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Il contratto di conto corrente si scioglie automaticamente con il fallimento del mutuatario (art. 78 L.F.). [1]
Lo scioglimento si applica anche al conto corrente postale (Cass. n. 6624 del 29 marzo 2005 [2]).
Il correntista dal momento del fallimento non può più compiere operazioni sul conto.
Ne consegue che:
1) tutti gli accreditamenti successivi al fallimento sono acquisiti dalla massa, senza che la banca possa ordinariamente trattenerli in compensazione dell’eventuale saldo passivo del conto o di altri crediti verso il fallito.
La Cassazione (n. 3519 del 24/3/2000) ha chiarito sul punto che “l’accreditamento successivo alla dichiarazione di fallimento deve ritenersi inefficace nei confronti dei creditori in applicazione dell’art. 44 della Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), con la conseguente impossibilità per la banca di operare alcun conguaglio con sue eventuali precedenti ragioni. Né può invocarsi da parte della banca la compensazione, in quanto, ai fini dell’applicabilità dell’art. 56 della Legge Fallimentare, dovendo necessariamente risalire i fatti costitutivi dei reciproci crediti alla fase precedente all’apertura del fallimento, ogni evento successivo è improduttivo di effetti rispetto alla massa per la tutela della “par condicio”. [3]
L’art. 44 della Legge Fallimentare dispone in particolare:
“Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori. Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. Fermo quanto previsto dall’articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma”.
2) i pagamenti effettuati dalla banca su ordine del fallito (ad esempio mediante assegni, anche se emessi prima del fallimento, oppure bonifici) sono ordinariamente inefficaci e la banca deve rimborsarli alla massa, detratte solo le spese per la tenuta del conto.
Si segnala però un interessante orientamento della Cassazione, peraltro non isolato, che ritiene che il destinatario della domanda di accertamento della inefficacia del pagamento potrebbe essere il solo creditore soddisfatto, ossia l'”accipiens” che ha ricevuto il pagamento, e non la banca incaricata dal fallito ad eseguire il pagamento, che ha agito per conto del fallito e non ha ricevuto da questi alcun pagamento.
– Cassazione Civile, sez. III, sent. n. 7477 del 20/3/2020:
“Orbene la L. Fall., art. 44, comma 1, dispone la inefficacia dei pagamenti eseguiti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento (“Tutti….i pagamenti ….eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”). Lo strumento dell’inefficacia dei pagamenti è posto a tutela della “par condicio creditorum” ed è volto ad impedire l’effetto giuridico proprio dell’atto estintivo del debito del fallito verso il terzo, in quanto – diversamente – il credito di quest’ultimo verrebbe ad essere sottratto alla verifica concorsuale ed alla falcidia dei crediti privilegiati di grado anteriore. Ne segue che destinatario della domanda di accertamento della inefficacia del pagamento, e della conseguente domanda di restituzione della somma indebitamente versata (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17196 del 29/07/2014), non può che essere il creditore soddisfatto, ossia l'”accipiens” e non anche il soggetto – eventualmente- incaricato, dal fallito, ad eseguire il pagamento, il quale agisce per conto del fallito e non riceve da questi alcun pagamento. È stato, infatti, rilevato che “ai sensi di tale norma (ndr. L. Fall., art. 44), deve ritenersi inefficace, se compiuto dopo il fallimento, qualsiasi atto satisfattivo comunque, e pur indirettamente, riferibile al debitore fallito, o perchè eseguito con suo denaro, o per suo incarico (nei modi della delegazione, o dell’accollo cumulativo non allo scoperto), ovvero in suo luogo, come avviene, per l’appunto, nell’ipotesi in cui il pagamento sia effettuato in favore dei creditori del fallito dal terzo suo debitore, in esecuzione dell’ordinanza di assegnazione del credito presso di lui pignorato. Ma se così è, se cioè detto pagamento costituisce atto solutorio riconducibile al fallito, risulta evidente che, non diversamente da quanto avviene nel caso in cui lo stesso sia assoggettabile a revocatoria ai sensi della L. Fall., art. 67, l’azione ex art. 44, deve essere esercitata nei confronti dell’accipiens, ovvero di colui che ha effettivamente beneficiato del negozio satisfattivo.” (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14779 del 19/07/2016). Sulla stessa linea si pone anche il precedente di questa Corte Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 22160 del 03/11/2016 secondo cui in caso di fallimento del debitore già assoggettato ad “espropriazione presso terzi”, l’azione revocatoria fallimentare del pagamento eseguito dal “debitor debitoris” può essere esercitata soltanto nei confronti del creditore assegnatario, ossia di colui che, beneficiando dell’atto solutorio, si è sottratto al concorso ed è, quindi, tenuto, onde ripristinare la “par condicio”, alla restituzione di quanto ricevuto, affinchè sia distribuito secondo le regole concorsuali”.
3) le rimesse effettuate dal correntista fallito sul conto in un periodo sospetto precedente al fallimento possono essere oggetto di revocatoria fallimentare, se abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca.
Ai sensi dell’art. 67, c. 3, lett. b) della Legge Fallimentare le rimesse sono revocabili se abbiano ridotto in modo “consistente e durevole” l’esposizione debitoria nei confronti della banca; la riduzione dell’esposizione debitoria deve essere stata cioè progressiva, tendenzialmente finalizzata alla sola diminuzione del debito bancario, e di ammontare non trascurabile, avuto riguardo all’ammontare delle rimesse ed all’interesse della massa fallimentare al recupero delle somme andate a beneficio di un solo creditore.
Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 78 L.F. si sciolgono, altresì, automaticamente i rapporti di apertura di credito ed anticipazione su fatture o titoli regolati in conto corrente, in quanto rapporti strettamente dipendenti e accessori al rapporto di conto corrente bancario, per cui la legge prescrive lo scioglimento.
Il contratto di mutuo non ha invece necessità di essere sciolto, in quanto in esso:
a) l’obbligazione della banca è stata interamente adempiuta prima del fallimento del mutuatario, residuando per la banca un diritto di credito per la somma mutuata, al quale consegue il diritto ulteriore di insinuazione al passivo fallimentare per la somma ancora a credito;
b) il contratto di mutuo, per la stessa ragione (e cioè la circostanza che l’adempimento integrale dell’obbligazione della banca è avvenuta prima del fallimento), non rientra neppure tra i contratti ritenibili “pendenti”, per i quali l’art. 72 L.F. consente al curatore di operare una scelta tra la prosecuzione o meno. [4] [5]
La Cassazione ha confermato difatti che le “rate successive, agli effetti del concorso, si considerano scadute alla data della sentenza dichiarativa, a norma dell’art. 55, comma 2, l.fall. [“I debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento”]: non è, dunque, necessario, per l’accertamento del capitale residuo, provare la risoluzione del contratto, che rileva solo ai fini degli interessi di mora“.
– Cassazione, Sez. I civ., 10 febbraio 2020, n. 3015:
“Il creditore che agisce in sede di verifica del passivo fallimentare in base ad un contratto di mutuo è tenuto a fornire la prova dell’esistenza del titolo, della sua anteriorità al fallimento e della disciplina dell’ammortamento, con le scadenze temporali e con il tasso di interesse convenuti, mentre il debitore mutuatario (e, per esso, il curatore) ha l’onere di provare il pagamento delle rate di mutuo scadute prima della dichiarazione di fallimento, atteso che le rate successive, agli effetti del concorso, si considerano scadute alla data della sentenza dichiarativa, a norma dell’art. 55, comma 2, l.fall.: non è, dunque, necessario, per l’accertamento del capitale residuo, provare la risoluzione del contratto, che rileva solo ai fini degli interessi di mora”.
La banca può pertanto insinuare al fallimento la somma a suo credito, essendo anche le rate successiva alla data della dichiarazione di fallimento divenute esigibili nello stesso momento.
La banca potrà nel contempo escutere le garanzie personali ricevute (fideiussioni) e reali rilasciate da soggetti diversi del soggetto fallito.
In relazione al servizio di cassette di sicurezza il contratto non si scioglie automaticamente al momento del fallimento ed il curatore può scegliere di continuare il contratto (ad esempio, ritenendo utile mantenere custoditi in cassetta eventuali oggetti preziosi).
Il curatore ha comunque diritto di accedere alla cassetta per procedere all’inventario, ed anche a procedere all’apprensione materiale dei beni, a ciò autorizzato dal giudice.
È raccomandabile che il curatore proceda tempestivamente, ed in ogni caso, all’inventario del contenuto della cassetta.
Dalla data del fallimento il fallito perde comunque il diritto di accedere alla cassetta di sicurezza. La banca può essere di conseguenza ritenuta responsabile della eventuale sottrazione di beni, ove consenta al fallito, o a terzi diversi dal curatore, di accedere alla cassetta.
Note:
[1] Art. 78 (Conto corrente, mandato, commissione) Legge Fallimentare: “[I]. I contratti di conto corrente, anche bancario, e di commissione, si sciolgono per il fallimento di una delle parti. [II]. Il contratto di mandato si scioglie per il fallimento del mandatario. [III]. Se il curatore del fallimento del mandante subentra nel contratto, il credito del mandatario è trattato a norma dell’articolo 111, primo comma, n. 1), per l’attività compiuta dopo il fallimento”.
[2] Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 6624 del 29/3/2005: “Le norme della l. fall. sono applicabili anche ai conti correnti postali, in virtù della espressa previsione recata in tal senso dall’art. 24 del codice postale (d.P.R. n. 156 del 1973), non derogata dall’art. 82 di detto codice, con la conseguenza che devono ritenersi inefficaci ex art. 44 l. fall., gli addebiti effettuati su detto conto dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento, senza che sia necessaria la sua notificazione alla Poste italiane s.p.a., dato che la disciplina prevista dall’art. 17 l. fall., fonda la sussistenza di una presunzione generale di conoscenza della pronuncia che dichiara aperta la procedura concorsuale”.
[3] Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 3519 del 24/3/2000: “Nei casi di versamento mediante bonifico o bancogiro, il quale consiste nell’accreditamento di una somma di denaro da parte di una banca a favore del correntista beneficiario e nel contemporaneo addebitamento della stessa somma sul conto del soggetto che ne ha fatto richiesta, al fine di verificare l’anteriorità o la posteriorità dell’operazione bancaria rispetto alla dichiarazione di fallimento del beneficiario stesso, è rilevante la cosiddetta “data contabile” e cioè quella in cui è avvenuta l’annotazione dell’accredito sul conto. L’accreditamento successivo alla dichiarazione di fallimento deve ritenersi inefficace nei confronti dei creditori in applicazione dell’art. 44 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), con la conseguente impossibilità per la banca di operare alcun conguaglio con sue eventuali precedenti ragioni. Né può invocarsi da parte della banca la compensazione, in quanto, ai fini dell’applicabilità dell’art. 56 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), dovendo necessariamente risalire i fatti costitutivi dei reciproci crediti alla fase precedente all’apertura del fallimento, ogni evento successivo è improduttivo di effetti rispetto alla massa per la tutela della “par condicio”. D’altra parte, a seguito del fallimento, risultando ormai sciolto il conto corrente in virtù dell’art. 78 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), l’impossibilità di eseguire l’obbligo di accreditamento determina la mancata coesistenza dei due debiti e preclude, per ciò solo, il ricorso all’art. 56 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267)”.
[4] Tribunale di Monza, 16 gennaio 2013: “Il contratto di mutuo stipulato ed adempiuto dalla mutuante prima del deposito della domanda di concordato preventivo non può qualificarsi come rapporto pendente, poiché l’obbligazione restitutoria gravante sul mutuatario si configura come debito disciplinato dall’articolo 55, legge fall. in forza del richiamo contenuto nell’articolo 169, legge fall.”.
[5] Art. 72, comma 1, L.F.: “Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto”.
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