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13 Luglio 2020 In Diritto bancario

I debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche e i ritardi nei pagamenti

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Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia

 

Nel dicembre 2017 la Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE (CGUE) a causa dei ritardi nei tempi di pagamento da parte delle amministrazioni pubbliche. La Commissione, pur riconoscendo gli sforzi compiuti dal governo italiano per ridurre i tempi di pagamento, rilevava che “le amministrazioni pubbliche italiane necessitano ancora in media di 100 giorni per saldare le loro fatture, con picchi che possono essere nettamente superiori”[1]. Tale prassi, a giudizio della Commissione, appariva in palese violazione della Direttiva 2011/7/UE[2], la quale stabilisce che il pagamento dei debiti della specie debba aver luogo entro 30 giorni (60 per alcune tipologie di forniture, come quelle sanitarie) dalla ricezione della fattura o dalla consegna della merce.

Nel corso del giudizio, l’Italia ha sostenuto, a propria difesa, che la Direttiva in questione impone unicamente agli Stati membri di garantire, nella loro normativa di recepimento di tale Direttiva e nei contratti relativi a transazioni commerciali in cui il debitore è una delle loro pubbliche amministrazioni, termini massimi di pagamento conformi all’art. 4, paragrafi 3 e 4, della Direttiva, nonché di prevedere il diritto dei creditori, in caso di inosservanza di tali termini, a interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero. Secondo l’Italia, dette disposizioni non impongono, invece, agli Stati membri di garantire l’effettiva osservanza, in qualsiasi circostanza, dei suddetti termini da parte delle loro pubbliche amministrazioni. L’Italia ha infine osservato che l’inadempimento non scaturisce dall’esercizio di pubblici poteri, ma dall’esercizio di poteri jure privatorum per le quali non rileva la responsabilità dello Stato membro come garante dell’adempimento degli obblighi comunitari.

Con sentenza del 28.1.2020 la CGUE, riunita in Grande Sezione, ha constatato la violazione da parte dell’Italia della Direttiva 2001/7/UE, in quanto tale Stato membro non ha assicurato che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento previsti dalla legge. Essa ha segnatamente rilevato che, in considerazione dell’elevato volume di transazioni commerciali in cui le pubbliche amministrazioni sono debitrici di imprese, nonché dei costi e delle difficoltà generate per queste ultime da ritardi di pagamento da parte di tali amministrazioni, il legislatore dell’Unione ha inteso imporre agli Stati membri obblighi rafforzati pe quanto riguarda le transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni. La Corte ha poi respinto l’argomentazione secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono far sorgere la responsabilità dello Stato membro cui appartengono quando agiscono nell’ambito di una transazione commerciale (jure privatorum), al di fuori delle loro prerogative dei pubblici poteri. Una simile interpretazione finirebbe, infatti, con il privare di effetto utile la Direttiva, in particolare il suo art. 4, paragrafi 3 e 4, che fa gravare proprio sugli Stati l’obbligo di assicurare l’effettivo rispetto dei termini di pagamento da esso previsti nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione[3].

Ma come si è giunti a questa decisione?

Il ritardo con cui le amministrazioni pubbliche effettuano i pagamenti dei debiti commerciali[4] è una prassi diffusa in Europa. In Italia ha assunto negli scorsi anni dimensioni tali da suscitare vivaci proteste da parte del mondo imprenditoriale per le conseguenze negative che provoca sulle condizioni di liquidità delle imprese creditrici e, più in generale, sull’occupazione e sugli investimenti.

La letteratura economica è concorde infatti nel ritenere che il ritardato pagamento di debiti commerciali da parte delle amministrazioni pubbliche può incidere negativamente sulla crescita economica, peggiorando le condizioni di liquidità delle imprese fornitrici. Non solo. Per alcune imprese con difficoltà di accesso al credito bancario, il ritardo dei pagamenti può perfino determinarne l’uscita dal mercato, con riflessi negativi sull’occupazione. L’incertezza sui tempi di pagamento può costringere le imprese a rinviare o a ridimensionare i piani di investimento. Il rinvio dei pagamenti deresponsabilizza gli amministratori pubblici, appesantisce i bilanci degli enti con gli interessi di mora e le spese relative alle procedure giudiziali promosse dai creditori. Inoltre, l’incertezza sui tempi di pagamento allontana le imprese migliori, favorisce comportamenti non corretti, accresce i prezzi richiesti dai fornitori, rende opachi i rapporti commerciali[5].

Le ragioni del ritardo dei pagamenti appaiono essenzialmente riconducibili a: i) problemi di liquidità; ii) inefficienze nella gestione del ciclo passivo; iii) elevato contenzioso. La carenza di liquidità è attribuibile al ritardo con cui vengono effettuati i trasferimenti tra livelli di governo (da Stato a Regioni, da Stato a enti locali, da Regioni a enti locali), al ritardo relativo alle procedure di accertamento e riscossione, al sistema contabile dello Stato e degli enti territoriali (basato sul principio della competenza giuridica e della gestione dei residui), alla rigidità delle spese correnti, all’obbligo di rispettare i vincoli di bilancio previsti dall’ordinamento (patto di stabilità interno per gli enti pubblici territoriali, ad esempio) che induce le amministrazioni pubbliche a differire i pagamenti, pur disponendo della liquidità necessaria. Il ciclo passivo delle amministrazioni pubbliche italiane presenta elementi di criticità per l’insufficiente livello di informatizzazione di tutte le fasi del ciclo (dalla deliberazione della spesa per l’acquisizione di un bene o di un servizio all’emissione dell’ordine, alla verifica e registrazione della fattura, al pagamento), per il mancato utilizzo in forma diffusa dei processi di dematerializzazione e tracciatura e per la difficoltà di gestire in forma integrata e dinamica programmazione dei fabbisogni, ordini, controlli delle forniture, fatturazione. L’insorgere di controversie tra l’amministrazione e l’impresa fornitrice determina un ulteriore allungamento dei tempi di pagamento, a causa della lungaggine dei processi civili[6].

Secondo i dati Eurostat, tra il 2012 e il 2018 lo stock di debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche italiane si è ridotto da 64,4 a 51,6 miliardi di euro (dal 4,0 al 2,9 per cento in termini di PIL). Cionondimeno, l’Italia continua a caratterizzarsi per un livello di debito commerciale quasi doppio rispetto alla media dei paesi dell’area dell’euro.

Per valutare i tempi di pagamento delle amministrazioni pubbliche, le istituzioni europee utilizzano i dati dell’European Payment Report, realizzato da Intrum, una società europea di gestione e recupero dei crediti. In base all’ultimo rapporto, l’Italia ha ridotto il tempo medio di pagamento da 131 giorni nel 2016 a 67 giorni nel 2019, a fronte di un valore medio europeo di 42 giorni.

Anche il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) svolge un ruolo di rilievo nel monitoraggio del processo di estinzione dei debiti commerciali, attraverso l’utilizzo del sistema informativo “Piattaforma dei crediti commerciali”, che rileva le informazioni sulle singole fatture. I dati diffusi dal MEF differiscono, tuttavia, da quelli raccolti dalla società Intrum a causa delle differenti modalità di rilevazione e del diverso metodo di calcolo dei giorni di pagamento: il MEF determina infatti la media del numero di giorni impiegati per il pagamento pesato per l’ammontare di ogni singola fattura.

I dati relativi al periodo 2016-2018 indicano una riduzione dai 58 giorni impiegati per il pagamento nel 2016 ai 46 giorni del 2018. Il MEF calcola anche il tempo medio di ritardo rispetto alla scadenza. Ebbene, anche in questo caso, i dati mostrano un significativo miglioramento negli ultimi anni: se nel 2016 il ritardo medio ponderato era di 16 giorni, nei due anni successivi il ritardo si è ridotto dapprima a 10 giorni e poi a 7 giorni. Si osservano peraltro situazioni differenziate a livello sia centrale che territoriale. Mentre per il complesso delle Regioni e delle Province autonome si registra un anticipo medio di 5 giorni rispetto alla scadenza della fattura[7], a livello centrale si rileva un ritardo medio nei pagamenti di 5 giorni. Per l’insieme dei Comuni con oltre 60 mila abitanti il ritardo medio ponderato rispetto alla scadenza è di 12 giorni, con punte massime di 108 giorni nel Comune di Salerno e di 99 e 96 giorni, rispettivamente, in quel di Alessandria e Andria[8].

Per accelerare il pagamento dei debiti arretrati e far fronte quindi al peggioramento delle condizioni di liquidità delle imprese creditrici, sono stati approvati numerosi interventi normativi, anche in attuazione della Direttiva 2011/7/UE, recepita in anticipo nel nostro ordinamento con d.lgs. 192/2012. Tra questi si segnalano quelli riguardanti la certificazione dei crediti commerciali (DL 185/2008), la compensazione dei crediti commerciali con i debiti fiscali (DL 78/2010), la garanzia dello Stato sui crediti certificati (DL 66/2014), l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti quale cessionaria dei crediti ceduti (DL 66/2014), lo stanziamento di cospicue risorse nel bilancio dello Stato (DL 35/2013, DL 102/2013, DL 66/2014). In tale direzione si muovono altresì le iniziative volte a migliorare il monitoraggio dei debiti commerciali e l’accountability degli amministratori pubblici, quali l’introduzione della sopra ricordata piattaforma dei crediti commerciali e della fatturazione elettronica per tutti gli enti pubblici a partire dal 2015[9], nonché il potenziamento del sistema informativo, denominato SIOPE+, che consente l’acquisizione automatica dei pagamenti delle fatture commerciali. Più recentemente, il DL 34/2020 (c.d. decreto “Rilancio”) ha previsto l’istituzione di un “Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili”, con una dotazione di 12 miliardi di euro per il 2020. Il Fondo è composto da due sezioni: una dedicata ai debiti di enti locali, regioni e province autonome diversi da quelli finanziari e sanitari, con una dotazione di 8 miliardi; l’altra per pagamenti dei debiti del Servizio sanitario nazionale, con una dotazione di 4 miliardi. Per dare piena operatività al Fondo è prevista la stipula di una convenzione tra il MEF e la Cassa Depositi e Prestiti, che dovrà definire, tra l’altro, criteri e modalità per l’accesso da parte degli enti territoriali, secondo un contratto tipo, nonché criteri e modalità di gestione delle sezioni da parte della Cassa.

Alla luce delle argomentazioni sopra svolte è possibile esprimere alcune brevi considerazioni. Negli anni immediatamente successivi alla crisi finanziaria globale, e alla conseguente recessione, le amministrazioni pubbliche, per ragioni diverse, hanno ritardato il pagamento delle fatture, determinando un aumento della consistenza dei debiti commerciali, che ha raggiunto il picco nel 2012. Le soluzioni organizzative e procedurali approntate e lo stanziamento di ingenti risorse hanno consentito di ricondurre lo stock dei debiti e i relativi tempi di pagamento entro livelli fisiologici, riducendo il divario dagli altri paesi europei.

 

Note:

[1] Commissione europea, Ritardi di pagamento: la Commissione deferisce l’Italia alla Corte di giustizia per non aver garantito il pagamento dei fornitori nei termini, Comunicato stampa del 7.12.2017.

[2] La Direttiva in questione persegue due principali obiettivi: i) offrire ai creditori pagamenti puntuali e misure che consentano loro di esercitare pienamente e con efficacia i loro diritti in caso di ritardi di pagamento; ii) adottare nei confronti dei debitori misure rigorose che li scoraggino dal pagare in ritardo o dallo stabilire nei contratti termini di pagamento eccessivamente lunghi. Aspetti qualificanti della Direttiva sono: i) la riduzione del periodo di pagamento a 30 giorni o, in alcuni casi, a 60 giorni; ii) l’aumento del tasso di interesse dal 7 all’8 per cento rispetto al tasso di riferimento della BCE; iii) il risarcimento dei costi di recupero sostenuti dai creditori che eccedano un importo forfettariamente pattuito. Nell’agosto 2016 la Commissione ha pubblicato una relazione sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali dalla quale emerge che, nel complesso, l’attuazione della Direttiva ha dato esiti positivi, avendo contribuito a portare la questione dei ritardi di pagamento al centro dell’agenda politica. Cfr. Commissione europea, Relazione sull’attuazione della Direttiva 2011/7/UE, 26.8.2016.

[3] Corte di giustizia dell’UE, Comunicato stampa del 28.1.2020.

[4] I debiti commerciali non sono inclusi nel debito pubblico calcolato secondo i noti parametri del Trattato di Maastricht, con l’eccezione di quelli ceduti pro-soluto dai creditori agli intermediari finanziari.

[5] D’Aurizio L. et altri., I debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche italiane: un problema ancora irrisolto, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, n. 295/2015.

[6] Sul punto cfr. Degni M. e Ferro P., I tempi e le procedure dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, Società italiana di economia pubblica, Pavia, 24-25.9.2012. D’Aurizio L. et altri, I debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche italiane: un problema ancora irrisolto, op. cit.

[7] Le Regioni più virtuose sono Toscana (-25 giorni), Lazio (-23) e Friuli-Venezia Giulia (-15). Le Regioni con maggiori ritardi sono Basilicata (73 giorni), Abruzzo (25) e Sicilia (18).

[8] Frattola E. e Valdes C., I debiti commerciali della PA e i ritardi nei pagamenti, in www.osservatoriocpi.unicatt.it, 14.6.2019.

[9] La fatturazione elettronica implica l’obbligo per i fornitori delle amministrazioni pubbliche di gestire il ciclo di fatturazione esclusivamente in formato elettronico, nelle fasi di emissione, trasmissione e conservazione del documento di spesa. E’ stata introdotta con la legge 244/2007 e regolamentata con il decreto ministeriale 55/2013.



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