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Di Antonella Mondino, Avvocato
La questione delle quote di spettanza del saldo di conto corrente cointestato
Comunemente si ritiene che nella gestione del conto corrente a firme disgiunte ciascuno dei cointestatari abbia il diritto di disporre di quote uguali della somma depositata, ma l’analisi del contratto che regola i diritti e i doveri delle parti, evidenzia che ciascuno dei cointestatari ha il diritto a disporre dell’intera somma ivi registrata, in ogni momento.
La contrapposizione tra l’aspettativa del cointestatario che si interroga sulla quota che gli spetta del saldo, e il diritto di ciascuno di essi a prelevare l’intera somma, è netta.
Prendendo le mosse dall’apparente inconciliabilità tra queste due diverse istanze, analizzeremo i principi su cui si fonda ciascuna di esse, individuando le norme che regolano il funzionamento dei conti correnti cointestati a firme disgiunte, al fine di tracciare i confini entro cui esse producono i propri effetti, ed evidenziando il ruolo e gli eventuali profili di responsabilità dell’istituto interessato.
La quota presunta nelle comunioni di beni e nei rapporti tra debitori e creditori
L’aspettativa creditoria comunemente sentita dai cointestatari pare trovare la propria giustificazione normativa nell’art. 1101 c.c., secondo cui le quote di partecipazione a una comunione si presumono uguali tra loro,[1] e nell’art. 1298, 2° comma c.c. che, regolando i rapporti tra debitori e creditori solidali, dispone che le quote di ciascuno di essi si presumono uguali.[2]
Tuttavia, queste norme incontrano dei limiti: da un lato, la presunzione ivi prevista è relativa e, ammettendo la prova contraria, dà adito al fatto che le persone interessate alla cointestazione possano avere diritto a quote diverse tra loro,[3] dall’altro -lo ricordiamo- il contratto statuisce che l’istituto di credito, se esegue le disposizioni effettuate da uno dei cointestatari, è liberato verso tutte le parti interessate.[4]
Quindi, per inquadrare correttamente i fondamenti della pretesa creditoria, avanzata da un cointestatario nei confronti dell’altro, riteniamo possa essere più corretto ricondurla a una pretesa a formazione progressiva: il cui momento iniziale va trovato nel momento in cui si incontrano le intenzioni di due o più consumatori ad accendere un conto corrente cointestato, insieme tra loro, e il momento finale e perfezionante, invece, si concretizza nell’istante in cui si risolve il contratto sottostante oppure si verifica un evento che produce effetti sugli elementi costitutivi.
L’inefficacia dei motivi dei cointestatari
Il rapporto tra gli intestatari di un conto corrente e l’istituto di credito è regolato dal contratto che vede le parti obbligate all’adempimento reciproco delle prestazioni ivi statuite, senza che producano alcun effetto i motivi che animano i correntisti.
Questo principio, lineare e condivisibile, è stato ribadito dall’Arbitro Bancario Finanziario che ha appoggiato la linea difensiva di un istituto di credito che rigettava una richiesta di revoca di un bonifico, pervenuta da un intestatario, perché l’ordine di pagamento era stato impartito dall’altro intestatario.
Con l’occasione l’ABF ricordava che: “(..) è evidente che l’effetto principale della regolazione del rapporto “a firma disgiunta” si ha nella facoltà dei cointestatari di disporre autonomamente del conto senza limitazioni; lo stesso codice civile prevede, in caso di cointestazione del conto corrente, un regime di solidarietà attiva e passiva rispetto ai saldi del conto (artt. 1854 e 1292 ss. c.c.). Proprio l’effetto della libera disposizione del saldo del conto fa sì che, nel caso qui in esame, l’ordinante – coniuge del ricorrente e cointestatario del conto – abbia legittimamente posto in essere, in autonomia (quindi senza placet dell’altro cointestatario), l’atto di disposizione oggetto di vertenza”. [5]
Quindi, il ricorrente ha perso l’arbitrato perché i motivi e le intenzioni a fondamento della propria richiesta di revoca del bonifico non hanno rilievo giuridico in quanto appartengono alla sfera interpersonale; l’istituto di credito, infatti, è terzo rispetto alla situazione che intercorre tra correntisti, e in quanto tale è obbligato ad eseguire gli ordini, senza poterli sindacare.
Il caso del conto corrente cointestato, che cade in successione
Posto che le clausole del contratto di conto corrente sono centrali nella determinazione del funzionamento dei rapporti tra le parti interessate, è importante apprezzare che il loro valore cogente e la loro efficacia non vengono meno quando muore uno dei cointestatari.
Pertanto nel caso in cui un conto cointestato cada in successione l’intestatario superstite conserva tutti i propri diritti, tra cui quello di disporre, in modo pieno e completo, del denaro ivi depositato.[6] Tale diritto, peraltro, si trasferisce dal de cuius ai suoi eredi, congiuntamente tra loro, il che comporta che costoro potranno legittimamente impartire ordini di pagamento all’istituto di credito interessato, dopo essere stati correttamente identificati e censiti dall’istituto stesso.[7]
Nella prassi bancaria, però, l’applicazione di questi principi non è sempre stata pacifica, e vengono messi a dura prova quando i cointestatari superstiti avanzano pretese creditorie, verso l’istituto di credito, per importi corrispondenti alla ½ del saldo depositato sul conto. Tali pretese trovano il proprio appiglio normativo nell’art. 1298 c.c. che disciplina la presunzione legale della “divisione del saldo in parti uguali tra cointestatari”, ma è evidente che sono in netto contrasto col dettame contrattuale, che conserva la propria forza vincolante, e pongono alla banca il problema dell’individuazione del giorno cui fare riferimento per calcolare la quota esatta di tale pretesa.[8]
La presunzione di cui in parola è relativa e, pertanto, ammette sempre la prova contraria;[9] precisando che l’interpretazione di tale norma, come proposta dalla giurisprudenza, attiene solo regime della prova, non va intesa quale strumento che fissa un principio di diritto sostanziale. Inoltre è da considerare relativa anche la presunzione di solidarietà tra i debitori, sancita dall’art. 1854 c.c., in tal senso infatti la giurisprudenza di cassazione ha sempre ammesso la prova contraria, con ogni mezzo.[10]
In ultima, quindi, l’Arbitro Bancario Finanziario ha fatto propria questa interpretazione evolutiva e, negli ultimi anni, quelle banche che hanno continuato a praticare l’attività di accantonamento e blocco di quota parte del saldo di conto corrente, si sono viste contestare tale prassi.[11]
Il principio della piena disponibilità delle somme, tuttavia, incontra un ulteriore elemento di stimolo, questa volta dalla normativa fiscale che in materia successoria, che qui analizzeremo per sommi capi, esulando dall’obiettivo del presente scritto.
Nel “Testo unico dell’imposta su successioni e donazioni” si trovano alcune norme applicabili ai conti correnti cointestati caduti in successione: l’art. 48 (Divieti e obblighi a carico di terzi) del D.lgs. 31.10.1990, n. 346, ai commi 3 e 4, infatti dispone che l’istituto di credito non può fare annotazioni, sulle proprie scritture contabili, finché non viene data prova dell’avvenuta presentazione della dichiarazione di successione.
La norma pone alcuni seri problemi per gli istituti che, nonostante il decesso di un cointestatario, devono consentire sia ai cointestatari superstiti, che agli eredi, la possibilità di esercitare i propri diritti ex contractu.
Sul punto si è pronunciato il Comitato di Coordinamento dell’ABF che, però, è giunto alla seguente conclusione (n.d.r. l’art. 48 d.lgs. 1990/346): “non incide sul profilo relativo alla legittimazione dei cointestatari, che resta regolata dalle disposizioni del codice civile; essa, peraltro, impone un adempimento che può essere qualificato alla stregua di un vero e proprio vincolo di indisponibilità della somma. Da ciò deriva che la presentazione della denuncia di successione da parte degli eredi, ovvero della c.d. “dichiarazione negativa” di cui all’art. 28 del medesimo t.u., costituisce una condizione senza la quale il debitore può legittimamente opporre il mancato pagamento nei confronti del creditore, pur legittimato ad esigere la liquidazione dell’intera somma portata dal libretto.”[12]
A nostro parere, non sembra sia stata tracciata una modalità per sciogliere il nodo centrale del problema interpretativo, perché viene riconosciuto che sotto il profilo della legittimazione rimangono valide le norme del codice civile, confermando quindi il diritto per gli eredi e gli intestatari superstiti alla piena disponibilità della somma, negandone però l’applicazione concreta sulla base del “vincolo di indisponibilità della somma”, e imponendo alle banche di sospendere qualsiasi scrittura contabile sui conti.
L’ABF, riconoscendo alla normativa tributaria la “natura imperativa”, in virtù della sanzione amministrativa codificata ex art. 53 del testo unico dell’imposta sulla successioni e donazioni, afferma che l’istituto, con la propria condotta, non può pregiudicare i diritti dei terzi, e in particolare quelli dell’Amministrazione Finanziaria e -ragionando a contrario– conclude che se la banca dovesse chiudere i rapporti e trasferire i saldi su intestazioni diverse, si consentirebbero “facili pratiche elusive della normativa fiscale”.[13]
A nostro parere è necessario cercare un’interpretazione armonica che consenta all’istituto di credito di rispettare pienamente il vincolo delle obbligazioni contrattuali assunte verso i correntisti e i loro creditori.
Per quanto riguarda gli oneri fiscali successori, nascenti in capo agli eredi nel giorno dell’aperta successione, questi vengono quantificati per il tramite della dichiarazione di successione, che riporta l’elenco analitico degli elementi costitutivi della base imponibile, tra cui si annoverano anche i dati delle certificazioni bancarie. Proprio per questo motivo gli istituti di credito sono tenuti a redigere le lettere di sussistenze in modo rigoroso, essendo questo l’adempimento necessario per consentire la corretta quantificazione dell’imposta dovuta. Pertanto, sarebbe opportuna un’interpretazione della norma fiscale che consenta comunque ai cointestatari la normale operatività, in attesa che venga eseguito il pagamento degli oneri fiscali.
Il funzionamento della compensazione nel caso del conto corrente cointestato
L’istituto della compensazione prevede che, in caso di mancato adempimento delle proprie obbligazioni pecuniarie, la banca è legittimata a compensare il proprio credito con il saldo risultante dal conto corrente, seppure cointestato con terzi.
Di regola la compensazione è disciplinata espressamente nei contratti di conto corrente ed il loro fondamento normativo va ritrovato negli artt. 1853 c.c. (Compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti) secondo cui “se tra la banca e i correntisti esistono più rapporti o più conti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario” e 1243 c.c., 1 comma, a norma del quale “la compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili”. [14]
Quindi, sotto un profilo pratico, il cointestatario moroso vedrà estinto il proprio debito ma potrà vedersi contestare il mancato rispetto degli accordi personali da parte dell’altro intestatario, e tali ragioni non potranno essere fatte valere verso la banca.[15]
Il funzionamento anche di questo istituto conferma che elemento centrale del funzionamento del conto cointestato è la piena disponibilità del saldo, in ogni momento.
Il caso del pignoramento presso terzi
Può accadere che nel corso della durata di un contratto di conto corrente uno dei cointestatari sia interessato da una procedura esecutiva presso terzi, comportando la notifica dell’atto di pignoramento all’istituto. Nel caso in cui il cliente pignorato risulti cointestatario di un conto corrente con altra persona, estranea all’ingiunzione, risulta necessario chiarire quale comportamento debba tenere la banca.
A nostro parere, l’istituto deve rendere una dichiarazione ex art 547 c.p.c. ove indichi il saldo complessivo del conto alla data della notifica, specificando che tale rapporto è cointestato con un’altra persona, estranea all’atto, mantenendo pur tuttavia custodita, e quindi bloccata, l’intera somma.[16] Per consentire al cointestatario, estraneo all’ingiunzione, di far valere le proprie ragioni, costui dovrà riceverne notizia dalla banca, e successivamente potrà costituirsi in giudizio adducendo le proprie ragioni ex art. 619 c.p.c..[17]
Di regola la procedura di pignoramento di una somma comune va ricondotta alla fattispecie dell’espropriazione di beni indivisi, regolata dagli artt. 599 e seguenti, e prevede norme specifiche a tutela del comproprietario, che andrà convocato e sentito dal Giudice.[18] Una tale previsione normativa garantisce, evidentemente, sia la tutela degli interessi del cointestatario del conto pignorato, che l’interesse dell’istituto di credito a mantenere il proprio ruolo di terzo, estraneo alle questioni interne tra intestatari.
Quindi, nel caso di un conto corrente cointestato catturato da procedura esecutiva e soggetto a pignoramento, sarà il cointestatario estraneo alle ragioni della pretesa creditoria azionata a dover agire per far valere le proprie ragioni, proponendo opposizione davanti all’autorità adita. Non sortiranno alcun effetto eventuali rimostranze sollevate contro la banca che, dal momento della notifica dell’atto di pignoramento, assume la funzione di ausiliario del giudice.
Diverso è il caso del pignoramento che viene azionato per recuperare crediti erariali, maturati e non pagati, debitamente certificati da cartelle esattoriali, regolarmente notificate. La normativa che regola queste procedure esecutive è contenuta nel DPR 1973 n. 602 ed è speciale; essa deroga al codice di procedura civile e prevede, tra l’altro, che l’ente creditore possa agire direttamente contro il debitore in mora, senza adire l’autorità giudiziaria,[19] ma ci pare non prenda in considerazione il caso particolare del pignoramento di beni comuni o indivisi, come il conto corrente cointestato.
A nostro parere, quindi, ricordando che i principi generali del diritto dispongono che una legge speciale non può essere interpretata estensivamente o applicata per similitudine a fattispecie affini, il pignoramento notificato ex art. 72 bis del DPR n. 602 del 1973 non dovrebbe produrre la propria efficacia nei confronti di conti correnti cointestati.[20]
Va però detto che l’Arbitro Bancario Finanziario si è pronunciato in senso diametralmente opposto, affermando che la banca è ancor più vincolata nella procedura in esame, potendo ricevere un ordine diretto di pagare il credito direttamente al concessionario (decisione n. 14334, del 29 giugno 2018).[21]
Rimane aperto, a nostro parere, il dubbio circa le modalità che dovrebbe seguire il cointestatario di buona fede, per far valere le proprie ragioni creditorie, davanti all’autorità procedente, che nel caso è l’Agenzia delle Entrate, prima che l’istituto di credito esegua il pagamento ingiunto, utilizzando le somme depositate sul conto corrente di cui è cointestatario.
Conclusioni
Prendendo le mosse dal principio fondamentale secondo cui ciascun cointestatario dispone dell’intero saldo depositato su un conto corrente, in qualsiasi momento, con il presente articolo abbiamo voluto partire individuando i fondamenti normativi e giurisprudenziali dello stesso, in contrapposizione alle pretese della divisione pro quota, che risultano talvolta infondate.
Una volta individuati tali fondamenti, e avendo preso atto della loro importanza, abbiamo analizzato come operano concretamente altri istituti giuridici quando coinvolgono i conti cointestati, come per esempio nel caso del pignoramento presso terzi, o della compensazione tra rapporti distinti.
In ciascuna fattispecie si è notato che conservando il principio della piena disponibilità del saldo, in ogni momento, e adattando le diverse situazioni ad esso, le norme hanno trovato una composizione armonica e funzionale.
Ciò premesso rimaniamo dell’opinione che il principio della piena disponibilità della somma, in ogni momento, non vada trascurato, bensì vada sempre tutelato ed attuato, garantendo da un lato i diritti delle parti interessate, i contitolari, i loro aventi causa, e il sistema bancario nel suo complesso, ma anche il principio fondamentale secondo cui pacta sunt servanda.
NOTE:
[1]Favale, La comunione ordinaria, Mi 1997; Branca, Commentario del Codice Civile, Scajola Branca Galgano; Lener, La comunione, in Trattato Rescigno, La proprietà II, To 2002.
[2]Recentemente Cass. Civ., Sez. II, 4 gennaio 2018, n. 77, senza soluzione di continuità con l’orientamento consolidato sulla questione, ha ribadito che, in caso di conto corrente con più intestatari, si debba applicare un doppio regime regolatorio, a seconda che si tratti di rapporti interni, tra correntisti, o rapporti esterni, con l’Istituto di credito: nel primo caso, sarà applicabile l’art. 1298, secondo comma, c.c., in ossequio del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali sole se non risulti diversamente; nel secondo, riferimento normativo sarà, viceversa, l’art. 1854 c.c.
La ratio legis dell’art. 1298, 2° comma, va trovata nell’intento di garantire maggiormente il creditore che può esigere l’intera prestazione da ciascun debitore. Sul punto si richiama un estratto della Relazione del Ministro Guardasigilli, Dino Grandi, al Codice Civile del 4 aprile 1942 che, al capitolo n. 598, scrive: “Una serie di disposizioni testuali è precisamente ispirata dal principio, già cennato, della non comunicabilità degli atti pregiudizievoli e dell’estensione di quelli vantaggiosi. La ricusazione del giuramento giova a chi l’ha deferito e nuoce a chi doveva prestarlo: l’art. 1305 del c.c. ne estende le conseguenze a coloro che si trovano nella stessa posizione giuridica del deferente, e nega l’estensione di tali conseguenze a coloro che hanno la medesima posizione giuridica di colui al quale giuramento era stato deferito. La prestazione del giuramento nuoce a colui che l’ha deferito, giova a colui al quale è stato deferito; si hanno effetti estensivi solo nel secondo caso (art. 1305 del c.c.). La costituzione in mora, il riconoscimento del debito, la rinunzia alla prescrizione nuocciono al debitore e giovano al creditore; i loro effetti si estendono ai concreditori, ma non ai condebitori (art. 1308 del c.c., art. 1309 del c.c. e art. 1310 del c.c., terzo comma).”
[3]Nel senso che la presunzione di uguaglianza può essere superata con ogni mezzo probatorio, anche tramite presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti: Cass. civ. 16 gennaio 2014, n. 809, Cass. civ., sez. I, 05 dicembre 2008, n. 28839, Cass. civ., 19 febbraio 2009, n. 4066, Cass. civ. Sez. I, 01 febbraio 2000, n. 1087; con particolare riguardo all’ammissibilità della prova per testimoni: Cass. civ. Sez. I, 18 agosto 1993, n. 8758.
La Corte in questa sua pronuncia stabiliva che: “una presunzione legale “juris tantum” (quale quella di cui all’art. 1298 c.c., comma 2), poiché da luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio, può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti”. Così anche Cass. civ., sez. I, 1° febbraio 2000, n. 1087.
[4]Nel senso che la banca è libera da responsabilità se esegue gli ordini impartiti da uno solo dei cointestatari: Cass. civ., sez. II, 04 gennaio 2018, n. 77, Cass. civ, 1° ottobre 2012, n. 16671, Cass. civ., sez. III, 08 settembre 2006, n. 19305; Cass. civ., sez. I, 18.08.1993, n. 8758; Cass. civ., sez. I, 9 luglio 1989, n. 3241.
[5]Decisione n. 5909, datata 14 marzo 2018, ove l’ABF.
[6]Cass. civ., 03 giugno 2014, n. 12385, secondo cui “(…) nel caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo dell’obbligazione, che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicché il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell’altro, l’adempimento dell’intero saldo del libretto di deposito a risparmio e l’adempimento così conseguito libera la banca verso gli eredi dell’altro contitolare”. Cfr. conforme Cass. civ., sez. I, 2002, n. 15231. L’Arbitro Bancario Finanziario ribadisce che gli istituti di credito devono corrispondere, al cointestatario superstite che lo richiede, l’intero saldo n. 16884 del 06 agosto 2018, n. 8128 del 12 aprile 2018, n. 5805 del 13 marzo 2018 e n. 750 del 15 gennaio 2018. Riportiamo un estratto della decisione ABF n. 15951 del 01 dicembre 2017: “(…) il rapporto tra i correntisti e la banca è disciplinato dall’art. 1854 c.c. che riconosce, in caso di firma disgiunta, il vincolo di solidarietà (attiva e passiva) in capo a ciascuno di essi nei confronti della banca; ciò legittima ciascuno dei correntisti a pretendere dalla banca il prelievo dell’intero saldo a prescindere dalla ripartizione in quote. Con specifico riferimento alla morte di uno dei cointestatari di un conto a firma disgiunta, la sopravvivenza del vincolo di solidarietà attiva in capo al contitolare superstite è riconosciuta sia dalla giurisprudenza di legittimità (cita le sentenze della Cass. civ., 29 ottobre 2002, n. 15231, Cass. civ., 03 giugno 2014, n. 12385) sia dall’ABF (cita le decisioni del Collegio di Roma, n. 1867/2016, n. 3020/2015, n. 7691/2015 e n. 7787/2014)”, così anche ABF Decisione n. 9851/2017.
[7]ABF Decisione n. 2416 del 07 novembre 2011 che riconosce l’integrale disponibilità del conto sia al cointestatario superstite “(…) quanto ai coeredi dell’intestatario deceduto, secondo le regole della successione nel contratto, così come, più in generale, il potere di compiere operazioni disgiuntamente anche oltre le rispettive quote (..). Con l’unica differenza che gli atti dispositivi dei coeredi, i quali subentrano nella posizione contrattuale del contitolare del conto, debbono essere compiuti congiuntamente” Conforme Decisione n. 1500 del 15 dicembre 2010.
[8]L’istituto di credito spesso viene a conoscenza del decesso successivamente al fatto, pertanto non ha modo di garantire che la somma registrata in quella data si sia conservata successivamente, soprattutto perché -in esecuzione agli obblighi normativi- la banca continua ad eseguire gli ordini ricevuti secondo le regole del mandato (art. 1728 c.c., ABF, Decisione N. 7202 del 31 ottobre 2014).
[9]Circa l’ammissibilità della prova contraria, si richiama quanto scritto sub nota n. 3 sopra.
[10]Cass. civ., sez. 3, 8 settembre 2006, n. 19305; Cass. civ., sez. I, 26 ottobre 1981, n. 5584.
[11]cfr. nota n.5 e n.6
[12]Collegio di coordinamento dell’ABF, decisione n. 5305 del 17/10/2013, che portò alla Decisione N. 96 del 10 gennaio 2014, secondo cui. “Alla luce delle considerazioni svolte nella richiamata pronuncia, alla quale questo Collegio intende uniformarsi, deve ritenersi legittima la richiesta avanzata dalla banca convenuta volta ad accertare, per quanto di competenza, l’assolvimento da parte dei cointestatari del conto degli adempimenti previsti dalla su citata norma di legge tributaria, potendo in caso contrario la stessa banca incorrere in una sanzione pecuniaria (ex art. 53 t.u. cit.). Il problema si pone, come la stessa convenuta ha precisato, con riguardo alla quota-parte del saldo esistente alla data del decesso della cointestataria, il cui ammontare può essere verificato attraverso il certificato di morte.”
In tal senso anche la recente Decisione N. 15553 del 28/11/2017, e Decisione N. 2938 del 1/02/2018.
Decreto legislativo 31/10/1990 n. 346, Testo Unico imposte donazioni e successioni, art. 48, comma 4: “Le aziende e gli istituti di credito, le società e gli enti che emettono azioni, obbligazioni, cartelle, certificati ed altri titoli di qualsiasi specie, anche provvisori, non possono provvedere ad alcuna annotazione nelle loro scritture né ad alcuna operazione concernente i titoli trasferiti per causa di morte, se non è stata fornita la prova della presentazione, anche dopo il termine di cinque anni di cui all’art. 27, comma 4, della dichiarazione della successione o integrativa con l’indicazione dei suddetti titoli, o dell’intervenuto accertamento in rettifica o d’ufficio, e non è stato dichiarato per iscritto dall’interessato che non vi era obbligo di presentare la dichiarazione.”
[13]Decisione n. 2938 del 01 febbraio 2018, conformi n. 4218 del 20 febbraio 2018, n. 5470 del 08 marzo 2018, n. 11374 del 24 maggio 2018.
[14]Cass. civile, sez. I, 14 Gennaio 2016, n. 512: “La compensazione tra i saldi attivi e passivi di più rapporti di conto corrente tra banca e cliente, prevista dall’art. 1853 c.c., presuppone non che si tratti di conti chiusi, ma solo che siano esigibili i contrapposti crediti. Ne deriva che, in caso di giroconto da un rapporto con saldo attivo e, come tale, immediatamente disponibile per il cliente (salvo patto contrario ex art. 1852 c.c.), ad uno ancora aperto ma con saldo passivo già esigibile per la banca, l’estinzione di tale debito non consegue ad un pagamento revocabile ai sensi dell’art. 67 l.fall. ma alla compensazione, ammessa dall’art. 56 l. fall., tra il credito della banca verso il cliente poi fallito ed il debito della stessa banca nei confronti di quest’ultimo.” e così ancora in una sentenza meno recente Cass. civ., sez. III, 13 agosto 2015, n° 16800: “In caso di crediti originati da un unico rapporto, la cui identità non è esclusa dal fatto che uno di essi abbia natura risarcitoria, derivante da inadempimento, è configurabile la cd. compensazione atecnica, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese comporta l’accertamento del dare e avere, senza necessità di apposita domanda riconvenzionale od eccezione di compensazione, che postulano, invece, l’autonomia dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono”.
Peraltro, la previsione contrattuale citata ricalca quella contenuta nelle Condizioni generali ABI relative al rapporto banca cliente, emanate con Circolare n. 37 del 2 novembre 2001, che, all’art. 11, stabiliscono come, allorché il rapporto sia intestato a più persone, la banca ha facoltà di valersi del diritto alla compensazione “sino a concorrenza dell’intero credito risultante, anche nei confronti di conti e di rapporti di pertinenza di alcuni soltanto dei cointestatari”.
ABF decisioni n. 9719/2018, n. 673/ 2018, n. 4777/2017
[15]Con sua decisione n. 9719/2018 l’ABF statuisce, inoltre, che l’istituto della compensazione opera nei conti cointestati a prescindere dalle modalità con cui viene alimentato il conto stesso e, quindi, a prescindere da qualsiasi accordo interpersonale tra i cointestatari, cfr.: “(…) non osta che il conto cointestato fosse alimentato da provvista proveniente esclusivamente da uno dei due correntisti cointestatari, giacché “la cointestazione vale a rendere solidale il credito o il debito anche se il denaro sia immesso sul conto da uno solo dei cointestatari o da un terzo a favore dell’uno, dell’altro o di entrambi” (Cass. civ., n. 4496 del 24 febbraio 2010). Dunque, per effetto della (..) solidarietà attiva, il saldo del conto corrente dedotto in lite rientrava nella libera disponibilità di tutti i cointestatari, non potendosi su tale piano riscontrare alcun impedimento all’operatività della compensazione, come pure di recente ribadito, in conformità a più risalente orientamento di quest’Arbitro (Coll. Milano, dec. n. 545/14 e 1993/13; Coll. Roma, dec. n. 4658/14) dal Collegio di Coordinamento (nello stesso senso, Coll. Bologna, dec. n. 4777/17).”
Ricordiamo che in passato i contratti di conto corrente cointestato prevedevano la facoltà per la banca di agire per tutelare il proprio credito sui beni di entrambi i coniugi disgiuntamente, derogando all’art. 190 c.c. Tale norma venne successivamente ritenuta vessatoria dal Tribunale di Roma con sua sentenza del 21.1.2000. La vessatorietà della clausola venne quindi confermata dal “protocollo d’intesa” siglato fra l’Abi e le Associazioni dei consumatori il 24.5.2000 e venne definitivamente eliminata con l’entrata in vigore dall’Allegato A alla lettera circolare dell’Abi del 25.2.2005, contenente le “Condizioni generali relative al rapporto banca-cliente”.
[16]ABF, Decisione n. 5871 del 20 novembre 2013: ”Il terzo debitor debitoris, in applicazione del dovere di buona fede posto a presidio di qualsivoglia rapporto obbligatorio (art. 1375 c.c.) e del più specifico obbligo di adempiere ai suoi impegni contrattuali con diligenza professionale (art. 1176, 2° comma, c.c.), deve premurarsi di avvertire il cointestatario del conto corrente del vincolo di indisponibilità apposto alle rimesse, affinché egli possa tempestivamente porre in essere le iniziative di tutela dei propri interessi” Così anche ABF, Decisione n. 252 del 7 febbraio 2011 e Decisione n. 2813 del 3 settembre 2012.
[17]Sul punto riportiamo un estratto della recente decisione N. 3643 del 13 febbraio 2018 che a sua volta richiama una pronuncia del Collegio di coordinamento sul punto (decisione n. 8227/2015), intervenuto per comporre i difformi orientamenti in precedenza emersi nei Collegi territoriali. “Ed invero, in presenza di un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, l’intermediario può soltanto dare esecuzione senza nulla poter opporre o far valere: più esattamente, una volta ricevuta la notificazione dell’atto di pignoramento contenente l’intimazione a non disporre del credito senza ordine del giudice, il terzo debitore è obbligato per legge a sottrarre alla disponibilità del debitore esecutato il credito indicato nell’atto di pignoramento, assumendo su di sé gli obblighi propri del custode, ai sensi dell’art. 546 c.p.c. Il terzo non può dunque essere gravato dell’obbligo di verificare la provenienza delle somme e di risolvere i problemi relativi ai limiti di pignorabilità del credito spettante al debitore esecutato: questioni che vanno dedotte e quindi risolte dal giudice dell’esecuzione, rientrando nelle prerogative di sua competenza. Del resto, il cointestatario che assume di aver subito una lesione delle sue prerogative non resta privo di tutela, potendo far valere le proprie ragioni in sede giudiziale, sia mediante l’opposizione di terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c., sia agendo contro l’assegnatario, quando non avvisato ai sensi dell’art. 180 disp. att. c.p.c., per la ripetizione delle somme riscosse in eccesso.” Ciò nonostante nel tempo l’interpretazione non è stata univoca neanche nelle pronunce di giurisprudenza, infatti con sua ordinanza il Tribunale Bari Sez. II, 19/11/2008 deduceva che: “Il pignoramento del saldo attivo di un deposito bancario in conto corrente, cointestato a persona estranea al rapporto obbligatorio intercorrente tra debitore e creditore procedente è – in assenza di diversi elementi probatori – affetto da nullità nella parte in cui eccede la metà dell’importo dichiarato dal debitor debitoris.”
[18]Purtroppo se tale procedura speciale non viene incardinata correttamente in sede esecutiva, le parti coinvolte non ricevono la tutela corretta e dovuta ai sensi del codice di procedura, diversamente in ambito processual-amministrativistico la Corte dei Conti si è pronunciata nel senso della non procedibilità avendo accertato che mancava la chiamate del cointestatario nel caso di un sequestro su bene condiviso, cfr. Corte dei Conti Sez. II, 19/07/1982, n. 108, sarebbe auspicabile si facesse strada un’interpretazione simile.
[19]Come osservato dalla giurisprudenza sul punto “Si tratta, in breve, di una procedura di riscossione coattiva assai semplificata, che si esplica interamente in via stragiudiziale, avente carattere alternativo rispetto alle modalità espropriative tipizzate dal codice di rito, rimessa alla discrezionale facoltà di scelta del procedente e destinata -nel superiore interesse all’immediato recupero delle entrate da parte dell’agente della riscossione- a perfezionarsi e, nel contempo, ad esaurirsi con il pagamento al concessionario nel termine di quindici Decisione N. 1297 del 17 gennaio 2018 Pag. 5/5 giorni dalla notifica dell’atto per quanto concerne i crediti scaduti -lettera a)- , ovvero alle scadenze previste, per quanto inerisce i crediti dei quali non sia spirato il termine per l’adempimento -lettera b), primo comma, art.72 bis” , Tribunale Napoli, 09.03.1999.
[20]In senso difforme l’ABF con sua Decisione N. 1297 del 17 gennaio 2018 ove stabilisce che l’istituto è tenuto a pagare il 50% della somma depositata al momento della notifica dell’atto di pignoramento promosso ex art 72 bis DPR 1973/602.
[21]ABF Decisione N. 14334 del 29 giugno 2018 e Decisione N. 11461 del 23 dicembre 2016.
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