© Tutti i diritti riservati. Vietata la ripubblicazione cartacea ed in internet senza una espressa autorizzazione scritta. È consentito il link diretto a questo documento.
Di Maurizio Tidona, Avvocato
19 maggio 2001
1. Il contratto di conto corrente e la sua funzione di servizio di cassa.
In virtù dell’art. 1852 c.c. il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito nel rapporto di conto corrente, salva l’osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito.
Il contratto di conto corrente bancario assolve difatti una semplice funzione di servizio di cassa per conto del correntista e le annotazioni o registrazioni delle singole operazioni hanno un valore esclusivamente contabile ed un’efficacia meramente dichiarativa, con la conseguenza che, quando si verifichi lo scioglimento del conto corrente bancario, ai fini della identificazione del saldo finale (diverso da quello cosiddetto disponibile) che deve essere pagato immediatamente, sia esso a credito del correntista o della banca, occorre fare esclusivo riferimento al risultato contabile raggiunto attraverso la contrapposizione delle operazioni attive e passive destinate a confluire nel suddetto conto ed ormai perfezionatesi, a nulla rilevando neppure la mancata annotazione di dette operazioni.
Con il contratto di apertura di credito bancario, ai sensi degli artt. 1842 e 1852 cod. civ., la banca si obbliga quindi a tenere una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato a disposizione del cliente, il quale ha diritto di disporre della stessa in più volte, secondo le forme di uso se non è stato convenuto altrimenti (come previsto dall’art. 1843 cod. civ.) ovvero in qualsiasi momento e quindi anche immediatamente dopo l’apertura del credito.
Ciò a differenza del mutuo, che è un contratto reale con il quale una parte consegna all’altra, che si obbliga a restituirla, una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili. L’interpretazione dell’atto negoziale per l’inquadramento nell’una o nell’altra figura contrattuale è rimessa alla valutazione del giudice di merito.
2. I versamenti revocabili ai sensi dell’art. 67, comma secondo, della legge fallimentare.
I versamenti in conto corrente bancario hanno natura di pagamenti e sono, quindi, soggetti alla revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67, comma secondo, della legge fallimentare, soltanto nell’ipotesi di conto “scoperto”, quando cioè la banca abbia anticipato somme oltre il limite del fido, mentre, nell’ipotesi di conto corrente munito di provvista costituita da un’apertura di credito (cosiddetto conto “passivo”), non è configurabile, durante lo svolgimento del rapporto e fino a quando i prelievi siano contenuti nei limiti del fido, un credito esigibile della banca verso il correntista, ed i versamenti, eseguiti sia direttamente dal cliente sia mediante bonifico di somme provenienti da terzi, consistendo in semplici operazioni di accreditamento dirette a ripristinare la provvista, non hanno funzione solutoria e non sono, perciò, suscettibili di revocatoria, eccettuati i casi di specifica imputazione a titolo di pagamento e quelli in cui la banca abbia anticipatamente chiuso il conto recuperando in proprio favore, con prelievo dalla provvista del correntista, una somma corrispondente al fido utilizzato da quest’ultimo.
I versamenti in conto corrente bancario effettuati sul conto dal correntista poi fallito (o da terzi) sono pertanto soggetti a revocatoria fallimentare solo se eseguiti, nel periodo sospetto e ricorrendo la “scientia decotionis”, su conto “scoperto”, cioè a ripianamento di somme prelevate oltre i limiti del fido, ovvero con una concreta e definitiva incidenza (emergente da accertamento “ex post”) sul debito del cliente verso la banca conseguente all’utilizzazione del fido, non anche quando trattasi di versamenti su conto “debitore”, cioè “passivo”, ma non “scoperto”, i quali integrano atti ripristinatori del fido, e non pagamenti diretti ad estinguere lo stesso o la parte di esso utilizzata dal correntista.
Al fine di stabilire se, a seguito del fallimento del cliente, siano assoggettabili a revocatoria a norma dell’art. 67 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (salva restando l’autonoma e distinta revocabilità dei negozi di provvista, ad esempio la cessione di credito, in base ai quali siano state effettuate), occorre in pratica distinguere l’ipotesi in cui esse affluiscano su un conto passivo, durante l’ordinario svolgimento del rapporto, cioè su un conto assistito da uno specifico contratto di concessione di credito, in forza del quale la banca sia tenuta a mantenere a disposizione del cliente una determinata somma, dall’ipotesi in cui intervengano nella scritta situazione di conto scoperto, per la mancanza od il superamento di detta concessione di credito.
Nel primo caso, le rimesse non sono quindi qualificabili come pagamenti revocabili, in quanto non soddisfano un credito esigibile, ma svolgono una funzione di ripristino della provvista; nella seconda ipotesi, invece, ricorrente indipendentemente dal fatto che la banca tolleri lo scoperto del conto, le rimesse medesime vanno ad estinguere o ridurre un credito esigibile della banca, e, quindi, assumono detto carattere solutorio, agli effetti del citato art. 67 della legge fallimentare.
Il principio, secondo il quale, nel caso di apertura di credito, con prelievi contenuti nei limiti del “fido”, i versamenti stessi, eseguiti direttamente ovvero mediante bonifichi di somme provenienti da terzi, non hanno funzione solutoria, e quindi si sottraggono a revocatoria, trova deroga ove detti bonifichi risultino in concreto mezzi anomali di pagamento di pregresse esposizioni debitorie verso la banca, come quando il cliente, contestualmente all’apertura di credito, abbia ceduto alla banca tutti i propri crediti, a copertura delle passività di conto.
Nell’indagine sul carattere “scoperto” o “coperto” del conto corrente bancario, al fine di stabilire se le rimesse del cliente integrino o meno pagamenti di debiti esigibili (come tali suscettibili di revocatoria fallimentare, sempre che lo scoperto non sia assistito da concessione di credito), occorre fare riferimento, per quanto riguarda gli incarichi dati dal cliente di riscuotere suoi crediti e di accreditarne l’importo ovvero di effettuare pagamenti per suo conto, non ai “saldi contabili”, ma ai “saldi per valuta”, i quali segnano l’effettiva variazione quantitativa del conto medesimo, nel rapporto fra banca e correntista.
Rivista di Diritto Bancario Tidona - www.tidona.com - Il contenuto di questo documento potrebbe non essere aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito a concrete fattispecie.
Le informazioni contenute in questo sito web e nella rivista "Magistra Banca e Finanza" sono fornite solo a scopo informativo e non possono essere ritenute sostitutive di una consulenza legale. Nessun destinatario del contenuto di questo sito, cliente o visitatore, dovrebbe agire o astenersi dall'agire sulla base di qualsiasi contenuto incluso in questo sito senza richiedere una appropriata consulenza legale professionale, da un avvocato autorizzato, con studio dei fatti e delle circostanze del proprio specifico caso legale.