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Brevi note a Cassazione Civile sez. II, n. 4838 del 23/2/2021
Di Maurizio Tidona, Avvocato
La Cassazione, con la sentenza n. 4838 del 23/2/2021, ha confermato che la cointestazione di un conto corrente, anche eventualmente tra coniugi, fa presumere la qualità di creditori o debitori solidali del saldo del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni.
Ne consegue che ad esempio – caso non trattato nella sentenza in commento – il pignoramento presso la banca potrà riguardare la sola quota teorica spettante al cointestatario esecutato, e non la totalità del saldo (si vedano in nota: ABF, Decisione n. 1297 del 17 gennaio 2018 [1]; ABF – Collegio di coordinamento -, Decisione n. 8227 del 30 ottobre 2015 [2]).
Tale presunzione di parità di quote tra i cointestatari, prevista dall’art. 1854 c.c. [3], può cedere però di fronte all’allegazione da parte di uno tra i cointestatari di una situazione giuridica diversa, ad esempio sulla proprietà esclusiva delle somme giacenti in rapporto di conto corrente, purchè le circostanze evidenziate assumano caratteri di gravità, precisione e concordandanza.
Ne consegue che nei rapporti con la banca così come nei confronti dei terzi, le quote dei cointestatari saranno sempre da presumere eguali, in mancanza di un patto contrario, mentre nei rapporti interni tra i cointestatari la parità di quote potrà venire meno in caso di allegazione diversa da parte di uno tra essi che abbia caratteristiche di gravità, precisione e concordanza; ad esempio qualora il saldo attivo derivi dal versamento esclusivo di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti.
– MASSIMA ESTRATTA:
“La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. n. 18777/2015). Pertanto, ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo (Cass. n. 3248/1989; n. 4066/2009). Nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 c.c., comma 2, in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente; sicchè, non solo si deve escludere, ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto (Cass. n. 77/2018)”.
– MOTIVAZIONE INTEGRALE:
Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
“CONSIDERATO
che:
Il primo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Le rimesse considerate dalla corte d’appello non erano state le uniche affluite sul conto corrente cointestato, essendocene state altre e plurime, provenienti dal C., il che impediva di riconoscere la titolarità esclusiva del conto. A questo effetto si richiede la prova che la totalità delle somme affluite nel tempo siano di spettanza di uno solo dei titolari. Il secondo motivo, suddiviso in due diversi profili, denuncia omesso esame di un fatto decisivo e violazione dell’art. 1414 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte d’appello ha negato la connessione fra le rimesse operate dalla R. e la compravendita della quota dell’immobile intercorsa fra i coniugi con atto del 23 settembre 2005. Si sostiene che le precedenti rimesse operate dalla R. sul conto comune costituivano, in parte, il pagamento del prezzo della stessa vendita, che nell’atto il venditore dichiarava di avere già in precedenza ricevuto. La corte d’appello non ha compreso che tale deduzione non costituiva implicita denuncia della simulazione del negozio, ma aveva la finalità di sostenere che le vicende del conto corrente avrebbero dovuto essere considerate in questa più ampia prospettiva di rapporti.
Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 2729,1101,1298 e 1854 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La pacifica esistenza di rimesse effettuate dal C. sul conto, se da un lato impediva di riconoscere la esclusiva titolarità del conto in capo alla R., dall’altro, imponeva di considerare, sotto una luce diversa, anche le rimesse valorizzate dalla corte d’appello, effettuate sul conto cointestato proprio con l’intento di rendere comune le relative somme. Sarebbe stato più ragionevole, se diversa fosse stata l’intenzione della R., versare le somme su un conto personale.
La corte d’appello aveva così ritenuto superata la presunzione di pari appartenenza del saldo sulla base di elementi privi dei requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c.
Si impone in via prioritaria l’esame del primo e del terzo motivo, nella parte in cui quest’ultimo denuncia la violazione dell’art. 1854 c.c.
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.
La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. n. 18777/2015). Pertanto, ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo (Cass. n. 3248/1989; n. 4066/2009).
Nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 c.c., comma 2, in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente; sicchè, non solo si deve escludere, ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto (Cass. n. 77/2018).
La corte d’appello, nel caso di specie, ha riconosciuto la titolarità esclusiva del saldo esistente al momento della morte in capo alla R., sulla base della considerazione di alcune cospicue rimesse operate dalla stessa, pur dando atto che sul conto era accreditata la pensione del coniuge: il che, in linea di principio, imponeva per ciò solo una ricostruzione più articolata dei fatti, che avesse riguardo allo svolgimento dell’intero rapporto, mentre tale accertamento non risulta compiuto dalla corte d’appello, che ha considerato solo le singole rimesse provenienti dalla R.. Nel controricorso si deduce che il saldo finale, riconosciuto per intero di pertinenza della sola R., era stato valutato dalla corte d’appello al netto di operazioni di deposito e prelievo delle somme di provenienza diversa. In questo modo i controricorrenti sembrano dare per implicito che la movimentazione del conto in corso di rapporto, in entrata e in uscita, fosse imputabile al solo C., in guisa da potersi ritenere la titolarità esclusiva del saldo residuo in capo all’altro correntista. Ciò tuttavia non emerge dalla sentenza impugnata, che è fondata sulla modesta entità delle somme apportate dal C. e non anche sul fatto che il modesto apporto era stato neutralizzato da prelievi di pari importo imputabili solo al medesimo.
È fondato anche il secondo motivo.
La corte di merito ha negato ogni possibile connessione fra le vicende del conto cointestato e la vendita intercorsa fra i coniugi, in relazione alla quale ha affermato non esserci prova che il prezzo non fosse stato pagato e “soprattutto in assenza di un’azione volta a dimostrare la simulazione del negozio”. La corte d’appello non ha tenuto conto che la deduzione di parte, trascritta a pag. 10 del ricorso, non era finalizzata a sostenere che la compravendita mascherasse un trasferimento di diritto senza corrispettivo. I ricorrenti avevano infatti sottolineato che le parti contrattuali avevano rispettivamente dichiarato di avere versato e ricevuto prima dell’atto il prezzo della vendita (come consentito dalle norme all’epoca in vigore). Essi, proprio partendo dal fatto che nella compravendita il prezzo era stato dato per pagato prima dell’atto, avevano sollecitato una diversa considerazione della vicenda, in primo luogo nel senso che una parte delle rimesse provenienti dalla R. fosse da imputare al prezzo, che il venditore aveva dichiarato di avere già riscosso. Diversamente, la corte d’appello, supponendo erroneamente che la deduzione avrebbe richiesto che fosse stata fatta valere la simulazione del negozio, attraverso la proposizione della relativa azione, ha ignorato la deduzione, così incorrendo nello stesso tempo nel vizio di omesso esame del fatto e di violazione delle norme sulla simulazione. Sono assorbite le restanti censure di cui al terzo motivo.
La sentenza deve essere cassata in relazione al primo, al secondo e, nei limiti di cui sopra, anche al terzo motivo, con rinvio della causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che liquiderà le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021”
[1] ABF (Collegio di Napoli), Decisione N. 1297 del 17 gennaio 2018:
“L’intermediario – facendo applicazione della presunzione di eguale appartenenza ai cointestatari degli importi presenti sul conto – dopo aver ricevuto la notifica del pignoramento, ha provveduto al blocco della somma pignorata a valere sulla metà del deposito riferibile – presuntivamente – al soggetto pignorato, lasciando ad entrambi i titolari del conto la facoltà di operare liberamente sulla quota dei depositi eccedenti l’importo pignorato. (…) Né può contestarsi alcuna negligenza rispetto alla condotta dell’intermediario che, successivamente al momento del blocco delle disponibilità, ha autorizzato l’utilizzo delle somme non oggetto del pignoramento da parte di entrambi i contestatari. A tal proposito, il Collegio rileva che una volta rifluite le rimesse su un conto corrente cointestato, si produce la piena confusione del patrimonio dei cointestatari senza possibilità di distinguere, da parte del terzo debitor debitoris, il patrimonio personale di ciascuno dei cointestatari, neppure per quote ideali. Pertanto, l’intermediario – una volta limitato il pignoramento a valere sulla sola quota del 50% del deposito presente sul conto corrente cointestato – non può escludere uno dei cointestatari dal libero uso della parte di giacenza non pignorata. Resta inteso che eventuali pregiudizi lamentati da uno dei cointestatari potranno essere fatti valere nei confronti dell’altro cointestatario, quando quest’ultimo, con la propria condotta, abbia determinato un danno ingiusto”.
[2] ABF (Collegio di coordinamento), Decisione N. 8227 del 30 ottobre 2015:
“L’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza è nel senso che il pignoramento sulle somme depositate in un conto corrente bancario cointestato al debitore e ad una persona estranea non può riguardare l’intero ammontare del denaro depositato, dovendosi presumere la contitolarità degli intestatari del conto. Com’è noto, infatti, ha precisato il Collegio di Milano, nel caso del deposito bancario, i rapporti interni tra i depositanti sono regolati dall’art. 1298, comma 2°, cod. civ., in virtù del quale le parti di ciascuno si presumono uguali, salvo che risulti diversamente (cfr. Cass., 29 aprile 1999, n. 4327). In assenza di prova contraria, dunque, gli intestatari del conto corrente sono considerati creditori solidali della banca e le rispettive quote si presumono uguali, in forza di presunzione legale iuris tantum che può essere superata fornendo la prova contraria (Cass., 24 febbraio 2010, n. 4496)”.
[3] Art. 1854 (Conto corrente intestato a più persone) c.c.: “[I]. Nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto”.
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