Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia
Il 4 giugno scorso, al termine della riunione del Consiglio direttivo della BCE, sono state rese note le proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro, che ridimensionano significativamente le previsioni elaborate a marzo 2020 in un contesto peraltro completamente differente da quello che si è materializzato nei due mesi successivi.
I più recenti indicatori economici e le ultime risultanze delle indagini congiunturali confermano una drastica contrazione dell’economia dell’area dell’euro e un rapido deterioramento delle condizioni nel mercato del lavoro.
La pandemia di coronavirus (Covid 19) e le misure di contenimento varate dai governi per limitare la diffusione del contagio hanno avuto gravi ripercussioni sia sul settore manifatturiero sia su quello dei servizi, con pesanti ricadute sulla capacità produttiva e sulla domanda interna. Nel primo trimestre del 2020 il PIL in termini reali dell’area dell’euro è diminuito del 3,8 per cento sul trimestre precedente, ponendo fine a circa sette anni di espansione. Quasi tutti i paesi dell’area hanno registrato tassi di crescita trimestrali negativi, in particolare Francia, Italia e Spagna. I dati indicano che il commercio al dettaglio, i trasporti, le attività artistiche, di intrattenimento e ricreative hanno subito le maggiori perdite, anche se in misura diversa nei vari paesi.
Gli indicatori previsionali suggeriscono un calo ancora più marcato del prodotto nel secondo trimestre di quest’anno. In coincidenza con l’allentamento delle misure di contenimento, l’attività economica dovrebbe segnare una ripresa nel terzo trimestre, sostenuta dalle condizioni di finanziamento favorevoli, dall’orientamento espansivo delle politiche di bilancio e dal recupero dell’attività e del commercio globali.
Nel complesso del 2020, il PIL in termini reali si ridurrebbe dell’8,7 per cento. Tale risultato sarebbe determinato da una rilevante contrazione dei consumi privati (-7,8 per cento) e degli investimenti (-15,5 per cento), solo in minima parte compensata da un aumento dei consumi pubblici (2,5 per cento). Negativo sarebbe inoltre il contributo alla crescita dell’interscambio con l’estero (esportazioni, -13,6 per cento; importazioni, -12 per cento). Per il 2021 e il 2022, gli esperti della BCE prevedono una ripresa, rispettivamente, del 5,2 e del 3,3 per cento. Rispetto al quadro previsivo di marzo 2020, le prospettive di crescita del prodotto sono state riviste notevolmente al ribasso di 9,5 punti percentuali per il 2020 e al rialzo per il 2021 e il 2022, rispettivamente di 3,9 e 1,9 punti percentuali.
La situazione del mercato del lavoro registrerebbe un brusco peggioramento nel corso del 2020. In particolare, l’occupazione totale diminuirebbe del 2,8 per cento nel 2020 prima di tornare al livello pre-crisi, grazie a una ripresa dell’attività. Il tasso di disoccupazione dovrebbe raggiungere un picco del 10,8 per cento nel terzo trimestre del 2020, per poi scendere gradualmente sino al 9,8 per cento a fine anno.
Data l’elevata incertezza che caratterizza le attuali prospettive economiche per l’area dell’euro, le proiezioni includono due scenari alternativi. Nello scenario “mild”, che presuppone una piena efficacia delle misure di contenimento, il PIL reale si ridurrebbe del 5,9 per cento quest’anno, a cui seguirebbe un forte rimbalzo nel 2021 (6,8 per cento); l’inflazione, rispecchiando in prevalenza il calo dei prezzi nel settore energetico, dovrebbe attestarsi allo 0,4 per cento nel 2020, per poi risalire gradualmente sino a raggiungere l’1,7 per cento nel 2022. Nello scenario “severe”, che prefigura una nuova ondata di contagi, accompagnata dall’introduzione di misure di contenimento più rigorose, l’attività economica registrerebbe una contrazione del 12,6 per cento, seguita da una ripresa più contenuta nel 2021 (3,3 per cento). In questo scenario, l’inflazione si collocherebbe su livelli prossimi allo zero nel 2020.
Alla luce delle suddette proiezioni, la BCE ha deciso, nel corso della ricordata riunione del 4 giugno, di assumere una serie di misure di politica monetaria al fine di sostenere l’economia durante la graduale riapertura e di salvaguardare la stabilità dei prezzi nel medio termine. Tra queste la più importante è quella di aumentare di 600 miliardi, dai 750 attuali, la dotazione del programma di acquisto per l’emergenza pandemica (Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP) portandolo a 1.350 miliardi ed estendendo la sua durata sino ad almeno la metà del 2021.
Il 5 giugno scorso la Banca d’Italia ha presentato le proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana aggiornando le analisi sugli scenari illustrativi degli effetti economici della pandemia, pubblicate lo scorso 15 maggio e sulle quali si è soffermato il Governatore nelle Considerazioni finali del 29 maggio.
Nell’ipotesi che la diffusione della pandemia rimanga sotto controllo a livello globale e nel nostro Paese e che, conseguentemente, vengano gradualmente rimosse le misure di contenimento del contagio, lo scenario di base prefigura una contrazione del PIL italiano del 9,2 per cento nella media di quest’anno, seguita da una ripresa nei prossimi due anni (4,8 per cento nel 2021 e 2,5 per cento nel 2022).
Alla caduta del prodotto nell’anno in corso contribuirebbe, oltre a una marcata flessione della domanda estera (-15,9 per cento) e dei flussi turistici internazionali, il calo della domanda interna (consumi privati, -8,9 per cento; investimenti fissi lordi, -15,0 per cento), dovuto al fermo della produzione e alla contrazione dell’occupazione e del reddito disponibile.
Seguirebbe, a partire dalla seconda parte di quest’anno, la ripresa dell’attività economica sostenuta principalmente dal graduale allentamento delle misure di contenimento. Il ritorno dell’attività economica ai livelli pre-crisi sarebbe tuttavia rallentato dall’incertezza sull’evoluzione della pandemia e, in generale, da comportamenti più cauti di famiglie e imprese.
La Banca d’Italia stima inoltre che le misure di sostegno diretto alla domanda, contenute nei decreti “cura Italia” e “Rilancio”, contribuirebbero a ridurre la contrazione del PIL dell’anno in corso nell’ordine di oltre due punti percentuali.
La crisi avrà significative ripercussioni sul mercato del lavoro: l’occupazione, misurata in termini di ore lavorate, diminuirebbe quest’anno di quasi il 10 per cento, per poi recuperare parzialmente nel 2021. Il numero di occupati si ridurrebbe invece in misura più contenuta, intorno al 4,0 per cento nel 2020, beneficiando dell’ampio ricorso alla Cassa integrazione guadagni.
L’inflazione al consumo rimarrebbe pressoché nulla quest’anno e il prossimo, per effetto principalmente della caduta del prezzo del petrolio e dell’ampliamento dei margini di capacità inutilizzata. Si prevede una graduale risalita nel 2022.
In un secondo scenario, più severo, nel quale si ipotizza i) una caduta della domanda estera nell’anno in corso del 20 per cento e una ripresa più graduale nel prossimo biennio sia del commercio mondiale sia dei flussi turistici, ii) l’emergere di nuovi focolai dell’epidemia con conseguente reintroduzione di misure di sospensione delle attività economiche per una quota pari a circa il 5 per cento del valore aggiunto per 4 settimane nei mesi estivi e circa il 15 per cento per 6 settimane tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 nonché iii) un ulteriore deterioramento delle condizioni finanziarie, il PIL si ridurrebbe di circa il 13,0 per cento quest’anno e la ripresa nel 2021 sarebbe molto più lenta. In particolare, tutte le componenti della domanda interna, con l’eccezione dei consumi pubblici che aumenterebbero dell’11,1 per cento nel 2020, registrerebbero una marcata flessione (consumi privati, -13,1 per cento; investimenti fissi lordi, -19,5 per cento), la domanda estera si ridurrebbe del 20,3 per cento, l’inflazione risulterebbe inferiore a quella stimata nello scenario di base.
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