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Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 4694 del 22/2/2021
La S.C. ha affermato che il mutuo ipotecario destinato ad estinguere un debito bancario chirografario è revocabile in quanto estingue con mezzi anormali un debito non assistito ab origine da garanzie reali
– MASSIMARIO:
“In tema di fallimento, la stipulazione di un contratto di mutuo con la contestuale concessione d’ipoteca sui beni del mutuatario, ove non risulti destinata a procurare a quest’ultimo un’effettiva disponibilità, essendo egli già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, è revocabile, in presenza dei relativi presupposti, in quanto diretta, per un verso ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione, per altro verso a costituire una garanzia per il debito preesistente, dovendosi ravvisare il vantaggio conseguito dalla banca non già nella stipulazione del negozio in sé, ma nell’impiego dello stesso come mezzo per la ristrutturazione di un passivo almeno in parte diverso”.
– RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, il cui esame risulta logicamente e giuridicamente prioritario rispetto a quello del ricorso principale, il controricorrente deduce la violazione dell’art. 1344 c.c., osservando che, nell’escludere la nullità del contratto di mutuo per frode alla legge, il decreto impugnato non ha tenuto conto delle modalità di impiego della somma mutuata, utilizzata, in pendenza di una situazione di dissesto della mutuataria, per sostituire un credito chirografario con un credito privilegiato, in contrasto con il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216.
1.1. Il motivo è infondato.
In tema di nullità del contratto, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che, in assenza di una norma che vieti in via generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sè illecito, sicchè la sua conclusione non comporta una nullità per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l’ordinamento appresta rimedi speciali, i quali comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia (cfr. Cass., Sez. III, 31/10/2014, n. 23158; Cass., Sez. II, 11/10/2013, n. 23158; Cass., Sez. I, 4/10/2010, n. 20576). Tale principio, correttamente richiamato dal decreto impugnato, è stato ribadito anche in riferimento all’ipotesi di stipulazione di un mutuo ipotecario in violazione della L.Fall., art. 216, comma 3, che punisce il reato di bancarotta preferenziale: in linea generale, si è infatti osservato che la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, dal momento che l’art. 1418 c.c., comma 1, facendo salva l’ipotesi in cui la legge disponga diversamente, impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso d’inosservanza del precetto, abbia voluto salvaguardare la validità del negozio, mediante la predisposizione di un meccanismo alternativo idoneo a realizzare gli effetti della norma; nel caso in cui il debitore abbia effettuato pagamenti o simulato titoli di prelazione con l’intento di favorire uno o più creditori a danno di altri, il predetto meccanismo è stato poi individuato nell’esercizio dell’azione revocatoria, la quale, comportando la dichiarazione d’inefficacia dell’atto, in quanto lesivo della par condicio creditorum, consente di escludere l’applicabilità della sanzione di nullità per illiceità della causa, ai sensi dell’art. 1344 c.c.
2. Con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e della L.Fall., artt. 66 e 69-bis, nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel collocare l’atto nel periodo sospetto, il decreto impugnato non ha considerato che il contratto era stato stipulato il 27 dicembre 2007, mentre l’esclusione del titolo azionato aveva avuto luogo il 26 novembre 2013. Precisa che a tal fine non poteva assumere alcun rilievo la separata proposizione dell’azione di nullità del contratto, risalente al mese di dicembre 2013 (recte: 2012), dal momento che in quella sede non era stata dedotta la revocabilità del mutuo o dell’ipoteca, ma solo la violazione dei principi in tema di mutuo fondiario. Sostiene inoltre la contraddittorietà dell’accertamento compiuto in ordine al carattere fraudolento dell’atto, rilevando che il Tribunale da un lato ha escluso che il finanziamento avesse comportato la trasformazione di un credito chirografario in un credito privilegiato, e dall’altro ha affermato che l’estinzione anticipata del precedente credito ipotecario avrebbe consentito al creditore di ottenerne la soddisfazione integrale senza attivare la garanzia patrimoniale. Aggiunge che la concessione dell’ipoteca, oltre ad aver avuto luogo contestualmente alla stipulazione del mutuo, non ha comportato alcun danno per gli altri creditori, che erano titolari di crediti chirografari, dal momento che il precedente credito era anch’esso garantito da ipoteca sull’intero patrimonio della (OMISSIS). In via subordinata, afferma che, relativamente all’importo di Euro 259.367,68, non era configurabile alcuna forma di distrazione, essendo lo stesso confluito nel patrimonio della società fallita e dalla stessa utilizzato per i propri fini istituzionali.
2.1. Il motivo è solo parzialmente fondato.
Benvero, non risulta agevolmente comprensibile il riferimento del decreto impugnato al “requisito temporale richiesto dall’art. 2901 c.c., ossia il compimento dell’atto nel c.d. periodo di “sospetto””, in relazione al quale il Tribunale ha rilevato che la stipulazione del mutuo e la concessione dell’ipoteca avevano avuto luogo nel mese di dicembre 2007, mentre la dichiarazione di fallimento era stata pronunciata nel mese di aprile 2011: considerato infatti che il decreto impugnato, rimasto incensurato sul punto, ha confermato la riconducibilità dell’eccezione d’inefficacia proposta dalla difesa del fallimento alla L.Fall., art. 66 ed all’art. 2901 c.c., deve ritenersi quanto meno inappropriato il richiamo al “periodo sospetto”, previsto dalla sola disciplina della revocatoria fallimentare (L.Fall., art. 67), e non riferibile a quella ordinaria, la quale, anche se esercitata dal curatore del fallimento, resta soggetta esclusivamente al termine di prescrizione quinquennale stabilito dall’art. 2903 c.c. Quest’ultimo termine non è tuttavia applicabile alla revocatoria proposta in via di eccezione dal curatore in sede di accertamento del passivo, dal momento che la L.Fall., art. 95, comma 1, dispone, all’ultimo periodo, che “il curatore può eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonchè l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione”, in tal modo codificando, anche in riferimento alla materia in esame, il noto principio generale quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum (cfr. Cass., Sez. I, 8/02/2019, n. 3778; 27/11/2013, n. 26504). In virtù di tale principio, è stato ritenuto inapplicabile alla revocatoria ordinaria anche il termine di decadenza triennale previsto dalla L.Fall., art. 69-bis, comma 1, evidenziandosi per un verso il tenore testuale di tale disposizione, secondo cui il regime da essa introdotto riguarda le sole azioni “disciplinate” dalla sezione in cui è collocata, e quello della l.fall. art. 66, secondo cui l’azione revocatoria ordinaria proposta dal curatore si esercita “secondo le norme del codice civile”, ed osservandosi per altro verso che l’applicazione del predetto termine comporterebbe un indebolimento della tutela delle ragioni creditorie, nel caso in cui esse coinvolgano interessi (quelli della massa dei creditori) di valenza superiore a quello di cui è portatore un singolo creditore (cfr. Cass., Sez. I, 19/05/2020, n. 9136; 12/02/2019, n. 4244; Cass., Sez. III, 4/04/2017, n. 8680). Pertanto, pur dovendosi procedere alla correzione della motivazione del decreto impugnato, nella parte in cui ha escluso la scadenza del termine per la proposizione dell’azione revocatoria, implicitamente affermandone l’applicabilità, non possono trovare accoglimento le considerazioni svolte dalla difesa della ricorrente in ordine all’avvenuta stipulazione del mutuo in epoca anteriore al quinquennio precedente al provvedimento di esclusione del credito ed all’impossibilità di ravvisare un atto interruttivo nell’azione di accertamento della nullità separatamente proposta prima della presentazione dell’istanza di insinuazione al passivo.
2.2. Sono invece fondate le censure concernenti la revocabilità del contratto di finanziamento con contestuale concessione d’ipoteca stipulato tra la Banca e la Società fallita, in quanto finalizzato all’estinzione anticipata di un altro mutuo precedentemente stipulato tra le medesime parti, e quindi lesivo della par condicio creditorum.
In tema di azione revocatoria, questa Corte, all’esito di un articolato percorso giurisprudenziale, è pervenuta all’enunciazione del principio secondo cui la stipulazione di un contratto di mutuo con la contestuale concessione d’ipoteca sui beni del mutuatario, ove non risulti destinata a procurare a quest’ultimo un’effettiva disponibilità, essendo egli già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, non integra necessariamente nè la fattispecie della simulazione del mutuo (volta a dissimulare la concessione di una garanzia per il debito preesistente), nè quella della novazione (consistente nella sostituzione del preesistente debito chirografario con un debito garantito), potendosi configurare anche come un procedimento negoziale indiretto, nell’ambito del quale l’importo pattuito viene effettivamente erogato ed utilizzato per l’estinzione del precedente debito chirografario: in tal caso, l’intera operazione è impugnabile per revocatoria, in presenza dei relativi presupposti, in quanto diretta per un verso ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione, e per altro verso a costituire una garanzia per il debito preesistente, dovendosi ravvisare il vantaggio conseguito dalla banca non già nella stipulazione del mutuo fondiario in sè, ma nell’impiego dello stesso come mezzo per la ristrutturazione di un passivo almeno in parte diverso (cfr. Cass., Sez. I, 25/07/2018, n. 19746; 21/02/2018, n. 4202; 29/02/2016, n. 3955). Risulta pertanto superato il precedente indirizzo che, ravvisando nella fattispecie in esame un fenomeno simulatorio (caratterizzato dalla circostanza che le somme erogate non erano destinate a procurare un’effettiva disponibilità al mutuatario) o un accordo negoziale contraddistinto da un motivo illecito comune (consistente nello intento di ledere la par condicio creditorum), perveniva alla duplice conclusione della revocabilità della garanzia, in quanto costituita per un debito preesistente, e, in caso di fallimento, dell’impossibilità di ammettere al passivo il credito della banca (cfr. Cass., Sez. I, 9/10/2012, n. 17200; 7/01/2004, n. 12; 19/11/1997, n. 11495): si è infatti osservato che l’ammissione al passivo della somma mutuata risulta incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poichè in tal caso la revoca dell’intera operazione comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che all’inefficacia del contratto conseguirebbe pur sempre la necessità della restituzione, sia pur in moneta fallimentare (cfr. Cass., Sez. I, 20/03/2003, n. 4069).
Al predetto principio si è conformato il decreto impugnato, il quale, rilevato che l’importo del mutuo ipotecario fatto valere con l’istanza d’insinuazione al passivo era stato in parte utilizzato per l’estinzione anticipata di altri due mutui, uno dei quali precedentemente concesso da una delle due Banche partecipanti all’operazione, ed in parte versato su un conto corrente aperto presso una Banca appartenente al medesimo gruppo dell’altra Banca mutuante, ha ritenuto l’intera operazione senz’altro lesiva delle ragioni degli altri creditori, osservando che a) l’estinzione anticipata dei mutui preesistenti aveva costituito sicuramente un beneficio per i mutuanti, i quali avevano ottenuto anticipatamente l’integrale soddisfazione della propria pretesa senza dover attivare la garanzia patrimoniale, b) la concessione dell’ipoteca su tutti gli immobili costituisce di per sè un atto dispositivo idoneo a determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale generale del debitore, e c) contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, l’importo confluito sul conto corrente non era stato affatto utilizzato per tacitare tutti i creditori chirografari, molti dei quali a seguito della dichiarazione di fallimento della mutuataria erano stati ammessi al passivo.
L’estensione pura e semplice alla fattispecie in esame del principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità non tiene peraltro conto delle caratteristiche specifiche dell’operazione posta in essere tra la società fallita e le due Banche, risultanti dallo stesso decreto impugnato, e consistenti nelle seguenti circostanze: a) una sola delle Banche mutuanti era creditrice in virtù di un precedente mutuo, b) entrambi i mutui preesistenti erano assistiti a loro volta da ipoteche, c) l’importo del mutuo era superiore al debito complessivamente derivante dai mutui preesistenti, d) una parte del predetto importo era stato utilizzato per l’acquisto dell’immobile destinato all’esercizio della impresa, e) l’altra Banca mutuante, per quanto risulta, non vantava un precedente credito nei confronti della società fallita, f) il conto corrente sul quale era affluito il residuo importo del mutuo era stato aperto presso una Banca che, pur facendo parte dello stesso gruppo dell’altra Banca, costituiva un soggetto distinto da entrambe le mutuanti. La circostanza che soltanto una delle Banche mutuanti vantasse un precedente credito nei confronti della mutuataria avrebbe dovuto indurre a differenziare le rispettive posizioni, non potendo il principio richiamato trovare applicazione a quella che, non essendo titolare di un credito preesistente, aveva, per quanto risulta, effettivamente erogato l’importo di sua competenza, ottenendo contestualmente l’iscrizione dell’ipoteca sugli immobili della debitrice, senza poter beneficiare dell’estinzione anticipata del proprio credito. Il fatto poi che la ricorrente non fosse titolare di un precedente credito chirografario, ma di un credito garantito da ipoteca, avrebbe a sua volta imposto di riflettere sul beneficio dalla stessa effettivamente conseguito in virtù dell’operazione, le cui finalità avrebbero dovuto essere inoltre esaminate alla stregua del contenuto complessivo del contratto, non consistente nella semplice sostituzione di crediti preesistenti con nuovi crediti, ma comprendente anche la concessione di un finanziamento per l’acquisto di un immobile ed un’operazione di ristrutturazione dei debiti.
Questa Corte, nel ribadire l’assoggettabilità a revocatoria del mutuo ipotecario stipulato per l’estinzione di un precedente debito chirografario, ha infatti precisato che tale operazione va tenuta ben distinta da quella volta al rifinanziamento del debitore: premesso infatti che il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è previsto dalla stessa normativa vigente, che a mezzo della L.Fall., artt. 182-bis e 182-quater consente di rinegoziare i finanziamenti bancari anche nei riguardi dei debiti scaduti, si è osservato che “l’elemento caratteristico di tali operazioni è l’effettiva erogazione di nuova liquidità da parte della banca, funzionale non solo (e non tanto), quindi, all’azzeramento della preesistente esposizione debitoria, tutelando la banca mediante un’ipoteca configurabile come garanzia non contestuale, ma a rimodulare, per il tramite di nuove condizioni negoziali per esempio afferenti il tasso di interesse o rinnovate tempistiche dei pagamenti, l’assetto complessivo del debito nel contesto di una nuova veste giuridico-economica degli anteriori rapporti”. Nel caso in cui la predetta erogazione abbia effettivamente luogo, nel quadro di un’operazione non preordinata esclusivamente all’estinzione della precedente obbligazione ed al ripianamento (mediante l’iscrizione dell’ipoteca) del rischio di credito sottovalutato al momento della sua insorgenza, la banca si limita a svolgere la sua funzione istituzionale, fornendo all’impresa nuove disponibilità in conformità alle regole di corretta gestione di un rischio contestualmente assunto, e per questa nuovo (cfr. Cass., Sez. I, 29/02/2016, n. 3955; al riguardo, v. anche Cass., Sez. III, 8/04/2020, n. 7740).
In quest’ottica, la dichiarazione d’inefficacia dell’ipoteca concessa a garanzia del nuovo finanziamento avrebbe richiesto una più ampia valutazione, comprendente anche un raffronto tra le condizioni concordate tra le parti e quelle alle quali erano stati accordati i precedenti mutui, nonchè l’individuazione dei beni concessi in garanzia, non risultando del tutto chiaro, in proposito, la mera constatazione dell’estensione della nuova ipoteca a tutti gli immobili della società debitrice, non accompagnata da alcuna precisazione in ordine alla consistenza di quelli precedentemente vincolati.
3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2901 e 2967 c.c. e della L.Fall., artt. 66 e 67, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto che la Banca mutuante potesse essere a conoscenza dello stato d’insolvenza della società fallita, in assenza di elementi sintomatici di tale conoscenza, e sulla base della mera attribuzione alla Banca del rango di operatore qualificato. Aggiunge che il Tribunale ha erroneamente conferito rilievo a due relazioni tecniche predisposte successivamente alla stipulazione del mutuo e recanti soltanto una disamina di carattere economico sull’andamento dell’impresa.
3.1. Il motivo è inammissibile.
In tema di azione revocatoria ordinaria, questa Corte ha avuto infatti modo di affermare ripetutamente che, quando l’atto dispositivo sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonchè, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, dev’essere accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita anche mediante il ricorso ad elementi presuntivi, la cui valutazione, rimessa in via esclusiva al giudice di merito, è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, ovvero ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per inesistenza assoluta, mera apparenza o manifesta illogicità della motivazione (cfr. Cass., Sez. VI, 18/06/2019, n. 16221; Cass., Sez. III, 30/12/2014, n. 27546; Cass., Sez. II, 17/08/2011, n. 17327). Tali vizi nella specie non sono stati neppure dedotti, essendosi la ricorrente limitata ad insistere sull’insufficienza degli elementi presi in considerazione dal decreto impugnato, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la denuncia della violazione di legge, una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato (cfr. Cass., Sez. VI, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547; 16/12/2011, n. 27197).
4. Il decreto impugnato va pertanto cassato, nei limiti segnati dall’accoglimento parziale del primo motivo del ricorso principale, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Perugia, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie parzialmente il primo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il secondo motivo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia al Tribunale di Perugia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2021
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