Di Gaetano Maria Porretti, Avvocato
L’ORDINANZA.
Con la recentissima ordinanza in commento (Cass. Civ. – Sez. VI, Pres. SCALDAFERRI, Rel. FALABELLA, ordinanza 5 settembre 2018, n. 21646), la S.C. si è (nuovamente) pronunciata su tematica, come è noto, assai diffusa e dibattuta.
Questa la vicenda in sintesi, doverosamente precisandosi che la brevità della descrizione dei “Fatti di causa” non consente di ricostruire la vicenda processuale in dettaglio.
In 1° grado (Tribunale di Matera), la domanda di accertamento di nullità di clausole relative ad un c/c e conseguente ripetizione degli indebiti (in subordine, di indebito arricchimento) veniva accolta parzialmente (con condanna della banca convenuta ad una somma inferiore rispetto a quella richiesta).
In 2° grado (Corte di Appello di Potenza) veniva accolto l’appello della Banca e tale domanda veniva respinta sulla considerazione (motivazione) per cui:
- la domanda di ripetizione presupponeva precedenti pagamenti, tali non potendosi ancora considerare gli addebiti praticati, dato che al momento dell’introduzione del giudizio il c/c era ancora aperto e, peraltro, presentava un’esposizione debitoria intra fido concesso;
- non vi era stata evidenziazione dei pagamenti aventi natura solutoria;
- il rigetto della domanda ripetitoria travolgeva anche quelle presupposte di accertamento delle illegittimità contrattuali e rideterminazione del saldo, siccome strumentali all’accoglimento della domanda ripetitoria e legate da un unico interesse ad agire.
Ebbene, la S.C. ha accolto il ricorso del correntista, cassando con rinvio alla Corte Territoriale (in diversa composizione).
Assorbito il 3° motivo (con cui veniva denunciato il mancato esame da parte del Giudice d’Appello della subordinata domanda di indebito arricchimento), la S.C. ha ritenuto fondati i motivi 1° e 2°, esaminati congiuntamente siccome connessi ed in sintesi relativi alla mancata pronuncia da parte del Giudice d’Appello sulla domanda di nullità di clausole contrattuali (relativa agli interessi anatocistici), avente rilevanza autonoma rispetto a quella ripetitoria e comunque tale da consentire di rideterminare il saldo corretto.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte Territoriale, la S.C., anche richiamando SS.UU. (notissima Cass. Civ. – SS.UU., sentenza 2 dicembre 2010 n. 24418) ha individuato l’interesse ad agire da parte del correntista per almeno tre ordini di ragioni:
- l’esclusione, in futuro, di annotazioni illegittime;
- il ripristino, per il correntista, di una maggiore estensione dell’affidamento concesso, nel tempo eroso da addebiti contra legem;
- la riduzione dell’importo (se) a credito richiedibile dalla Banca, alla chiusura del conto.
Pertanto, ancorché a conto ancora aperto, “(…) La Corte di appello avrebbe dovuto quindi comunque statuire sul merito delle domande di accertamento proposte, giacché l’acclarata insussistenza di rimesse solutorie non escludeva un interesse della correntista rispetto alle pronunce invocate”.
I PRECEDENTI DI MERITO E DI SEGNO CONTRARIO.
Senza pretese di esaustività, come noto molteplici sono le decisioni contrarie (ex coeteris, C.A. Torino Pres. GRIMALDI, Rel. COCCETTI, sentenza n. 878 del 21 aprile 2017; Trib. S.M. Capua V. – G.U. Maria Ausilia SABATINO, sentenza n. 2993 del 13 settembre 2016; Trib. Monza – G.U. Gabriella MARICONDA, sentenza n. 171 del 25 gennaio 2016; Trib. Genova – G.U. Rossella SILVESTRI, sentenza 25 marzo 2015), secondo cui è improponibile/inammissibile la domanda:
- se il rapporto è ancora in essere (fra le numerose, Civitavecchia – G.U. Dott.ssa PEGORARI, ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. del 5 gennaio 2017; Trib. Roma – G.U. Dott.ssa BERNARDO, ordinanza del 12 giugno 2016; Trib. Padova – Sez. II, G.U. Dott. BERTOLA, sentenza del 13 gennaio 2016, nonché C.A. Torino, sentenza del 15 febbraio 2015, n. 214);
- se non in relazione a sole rimesse “solutorie” (fra le numerose, oltre quelle sopra citate, A. Torino – Sez. II, Pres. Dott. GRIMALDI – Relatore Dott. GROSSO, sentenza del 7 ottobre 2015, n. 1765; Trib. Siena – G.U. Dott. CARAMELLINO, sentenza del 7 luglio 2014; Trib. Lucca – G.U. Dott. MONDINI, sentenza del 7 aprile 2014, n. 542) che, tuttavia, devono essere indicate singolarmente e tale mancanza non può essere sopperita da una C.T.P., né accertata tramite C.T.U. (fra le numerose, Trib. Napoli Nord – G.U. Dott. RABUANO, sentenza del 13 gennaio 2017, n. 107; Trib. Foggia – G.U. Dott.ssa RAGOSTA sentenza del 9 agosto 2016, n. 2497).
Più in particolare e con ampia ricognizione della Giurisprudenza sul punto, così motiva (tra gli altri) il richiamato Tribunale di S.M. Capua V. – G.U. Dott.ssa Maria Ausilia SABATINO, sentenza n. 2993 del 13 settembre 2016:
- la inammissibilità deve pronunciarsi “(…) anche con riferimento alla richiesta di rideterminazione del saldo, da depurarsi degli addebiti illegittimi applicati, atteso che trattasi di una domanda non autonoma, ma strettamente connessa a quella conseguenziale, volta, appunto, ad ottenere la restituzione delle somme illegittimamente pagate alla Banca (…)”;
- la domanda di accertamento negativo, infatti, sarebbe“(…) indeterminata in quanto non è indicato a quale momento dovrebbe essere fatto valere tale accertamento ricordandosi che secondo costante giurisprudenza le azioni di mero accertamento in cui l’accertamento stesso, anziché avere un valore pregiudiziale come in tutte le altre azioni di cognizione, esaurisce lo scopo del processo, possono avere ad oggetto, al pari di ogni altra forma di tutela giurisdizionale contenziosa, soltanto i diritti e non anche i fatti, salvo eccezioni espressamente previste dalla legge (…)”;
- pur consapevole che Cass. Civ. 798/2013 non ha escluso la possibilità per il correntista di agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui si fondano gli addebiti in contestazione, allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito nei limiti del fido accordato, l’inammissibilità si ricollega direttamente al noto Orientamento della S.C. di Cassazione, secondo il quale “[…] la tutela giurisdizionale è tutela dei diritti (art. 24 Cost., art. 2907 c.c., artt. 99 e 278 c.p.c.). I fatti (quale è anche un contratto) possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio (art. 2697 c.c.) e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Solo in casi eccezionali predeterminati per legge, possono essere accertati fatti separatamente dal diritto che l’interessato pretende di fondare su di essi (…). Non sono perciò proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti pur giuridicamente rilevanti, ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva del diritto, la quale può costituire oggetto dell’accertamento giudiziario solo nella sua funzione genetica del diritto azionato, e cioè nella sua interezza. Analogamente nel nostro sistema processuale non sono ammissibili questioni di interpretazione di norme o di atti contrattuali se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto (Cassazione Civile 20 dicembre 2006 in Mass. Giust. Civ., 2006, 12) […]”;
- pertanto, rilevato “(…) che il rapporto di conto corrente in contestazione non è stato estinto al momento della notifica dell’atto di citazione (…)”, dichiara inammissibile ed improcedibile la domanda “restitutoria”, aggiungendo che tale effetto “(…) si estende, come visto, anche alle domande cd. presupposte aventi ad oggetto la richiesta di accertamento della nullità di alcune clausole del contratto e di conseguente rideterminazione del saldo, atteso che l’esame di queste ultime e l’interesse ad esse sotteso non può essere isolato e non può prescindere dalla richiesta restitutoria, essendo la domanda di accertamento strumentale all’accoglimento della domanda di condanna (…)” e che tale inammissibilità “(…) finisce per travolgere pure quella, pregiudiziale rispetto ad essa, di accertamento dell’illegittimità (…) della capitalizzazione trimestrale degli interessi, delle commissioni di massimo scoperto, dei giorni di valuta”.
GLI SVILUPPI E BREVI CONSIDERAZIONI.
Partita chiusa?
A mio sommesso avviso sì, quantomeno in relazione alla questione dell’ammissibilità dell’azione di mero accertamento in pendenza di rapporto, vieppiù considerato che la decisione in commento non è nuova nell’ambito della S.C. (in precedenza, Cass. Civ. – Sez. I, sentenza del 30 novembre 2017, n. 28819; Cass. Civ. – Sez. III, sentenza del 15 gennaio 2013, n. 798).
Ritengo (sempre sommessamente) che un aspetto meriti particolare attenzione e possa essere considerato comunque favorevole.
Infatti, considerato che:
- la sentenza di 1° grado (Tribunale di Matera) conteneva anche una condanna restitutoria a carico della Banca convenuta;
- la sentenza di 2° grado (Corte di Appello di Potenza) rigettava in toto la domanda della correntista originaria attrice;
- i motivi di ricorso in Cassazione, si limitano alla questione relativa all’accertamento delle illegittimità contrattuali ed alla conseguente declaratoria di nullità;
- nella motivazione, la S.C. censura sì la sentenza del Giudice a quo, ma limitatamente alla parte in cui “(…) ha disatteso la domanda di accertamento delle nullità contrattuali e di rideterminazione del saldo (…)” e, come visto, ritiene che ancorché a conto ancora aperto, “(…) La Corte di appello avrebbe dovuto quindi comunque statuire sul merito delle domande di accertamento proposte, giacché l’acclarata insussistenza di rimesse solutorie non escludeva un interesse della correntista rispetto alle pronunce invocate”;
tutto ciò considerato pare potersi confermare che, a conto ancora aperto:
- non è proponibile anche una domanda di condanna al pagamento in via di ripetizione di indebito o ad altro titolo;
- la domanda anche di mero accertamento dovrebbe essere vieppiù caratterizzate da una specifica indicazione delle singole partite (addebiti, rimesse, etc.) in contestazione.
E non sono questioni di poca rilevanza, atteso che:
- l’ammissibilità (al più) dell’azione di mero accertamento, evita che le Banche convenute (ed eventualmente soccombenti) possano essere immediatamente esposte ad un’azione esecutiva per il pagamento di somme in favore dei propri clienti, limitandosi gli effetti di un giudizio se conclusosi sfavorevolmente alla mera rettifica del saldo, nell’ambito di un rapporto tutto da svilupparsi in prosieguo;
- resta intatta la possibilità di fronteggiare domande generiche ed affidate a richieste istruttorie (ordine di esibizione documentale, C.T.U., etc.) esplorative, tendenti a sovvertire gli oneri delle parti, anzi, finanche ad integrare la domanda (causa petendi e petitum) quindi, a supplire a difetti in punto di “allegazione” e relativo onere che, come noto, precede quello della prova.
A conclusione, quale memento non posso esimermi dal richiamare:
- Cass. Civ. – Sez. III^, sentenza 19 ottobre 2017, n. 24607, Pres. CHIARINI, Rel. ROSSETTI:
più che favorevole, siccome conferma, in via generale (anche se in ambito di contenzioso in ambito di r.c.), i principi in tema di onere di allegazione, che, come noto, si accompagna, anzi, precede l’onere della prova.
Con tale decisione, il ricorso (e la domanda risarcitoria) veniva(no) rigettato(i), essendo mancata una puntuale e tempestiva allegazione dei fatti a fondamento della pretesa, inutile la prova (produzione documentale) di quei fatti, siccome non costituenti il thema decidendum.
Il tutto così ampiamente motivato: “[…] L’onere di deduzione dei fatti posti a fondamento della pretesa, infatti, richiesto dall’art. 163, n. 4, c.p.c., va adempiuto in primo luogo descrivendo tali fatti: sicché, quando tale deduzione sia mancata, nulla rileva che quei fatti possano per avventura risultati provati all’esito della lite, per la semplice ragione che, in mancanza di tempestiva deduzione, essi non sono mai entrati a far parte del thema decidendum. Questi principi costituiscono ormai jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ripetutamente affermato sia che la domanda introduttiva di un giudizio di risarcimento del danno esige sempre che l’attore indichi espressamente i fatti materiali che assume essere stati lesivi del proprio diritto (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 17408 del 12/10/2012); sia che quando i fatti pregiudizievoli posti a fondamento della domanda di risarcimento non sono stati compiutamente allegati, “la successiva produzione documentale, che pure attesti l’esistenza di quei fatti, non è idonea a supplire al difetto originario di allegazione, giacché equivarrebbe ad ampliare indebitamente il thema decidendum” (Sez. 3, Sentenza n. 7115 del 21/03/2013) […]”; “(…) è decisivo il rilievo che il ritenuto difetto di tempestiva allegazione dei fatti costitutivi della pretesa rendeva superfluo indagare se essi furono provati o no (…)”.
- Cass. Civ. – Sez. I, sentenza 6 agosto 2015, n. 16552, Pres. FORTE Rel. NAZZICONE:
specifica in materia e più che favorevole, non avendo ammesso una C.T.U. in sostanza su una C.T.P. (come spesso nei casi che Ci occupano), atteso che è ius receptum che la C.T.P. “(…) non ha alcun valore probatorio in quanto semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico e, pertanto, non giustifica affatto una C.T.U. su di essa”.
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