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Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia
Il dibattito sulla riforma del Patto di stabilità e crescita (PSC) e in generale della governance economica dell’UE è stato avviato dalla Commissione europea nel febbraio 2020 con la Comunicazione sul “Riesame della governance economica”, temporaneamente sospeso nei mesi successivi a causa dello scoppio della pandemia e rilanciato nell’ottobre 2021 con la Comunicazione “L’economia dell’UE dopo la COVID 19: implicazioni per la governance economica”.
Al dibattito hanno partecipato istituzioni europee e nazionali, esponenti del mondo accademico ed esperti del settore. Quasi tutti i contributi concordano sulla sostanziale inadeguatezza delle regole di bilancio a garantire finanze pubbliche sostenibili e prevenire eccessivi squilibri macroeconomici, a causa della loro complessità, scarsa trasparenza, pro-ciclicità (politiche di bilancio troppo espansive nelle fasi di crescita e troppo restrittive nelle fasi di rallentamento) e difficoltà di applicazione, nonché sull’inefficacia delle sanzioni finanziarie, in quanto soggette alle discrezionalità politiche del Consiglio europeo. Sono state avanzate, tra le altre, proposte volte a: i) adottare un unico indicatore operativo definito in termini di un limite massimo al tasso di crescita della spesa pubblica; ii) introdurre una golden rule per scorporare le spese per gli investimenti pubblici dal computo del deficit; iii) dotare l’Unione e la zona euro di una capacità fiscale centrale comune con una funzione di stabilizzazione macroeconomica; iv) trasferire una quota del debito pubblico accumulato durante l’emergenza epidemiologica a una agenzia europea di gestione del debito.
Per risolvere queste criticità, il 9 novembre 2022 la Commissione ha pubblicato la “Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell’UE”, nella quale l’Esecutivo comunitario delinea il proprio progetto di modifica delle regole di bilancio.
Ad avviso della Commissione, la proposta mira a ridurre gli elevati rapporti debito/PIL in modo realistico, graduale e duraturo e a promuovere una crescita sostenibile e inclusiva attraverso il sostegno agli investimenti pubblici e alle riforme strutturali, in particolare quelli necessari a realizzare la transizione verde e digitale.
Il piano proposto dalla Commissione non prevede una modifica dei Trattati, ma interventi sulla legislazione europea vigente. Resterebbero pertanto in vigore i valori di riferimento del 3 e del 60 per cento per il disavanzo e il debito pubblico in rapporto al PIL fissati dal Trattato di Maastricht. Verrebbe, invece, abbandonata la regola del debito[1], poiché implica un aggiustamento di bilancio troppo oneroso, specie per i paesi con elevato debito, in favore di percorsi specifici per paese che riducano il debito entro livelli ragionevoli.
Nelle intenzioni della Commissione, il nuovo quadro di regole fiscali – orientato al medio termine – dovrebbe garantire un più elevato grado di titolarità nazionale (ownership), maggiore semplicità e meccanismi di applicazione più efficaci, oltre una più forte integrazione tra politiche di bilancio e politiche strutturali.
L’elemento centrale del nuovo quadro di governance economica è costituito dai “Piani strutturali nazionali di bilancio a medio termine”, che dovranno specificare gli obiettivi di finanza pubblica, i progetti di riforme e investimenti, le azioni volte a eliminare eventuali squilibri riscontrati nell’ambito della Procedura per gli squilibri macroeconomici[2]. I piani nazionali devono assicurare che il debito pubblico sia condotto su un sentiero discendente o che sia mantenuto su livelli prudenti e che il disavanzo risulti inferiore al 3 per cento del PIL nel medio termine.
I piani avrebbero una durata minima di quattro anni, ma estensibili a sette qualora il percorso di rientro sia sostenuto da progetti di riforme e investimenti seri e concretamente realizzabili.
Come strumento operativo di attuazione del piano, la Commissione propone di introdurre un parametro semplice e direttamente osservabile, quello della “spesa primaria netta” (ossia al netto degli interessi pagati sul debito, di entrate discrezionali e delle misure legate al ciclo economico), per monitorare di anno in anno il percorso di aggiustamento fiscale di ciascun paese.
Secondo la Commissione, il nuovo quadro di regole dovrebbe articolarsi in quattro fasi. Nella prima fase, la Commissione classificherebbe gli Stati membri in tre fasce di rischio: sostanziale, moderato e modesto, a seconda che il rapporto debito/PIL tendenziale sia superiore al 90 per cento, tra il 60 e il 90 per cento e inferiore al 60 per cento, rispettivamente. La classificazione dei paesi sarebbe definita in base ai risultati dell’analisi di sostenibilità del debito (debt sustainability analysis, DSA) condotta dalla Commissione (cfr. infra).
Sulla base di tale distinzione, la Commissione definirebbe, per ciascuno Stato membro con un problema di debito sostanziale o moderato, “un percorso di aggiustamento pluriennale di riferimento in termini di spesa primaria netta” che copre quattro anni. Per i paesi con un livello di debito sostanziale, il percorso di spesa netta di riferimento dovrebbe fare sì che la traiettoria del debito a politiche invariate nel decennio successivo al periodo di aggiustamento sia su un sentiero discendente plausibile e continuo e che il disavanzo resti al di sotto del 3 per cento del PIL. Per i paesi con un livello di debito moderato, l’unica differenza riguarderebbe l’orizzonte temporale entro il quale deve essere garantita la discesa del debito, ovvero entro i tre anni successivi al periodo di aggiustamento. Per i paesi con un livello di debito modesto, sarà sufficiente mantenere il rapporto disavanzo/PIL sotto il 3 per cento del PIL per dieci anni.
Per valutare la plausibilità del percorso di riduzione del debito, la Commissione utilizzerebbe la DSA che consiste nel condurre prove di stress e analisi stocastiche, simulando shock comuni relativi ai tassi d’interesse a breve e a lungo termine, alla crescita del PIL nominale, al saldo primario di bilancio e ai tassi di cambio nominali. L’analisi verrebbe resa pubblica unitamente al percorso di spesa netta di riferimento.
Nella seconda fase, ogni Stato membro presenterebbe, dopo un dialogo tecnico approfondito con la Commissione, un piano strutturale di bilancio a medio termine[3], nel quale dovrà indicare il percorso di aggiustamento fiscale in termini di spesa primaria netta, le riforme e gli investimenti che intende realizzare nel periodo considerato, l’ammontare delle spese finanziate dalle sovvenzioni del Dispositivo per la ripresa e la resilienza, dai fondi di coesione e altri trasferimenti dall’UE.
Nella terza fase, il piano nazionale sarebbe sottoposto alle valutazioni della Commissione e alla successiva approvazione del Consiglio europeo. In caso di mancato accordo tra Stato membro e Commissione, verrebbe applicato il piano di riferimento elaborato dalla Commissione.
Nella quarta fase, il piano sarebbe oggetto di monitoraggio annuale da parte della Commissione e del Consiglio nell’ambito del semestre europeo. La sorveglianza sarebbe effettuata esaminando sia il saldo di bilancio nominale sia la dinamica della spesa primaria netta.
In linea di principio, agli Stati membri è preclusa la possibilità di rivedere i propri piani, salvo che si verifichino circostanze oggettive che ne rendano impraticabile l’attuazione. In questo caso, potrebbe essere proposto un nuovo piano pluriennale che verrebbe assoggettato allo stesso processo di validazione posto in essere per il piano originario. Tuttavia, in presenza di shock straordinari che colpiscono l’UE rimane ferma la possibilità di attivare la clausola di salvaguardia generale[4] (general escape clause), così come in caso di circostanze eccezionali che sfuggono al controllo del singolo governo è prevista la possibilità di attivare una clausola di salvaguardia specifica per paese (country-specific clause), previa approvazione del Consiglio.
Secondo la Commissione, la procedura per i disavanzi eccessivi[5] sarebbe mantenuta. Rimarrebbe invariata in caso di superamento del valore di riferimento del disavanzo in rapporto al PIL, mentre verrebbe rafforzata quella sul livello di debito. Per gli Stati membri con un problema di debito sostanziale, gli scostamenti dal percorso di rientro concordato determinerebbero l’avvio automatico della procedura. Per gli Stati membri con un problema di debito moderato, le deviazioni potrebbero portare all’avvio della procedura nel caso in cui possano configurarsi come “errori rilevanti” (gross policy errors).
Verrebbe modificato l’apparato sanzionatorio: si riduce l‘ammontare delle sanzioni finanziarie, per renderle effettivamente applicabili, e si introducono sanzioni di tipo reputazionale, (obbligo per i Ministri delle finanze dei paesi soggetti alla procedura per i disavanzi eccessivi di riferire al Parlamento europeo sulle misure che i rispettivi governi intendono porre in essere) e condizionalità macroeconomiche (sospensione dei finanziamenti dell’UE in caso di mancata adozione di misure sufficienti a correggere gli squilibri).
Il progetto di ridisegno della governance economica accenna brevemente alla procedura per gli squilibri macroeconomici, definiti come “ogni tendenza che possa determinare sviluppi che hanno, o potrebbero avere, effetti negativi sul corretto funzionamento dell’economia di uno Stato membro, dell’UEM o dell’intera Unione”. In merito, gli Orientamenti prevedono un rafforzamento del dialogo tra la Commissione e gli Stati membri “per individuare le misure necessarie” per affrontarli, da cui poi derivi un impegno da parte dei paesi interessati a inserire nei rispettivi piani nazionali le riforme e gli investimenti per prevenire o correggere gli squilibri.
Infine, si prevede un ruolo rafforzato per le Istituzioni di bilancio indipendenti sia nella fase di valutazione delle ipotesi alla base dei piani strutturali e della loro adeguatezza, sia nella fase di controllo dell’attuazione dei piani stessi.
La Commissione V della Camera dei deputati ha promosso un ciclo di audizioni, tuttora in corso, per l’esame della Comunicazione del 9 novembre scorso. Sono stati finora auditi la Banca d’Italia, la Corte dei conti, l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) e alcuni accademici.
Secondo la Banca d’Italia[6], la proposta della Commissione rappresenta un passo in avanti, poiché si concentra sulla sostenibilità dei conti pubblici piuttosto che sulla calibrazione precisa della politica di bilancio, mira a ridurre la complessità del sistema dei vincoli e ad aumentare la titolarità nazionale, individua nella dinamica di medio periodo del rapporto debito/PIL il cardine dell’intero sistema di regole.
Per l’UPB[7], la proposta di riforma del PSC contiene una serie di elementi da valutare favorevolmente, come la partecipazione degli Stati membri alla definizione del proprio percorso di aggiustamento fiscale, l’abbandono di regole numeriche rigide e uguali per tutti i paesi indipendentemente dal loro effettivo livello di indebitamento, una maggiore attenzione alla discesa “plausibile” del debito in rapporto al PIL nel medio periodo, tenendo conto della situazione specifica di ogni paese, nonché la scelta di un unico obiettivo annuale di policy, la spesa primaria netta, finanziata con risorse nazionali.
Ad avviso del MEF, alcuni degli elementi della proposta sono condivisibili, come il riferimento a un orizzonte pluriennale di medio termine e l’integrazione della programmazione di bilancio e di politica economica. Viene condivisa inoltre la proposta che, nella definizione del percorso di aggiustamento, sia presa in considerazione la situazione specifica di ogni paese, superando così le difficoltà di applicazione dell’impianto normativo attuale, caratterizzato da regole valide per tutti gli Stati membri. Si concorda, infine, con l’introduzione di un unico strumento operativo (aggregato di spesa) per la sorveglianza fiscale e con l’obiettivo di garantire un maggior grado di titolarità nazionale.
La proposta presenta tuttavia margini di miglioramento e necessita di approfondimenti e di più accurate riflessioni. Per la Banca d’Italia, l’utilizzo dell’analisi di sostenibilità del debito per definire sia la categoria di rischio di ciascun paese sia il sentiero di aggiustamento rischia di “determinare trattamenti significativamente diversi per casi molto simili e viceversa” e “di fornire segnali controproducenti ai mercati finanziari”. Inoltre, gli esiti dell’analisi “risultano difficili da comunicare in modo corretto non solo al pubblico in generale, ma anche agli investitori”. Secondo il MEF, l’idea che i piani nazionali di bilancio rimangano invariati per quattro anni potrebbe costituire un elemento di eccessiva rigidità. Sarebbe quindi opportuno, a suo dire, “individuare modalità che consentano di rivedere i piani pluriennali laddove emergessero cambiamenti rilevanti delle condizioni economiche oppure si configurasse un cambio di governo”.
Per l’UPB, un aspetto del nuovo quadro di regole che necessita di maggiori chiarimenti riguarda la flessibilità prevista nel caso in cui le ipotesi di partenza si rivelino irrealistiche nel corso del tempo (per esempio, il ciclo economico potrebbe rivelarsi significativamente migliore o peggiore di quanto inizialmente previsto). Per questi motivi, l’UPB auspica che la clausola per eventi eccezionali per singolo paese possa essere attivata oltre che per le calamità naturali, anche nei casi di andamenti nelle variabili macroeconomiche significativamente diverse da quelle originariamente ipotizzate a causa di shock inattesi.
Giova ricordare, da ultimo, che nella Comunicazione non viene fatto cenno alcuno alla possibilità di introdurre la golden rule[8] e di costituire una fiscal capacity permanente per finanziare la produzione di beni pubblici di interesse generale (transizione ecologica, innovazione, difesa, ecc.) e contrastare gli effetti di shock che colpiscono singoli paesi o l’intera area dell’euro.
In conclusione, il common framework proposto dalla Commissione sembra muoversi nella giusta direzione: piani di aggiustamento del debito a medio termine, differenziati a seconda della situazione specifica di ogni paese e monitoraggio in base al criterio della spesa costituiscono i punti più qualificanti della proposta di riforma. La proposta presenta, tuttavia, alcuni aspetti meritevoli di approfondimenti e di maggiore riflessione. Qualche perplessità suscita, infine, la scelta di non fornire alcuna indicazione in merito alla definizione di una capacità di bilancio comune nell’area dell’euro, per far fronte a gravi shock simmetrici e finanziare gli investimenti legati alla produzione di beni pubblici europei.
Note:
[1]Questa regola prevede che il tasso di riduzione del rapporto debito/PIL debba essere pari a 1/20 all’anno nella media dei tre esercizi precedenti.
[2] La procedura, disciplinata da due regolamenti approvati nell’ambito di un pacchetto di sei atti legislativi (c.d. six pack), si articola in una parte preventiva e in una correttiva. La procedura si apre qualora, in esito a un esame approfondito, la Commissione europea ritenga che uno Stato presenta squilibri eccessivi (esterni o interni). Gli indicatori di riferimento presi in considerazione per l’avvio della procedura sono il saldo delle partite correnti, la posizione patrimoniale netta sull’estero, il tasso di cambio effettivo reale, le quote di mercato delle esportazioni e il costo nominale del lavoro per unità di prodotto, in caso di squilibri esterni. I flussi di credito al settore privato, il tasso di disoccupazione, il debito del settore privato, il debito pubblico e il totale delle passività del settore finanziario in caso di squilibri interni.
[3] Il piano sostituirebbe gli attuali programmi di stabilità e i piani nazionali di riforma.
[4] Con la Comunicazione del 20 marzo 2020, la Commissione europea ha deciso di attivare la clausola di salvaguardia, che ha consentito agli Stati membri di deviare temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine (OMT), a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa. Con l’attivazione della escape clause le misure di sostegno varate dai governi nazionali per fronteggiare l’emergenza epidemiologica e contrastare l’impatto economico e sociale prodotto dalla pandemia sono state considerate spese una tantum e, come tali, escluse dal calcolo del saldo strutturale. Inizialmente prevista per tutto il 2020, l’operatività della clausola di salvaguardia è stata estesa a tutto il 2021 nella Comunicazione del 17 settembre 2020, al fine di permettere agli Stati membri di continuare a sostenere i settori maggiormente colpiti dalla pandemia. Sono seguite altre due Comunicazioni: la prima, datata 2 giugno 2021, con la quale si è stabilito di mantenere l’operatività della clausola di salvaguardia nel 2022, in considerazione dell’evoluzione dell’emergenza pandemica; la seconda, adottata il 23 maggio 2022, con cui si è estesa l’applicazione della clausola fino al 2023, a causa dei forti rischi di revisione al ribasso delle prospettive economiche dell’Unione, in conseguenza del conflitto russo-ucraino, dei rincari dei prezzi dell’energia e delle strozzature nelle catene di approvvigionamento.
[5] Nel caso di violazione della regola del deficit (superamento della soglia del 3 per cento del PIL) o della regola del debito (riduzione del rapporto debito/PIL in misura sufficiente e con un ritmo adeguato), su proposta della Commissione europea, il Consiglio può avviare una procedura di deficit eccessivo, che consiste nel richiedere allo Stato membro inadempiente l’adozione di misure idonee a correggere il deficit entro sei mesi. Allo scadere del termine, la Commissione e il Consiglio possono sospendere la procedura se le azioni intraprese sono valutate idonee oppure formulare ulteriori raccomandazioni, con requisiti più stringenti o un diverso calendario per la correzione o l’inasprimento delle sanzioni.
[6] Audizione del 14.2.2023.
[7] Audizione del 1°.3.2023.
[8] La questione sarebbe stata ampiamente discussa nell’ambito del dibattito pubblico sul riesame delle norme di bilancio dell’UE e non sarebbe emerso alcun consenso.
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