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Di Simone Lodovisi, Dottore in Scienze Politiche, indirizzo Politico-Economico
Tesi – Master in “Organizzazione, management, innovazione nelle Pubbliche Amministrazioni”
MODELLI E TECNICHE DI GESTIONE DEI RISCHI FINANZIARI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Università degli studi di Roma – Unitelma Sapienza – Dipartimento di Scienze giuridiche ed economiche – Prof.ssa Maria Rita Scarpitti
INDICE
CAPITOLO 1: LE DIVERSE TIPOLOGIE DI CONTRATTI DERIVATI 3
1.1.1 Interest Rate Swap (IRS). 5
1.1.4 I Credit Default Swap (CDS). 8
CAPITOLO 2: L’USO DEI DERIVATI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ITALIANA 12
2.1 I DERIVATI NELLA PA CENTRALE. 12
2.2 I DERIVATI NELLE AUTONOMIE TERRITORIALI 14
PREMESSE
L’elaborato intende analizzare i principali prodotti finanziari derivati, descrivendone sommariamente il funzionamento, il rischio che intendono coprire, le criticità e le opportunità del loro utilizzo.
Infine si procederà ad una breve disamina dell’utilizzo di prodotti derivati da parte della Pubblica Amministrazione italiana, sia centrale che locale, e dei risultati ottenuti.
CAPITOLO 1: LE DIVERSE TIPOLOGIE DI CONTRATTI DERIVATI
Il derivato è uno strumento finanziario strutturato su rapporti od attività sottostanti, utilizzato al fine di “coprire” le imprese od altri enti da una serie di rischi legati alle loro attività, quali, comunemente, il rischio di cambio, di tasso di interesse, di insolvenza o l’oscillazione dei prezzi.
Il valore dipende (deriva) dall’andamento di un’attività sottostante (cd. underlying asset), che può avere natura finanziaria (titoli azionari, tassi di interesse, tassi di cambio, ecc.) o reale (caffè, cacao, petrolio, ecc.).
Tali strumenti sono utilizzati, principalmente, per tre finalità:
- ridurre il rischio finanziario di un portafoglio preesistente (finalità di copertura o, anche, hedging);
- assumere esposizioni al rischio al fine di conseguire un profitto (finalità speculativa);
- conseguire un profitto privo di rischio attraverso transazioni combinate sul derivato e sul sottostante tali da cogliere eventuali differenze di valorizzazione (finalità di arbitraggio).
Dall’originale ragione economica degli strumenti finanziari derivati, nata dalla necessità di immunizzare i rischi che le imprese assumono nelle loro decisioni produttive, di marketing e finanziarie, sempre più spesso i contratti derivati sono stati utilizzati per effettuare operazioni speculative consistenti in scommesse su variazioni dei prezzi delle merci, delle valute, dei tassi d’interesse e di altre attività finanziarie al solo scopo di ricavarne un profitto.
Tra le principali categorie di strumenti finanziari derivati[1] vi sono i contratti di swap, i contratti di opzione ed i contratti a termine. Tali contratti sono quelli maggiormente in uso, ed in particolare sono quelli utilizzati dalle PP.AA. Su questi, pertanto, si concentrerà l’analisi.
1.1 CONTRATTI DI SWAP
I contratti swap consistono in un accordo in cui le parti si scambiano, in una o più date prefissate, due somme di denaro calcolate applicando a un identico ammontare di riferimento (il c.d. nozionale) due diversi parametri (di regola tassi di interessi o di cambio o indici di mercati regolamentatati).
Generalmente lo scambio alla data prestabilita avviene non per il capitale totale, ma soltanto per il saldo netto dovuto (c.d. “accordo di netting”).
L’obiettivo originario è quello di coprire un rischio (di cambio o di fluttuazione dei tassi interessi) nascente da un rapporto di debito-credito in modo da contenerlo entro limiti prestabiliti.
Possiamo rinvenire nella prassi quattro gruppi principali di swap, destinato ognuno a coprire un determinato rischio, qualificabili come:
- i c.d Interest Rate Swap (o IRS), finalizzati alla copertura dal rischio di tasso di interesse;
- i c.d Cross Currency Swap (o CCS), finalizzati alla copertura dal rischio di tasso di cambio tra valute;
- i c.d. Asset Swap, finalizzati alla copertura dal rischio di mercato;
- i c.d. Credit Default Swap (o CDS), finalizzati alla copertura dal rischio credito o, comunque, di insolvenza.
1.1.1 Interest Rate Swap (IRS)
Un Interest Rate Swap è un contratto nel quale le parti convengono di scambiarsi, sulla base di un nozionale di riferimento, flussi periodici di pagamento, parametrati in maniera diversa. L’IRS standard (c.d. plain vanilla) è quello in cui si scambia un flusso a tasso fisso con uno a tasso variabile.
Il rischio che si intende coprire è quindi quello sulla fluttuazione di tassi di interesse.
In genere, acquirente dell’IRS è il soggetto che, avendo già contratto un debito a tasso variabile, si impegna a pagamenti a tasso fisso, ricevendo, in cambio, pagamenti a tasso variabile, mentre il venditore dell’IRS è il soggetto che in cambio del tasso fisso si impegna a corrispondere interessi a tasso variabile.
Esistono tre tipi di IRS:
- coupon swap, ovvero il contratto con cui due parti si scambiano un flusso di interessi a tasso fisso ed uno a tasso variabile nella medesima valuta (floating-to-fixed swap);
- basis swap, ovvero il contratto con il quale due parti si scambiano flussi di interessi entrambi a tasso variabile nella medesima valuta (floating-to-floating swap);
- cross-currency interest rate swap, ovvero il contratto con il quale due parti si scambiano flussi di interessi denominati in due diverse valute (fixed-to-fixed swap).
I principali prodotti finanziari utilizzati ricadono nel primo gruppo e sono rappresentati da:
- cap di tasso di interesse, in cui viene stabilito un livello soglia del tasso variabile oltre il quale l’acquirente del cap paga un tasso fisso predeterminato;
- collar di tasso di interesse, in cui all’acquirente viene garantito un livello di tasso di interesse da corrispondere, oscillante all’interno di un minimo ed un massimo prestabiliti;
- forward rate agreement, contratti in cui due parti concordano il tasso di interesse che l’acquirente del forward si impegna a pagare su un capitale stabilito ad una determinata data futura.
1.1.2 Currency Swap (CCS)
I Currency Swap o Cross Currency Swap- letteralmente “scambio di valute” – sono contratti in cui due parti si scambiano il capitale e gli interessi espressi in una divisa contro capitale e interessi espressi in un’altra divisa.
In particolare, con il contratto di currency swap le parti si obbligano a scambiarsi reciprocamente alla data iniziale del contratto due somme di denaro (definite nozionali) denominate in valute diverse con l’impegno a effettuare una nuova e opposta operazione di scambio alla scadenza del contratto alle stesse condizioni iniziali e in particolare al medesimo tasso di cambio iniziale.
Un primo elemento caratterizzante il contratto di currency swap è che il valore dei due nozionali scambiati inizialmente è nella sostanza equivalente da un punto di vista economico, ed è valutato sulla base del tasso di cambio corrente sul mercato delle due divise prescelte alla data di conclusione del contratto. Una seconda caratteristica è che la variazione dell’equivalenza economica fra i nozionali, dovuta al variare del rapporto di cambio fra le diverse valute nel corso del contratto, non incide sul contratto stesso, poiché le prestazioni di ciascuna parte sono fissate al momento iniziale della conclusione del contratto. Quest’ultima caratteristica mette in luce la finalità di copertura per la quale il currency swap viene tipicamente concluso: esso consente infatti di eliminare o limitare il rischio di cambio connesso a posizioni in valuta per due operatori che abbiano posizioni in cambi uguali e opposte.
Di fatto il prodotto riconduce il debito in una valuta (es. estera) a uno in altra valuta (es. nazionale), limitando o azzerando il rischio di cambio.
1.1.3 Asset Swap
Gli Asset Swap – sono contratti in cui due parti si scambiano pagamenti periodici liquidati in relazione ad un titolo obbligazionario (asset) detenuto da una di esse (e non in relazione ad una semplice somma di denaro).
Lo strumento combina l’acquisto di un titolo con uno o più contratti derivati. Chi detiene l’asset corrisponde l’interesse connesso all’obbligazione. L’altra parte riceve l’interesse dell’obbligazione e paga un tasso di natura diversa (se l’obbligazione è a tasso fisso pagherà un variabile e viceversa).
La determinazione dei flussi di cassa scambiati in un asset swap presuppone quindi l’individuazione di uno specifico titolo sottostante, rappresentato da un titolo di debito a tasso variabile (ovvero fisso) acquistato da una delle due controparti la quale, attraverso l’asset swap, desidera convertire la sua attività a tasso variabile (ovvero fisso) in una a tasso fisso (ovvero variabile).
Gli asset swap sono generalmente strutturati in modo che il valore del contratto alla data di inizio dello stesso sia nullo.
1.1.4 I Credit Default Swap (CDS)
Il Credit Default Swap (CDS) è un contratto swap appartenente alla categoria dei derivati sul rischio di credito che offre la possibilità di coprirsi dall’eventuale insolvenza di un debitore contro il pagamento di un premio periodico.
Col credit default swap (CDS) il detentore di un credito (protection buyer) si impegna a pagare una somma fissa periodica, in genere espressa in basis point rispetto a un capitale nozionale, a favore della controparte (protection seller) che, di converso, si assume il rischio di credito gravante su quella attività nel caso in cui si verifichi un evento di default futuro ed incerto (credit event).
La somma periodica che il creditore paga è in genere commisurata al rischio e alla probabilità di insolvenza del soggetto terzo debitore.
L’aspetto fondamentale del CDS consiste nel fatto che sia il protection buyer che il protection seller possono anche non avere alcun rapporto di credito con il terzo soggetto, in quanto il contratto prescinde dalla presenza di quest’ultimo; il sottostante è unicamente il merito creditizio e non il vero e proprio credito.
Il titolo sottostante di un CDS è denominato generalmente reference asset. Nei CDS, al verificarsi dell’evento, ovvero degli eventi, che contrattualmente individuano il rischio di credito (c.d. credit event), sono generalmente previste due modalità operative:
- il protection seller corrisponde alla controparte il valore nominale, ovvero quello contrattualmente definito, dello strumento finanziario oggetto del CDS al netto del valore di mercato dello stesso (c.d. recovery value) e il protection buyer cessa il versamento dei pagamenti periodici;
- il protection seller corrisponde alla controparte il valore nominale, ovvero quello contrattualmente definito, dello strumento finanziario oggetto del CDS e il protection buyer cessa il versamento dei pagamenti periodici consegnando il reference asset.
Il prezzo del CDS è dato dal valore attuale dei costi che il protection seller potrebbe sostenere in caso di credit event al netto dei pagamenti che il protection buyer dovrebbe corrispondere per la durata contrattuale dello strumento derivato. L’equivalenza di questi valori al momento della stipula rende nullo, sempre allo stesso momento, il valore del contratto.
1.2 I CONTRATTI DI OPZIONE
Con il contratto di opzione, l’acquirente acquista il diritto – senza obbligo – di acquistare (opzione call) o vendere (opzione put) una data quantità di un bene (titoli finanziari o merci) ad un prezzo prefissato (strike price) al raggiungimento di una certa data.
Quando l’acquirente dell’opzione esercita il proprio diritto, e cioè decide di acquistare (call) o vendere (put), il ricavo consisterà, nel caso di opzione call, nella differenza tra il prezzo corrente del sottostante e il prezzo di esercizio; nel caso di opzione put nella differenza tra prezzo di esercizio e prezzo del sottostante.
Tra tali tipologie di derivati la swap option (cd. swaption) è l’opzione su interest rate swap che conferisce al possessore il diritto di concludere uno swap su tassi di interesse a un tasso swap predeterminato: in pratica il possessore dell’opzione ha il diritto di entrare, ad una certa data, in un determinato contratto I.R.S..
La swaption è, in genere, utilizzata quale strumento di copertura per beneficiare di eventuali andamenti favorevoli dei tassi di interesse e, nel contempo, proteggersi contro andamenti sfavorevoli: l’acquisto di una swaption garantisce che il tasso di interesse che sarà pagato su un finanziamento, in un futuro istante di tipo, non sarà superiore ad una determinata soglia prestabilita, ma potrebbe essere inferiore qualora si riducano i tassi di mercato.
1.3 I CONTRATTI A TERMINE
Con il contratto a termine le parti si accordano per la compravendita di un bene sottostante (attività finanziarie o merci) ad un prezzo e ad una data prefissati. Un eventuale deprezzamento di mercato del bene è qui irrilevante, avendo la parte acquirente assunto l’obbligo di acquisto al prezzo già prestabilito nel contratto. Per contro, la parte che deve vendere il sottostante ad una data ed un prezzo stabiliti, assumerà il rischio dell’aumento del prezzo del bene.
Le principali tipologie di contratti a termine sono i contratti future e forward.
Il future è un contratto derivato negoziato su mercati regolamentati mediante il quale acquirente e venditore si impegnano a scambiarsi una determinata quantità di una certa attività finanziaria o reale (detta underlying asset) a un prezzo prefissato e con liquidazione differita a una data futura prestabilita. Pertanto lo strumento si caratterizza per avere un prezzo prefissato e la liquidazione differita a una data futura.
ll forward è un contratto di compravendita a termine negoziato fuori dal mercato regolamentato (OTC, over the counter) avente come sottostante un bene reale oppure un’attività finanziaria. Una parte si impegna ad acquistare l’attività sottostante alla data pattuita pagando il prezzo concordato; l’altra si impegna a vendere tale attività alla medesima data e al medesimo prezzo. Il prezzo concordato viene detto prezzo di consegna (o delivery price) e viene concordato all’atto della stipula del forward in modo tale che il valore iniziale del contratto sia nullo. Pertanto il prodotto forward non comporta alcun esborso monetario immediato.
La principale differenza tra i due prodotti è data dal mercato di scambio, per il primo all’interno del mercato regolamentato per l’altro al di fuori (OTC).
1.4 PREZZI E PREMI
Circa il prezzo i contratti derivati possono essere suddivisi tra contratti “par” e contratti “non par”.
Il derivato si definisce “par” quando il valore di partenza del contratto è nullo, e cioè non è né positivo e né negativo per entrambe le parti.
Se ciò non avviene, il contratto si definisce “non par”, e presenterà, già nel momento iniziale, un valore di mercato negativo per una delle due parti (solitamente per il cliente). Ciò accade poiché uno dei due flussi di pagamento non riflette il livello dei tassi di mercato.
Nei contratti “non par” l’equilibrio contrattuale viene ristabilito attraverso il pagamento di una somma di denaro alla controparte che accetta condizioni più penalizzanti. Tale pagamento, definito up front, corrisponde al valore di mercato negativo del contratto.
Spesso è proprio l’up front il vero motivo che spinge i soggetti all’attivazione di prodotti derivati. Infatti questo rappresenta il premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate, permettendo di rendere liquido una parte del titolo sottostante l’operazione, ovvero di estinguere un contratto precedente ai fini dell’attivazione di un nuovo prodotto.
CAPITOLO 2: L’USO DEI DERIVATI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ITALIANA
I contratti derivati sono stati utilizzati dalle Amministrazioni Pubbliche italiane con fortune alterne, generalmente per necessità di copertura dei rischi.
Di fatto nell’ordinamento italiano non c’è un sistema unico di regole per l’utilizzo di derivati da parte dei soggetti pubblici. La stratificazione normativa ha imposto due diversi quadri regolamentari: uno per la PA centrale ed uno per la PA locale.
In base alle regole contabili nazionali e quelle statistiche europee, le attività o passività generate da operazioni in derivati (cioè il loro valore di mercato alla data di riferimento) sono registrate nei conti finanziari. Esse non sono invece incluse nella definizione di Maastricht del debito delle Amministrazioni pubbliche, a meno che il derivato non comprenda una componente assimilabile a un finanziamento.
Quindi, il derivato di per sé non rappresenta debito pubblico, anche alla luce delle specificità dei prodotti sopra evidenziati.
2.1 I DERIVATI NELLA PA CENTRALE
La prima norma che autorizza l’impiego di strumenti derivati è rinvenibile nella legge finanziaria 1985[2], in cui si prevedeva la facoltà del Ministro del Tesoro, tenuto conto delle condizioni di mercato, di ristrutturare i propri debiti esteri. Con riferimento a questa norma furono poste in essere le prime operazioni di swap di cambio per prestiti in valuta straniera.
Dopo varie modifiche normative la materia fu organicamente riordinata nel Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico di cui al D.P.R. 398/2003, tuttora vigente, che prevede l’emanazione annuale da parte del Ministro dell’Economia e delle Finanze di decreti cornice che consentano al Dipartimento del Tesoro di procedere alle forme di emissione debitorie in esse previste. In tale quadro normativo sono descritte anche le operazioni in derivati[3].
Tranne minime eccezioni le controparti in strumenti derivati della Repubblica Italiana sono tradizionalmente selezionate tra gli Specialisti in titoli di Stato, vale a dire tra le banche che, da un lato, soddisfano il requisito di una consolidata presenza ad ampio raggio sul mercato e, dall’altro, assicurano un andamento efficiente dei mercati, primario e secondario, dei titoli di Stato. Le stesse devono avere un rating almeno pari a quello della Repubblica.
Le operazioni sono regolate all’interno dei contratti ISDA (International Swap Dealers Association Master Agreement), vale a dire un contratto “quadro”, curato dall’associazione di categoria e dalla Repubblica Italiana, che contiene le regole generali alle quali le parti contraenti fanno riferimento per la conclusione dei singoli contratti in strumenti derivati.
Il MEF[4] pubblica trimestralmente i dati relativi ai derivati posseduti. Dall’ultima rilevazione pubblicata, relativa al Primo trimestre 2019 risulta:
- capitale nozionale di 111.357 milioni di euro;
- valore Mark to Market[5] negativo di 32.885 milioni di euro;
- peso degli strumenti derivati sul totale dei titoli del debito pubblico del 5,51%.
Tali strumenti sono utilizzati dal Tesoro all’interno delle politiche attive del debito, doverose per un paese ad alto indebitamento pubblico quale l’Italia.
2.2 I DERIVATI NELLE AUTONOMIE TERRITORIALI
Regioni ed Enti locali hanno anche loro attivato, negli ultimi 25 anni, numerosi contratti di finanza derivata per la gestione del loro debito. Per regolamentare questo utilizzo vi è stata una ragguardevole produzione normativa.
Le prime disposizioni in tema di operatività in derivati delle amministrazioni territoriali sono state emanate nel 1996 e riguardavano i prestiti obbligazionari in valuta estera che dovevano essere accompagnati, al momento dell’emissione, da una corrispondente operazione di swap. Nel 2002 è stata data la possibilità, agli enti territoriali, di emettere titoli obbligazionari “bullet”[6], previa costituzione di un fondo di ammortamento del debito o previa conclusione di uno swap per l’ammortamento del debito. Tale possibilità era data per garantire un maggiore accesso al mercato, ma di fatto è stata sfruttata quasi esclusivamente dagli enti regionali.
Il cattivo utilizzo fatto in quegli anni dei prodotti derivati, gestiti spesso senza la minima conoscenza dello strumento, ha portato poi all’approvazione del D.M. n. 89 del 2003 e della successiva circolare del 27 maggio 2004, disciplinanti l’accesso delle amministrazioni territoriali al mercato dei capitali. La disciplina individuava le tipologie di strumenti derivati consentiti, ammettendo soltanto quelle più semplici, da intendersi nella forma detta plain vanilla, cioè secondo la struttura più elementare con esclusione di qualsiasi forma di opzionalità, al fine precipuo di garantire «il contenimento dell’esposizione dell’ente ai rischi finanziari conseguenti al rialzo dei tassi di interesse (…) con l’obiettivo del contenimento del costo dell’indebitamento»[7].
La percezione che il quadro normativo piuttosto puntuale sopra delineato non fosse stato applicato con rigore ha portato, nel 2007, all’obbligo di comunicare ex ante al Ministero dell’Economia e delle Finanze le operazioni in strumenti derivati, pena l’inefficacia dei contratti, e, a partire dal 25 giugno 2008, alla sospensione temporanea all’attività in derivati di Regioni ed Enti locali. Tale divieto di sottoscrizione di nuovi contratti doveva durare sino all’emanazione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze di un nuovo regolamento che individuasse le tipologie di strumenti derivati ammessi, regolamento che non ha visto la luce.
La norma ha comunque raggiunto l’obiettivo di contenere sensibilmente l’operatività in derivati da parte degli enti territoriali, già a partire dalla seconda metà del 2008. Ciò è avvenuto anche grazie al naturale scadere di molti contratti, ma soprattutto per effetto delle continue estinzioni anticipate delle posizioni esistenti.
Attualmente, in base alla vigente formulazione dell’articolo 62 del decreto-legge n. 112 del 2008, come da ultimo modificato dalla legge di stabilità per il 2014[8], Regioni ed Enti locali possono solamente:
- estinguere anticipatamente i contratti derivati da essi detenuti;
- riassegnare i medesimi contratti a controparti diverse dalle originarie (cosiddette “novazioni soggettive”) senza che vengano modificati i termini e le condizioni finanziarie dei contratti riassegnati;
- ristrutturare i contratti derivati a seguito di modifica della passività sottostante, esclusivamente nella forma di operazioni prive di componenti opzionali e volte alla trasformazione da tasso fisso a variabile o viceversa e con la finalità di mantenere la corrispondenza tra la passività rinegoziata e la collegata operazione di copertura;
- perfezionare contratti di finanziamento che includono l’acquisto di cap[9] da parte dell’ente.
Infine, dal 24 aprile 2014[10], è offerta la possibilità per le Regioni di ristrutturare parte del loro debito a determinate condizioni, al fine di ridurre la spesa per interessi e di semplificare le posizioni in derivati.
La Banca d’Italia[11] pubblica semestralmente i dati relativi all’indebitamento degli Enti locali, fornendo informazioni anche sui derivati. Dall’ultima rilevazione pubblicata, relativa al secondo semestre 2018 risultano:
- 107 Amministrazioni locali coinvolte,
- capitale nozionale di 6.437 milioni di euro;
- valore Mark to Market netto negativo di 942 milioni di euro;
- peso degli strumenti derivati sul totale dei titoli del debito degli Enti locali pari al 1,2%.
Lo stock di derivati e di conseguenza i valori sottostanti risultano in netta diminuzione negli ultimi periodi per le considerazioni sopra effettuate.
CAPITOLO 3: CONCLUSIONI
Gli strumenti di finanza derivata sono strumenti finanziari caratterizzati da una certa complessità nella loro gestione. La demonizzazione fatta negli ultimi anni non è giustificata. Il ricorso ai prodotti derivati consente di aumentare significativamente la flessibilità della gestione del debito, ridefinendo sinteticamente la durata media finanziaria, la valuta di denominazione e le condizioni di tasso oltre a coprire altri rischi del mercato nella prospettiva di contenimento degli stessi. Sono però strumenti che necessitano di specifiche professionalità e conoscenze per una corretta gestione.
Il MEF, anche grazie ad una sostanziale competenza del proprio personale, sembra avere rispettato tali indicazioni. I problemi delle perdite economiche legate ai derivati risiede nell’impossibilità di effettuare previsioni precise ex-ante rispetto all’andamento dei mercati finanziari. Comunque tali perdite vanno lette nell’ambito di un più ampio utilizzo degli strumenti fatto negli anni, attraverso una complessa gestione del debito pubblico e di una politica di “liability management attiva” dello Stato, che ha portato a risultati altalenanti nei diversi periodi finanziari.
Le Regioni e gli Enti Locali invece, pur avendo un’esposizione debitoria minima rispetto a quella statale, sembrano aver utilizzato gli strumenti del mercato dei derivati con leggerezza e senza le dovute competenze, affidandosi di fatto alla sola consulenza degli stessi soggetti promotori. Gli enti territoriali sono risultati spesso più attratti dal valore dell’up-front, immediatamente spendibile, che da una vera attenzione al benessere finanziario degli enti nel lungo periodo.
Il successivo tentativo di limitare i danni ha poi portato a recedere dai contratti sottoscritti, o ad uscire dal mercato, o, con maggiore fantasia, ad invocarne la nullità ai sensi dell’art. 1418 del Codice Civile. Nel primo caso si sono dovuti riconoscere gli indennizzi previsti dalla legge[12], nel secondo caso si è dovuto pagare il mark to market negativo, nel terzo si è finiti davanti al Giudice civile. Comunque, in tutti i casi, con esborsi importanti a carico della finanza pubblica. Ma la poca lungimiranza di questi amministratori è ormai sotto l’attenta vigilanza della Corte dei Conti che ha già inflitto numerose condanne.
Bibliografia e sitografia
Caputo Nassetti, I contratti derivati finanziari, Giuffrè 2011
Castiglioni. Gli strumenti finanziari derivati. Definizione giuridica e differenziazione delle diverse tipologie di contratti derivati, Tidona e Associati, www.tidona.com
Minutolo. I Derivati Finanziari: Futures e Forwards, Interest Rate Swap ed Options, Tidona e Associati, www.tidona.com
Minnino, La gestione del debito mediante strumenti finanziari derivati, pubblicazione del 19 aprile 2018 www.lexitalia.it
Ufficio Parlamentare di Bilancio, I contratti derivati stipulati dalle Amministrazioni pubbliche: caratteristiche e finalità, Focus tematico 3/9 febbraio 2015;
MEF, Audizione: Indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati Camera dei Deputati VI Commissione Finanze. Roma, 10 febbraio 2015;
Toschei, Enti locali e finanza derivata: il destino dei contratti swap, Rivista “Comuni d’Italia” 6/2014, pagg. 54-60
Biamonte. Finanza derivata ed Enti territoriali. Problematiche, prospettive e spunti ricostruttivi, www.diritto.it;
Borsa italiana, Glossario Finanziario, www.borsaitaliana.it/ borsa/glossario.html
Consob, I derivati, www.consob.it/web/investor-education/i-derivati
Note:
[1] Le principali tipologie di prodotto finanziario derivato sono elencate nell’Allegato al D.Lgs 58/1998, Sezione C, numeri da 4 a 10.
[2] Ultimo comma dell’art. 8 della legge 22/12/1984 n. 887.
[3] I contratti derivati sono approvati e stipulati dal Direttore della Direzione II del Tesoro, con l’obbligo di darne comunicazione al Gabinetto del Ministro ed al Direttore Generale del Tesoro stesso.
[4] Le informazioni sono disponibili alla pagina: http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/dati_statistici/portafoglio_derivati.html
[5] Il Mark to Market definisce il valore di mercato di un derivato a un determinato istante. Può essere positivo o negativo per l’ente. Se l’ente vuole estinguere anticipatamente il contratto e il Mtm è negativo, deve versare alla banca questa somma.
[6] Vale a dire con rimborso in unica soluzione alla scadenza.
[7] Circolare MEF del 27 maggio 2004 punto 3.
[8] Articolo 1, comma 572, della legge n. 147 del 2013.
[9] Lo strumento del cap è spiegato nel presente documento al paragrafo 1.1.1
[10] Come previsto dall’articolo 45 del decreto-legge n. 66 del 2014 poi convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014.
[11] Le informazioni sono disponibili alla pagina: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/debito-amministrazioni/
[12] Articoli 21 quinquies e 21 sexties della legge 241/1990
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