “credito oggetto della causa” a […]: sì che la detta dichiarazione di “far proprio” l’operato di […] si manifesta, comunque, nell’intrinseco inefficace.
17.- In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato.
18.- Non vi è da provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, in ragione della mancata costituzione del Fallimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto, ai sensi della norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle società ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 9 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019.
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