Di Maura Castiglioni, Avvocato
1 ottobre 2001
Il “benefondi” costituisce un mero uso interbancario di richiedere e dare, attraverso differenti strumenti di comunicazione, conferma circa l’esistenza di una sufficiente provvista in relazione al pagamento di assegni in conto corrente.
Tale istituto si riconduce ad una prassi interna ed informale adottata dagli istituti di credito, e come tale non può essere invocato allo scopo di farne discendere un obbligo immediato di accreditamento da parte della banca, a meno che questa imposizione non discenda da un’apposita regolamentazione pattizia tale da imporre alla banca ricevente di mettere immediatamente a disposizione del suo cliente correntista la relativa somma (Cass. civ. sez. I, sent. n. 2742 del 10/03/2000).
In linea di principio se può dunque affermarsi che il c.d. “benefondi” costituisce un accertamento informale della banca, tuttavia esso è fonte di affidamento per l’istituto richiedente e può quindi essere causa di responsabilità civile.
Difatti non è escluso – ad esempio – che la banca trattaria, alla quale siano state richieste informazioni relativamente all’esistenza di una provvista sufficiente, possa dare all’istituto richiedente notizie non corrispondenti alla situazione esistente al momento della richiesta, garantendo magari provviste poi verificatesi inadeguate, o, in casi estremi, persino inesistenti.
In questa circostanza la giurisprudenza dominante ha sempre ritenuto di considerare la banca autrice di informazioni – colpose o dolose – non veritiere, responsabile di un illecito extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c., e, come tale, obbligata al risarcimento dei danni causati (Cass. civ. sez. I, sent. n. 820 del 07/02/1979; Cass. civ. sez. III, sent. n. 5659 del 09/96/1998).
E’ evidente difatti che l’istituto responsabile sia tenuto a risarcire i danni che alla banca richiedente possano essere derivati in conseguenza del pagamento, o comunque dell’accreditamento al presentatore del titolo, sul non veritiero presupposto della sua copertura.
La responsabilità della banca trattaria sussiste, benchè le false informazioni siano state fornite da un singolo soggetto operante all’interno dell’istituto. Tale situazione si giustifica ritenuto che tra banca e dipendente trova applicazione il disposto di cui all’art. 2049 c.c., il quale difatti sancisce la responsabilità dei padroni e committenti – l’istituto di credito in questa circostanza – in per il danno arrecato dal fatto illecito compiuto dai loro domestici e commessi, da intendersi i dipendenti dell’istituto nell’ipotesi in esame.
Pertanto, nell’ipotesi di informazioni non veritiere tra diversi istituti di credito, la responsabile risponderà di illecito aquiliano ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Nulla vieta però che la prassi del “benefondi” venga utilizzata anche tra banca e cliente, laddove quest’ultimo chieda informazioni in ordine alla copertura di assegni versati sul proprio conto corrente e tratti su una diversa banca. In questa ulteriore ipotesi l’istituto che abbia assicurato ad un cliente correntista – e su richiesta di quest’ultimo – l’esistenza di fondi per il pagamento di un assegno di conto corrente, nel caso in cui tali notizie poi non risultino rispondenti alla reale situazione esistente al momento della richiesta, è certamente responsabile nei confronti del cliente.
Tuttavia in questa differente fattispecie non si configurerà più una responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2043 c.c., bensì l’istituto di credito risulterà contrattualmente responsabile nei confronti del correntista.
Infatti tra la banca ed il singolo cliente si configura un rapporto di mandato ex art. 1703 c.c., relativamente a tutte le operazioni che l’istituto deve eseguire, in forza del quale la mandataria si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto del cliente e ad eseguire l’incarico con la diligenza di cui all’art. 1710 c.c.
Pertanto la banca sarà contrattualmente responsabile – per le non veritiere informazioni fornite da un dipendente e compiute nell’esercizio delle incombenze a questo dipendente affidate – ai sensi degli artt. 1176 c.c. e 1710 c.c. che impongono l’uso della diligenza nell’adempimento delle obbligazioni e degli incarichi assegnati (Cass. civ., sez. I., sent. n. 8983 del 05/07/2000).
Tuttavia, l’art. 1710 c.c. impone al mandatario semplicemente eseguire il mandato con la diligenza del “buon padre di famiglia”, mentre alla banca è imposto un obbligo di diligenza molto più rigoroso. Infatti la responsabilità di un istituto di credito deve essere rigidamente valutata, proprio in ragione della particolare attività da questo espletata e relativa alla “raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito”, riservata come tale a particolari enti sottoposti a vigilanza ed a controlli rigorosi, secondo quanto disposto dal D.lgs. 385/93 (Testo Unico Bancario).
Quanto sopra giustificherebbe dunque l’imposizione non di una diligenza ordinaria, bensì di un maggior grado di prudenza e di attenzione richiesto dalla stessa professionalità del servizio espletato (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 4642 del 07-11-1989).
Pertanto, la responsabilità della banca nell’ipotesi di erronee informazioni al cliente, sarà di natura contrattuale e riconducibile al rapporto di mandato, ma verrà valutata in modo assai più rigoroso rispetto agli obblighi imposti al mandatario medio.
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