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Di Ciro Di Palma
13 novembre 2006
Indice – Sommario:
Capitolo primo
L’attualità del contratto di leasing.
1. Alla ricerca di una definizione introduttiva dell’istituto: excursus tra i formanti.
2. Il significato del termine leasing: origini anglosassoni e diffusione nel vocabolario giuridico globale. Brevi considerazioni sull’importanza della traduzione giuridica. La legislazione francese: un emblematico caso di traduzione legislativa raffrontato all’esperienza giuridica italiana. Argomenti a favore della scelta del termine anglosassone in luogo delle altre opzioni terminologiche proposte da dottrina e giurisprudenza.
3. Il leasing tra passato e presente. Strumenti contrattuali affini utilizzati dagli antichi. La nascita della moderna operazione nell’esperienza giuridico-economica statunitense e il suo recepimento negli ordinamenti europei. L’affermazione in Italia.
4. Il leasing come fenomeno dell’economia. Il ruolo dell’istituto nel mercato dei servizi finanziari. Aspetti quantitativi del fenomeno.
5. Il momento fiscale del contratto quale aspetto inscindibile dai suoi profili civilistici: l’opportunità rappresentata dal leasing e l’esempio significativo del leasing di azioni.
6. Premesse metodologiche. Una prospettiva sovranazionale resa necessaria dalla globalizzazione dei mercati e dal conseguente spazio giuridico globale, tra il sogno di un diritto privato uniforme e la cruda realtà della regulatory competition. La comparazione quale metodo scientifico e il diritto comparato latu sensu quale approccio prescelto.
Capitolo secondo
Premesse comparatistiche. Esperienze straniere in materia di leasing.
1. Il “mondo giuridico occidentale” quale unico campo di osservazione utile; fenomeni circolatori e condivisione di regole comuni: graduale convergenza dei sistemi di civil e di common law e conseguente riconsiderazione delle tradizionali classificazioni degli ordinamenti in grandi “famiglie”.
2. Cenni introduttivi: la disciplina del leasing quale risultato di diverse cooperazioni tra formanti. Definizione legislativa: riferimenti alla natura dei contraenti e dei beni; essenzialità o accessorietà dell’opzione d’acquisto e durata del rapporto. Le molteplici strade percorse per giungere alla qualificazione del contratto; I profili essenziali della disciplina convenzionale.
3. Il leasing in Francia: accorgimenti linguistici e ricognizione degli interventi legislativi. I profili soggettivi (in particolare art. 2 della legge 455-66) e la definizione legislativa del crédit-bail ex art. 1: inammissibilità di operazioni fuori legge. Elementi essenziali della fattispecie e lacune rilevate da giurisprudenza e dottrina.
4. segue. La prospettazione bi-negoziale della complessiva operazione: un angolo visuale più efficace per un’indagine consapevole sui problemi dell’istituto; traslazione convenzionale dei rischi e necessità di estendere all’utilizzatore le garanzie proprie del concedente-acquirente nei confronti del fornitore.
5. segue. Il collegamento tra i rapporti contrattuali di crédit-bail e vendita. La risoluzione del rapporto di vendita e le sue ripercussioni sul crédit-bail. L’inadempimento dell’utilizzatore e le sue conseguenze latu sensu sanzionatorie. In particolare, la vicenda francese riguardante la clausola penale: dalla crisi, determinata dal principio napoleonico dell’intangibilità delle clausole penali (art. 1152 c.c.), alla sospirata riforma del codice civile, che pure attribuisce ai giudici un potere da esercitare con cautela. Alcune riflessioni conclusive.
6. segue: Il regime disciplinare relativo alla pubblicità del contratto di leasing: tutela dei terzi creditori ed aventi causa dell’utilizzatore. Permanenza della proprietà in capo al crédit-bailleur: funzione di garanzia e protezione giuridica, in particolare nel caso di fallimento dell’utilizzatore.
7. Il leasing in Germania. L’assenza di una disciplina legislativa organica: il problema fiscale e le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali tese a colmare le lacune attraverso molteplici tentativi di qualificazione del contratto. La tesi prevalente del leasing come Miete. La disciplina applicabile al contratto relativamente a condizioni generali, traslazione convenzionale dei rischi, mancata o ritardata consegna, inadempimento e il fallimento dell’utilizzatore.
8. Il leasing nel diritto svizzero. Delimitazione del tipo sociale leasing finanziario e principali problemi di qualificazione: le parziali risposte giurisprudenziali e le soluzioni proposte dalla dottrina per l’inquadramento giuridico del contratto. Il problema centrale della garanzia di credito; riflessioni conclusive.
9. Il leasing nel diritto statunitense. L’originaria disciplina dello Uniform Commercial Code: lease intended as security e ruolo del security interest; il contributo della giurisprudenza nella ricostruzione di una fattispecie legale completa e rispondente alle esigenze di tutela dei contraenti. La rilevanza dell’opzione di acquisto per una nominal consideration e la restante disciplina applicabile. La nuova disciplina dell’equipment leasing giunta nel 1985: convergenze (molte) e divergenze (poche) con la Convenzione Unidroit. Il lessor da mero creditore, sebbene privilegiato, a “reale” proprietario del bene concesso in leasing.
10. Il financial lease inglese: fisionomia e distinzione dai contratti di hire purchase e conditional sale. La disciplina rinvenibile in un Lending and Security Act: ulteriore esempio di convergenza nel modello statunitense.
11. Riflessioni conclusive.
Capitolo terzo
La fisionomia del contratto di leasing nell’esperienza giuridica italiana. Problemi e soluzioni alla luce della prospettiva comparatistica.
1. Premesse metodologiche: l’analisi delle clausole tipiche quale necessario punto di partenza per individuare le regole operative del contratto. L’opportunità di considerare la complessiva operazione trilaterale, facendo riferimento, in primis, alla tradizionale species del leasing finanziario mobiliare.
2. Breve ricognizione dei formanti del leasing nel diritto italiano. L’assenza di una disciplina organica dell’istituto nonostante le molteplici norme di legge. L’integrazione necessaria con gli usi raccolti dalle Camere di Commercio, senza tralasciare il crescente contributo della giurisprudenza, il codice deontologico Assilea e la prassi contrattuale.
3. Profili soggettivi. Le parti del contratto di leasing: a)Il soggetto che svolge l’attività finanziaria: concedente o lessor.
4. (segue): b) l’utilizzatore o lessee: imprenditore, lavoratore autonomo, ente pubblico, consumatore, e cos’altro?
5. Formazione del contratto e realizzazione dell’operazione: i comportamenti che normalmente portano alla stipulazione dei contratti di fornitura e di leasing.
6. Il leasing quale contratto di adesione: requisiti di forma e condizioni generali: l’applicabilità delle norme codicistiche ex artt. 1341 e 1342 c.c.
7. Il contenuto minimo del negozio socialmente tipico nella prassi italiana. Validità del regolamento di interessi. Il vaglio di meritevolezza previsto dall’art. 1322, 2° comma del c.c. ed il suo esito positivo riguardo al leasing, nonostante la scarsa considerazione dei giudici di merito.
8. Alla ricerca di una qualificazione del contratto di leasing finanziario:sunto delle prime soluzioni dottrinali proposte dalla dottrina italiana.
9. Il farsi delle regole operative attraverso il percorso giurisprudenziale. Dalla prima sentenza del Tribunale di Vigevano (sent.14 dicembre 1972) al caso Mammoletto (sent. del 28 ottobre 1983, n. 6390) : il primo vaglio della Cassazione.
10. (segue): …tre interventi del Sommo Giudice tra il 1986 e il 1988 fanno da prologo alle sentenze del 1989: in particolare Cass., Sez I, 6 maggio 1986, e Sez. I, 26 novembre 1987, n. 8766.
11. (segue): …La formazione della fisionomia giurisprudenziale del leasing, scolpita nelle sei sentenze contestuali emanate il 16 dicembre 1989: l’originaria fattispecie viene scissa in due tipologie di contratto.
12. (segue): …i principali argomenti critici della dottrina alla bipartizione giurisprudenziale e la prosecuzione del giudice di legittimità nel solco tracciato. La situazione attuale: assenza di regole operative certe in materia di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore: un confronto emblematico tra sentenze.
13. (segue): …l’inadempimento dell’utilizzatore e la manutenzione del contratto: una soluzione interessante affidata all’autonomia contrattuale.
14. Inadempimento dell’utilizzatore: qualche riflessione comparatistica. La completa disciplina americana trova nella prassi tedesca soluzioni pressoché analoghe. La vicenda francese legata alla clausola penale: dalla crisi all’accoglimento legislativo delle istanze di giudici di merito ed imprese utilizzatrici.
15. Obbligazioni a carico delle parti: il concedente quale medio finanziario. Assenza di un obbligo di consegna a suo carico.
16. (segue): …le molteplici obbligazioni dell’utilizzatore: una disciplina convenzionale più analitica che non lascia dubbi insoluti.
17. (segue): …Note comparatistiche sull’opzione d’acquisto. La prassi svizzera quale eccezione negli ordinamenti di civil law. La legge americana prima e dopo la “compromissoria” riforma dello U.C.C. L’istituto inglese: l’opzione muta la natura del contratto in hire-purchase.
18. Le clausole sull’inversione del rischio, vero punctum dolens del regolamento di interessi: l’accoglimento pacifico di dottrina e giurisprudenza, pur con rilevanti limiti di liceità ed importanti ripercussioni sulla qualificazione del contratto.
19. I contrappesi necessari alla descritta traslazione convenzionale dei rischi. In particolare, la tutela dell’utilizzatore nei confronti del fornitore: la posizione della giurisprudenza francese e la soluzione prevista dalla riforma dello U.C.C. americano: regole operative pressoché identiche, a fronte di un paradossale “scambio di ruoli” tra civil e common law.
20. (segue):…nell’ambito della traslazione convenzionale dei rischi, in particolare, le regole operative relative alla mancata o ritardata consegna del bene da parte del fornitore. Gli interventi della Cassazione, la rilevanza del collegamento negoziale, e le critiche della dottrina.
21. (segue): …Spunti comparatistici in tema di mancata consegna del bene da parte del fornitore: la significativa interazione tra giurisprudenza e prassi francesi per un più equilibrato assetto di interessi.
22. Il rispetto delle norme relative all’impiego del bene, in particolare la responsabilità per violazione delle norme antinfortunistiche. L’intervento risolutivo del legislatore italiano.
23. Altre vicende del rapporto di leasing: riguardo al concedente: la cessione del bene, del contratto, e quella dei crediti derivanti dal contratto; riguardo all’utilizzatore: la cessione del complesso aziendale e l’operatività della successione ope legis (art. 2558 c.c.).
24. Sintesi degli orientamenti riguardo alla struttura della complessiva operazione: contratto trilaterale, costruzione binegoziale ed eventuale collegamento tra negozi.
25. (segue):il profilo funzionale. La causa di finanziamento: un problema antico da risolvere con le acquisite consapevolezze.
26. Il leasing nelle procedure concorsuali: la legge fallimentare e il nuovo equilibrio tra continuazione e scioglimento del contratto di leasing. In particolare, la collocazione del bene da parte dell’utilizzatore in caso di soluzione del rapporto.
Capitolo quarto
Il leasing tra diritto uniforme e diritto privato internazionale
1. Circolazione dei modelli e configurabilità di una nuova lex mercatoria.
2. Il leasing internazionale, un genus che cattura le diverse pratiche negoziali. La diversità dei sistemi cui appartengono i contraenti e i tentativi di unificazione, tra i quali la Convenzione Unidroit, testo normativo dall’ambito applicativo ristretto, che impone una serie di regole ispirate all’equilibrio degli interessi delle parti.
3. Questioni di diritto internazionale privato in tema di leasing finanziario internazionale. La responsabilità della società di leasing importatrice.
4. In particolare: l’azione diretta dell’utilizzatore nei confronti del fornitore nel leasing finanziario internazionale.
Capitolo quinto
Il leasing tra presente e futuro: forme speciali e specifiche applicazioni
1. Le molteplici species del complesso ed articolato genus del leasing classificate mediante i fondamentali criteri ordinanti.
2. A) Qualità dei contraenti. Leasing pubblico e leasing agevolato.
3. (segue): …il leasing di consumo.
4. (segue): …Note comparatistiche sul leasing di consumo. Diversi criteri individuativi e differenti tutele.
5. C) Oggetto del contratto. Leasing immobiliare.
6. (segue): …il leasing di autoveicoli di navi e di aeromobili.
7. (segue): …leasing di beni immateriali quale interessante tendenza evolutiva del contratto. In particolare: leasing del software e del marchio.
8. (segue): … il leasing azionario. Il fenomeno dell’alterità subbiettiva tra il socio-concedente e l’utilizzatore-titolare dei diritti amministrativi e patrimoniali. La locazione finanziaria di azioni da parte della stessa società emittente e il venture leasing: i vincoli di legge relativi alle operazioni su azioni proprie e la loro interpretazione.
9. B) Schema dell’operazione. Leasing convenzionato.
10. (segue): …il leasing operativo.
11. (segue): …il sale and lease back o leasing di ritorno. L’immotivata ostilità di parte della dottrina e giurisprudenza italiana e la liceità dell’operazione alla luce della causa di finanziamento che, riflettendosi sulla struttura dell’operazione impedisce l’assimilazione con le alienazioni a scopo di garanzia.
12. (segue): …il leasing addossé.
13. Conclusioni. L’evoluzione di un complesso genus di contratti oltre le frontiere e i settori merceologici.
BIBLIOGRAFIA.
DECISIONI.
Capitolo primo
L’attualità del contratto di leasing.
1. Alla ricerca di una definizione introduttiva dell’istituto: excursus tra i formanti.
È doveroso, prima di iniziare qualsivoglia trattazione analitica sul leasing, elaborarne una definizione introduttiva affinché sia subito chiaro l’oggetto dell’intera ricerca. Premesso, dunque, il suo carattere introduttivo, tale definizione sarà incentrata sul solo leasing finanziario di beni strumentali, che rappresenta la species prototipale e tradizionale di questo contratto. Esso, infatti, oggi si sostanzia in un variegato e complesso genus, una tecnica contrattuale che si è evoluta dando luogo a molteplici applicazioni ed assumendo nei singoli casi peculiarità riguardanti struttura, natura dei soggetti contraenti e oggetto dedotto nel contratto.[1]
È utile, a tal fine, un rapido excursus tra i formanti del diritto nazionale e sovranazionale. In tal modo, sarà subito apprezzabile l’ampiezza e la complessità dello “spazio giuridico-economico” entro il quale va necessariamente contestualizzato l’istituto.
La prima definizione legislativa del leasing nell’ordinamento italiano risale alla legge 2 maggio n. 183 del 1976 recante interventi per il Mezzogiorno, ove l’art. 17, 2° co., precisa che: “per operazioni di locazione finanziaria si intendono le operazioni di locazione di beni mobili o immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta o indicazione del conduttore, che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al temine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito”.[2]
Ulteriore tentativo di definire il contratto giunge successivamente nel nostro ordinamento con il d.l. antiriciclaggio: “per locazione finanziaria si intende l’operazione nella quale il concedente mette a disposizione per un tempo determinato e verso un corrispettivo periodico un bene strumentale all’esercizio dell’attività dell’utilizzatore, che il concedente fa costruire o acquista, anche dallo stesso utilizzatore che lo sceglie e ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e che può acquistarne la proprietà alla scadenza del contatto con il pagamento di un prezzo prestabilito”.[3]
Mancando in Italia una disciplina generale del leasing, la giurisprudenza nostrana si è cimentata nel difficile compito definitorio; così, la Corte di Cassazione ha considerato il leasing “prassi negoziale con la quale un’impresa di leasing concede ad un operatore economico il godimento di un bene, dietro il corrispettivo di un canone per un periodo determinato”.[4]
Possiamo a questo punto iniziare a riflettere sul fenomeno: caratterizzandosi per la natura strumentale dei beni oggetto del contratto, tale fattispecie nasce per soddisfare una specifica esigenza economica delle imprese: quella di disporre dei suddetti beni, necessari per l’attività produttiva, senza immobilizzare gli ingenti capitali che altrimenti servirebbero per l’acquisto. Un imprenditore del resto, ha a disposizione molteplici soluzioni giuridiche per soddisfare la medesima necessità: può prendere in affitto il bene, acquistarlo a rate, ottenere un finanziamento bancario per l’acquisto in contanti.[5] Si tratta però di alternative non sempre praticabili e spesso costose o poco convenienti. Chi fabbrica macchinari, infatti, di regola li vende e non li affitta perché deve rapidamente recuperare i capitali investiti. L’acquisto a rate, inoltre, non sempre è conveniente dato che, completato il pagamento, ci si può ritrovare proprietari di un macchinario privo di valore in seguito a logorio od obsolescenza tecnologica e pertanto non più collocabile in alcun modo sul mercato. In fine, il ricorso ad un finanziamento bancario per l’acquisto immediato del bene strumentale è costoso e non sempre risponde allo scopo perseguito, dato che il reale scopo dell’imprenditore non è tanto la proprietà formale del bene, quanto la possibilità di utilizzarlo inserendolo nel proprio complesso aziendale per un periodo più o meno lungo. Ed è questa l’esigenza che tende a soddisfare il leasing: un contratto che intercorre fra un‘impresa finanziaria specializzata (la società di leasing) e chi ha bisogno di beni strumentali per la propria attività imprenditoriale. “Un contratto che non è locazione, non è vendita a rate, non è mutuo o finanziamento bancario, ma è una combinazione originale di elementi propri di tali contratti nata nella pratica degli affari per dare una risposta nuova e più funzionale alle esigenze di chi utilizza ma anche di chi produce beni strumentali soggetti ad obsolescenza”.[6] Se da una parte, infatti, l’imprenditore acquista il diritto di utilizzare i macchinari e gli impianti seppure a sue spese ed a suo rischio, il finanziatore si assicura una garanzia reale fino alla restituzione delle somme anticipate, rimanendo proprietario dei medesimi beni strumentali.[7]
Ricorrendo al siffatto strumento contrattuale, l’imprenditore che abbia bisogno di determinati beni strumentali, anziché acquistarli dal fabbricante per contanti o comperarli a rate e viste le difficoltà di ottenere in semplice locazione questo genere di beni, si accorda con un’impresa finanziaria specializzata (società di leasing) indicandole i beni di cui ha necessità. Quest’ultima società li acquisterà appositamente dal produttore concedendoli contemporaneamente in godimento all’imprenditore-utilizzatore dietro il pagamento di canoni periodici. Normalmente il regolamento d’interessi contrattuale prevede anche un’opzione d’acquisto che l’utilizzatore può esercitare al termine del rapporto ove desideri diventare proprietario del bene, in alternativa alla rinnovazione del rapporto o allo scioglimento della stesso.[8]
Si profila una funzione di finanziamento per le imprese che così possono godere delle attrezzature necessarie senza il più oneroso acquisto della loro proprietà.
Quale strumento alternativo di finanziamento rispetto ai tradizionali canali bancari e quindi fonte addizionale di credito, l’operazione di leasing consente alle imprese di conseguire la disponibilità di nuovi beni e nuovi mezzi per far fronte con tempestività alle innovazioni tecnologiche, evitando, nel contempo, pesanti immobilizzazioni di capitali e non rinunciando alla possibilità di diventarne proprietario al termine del rapporto.
A questi vantaggi se ne aggiungono altri di natura tributaria che spiegano l’enorme impiego che il contratto ha avuto non solo da parte degli imprenditori ma anche dei professionisti e dei consumatori.[9]
Oltre alle definizioni della Corte di Cassazione italiana e dell’autorevole dottrina cui si è fatto riferimento, ci sono altri formanti[10] che consentono di inquadrare meglio l’oggetto della ricerca.
Altre nozioni, infatti, sono rinvenibili nell’ambito di norme sott’ordinate alla legge, ma senza dubbio non prive d’incidenza sulla disciplina di un contratto che rimane, nel nostro ordinamento, sprovvisto di tipicità legale.
Si fa riferimento alle raccolte camerali degli usi. In particolare, la Camera di commercio di Milano definisce il leasing mobiliare come “Il contratto con il quale un soggetto detto locatore si obbliga a mettere a disposizione di un altro soggetto, detto locatario o conduttore, per un dato tempo, un bene mobile verso un corrispettivo a scadenze periodiche, determinato in relazione al valore del bene, alla durata del contratto ed altri elementi; detto bene è acquistato o fatto costruire dal locatore su scelta ed indicazione del conduttore con facoltà per quest’ultimo acquistarne la proprietà, alla scadenza del periodo del contratto, dietro versamento di un importo prestabilito”.[11]
L’obiettivo definitorio può essere perseguito anche facendo riferimento ai principi contabili internazionali. Nello IAS 17 si afferma: “Il leasing finanziario è il contratto con cui l’impresa concedente mette a disposizione dell’utilizzatrice un bene a quest’ultima strumentale, per un tempo determinato e verso il pagamento di un canone periodico; a tal fine, il bene oggetto del contratto può essere stato acquistato o realizzato dalla concedente su scelta o indicazione dell’utilizzatrice; con il leasing finanziario vengono sostanzialmente trasferiti in capo all’utilizzatrice tutti i rischi ed i vantaggi connessi alla proprietà del bene e la stessa proprietà del bene alla fine del periodo di locazione può essere trasferita o meno all’utilizzatrice”. [12]
Tra i formanti di natura sovranazionale che concorrono alla disciplina del leasing svolge un ruolo di primo piano la Convenzione Unidroit firmata ad Ottawa nel 1988 e dedicata al leasing finanziario internazionale. Essa contiene una definizione dell’operazione molto ampia ed articolata, con la quale si sceglie di concludere il presente excursus introduttivo: “L’operazione economica nella quale una parte (il concedente): a) stipula un contratto (il contratto di fornitura), sulla base delle indicazioni di un’altra parte (l’utilizzatore), con un terzo (il fornitore) in base al quale il concedente acquista impianti, materiali o altri beni strumentali (il bene o il bene strumentale) alle condizioni approvate dall’utilizzatore nella misura in cui lo concernono e b) stipula il contratto (il contratto di leasing) con l’utilizzatore dando a quest’ultimo il diritto di usare il bene contro pagamento di canoni. L’operazione presenta le seguenti caratteristiche: a) l’utilizzatore sceglie il bene ed il relativo fornitore senza fare primario affidamento sulla capacità di giudizio del concedente;
b) il bene è acquistato dal concedente in collegamento con un contratto di leasing, stipulato o da stipulare tra concedente ed utilizzatore e di cui il fornitore è a conoscenza; c) i canoni fissati nel contratto di leasing sono calcolati tenendo conto in particolare dell’ammortamento di tutto o di una parte sostanziale del bene. [Il leasing finanziario si configura] a prescindere dalla circostanza che l’utilizzatore abbia o meno, fin dal principio o in seguito, l’opzione di acquistare il bene o di prorogare il leasing per un periodo ulteriore ed a prescindere dal fatto che tale opzione possa essere esercitata per un prezzo o per un canone nominali”.[13]
Emergono con vigore i profili essenziali dell’operazione di leasing: la natura dei soggetti che la pongono in essere ed, in specie, dell’impresa finanziaria concedente, il profilo strutturale sostanziatesi nel collegamento funzionale (sia pure in senso atecnico) tra i due contratti di fornitura e di leasing e, non meno rilevante, la funzione economica che fa dell’operazione un importante strumento giuridico per il finanziamento delle imprese.[14]
2. Il significato del termine leasing: origini anglosassoni e diffusione nel vocabolario giuridico globale. Brevi considerazioni sull’importanza della traduzione giuridica. La legislazione francese: un emblematico caso di traduzione legislativa raffrontato all’esperienza giuridica italiana. Argomenti a favore della scelta del termine anglosassone in luogo delle altre opzioni terminologiche proposte da dottrina e giurisprudenza.
Il verbo inglese to lease è assimilabile al nostro “affittare” o “locare”.[15] Tale espressione, anche nella sua accezione sostantivata lease, nel linguaggio giuridico anglosassone, ha individuato originariamente un contratto d’affitto avente ad oggetto in particolare fondi rustici. Mediante la suddetta attività contrattuale, il proprietario del fondo rustico – c.d. lessor – cede il diritto a godere dello stesso ad un altro soggetto – il c.d. lessee. [16]
Traendo linfa dal vecchio istituto terriero del lease (tuttora familiare al diritto immobiliare degli ordinamenti di common law), nella prassi d’affari statunitense del secolo scorso, lo stesso termine ha iniziato ad indicare ipotesi di affitto aventi oggetti diversi. L’esito di tale processo evolutivo del lease è rappresentato dalle operazioni contrattuali indicate oggi con il termine leasing. Esso pertanto, si riferisce ad una precisa tipologia contrattuale che negli Stati Uniti è oggetto d’espressa disciplina legislativa.[17] Questo termine è oramai di uso comune anche in paesi di lingua e tradizione giuridica diverse da quella d’origine .
Appare opportuno individuare, tra le molteplici possibili, l’opzione terminologica più idonea nell’ambito di una ricerca di diritto italiano che aspira a fornire una serie di spunti di carattere latu sensu comparatistico. Sono a tal fine essenziali alcune brevi considerazioni riguardanti l’importanza della traduzione giuridica nella scienza del diritto comparato.
Com’è stato autorevolmente affermato,[18] il diritto precede la lingua, ma è necessariamente veicolato dal linguaggio: i termini giuridici veicolano istituti e regole che altrimenti non possono essere espressi compiutamente.
L’attività di traduzione giuridica spetta solo ed esclusivamente al giurista ed, in particolar modo, al comparatista.[19] Il traduttore giuridico di fronte al suo compito può assumere tre atteggiamenti evidenziati dalla scienza comparatistica: a) può rinunciare a tradurre, laddove ciò sia inutile e/o fuorviante; b) può individuare le differenze tra il termine da tradurre ed il termine ad esso più vicino fra quanti ne offre la lingua che intenda utilizzare, accertare che tali differenze siano irrilevanti ai fini della specifica indagine che si sta conducendo e poi procedere alla traduzione; c) può, in fine, creare appositamente il neologismo necessario per esprimere il significato del termine straniero.[20]
Con riguardo al leasing si ritiene preferibile l’atteggiamento sub a), vale a dire astenersi da ogni tentativo di traduzione che risulterebbe inutile e potenzialmente fuorviante. Preliminarmente è, però, doverosa un’avvertenza: in alcuni casi la traduzione di un termine giuridico straniero viene effettuata dal legislatore, e di conseguenza il traduttore giuridico deve ritenersi senz’altro liberato dai problemi inerenti la sua complessa attività.[21] In tal caso, infatti, è il potere politico a stabilire mediante l’attività legislativa che due termini sono equivalenti, pertanto, essi devono essere considerati tali dal traduttore, quantomeno in quel sistema; e questo anche se in altri sistemi ciò può non avvenire. Egli in sostanza non avrà il difficile compito di scegliere tra i tre atteggiamenti cui si è fatto riferimento.
In tal senso sembra calzante quanto avvenuto nell’ordinamento giuridico francese a proposito della qualificazione del contratto di leasing. Ci troviamo, infatti, di fronte ad un’ eccezione negli ordinamenti di civil law che potrebbe rivelarsi insidiosa per il lettore italiano. Il legislatore transalpino ben quaranta anni or sono (legge n. 66-455) è intervenuto sul leasing qualificandolo con l’espressione autoctona crédit-bail.[22] Con più precisione, possiamo affermare che crédit-bail è la definizione legislativa mediante la quale la legge francese ha individuato il leasing di beni strumentali all’esercizio dell’impresa che rappresenta ancora oggi il prototipo contrattuale nell’ambito di un ormai complesso genus di operazioni negoziali qualificabili come contratti di leasing. Di conseguenza, il termine anglosassone in Francia è generalmente utilizzato per indicare, riferendosi ad una sorta di categoria residuale, tutte le operazioni di leasing che non rientrano nell’alveo applicativo della legge n. 66-455 del 2 luglio 1966, non integrando la definizione legale di crédit-bail per la mancanza di un qualunque requisito. Una categoria, dunque, ricavata per sottrazione eliminando dal genus omnicomprensivo della location financiere il sottoinsieme dei crédit-bail juridico sensu. È altamente significativo che il legislatore francese nel 1975 con legge 1349 del 31 dicembre abbia vietato l’utilizzo del termine inglese![23]
L’emblematico caso francese e l’utilizzo forzatamente residuale del termine leasing in seguito al ripetuto e invasivo intervento definitorio del legislatore, confermano che “il rapporto tra parola e concetto non rimane uguale a se stesso in tutte le lingue giuridiche”.[24]
Possiamo a questo punto passare all’esperienza giuridica italiana al fine di giustificare la scelta anticipata supra. Nei primi anni dalla ricezione del leasing nel nostro ordinamento, abbiamo assistito all’utilizzo di diverse locuzioni frutto probabilmente dell’insana abitudine, propria di molti giuristi e operatori municipali, di ricondurre forzatamente un nuovo strumento contrattuale, quale era allora il leasing, agli schemi classificatori della propria tradizione giuridica, e quindi, in questo caso, alle fattispecie legalmente tipiche presenti all’interno del nostro Codice Civile.[25] A partire dagli anni ottanta assistiamo all’uso promiscuo da parte di dottrina e giurisprudenza delle espressioni leasing e locazione finanziaria. Inoltre, bisogna rilevare che tuttora giurisprudenza e dottrina non sono concordanti nemmeno sull’utilizzo della locuzione “locazione finanziaria”, in alcuni casi riferendo la stessa locuzione all’intera operazione di leasing, in altri casi al contratto atipico su cui questa si basa.[26] In tale contesto c’è chi[27] ritiene che per locazione finanziaria debba intendersi il solo contratto atipico stipulato tra società di leasing ed utilizzatore e non già l’intera operazione di leasing.
Sembrerebbe preferibile, invero, l’espressione anglosassone rispetto a quelle italiane sulla base degli argomenti che seguono.[28] Innanzi tutto, non c’è nessuna traduzione effettuata dal legislatore italiano che possa ritenersi idonea a vincolare l’interprete all’utilizzo di una espressione diversa da quella anglosassone. È ben noto che la locuzione italiana sia stata, anche di recente, recepita dal nostro legislatore, ma nell’ambito di una disciplina che riguarda il fallimento,[29] e che, pertanto, non può ritenersi rilevante ai fini della risoluzione di tale questione linguistico-definitoria.
Tutto ciò premesso, è possibile osservare che l’espressione “locazione finanziaria” è stata ritenuta in passato fuorviante da alcuni studiosi perché facilmente associabile alla fattispecie contrattuale legalmente tipica della locazione.[30] Tale considerazione sembra senz’altro condivisibile in quanto il leasing, pur presentando punti di contatto con il contratto di locazione, con la vendita con riserva di proprietà e con il mutuo, ha suoi connotati peculiari che impongono un inquadramento autonomo della figura contrattuale per scongiurare qualsiasi pericolo di confusione.[31]
Un altro argomento: come meglio si vedrà nei paragrafi successivi, non ci troviamo di fronte ad un istituto nato e sviluppatosi nel nostro ordinamento, ma frutto di recezione, e pertanto elaborato da altri. Si comprende che ogni tentativo di traduzione corra il rischio di risultare superfluo e soprattutto fuorviante. “Quando un modello giuridico viene imitato si ricorre talora a prestiti o a calchi per indicare nella nuova lingua il modello originario. In questi casi la denominazione ci trasmette informazioni che si riferiscono alla circolazione dei modelli”.[32] Traendo spunto dalle parole del Sacco è possibile osservare che utilizzare il termine anglosassone leasing consente di trasmettere immediatamente una serie d’informazioni riguardanti l’origine di tale strumento contrattuale e la sua non riconducibilità ad altre fattispecie contrattuali disciplinate dal legislatore italiano.
A questo punto è possibile sviluppare un’osservazione decisiva: anche se con il termine leasing s’indica ormai una gamma molto ampia di contratti derivanti dal suo enorme sviluppo e dalle sue svariate applicazioni,[33] tale opzione terminologica è ormai d’uso comune, oltre che negli Stati Uniti, anche in Europa ed in Asia.[34] Appare, pertanto, la più idonea ad individuare il contratto, specie se si intende superare un punto di vista municipale del tema.
Un ultimo rilievo attiene all’inserimento del leasing nella pratica internazionale degli affari. È ormai evidente che l’utilizzo della lingua inglese in tale ambito sia dominante. Basti pensare al frequente ricorso ai grandi studi legali statunitensi e inglesi per la redazione di tali contratti, alla scelta del diritto di New York o inglese come legge sostanziale dalla quale il contratto deve ritenersi regolato e, infine, alla scelta della giurisdizione di New York o inglese per dirimere eventuali controversie sul rapporto.[35]
L’opzione prescelta, quindi, vuole rappresentare la soluzione più opportuna nell’ambito di un processo di denazionalizzazione del contratto, determinato, da una parte dalla intensa regulatory competition tra ordinamenti diversi, dall’altra dalle proposte di unificazione che interessano soprattutto il diritto privato contrattuale. Tali scenari implicano il confronto non solo con sistemi diversi ma anche con lingue diverse[36] e il giurista moderno che con essi deve misurarsi non può evitare il contatto con le lingue oltre che con i diritti stranieri. L’accademico, ma anche l’operatore, sono messi costantemente di fronte alla circolazione di modelli e di istituti giuridici e di conseguenza obbligati a confrontarsi con le lingue attraverso le quali tali modelli si esprimono. Anche l’italiano giuridico del resto, influenzato dal plurilinguismo, ha recepito parole e nozioni da lingue e diritti stranieri. Tra gli esempi più ovvi il vocabolo privacy, la terminologia dei mercati finanziari, e per l’appunto i cosiddetti nuovi contratti, tra i quali il leasing. Si tratta, quindi, di termini stranieri che ormai fanno parte del linguaggio giuridico italiano.[37]
Non è possibile prevedere se la scienza giuridica giungerà mai alla pur auspicabile costruzione di un vocabolario giuridico sovranazionale e sovrasistemico che possa fungere da lingua uniforme per veicolare un diritto che necessariamente attraversa le frontiere. Senza dubbio, evitare di tradurre ciò che è inutile ed inopportuno, costituisce un primo passo per la realizzazione dell’impresa!
3. Il leasing tra passato e presente. Strumenti contrattuali affini utilizzati dagli antichi. La nascita della moderna operazione nell’esperienza giuridico-economica statunitense, il suo recepimento negli ordinamenti europei e l’affermazione in Italia.
Qualsivoglia tentativo di comparazione sincronica deve essere intrapreso solo dopo aver considerato le vicende diacroniche che hanno interessato l’istituto, il modello, la regola operativa oggetto dell’indagine comparativa.[38] Per questo motivo si lumeggiano gli antecedenti storici del contratto, per poi passare alla nascita ed allo sviluppo del leasing moderno nella prassi d’affari americana. Successivamente, si rappresenteranno alcuni dati essenziali relativi al recepimento dell’istituto negli ordinamenti europei.
Il prestito ha sempre rappresentato uno schema fondamentale nei rapporti di scambio tra i soggetti.[39] Per questo, non deve stupire che nell’antichità si riscontrino contratti d’affitto che condividono con il leasing la funzione economica latu sensu di finanziamento e che, per questo, vengono sovente definiti, “antecedenti storici” dell’istituto.
Nel terzo millennio a.C. in Egitto un piccolo proprietario terriero concede in locazione un terreno ad un Muskerne (o piccolo uomo) con tutte le attrezzature, schiavi e armamenti, e dietro corrispettivo del pagamento di canoni periodici, per un periodo pari a sette inondazioni del Nilo. Fiorenti attività negoziali avvicinabili al leasing sono rinvenibili, poi, in Mesopotamia, nonché durante l’epoca giustinianea e presso i Veneziani nel XIV secolo.[40]
Operazioni d’affitto realizzate per il perseguimento di scopi finanziari ed aventi ad oggetto soprattutto carri e cavalli, trovano diffusione negli Stati Uniti all’inizio del secolo XVIII. Le prime operazioni locazione di beni strumentali vengono realizzate nel 1870 quando i fabbricanti di mezzi di trasporto come barche, carri e locomotive incrementano sensibilmente la loro attività. L’utilizzo di tale schema negoziale si consolida con lo sviluppo delle macchine da cucito prodotte dalla Singer Sewing Company: quest’impresa introduce la pratica dell’affitto alternativamente alla vendita dei propri prodotti e, già nel 1900, tale forma di locazione con finalità latu sensu finanziarie viene estesa ai treni, facendo sì che le compagnie di leasing come Union Tnk Car e North American Car ottengano un rapido incremento del proprio volume d’affari impegnandosi nella fornitura di tale servizio. Analogamente le società americane di telecomunicazioni operanti nel 1920, come la Bell Telephon System, decidono di affittare oltre che vendere i telefoni.[41]
Il leasing nella sua dimensione contemporanea di autonoma forma contrattuale, nasce negli Stati Uniti d’America del secondo dopo-guerra. È opportuno contestualizzare tali vicende: nei paesi di common law la creazione di nuove forme contrattuali risulta facilitata in virtù della maggiore elasticità dei sistemi normativi.[42] I settori produttivi dell’industria pesante vengono coinvolti nella difficile ma frenetica attività di riconversione post-bellica e la crescita rapida dei volumi di produzione e della domanda sul mercato determinano una massiccia richiesta di finanziamenti. Nell’ambiente economico dell’epoca non si riscontra un consolidato sistema di credito a medio termine, visto che da sempre la maggioranza delle imprese americane si è sviluppata in funzione delle proprie elevate capacità di autofinanziamento. Sono gli stessi produttori che, con il contributo delle banche, promuovono l’esordio sul mercato di un nuovo tipo di contratto, il leasing. Una tecnica che è in grado di soddisfare meglio le nuove esigenze finanziarie consentendo alle imprese di mantenere integri i benefici fiscali legati ad ogni singolo investimento. Per queste ragioni il leasing riscuote successo fin dai primi anni dalla sua introduzione.
Del resto, da sempre l’impresa spinge il sistema del credito e lo stesso legislatore verso forme di finanziamento “specializzate”.[43]
Riassumendo, quindi, possiamo affermare che negli Stati Uniti il leasing ha trovato condizioni particolarmente favorevoli al proprio sviluppo per tre ordini di motivi: a) un mercato di capitali a medio termine poco efficiente; b) una disciplina fiscale all’epoca relativamente restrittiva in materia di ammortamenti; c) un’economia in espansione dai margini di profitto apprezzabili, imponendo nello stesso tempo alle industrie un rapido rinnovamento dei loro impianti sotto la spinta del progresso tecnico.[44] Comprendiamo adesso in quale contesto economico e normativo nel 1949, la Equitable Life Insurance Society introduce un innovativo servizio per finanziare i mezzi di trasporto su strada che determina la grande e definitiva affermazione nel sistema finanziario del leasing così come lo intendiamo oggi. Tale società acquista beni strumentali per concederli in locazione agli operatori economici che hanno interesse ad utilizzarli. Nel 1954 la U. S. Leasing Corporation si impone come la prima compagnia in grado di fornire un servizio identico a quello che noi indichiamo con il nome di leasing. Nel 1962, viene costituita la American Association of Equipment lessors (AAEL) che opera per promuovere il leasing ed il rispetto di una disciplina analitica dello stesso e nello stesso periodo, società come Xerox e IBM contribuiscono a diffondere l’utilizzo del leasing.
A partire dal 1970, a causa di una vistosa riduzione della quota detenuta nel mercato dei servizi finanziari, anche gli istituti di credito iniziano ad ampliare la gamma dei prodotti offerti effettuando operazioni di leasing. La prima società di leasing in Europa viene costituita in conseguenza dell’espansione delle società americane. Prima è la prassi negoziale inglese ad importare tale tecnica contrattuale, nel 1960, poi, in Francia la Locafrance, creata nel 1962 e controllata da un gruppo di banche e compagnie di assicurazioni, si afferma come la prima impresa di leasing. Le società americane intervengono nella creazione di varie società in Europa. Lo stesso fenomeno recettivo interessa anche l’Italia, con la costituzione della Locatrice Italiana S.p.a. nel 1963. Seguono, quindi, analoghe vicende in Germania e Svizzera e, successivamente, le associazioni nazionali dei maggiori paesi europei si federano nella Leaseurope.[45]
Nei decenni successivi tale sviluppo si è consolida: il leasing si è insinua nel mercato degli strumenti finanziari come tecnica in grado di soddisfare nuove e crescenti esigenze di finanziamento “conservando integri i benefici fiscali legati agli investimenti sotto forma di elevate aliquote di ammortamento a carico delle gestioni”.[46] Negli U.S.A. agli inizi degli anni ‘80 il leasing copre il 20% circa del volume totale degli investimenti industriali. Si impone dapprima in Gran Bretagna e poi nel resto dell’Europa, in Giappone e in America latina, nonché in vari stati dell’Africa e nei Paesi ad economia collettivizzata (Europa orientale e Cina). In Italia il leasing debutta, come visto, nei primi anni ‘60 e da allora la crescita del fenomeno risulta costante.
Più precisamente, nel nostro Paese una vera e propria attività ha inizio nel 1966, anno in cui l’ammontare degli investimenti finanziati con operazioni di tal genere tocca i 2 miliardi di vecchie Lire. Tale ammontare, nel 1980, è di circa 1200 miliardi di lire per arrivare, nel 1990 a 33.361 miliardi.[47] Una crescita del genere testimonia un innesto perfettamente riuscito nella nostra prassi commerciale.
Motivi di quest’affermazione non sono difficili da individuare: innanzitutto, il favor con il quale il legislatore tributario disciplina il contratto non penalizza gli interessi di nessuna parte: all’utilizzatore, da un lato, si permette di dedurre dal proprio reddito le somme pagate a titolo di corrispettivo contrattuale; dall’altro lato, è consentito alle imprese di leasing l’ammortamento fiscale dei beni che sono concessi in godimento all’utilizzatore.[48] Agli occhi d’imprenditori e professionisti il confronto con le tecniche di finanziamento ordinarie appare illuminante. Basti pensare al caso diverso in cui l’impresa mutuataria sarebbe costretta a dedurre dal proprio reddito soltanto una quota degli interessi passivi sulle somme prese a prestito.[49] In passato il legislatore ha avvertito, proprio per questi motivi, la necessità di predisporre regole dirette ad un più severo controllo circa la necessità per il singolo contribuente di stipulare un contratto di leasing.[50] Ricordiamo che il successo e l’immediata diffusione di tale istituto in Italia trova un alleato di peso non trascurabile nella normativa bancaria dell’epoca che ha consentito, per il tramite dei nuovi strumenti, operazioni altrimenti interdette ad una banca di credito ordinario.
Ad oggi, dopo vicende economiche e normative così complesse, il termine leasing è universalmente usato per individuare una variegata tecnica contrattuale che condivide con l’antico istituto terriero del lease solo un elemento centrale del regolamento d’interessi cristallizzato nel contratto: l’attribuzione di un diritto patrimoniale di godimento. [51]
4. Il leasing come fenomeno dell’economia. Il ruolo dell’istituto nel mercato dei servizi finanziari. Aspetti quantitativi del fenomeno.
Osservare un fenomeno giuridico avulso dalla complessità dei dati metagiuridici che di esso fanno parte significa non analizzarlo correttamente.[52] In particolare il leasing, quale business contract, va necessariamente calato nella complessa realtà economica cui appartiene: il mercato dei servizi finanziari.[53]
Da circa 40 anni il leasing, come detto, rappresenta un fenomeno importante anche nel mercato mondiale dei servizi finanziari e vi è oramai entrato quale componente consueta ed apprezzata dell’operatività finanziaria di tutti i giorni, tanto da suscitare l’attenzione dei legislatori sia in materia tributaria che civile.
Nel nostro Paese, nonostante la diffusione di tale tecnica di finanziamento abbia subito dei rallentamenti a partire dall’inizio degli anni ‘80, in seguito ad una crescita geometrica nel precedente quinquennio, essa ha progressivamente guadagnato quote di mercato e, seppure con ritmi di crescita inferiori a quelli rinvenuti nei mercati statunitense, inglese e francese, si è imposta definitivamente prevalendo rispetto ad altre forme di finanziamento non agevolato.
Tale sviluppo può essere suddiviso in tre fasi: la prima, molto lenta, nella quale le società di leasing hanno cercato di far conoscere la nuova tecnica agli operatori economici e di dinamizzare e affinare le procedure operative.
La seconda, tra il 1972 ed il 1976, durante le quale, grazie al proliferare delle società di leasing, abbiamo assistito ad una specializzazione delle stesse, ad esempio nel campo immobiliare piuttosto che nel comparto dei beni strumentali o degli autoveicoli. Senza dubbio ha contribuito a favorire l’utilizzazione del nuovo strumento finanziario l’introduzione nel nostro sistema tributario dell’IVA in sostituzione dell’IGE. Quest’ultima, infatti, ha frenato la diffusione del leasing comportando un costo duplicato per l’utilizzatore, senza possibilità di detrazione. Con l’IVA[54] il discorso cambia radicalmente, infatti, l’imposta viene di fatto finanziata perchè la società di leasing paga tutta l’imposta indiretta al momento dell’acquisto del bene e poi l’addebita, cessione per cessione, all’utilizzatore. L’IVA, quindi, risulta così neutra nell’operazione complessiva di leasing.[55]
La terza fase è tuttora in corso e, forse, in fase di compimento: il leasing ha compiuto un salto di qualità divenendo veicolo di finanziamento preferenziale delle strutture industriali “minori” del Paese. I settori merceologici nell’ambito dei quali tale contratto ha trovato maggior favore sono quello immobiliare, metalmeccanico e siderurgico. Analoga diffusione c’è stata tra le aziende del settore tessile, nonché tra quelle impegnate nei trasporti. Negli ultimi tempi hanno cominciato a ricorrere al leasing le aziende dei settore agricolo, alimentare, quelle che si occupano della lavorazione delle materie plastiche e le industrie grafiche.[56]
Non è possibile omettere che una situazione di sostanziale deregulation abbia determinato nei primi anni ‘80 la proliferazione delle società di leasing, visto che nuovi operatori si sono introdotti nel settore, promanando non soltanto dal settore bancario e creditizio, ma anche da quello industriale, finanziario, pubblico, nonché da un mondo di operatori minori che si è affacciato a questa ribalta con particolare baldanza, rappresentando, secondo valutazioni sicuramente opinabili, ma probabilmente non lontane dal vero, l’80% delle società operanti che coprivano però meno del 15% del totale del valore dei beni concessi in leasing.[57]
L’introduzione di una normativa più severa per quanto attiene alla possibilità di esercitare l’attività di leasing ha evidentemente determinato il cambiamento di tale trend.[58] Oggi il mercato italiano del leasing, con uno stipulato di oltre 44 miliardi di Euro nel 2005, rappresenta il terzo mercato europeo dopo Regno Unito e Germania, ma davanti alla Francia, che pure ha un PIL superiore a quello italiano. Nel 2003, per la prima volta dal1996, si è registrata una flessione della crescita di circa il 15% dello stipulato rispetto al 2002, anche se nel 2004 vi è stata un incremento netto superiore al 10%.
Nonostante tale recente flessione il mercato italiano presenta ancora interessanti prospettive di sviluppo, in quanto la penetrazione del leasing sugli investimenti resta, comunque, inferiore a quella degli altri principali paesi europei. In Italia il leasing si caratterizza per essere un’importante fonte di finanziamento per gli investimenti, rappresentando circa il 10 % del totale degli impieghi a medio-lungo termine.
Rispetto agli altri Paesi europei, qualora si considerino i diversi segmenti di mercato, la composizione del mercato italiano e fortemente differenziata. Al primo posto per il segmento immobiliare (14 miliardi di Euro nel 2003 pari 40% del mercato europeo) e solo al quarto posto per il leasing mobiliare (auto, strumentale, aeronavale).[59]
Un elemento chiave nell’analisi del mercato del leasing e delle sue dinamiche è costituito dal pricing visto che il leasing si trova a competere con le forme di finanziamento tipiche della tradizionale offerta bancaria.
Storicamente il leasing si è caratterizzato per un pricing più elevato rispetto alle altre forme di finanziamento a medio e a lungo termine. Ciò, sia a causa della componente di servizio implicita, sia per la non obbligatorietà di specifiche garanzie reali, in quanto parzialmente surrogate dalla proprietà formale del bene da parte della banca/società erogatrice. Il leasing si conferma pertanto una forma di finanziamento più onerosa di altre, ma il ribasso dei tassi d’interesse degli ultimi anni ha significativamente ridotto il differenziale assoluto tra leasing e mutui, favorendo, come visto, il segmento immobiliare.
La clientela tipica delle società di leasing è rappresentata da PMI che utilizzano il leasing anche per i benefici fiscali ad esso associati.[60]
I prodotti sostitutivi tradizionali sono costituiti dai mutui industriali per il segmento strumentale, dai mutui industriali e fondiari per il segmento immobiliare e dal credito al consumo per il segmento auto, in particolare, quando l’acquirente è dotato di partita IVA, avendo la possibilità di acquistare una vettura sia tramite un leasing finanziario nella sua qualità di imprenditore, sia attraverso il credito al consumo come privato.
Una temibile minaccia[61] per il mercato del leasing è costituita dal rischio di cannibalizzazione, in quanto prodotti alternativi vengono distribuiti attraverso la stessa rete bancaria che, in qualche caso e per ragioni legate al raggiungimento del budget del singolo punto vendita, potrebbe essere più interessata a vendere i propri prodotti (tipicamente mutui) che quelli di società del gruppo (leasing e, in parte, credito al consumo).
Altro rischio[62] avvertito dalle imprese di leasing è costituito dagli operatori non regolamentati, che possono entrare nel mercato del leasing finanziario offrendo prodotti alternativi allo stesso. Questa possibilità viene di fatto prospettata dallo IAS 17 in quanto, venendo a mancare l’esistenza dell’opzione finale come elemento discriminante tra leasing finanziario e operativo e lasciando la classificazione dell’operazione alla discrezione dell’ente erogatore e dell’utilizzatore, apre la strada alla possibilità che operatori non finanziari offrano prodotti de facto indistinguibili da quelli offribili da banche e società finanziarie. Questo fenomeno si inserisce in un contesto che già oggi vede la crescita di forme di leasing finalizzate all’utilizzo del bene piuttosto che al finanziamento dell’acquisto dello stesso; è questo il caso delle società di renting automobilistico, spesso emanazione di società finanziarie captive di gruppi industriali, e del leasing su beni strumentali a rapida obsolescenza tecnica. A ciò occorre aggiungere che vi è un trend di lungo periodo di tipo socio-demografico in virtù del quale le nuove generazioni risultano maggiormente orientate verso l’utilizzo dei beni anche senza averne la titolarità formale (e non solo di quelli strumentali all’attività di impresa) rispetto all’acquisto della loro proprietà.[63]
Gli ultimi dati[64] ci dicono che il leasing nel 2005 è cresciuto del 15,6 % rispetto all’anno precedente, superando, come detto, i 44 miliardi di euro e nonostante la congiuntura economica sfavorevole e soprattutto il rallentamento degli investimenti fissi lordi, il comparto ha continuato nella crescita anche se in maniera differenziata nei diversi segmenti. La dinamica a due cifre è proseguita anche nel primo quadrimestre 2006 [65] durante il quale il leasing ha conseguito una crescita del 15, 7 % con uno stipulato complessivo di oltre 14,3 miliardi.
A livello europeo l’Italia si è classificata ancora una volta al terzo posto in assoluto, rappresentando da sola circa il 17 % dello stipulato. Il comparto immobiliare si conferma al primo posto con uno stipulato di 22 miliardi di euro. (+ 31% sul 2004) coprendo circa la metà del valore dei complessivi contratti di leasing. In forte crescita il leasing immobiliare riguardante beni di fascia dì importo più elevata. Il leasing di autoveicoli è cresciuto del 3% e copre il 20% del totale con 8.9 miliardi di euro, ma nei primi 4 mesi del 2006 la crescita è raddoppiata.[66]
A livello territoriale, le regioni del Nordovest registrano la maggiore concentrazione di contratti stipulati con il 38% nel 2005; segue il Nordest (26%), l’Italia centrale (22%) ed il Sud (che insieme alle isole raggiunge il 13%).[67]
5. Il momento fiscale del contratto quale aspetto inscindibile dai suoi profili civilistici: l’opportunità rappresentata dal leasing e l’esempio significativo del leasing di azioni.
Nel tentativo di dare una rappresentazione completa del leasing sembra opportuno non sottovalutarne il “momento fiscale”.[68] L’espressione coglie bene la stretta connessione tra profili fiscali e privatistici dell’istituto, che risulta, del resto, ancor più accentuata quando si parla di “nuovi contratti”. Le norme fiscali, infatti, spesso contribuiscono alla formazione di nuove figure contrattuali o all’adattamento di quelle esistenti perché alla base della tassazione c’è sempre uno schema contrattuale utilizzato per far circolare la ricchezza. È innegabile, infatti, che nella vita economica vi sia la costante aspirazione a raggiungere i risultati migliori sopportando costi esigui e tra questi, i tributi in genere occupano una posizione molto rilevante.
Già da alcuni cenni nelle pagine precedenti, si rinviene l’importante ruolo svolto dalla disciplina fiscale nella diffusione del contratto di leasing ed è vero che tanto gli imprenditori quanto i consumatori scelgono di stipulare un determinato contratto perché intendono perseguire precisi risultati economici; ma se questi ultimi possono essere ottenuti alternativamente attraverso una pluralità di strumenti giuridici, è facilmente intuibile che, coeteris paribus, verrano utilizzati quelli fiscalmente meno onerosi.
L’autonomia negoziale non si esplica quindi, come si potrebbe ingenuamente pensare, prescindendo dalle norme fiscali applicabili: essa rappresenta una posterius e non un prius rispetto ad esse in quanto i contraenti prima individuano il regime fiscale applicabile e solo dopo scelgono lo strumento negoziale più adatto alle loro necessità.[69]
Il rapporto tra diritto tributario e diritto civile non è però solo di dipendenza ma anche di reciproco condizionamento. In alcuni casi il legislatore tributario, attento alla realtà economica, anticipa l’accoglimento nell’ordinamento di nuovi istituti.[70] Il diritto mette a disposizione dei privati una pluralità di strumenti giuridici in grado di raggiungere lo stesso risultato economico (il diritto ammette l’abitazionista e il conduttore: alla ben nota eterogeneità dei diritti in capo ai due soggetti si contrappone l’innegabile equivalenza delle rispettive posizioni sul piano economico; stesso discorso vale per il mandatario senza rappresentanza e il procuratore e così via).[71]
I rapporti giuridici pertanto, vengono strutturati dall’autonomia privata in modo da beneficiare dell’alternativa fiscalmente più conveniente. Questo modo di operare può talvolta condurre alla stipulazione di un contratto atipico in luogo di un contratto tipico.
Il discorso fatto ben si attaglia senza dubbio al leasing di beni strumentali, in quanto esso, in luogo del loro acquisto diretto, può consentire all’utilizzatore una più rapida deduzione del costo d’investimento rispetto ai (in ipotesi più lunghi) tempi del processo di ammortamento.
Ancor più interessante è utilizzare tale prospettiva d’indagine per valutare una delle più recenti evoluzioni del contratto: il leasing azionario. L’atipicità dello schema può essere determinata non solo dall’utilizzo di uno regolamento negoziale non previsto dalla legge, ma altresì dalla natura dell’oggetto dedotto nel contratto.
Il leasing tradizionalmente prevede che il conduttore venga immesso nel possesso di un bene (in genere di natura strumentale) per trarne direttamente delle utilità. Si è nutrito di conseguenza qualche dubbio[72] intorno alla possibilità che lo stesso strumento potesse essere adattato ai titoli azionari.
In ogni caso per chi[73] ammette la configurabilità del leasing azionario (in alcuni casi strutturato addirittura nella forma di lease back), lo schema consentirebbe la deduzione sistematica di quote d’investimento (sotto forma di canoni di locazione), possibilità preclusa invece nel caso di acquisto diretto della proprietà sui titoli.
Il principio di autonomia contrattuale, di cui all’art 1322 c.c., consente ai privati, attraverso la conclusione di contratti atipici o l’adattamento di modelli tipizzati, di fare shopping tra gli strumenti giuridici idonei al raggiungimento degli scopi economici che essi si sono prefissi, sfruttando così il carattere spesso “frammentario” della legge tributaria, la natura casistica delle fattispecie previste dalle relative norme e il divieto di analogia in tema di norme impositrici.[74]
6. Premesse metodologiche. Una prospettiva sovranazionale resa necessaria dalla globalizzazione dei mercati e dal conseguente spazio giuridico globale, tra il sogno di un diritto privato uniforme e la cruda realtà della regulatory competition. La comparazione quale metodo scientifico e il diritto comparato latu sensu quale approccio prescelto.
Il leasing ha ormai raggiunto un elevatissimo grado di sofisticazione. I suoi molteplici e complessi profili sono oggetto di studio da parte di economisti e giuristi. Gli economisti[75] che studiano le problematiche legate alla finanza aziendale si sono dedicati all’analisi del fenomeno fin dai primi anni dalla sua introduzione nel mercato dei servizi finanziari.
Per quanto riguarda poi i profili giuridici, vi sono molteplici aspetti dell’istituto, peraltro profondamente interconnessi, senz’altro degni di studio. Il leasing infatti, è prima di tutto un contratto d’impresa[76] e, come tale, è da sempre oggetto di studio da parte dei privatisti, siano essi civilisti o commercialisti.[77] Inoltre, viste le peculiarità della sua disciplina tributaria, è oggetto di studio anche da parte dei cultori di questa scienza.
Indispensabile, poi, è lo sforzo di collocare gli istituti in una prospettiva sovranazionale.[78] Lo studio delle vicende del leasing nell’esperienza giuridica italiana non esonera, infatti, l’interprete dall’analisi della disciplina della fattispecie in altri contesti ordinamentali del mondo occidentale,[79] senza sottovalutare, inoltre, l’analisi del leasing internazionale, fase quest’ultima, logicamente e cronologicamente successiva della ricerca.[80]
La disciplina del leasing è da ricercarsi oggi nella molteplicità dei formanti che contribuiscono a regolarlo a livello nazionale e sovranazionale.[81] In tal senso, limitarsi ad un’analisi territoriale risulterebbe fuorviante, riducendo arbitrariamente lo spazio giuridico entro il quale tale contratto viene utilizzato.
S’intende argomentare la ritenuta ineludibilità di una trattazione che superi le frontiere nazionali. Il leasing è, come detto in precedenza, un contratto d’impresa. Nello specifico, almeno uno dei contraenti (il concedente) è imprenditore che stipula nell’esercizio della propria attività imprenditoriale. Il più delle volte, inoltre, anche l’altro contraente (utilizzatore) è imprenditore che attraverso il leasing ottiene il godimento dei beni strumentali di cui ha bisogno.[82] Un contratto del genere pertanto, va valutato come strumento d’azione degli operatori economici nell’ambito dei mercati.[83] Ebbene, è noto che la globalizzazione dei mercati è fenomeno in atto, con il quale bisogna necessariamente confrontarsi, a prescindere dalle posizioni apologetiche o critiche che rispetto ad esso si intendano assumere.[84] Il mercato è un insieme di regole[85] e conseguenza della globalizzazione sul fronte del diritto è la creazione di uno spazio giuridico globale entro il quale debbono necessariamente muoversi avvocati, giudici, e studiosi del diritto. Ad essi non sarà più richiesta la conoscenza mnemonica di leggi e sentenze del proprio ordinamento, ma la capacità di individuare gli strumenti giuridici più idonei al raggiungimento del risultato perseguito, valutandone la compatibilità con i contesti ordinamentali entro i quali di volta in volta dovranno essere calati.[86] Non solo: in molti casi il consulente giuridico avrà l’opportunità di scegliere il contesto ordinamentale più vantaggioso entro il quale realizzare l’operazione perseguita. A tal proposito sono molti gli esempi proponibili: un soggetto che investe nel mercato immobiliare sceglie, in luogo del proprio, l’ordinamento inglese o altro di common law per costituire un trust ed eludere in questo modo l’applicazione di una serie di norme restrittive a tutela della trasparenza per quanto attiene alla titolarità di immobili e partecipazioni societarie o analogamente per evitare l’applicazione delle norme che gli imporrebbero la successione necessaria e il rispetto della quota di legittima. Altro esempio: due soggetti scelgono per stipulare un contratto oppure quale sede di una società, un ordinamento diverso da quello di provenienza al fine di ottenere dei vantaggi fiscali.[87] Analogamente due coniugi, intenzionati ad esercitare un’attività imprenditoriale in forma associata decidono di costituire una società all’estero per sottrarsi ad un regime normativo particolarmente restrittivo in materia di capitale sociale minimo.[88] Ancora si pensi ad un aspirante professionista che si reca all’estero per conseguire un titolo professionale con minore dispendio di tempi ed energie per poi esercitare l’attività in un altro paese nel quale vigono criteri più selettivi per l’accesso alla stessa professione;[89] si valuti, in fine, la possibilità di individuare attraverso l’autonomia privata il diritto che dovrà essere eventualmente applicato in caso di arbitrato.[90]
Gli esempi passati in rassegna[91] sottolineano che le moderne necessità connesse all’esercizio delle professioni legali portano il giurista a muoversi in un contesto di competizione tra ordinamenti.[92]
Altra conseguenza della globalizzazione è senza dubbio la creazione di un corpus di norme convenzionali che vengono avvertite come vincolanti dagli operatori ben oltre le frontiere nazionali. Oggi si parla pacificamente[93] di una nuova lex mercatoria imposta dalla prassi dei nuovi mercatores: gli imprenditori che, muovendosi nel mercato globale, utilizzano regole uniformi. Oggi il professionista, privatista e tributarista soprattutto, deve essere in grado di comparare all’occorrenza i regimi normativi dei diversi ordinamenti, in modo da individuare le regole operative più vantaggiose per il proprio cliente.[94]
Ciò che appare chiaro, di fronte ad un così complesso scenario, è che siamo ben lontani dall’approdo ad un diritto privato europeo, specie per quanto attiene ai contratti d’impresa. Tanto più lontana sembra la realizzazione dell’auspicio di qualche autorevole studioso[95] alla realizzazione di un codice globale del commercio internazionale.
Certo, ad una siffatta descrizione dei nuovi scenari in chiave di sempre più accesa competizione tra ordinamenti, o meglio tra regole,[96] si potrà opporre il processo di armonizzazione del diritto mediante le norme comunitarie, che si esplica nelle direttive e aspira a divenire vera unificazione del diritto mediante un codice civile europeo. È però opportuno rilevare che, ad oggi, un diritto contrattuale del tutto uniforme non esiste. Inoltre, l’armonizzazione in corso attiene, come vedremo per il leasing di consumo, alle ipotesi di contratto stipulato con i consumatori. Ergo, solo una parte esigua dei contratti di leasing può ritenersi interessata da tale movimento di armonizzazione. I business contracts in genere si sottraggono ad ogni ambizione di armonizzazione e unificazione. Gli operatori economici, del resto, non hanno particolare interesse ad operare secondo norme uniformi; ad essi interessa l’utilizzo di strumenti giuridici vantaggiosi e non è un caso che essi si rivolgano il più delle volte ai sistemi normativi più elastici quali quello inglese piuttosto che quello di New York.[97]
Alle ambizioni di codificazione civile europea sembrano opporsi anche molte istituzioni per ovvie ragioni di competizione professionale: “chi ritiene che il proprio ordinamento offra maggiori chances di tutela degli interessi propri o del cliente auspica il mantenimento dello status quo”.[98]
In tale contesto, non pare nemmeno possibile impedire la colonizzazione di un ordinamento in danno degli altri.[99] Non è possibile fermare il corso della storia ed è chiaro che i criteri di efficienza ben noti ai teorici dell’ analisi economica del diritto determinerebbero in ogni caso la ricerca da parte degli operatori delle regole operative più convenienti.
Appurata la complessità degli scenari entro i quali uno strumento giuridico-contrattuale come il leasing si trova ad essere utilizzato, quale deve ritenersi il metodo più efficace per la trattazione che segue?
Si è scelto un approccio latu sensu comparatistico.[100] Per spiegare il significato di tale espressione è opportuno chiarire il significato delle nozioni di “comparazione giuridica stricto sensu” e “diritto latu sensu comparato”.[101]
Il metodo comparativo è un procedimento generale del pensiero finalizzato a individuare e spiegare le concordanze e le divergenze formali e sostanziali riscontrabili tra singoli termini appartenenti a diversi ordinamenti.[102] Si tratta di un procedimento unitario, pur in presenza di una pluralità di approcci che variano in relazione alla sensibilità e alla formazione culturale del singolo studioso. Alla libertà di ricerca e di scelta tra le molteplici prospettive[103] della comparazione fa eco quindi un procedimento unitario e sistematico che impone il rispetto di alcune regole fondamentali quanto elementari. La comparazione si svolge necessariamente attraverso il succedersi ordinato di fasi essenziali: la conoscenza dei termini da comparare, la loro comprensione, la comparazione vera e propria.[104] Essa consiste, quindi, nell’applicazione scientifica di un procedimento metodologico e, atteso il suo carattere scientifico, risulterebbe assai ardua l’applicazione corretta e costante di esso a tutti i problemi del leasing prendendo in considerazione tutti gli ordinamenti nei quali il leasing viene utilizzato. Si vuole, invece, secondo un approccio latu sensu comparatistico, descrivere la vita del leasing in alcune tra le principali esperienze giuridiche del mondo occidentale, per giungere successivamente ad una visione meno municipale dei problemi che hanno interessato tale contratto nel diritto civile italiano.
Pur non avendo pretese di esaustività in ordine ad una fattispecie così complessa, si intende fornire una serie di spunti utili alla successiva e corretta applicazione del metodo comparativo in relazione a precisi problemi ascrivibili a tale complesso genus contrattuale (ad es. la risoluzione del rapporto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore, l’addebito all’utilizzatore dei rischi inerenti il bene ecc.). Si vuole, inoltre, affrontare con maggiore consapevolezza la disciplina del leasing internazionale e stessa maggiore consapevolezza si intende raggiungere nella valutazione delle numerose applicazioni del leasing, muovendosi quindi nella contezza di una sempre presente regulatory competition e prestando attenzione alle evoluzioni determinate dalla costante circolazione dei modelli
Capitolo secondo
Premesse comparatistiche.
Esperienze straniere in materia di leasing.
1. Il “mondo giuridico occidentale” quale unico campo di osservazione utile; fenomeni circolatori e condivisione di regole comuni: graduale convergenza dei sistemi di civil e di common law e conseguente riconsiderazione delle tradizionali classificazioni degli ordinamenti in grandi “famiglie”.
Per l’osservazione del fenomeno giuridico leasing, si è scelto di considerare alcuni ordinamenti collocabili in un ambito territoriale definito “mondo giuridico occidentale” e comprendente, in linea di massima, tutti i paesi nei quali l’economia di mercato[105] si accompagna al rispetto, più o meno costante, della rule of professional law,[106] escludendo, di conseguenza, gli ordinamenti collocabili entro la rule of politics e la rule of tradition.[107]
In verità, la stessa classificazione degli ordinamenti effettuata attraverso il “triangolo” solitamente utilizzato dalla dottrina comparatistica[108] necessita, e necessiterà in misura sempre maggiore, di importanti riforme. Infatti, in molti ordinamenti asiatici il galoppante sviluppo dell’economia di mercato viene supportato, seppure con molte difficoltà derivanti dai particolari regimi politici ivi esistenti, dalla edificazione di nuove infrastrutture giuridiche che, gradualmente, imporranno la ricollocazione di tali ordinamenti entro gli schemi all’uopo utilizzati. I suddetti ordinamenti asiatici partecipano ormai da protagonisti al mercato globale, importano modelli giuridici occidentali e condividono le regole ad essi comuni, pacificamente ascritte, per questo, ad una nuova lex mercatoria i cui lineamenti vanno facendosi sempre più cristallini.[109]
A parlare di mondo giuridico occidentale è stato un celebre studioso italiano[110] che ha per primo messo in rilievo, attraverso un dotto revisiting diacronico della comparazione tra ordinamenti di common law e civil law, il progressivo e costante dialogo tra i due sistemi, sempre più aperti alla circolazione ed alla condivisione di modelli e regole.[111] Tali raffinate riflessioni, ci portano a valutare con attenzione la contrapposizione, un tempo più significativa, tra ordinamenti dei paesi socialisti e ordinamenti dei paesi capitalisti o “borghesi”. Questi ultimi, individuabili come “Western societies” o “civiltà occidentale”, comprendono ordinamenti di common e di civil law, collocati in ogni parte del globo, incluso il Giappone, l’Australia, l’America del Sud ed altri.[112]
Comprese le radici comuni che plasmano la tradizione giuridica occidentale, è finalmente possibile un sostanziale ridimensionamento della convenzionale distinzione tra civil law (diritto continentale) e common law (diritto inglese e suoi derivati). Del resto, appurata la straordinaria lungimiranza delle soluzioni cui Gorla è giunto oltre venti anni or sono, non mancano voci autorevoli[113] che, più di recente, hanno lumeggiato la graduale convergenza dei sistemi, superando pertanto la citata dicotomia ordinamentale, prospettata inizialmente dal David e ripresa dalla dottrina successiva, seppure con alcuni emendamenti.[114]
2. Cenni introduttivi: la disciplina del leasing quale risultato di diverse cooperazioni tra formanti. Definizione legislativa: riferimenti alla natura dei contraenti e dei beni; essenzialità o accessorietà dell’opzione d’acquisto e durata del rapporto. Le molteplici strade percorse per giungere alla qualificazione del contratto ed i profili essenziali della disciplina convenzionale.
L’emersione del leasing nel mondo degli affari ha determinato nei diversi ordinamenti, una prassi pressoché omogenea, che evidenzia una precisa successione di atti, funzionali alla realizzazione dell’operazione:[115] in primis, il futuro utilizzatore si rivolge al fornitore per scegliere il bene di cui necessita; insieme al fornitore fissa il prezzo, la data, il luogo e le modalità di consegna del bene. Si rivolge, poi, ad un’impresa di leasing per sottoporle la sua domanda; questa, se accoglie la proposta, stipula il contratto con l’utilizzatore, sulla base di condizioni generali da essa predisposte. Concluso il contratto, il finanziatore compera il bene dal fornitore, il quale ultimo lo consegna direttamente all’utilizzatore, anche se il godimento gli viene concesso dal finanziatore verso il pagamento di canoni.
A fronte di tale omogeneità nella prassi d’affari, sul fronte della disciplina, si riscontrano risposte molto differenziate, causate dai differenti ostacoli e controlli che il contratto ha dovuto superare nei diversi sistemi entro i quali è stato recepito.[116] In taluni Paesi, come Francia,[117] Belgio,[118] Spagna,[119] Portogallo, [120]Grecia[121] Turchia[122]e S. Marino[123] si è giunti, in tempi relativamente brevi, ad una disciplina legislativa dell’istituto, mentre in altri ordinamenti, non essendo stata introdotta una normativa ad hoc, i giudici hanno fatto ricorso all’applicazione delle norme dei codici civili e commerciali che contemplano altre fattispecie di contratto. In questi ultimi casi, talvolta, sono state utilizzate le regole della locazione, talaltra, quelle proprie della vendita con riserva di proprietà;[124] ed è senza dubbio questa la situazione nella quale versa la disciplina del contratto nel nostro Paese: numerosi interventi non costituiscono, insieme, una disciplina organica dell’operazione, rendendo necessari l’intervento della giurisprudenza e le elaborazioni della dottrina per giungere ad una regolamentazione completa del contratto, sulla base delle norme codicistiche che disciplinano le citate fattispecie tipiche.[125] Non a caso dottrina e giurisprudenza sono altrettanto decisive in Germania,[126] Svizzera, Austria e Paesi nordici.
Per quanto attiene agli Stati Uniti, nel 1985 l’assetto normativo del contratto de quo è stato investito dalla organica disciplina predisposta dal Comitato permanente per lo Uniform Commercial Code, che ha presentato all’American Law Institute una bozza di legge composta da 78 articoli (tipica lunghezza associabile alla tecnica statutory americana), inseriti oggi nell’art. 2A dello U.C.C., di cui, in pratica, costituiscono un libro dedicato interamente alla disciplina del leasing finanziario.
Il Sud Africa, non avendo predisposto una disciplina ad hoc, si appoggia su quella, di tenore più generale, dettata dal Credit Agreement Act del 1980; la Colombia può contare invece su di un decreto (n. 148 del 30 gennaio 1979) che riguarda le società anonime il cui oggetto esclusivo sia l’arrendamiento financiero (leasing); la provincia canadese dell’Ontario vede i contratti di leasing avvalersi del Personal Property Security Act del 1967, di ispirazione americana; la Polonia, già nel 1980, ha pubblicato un progetto di legge ad hoc sul leasing (costituito dagli artt. da 136 a 148 del progetto di legge sul commercio internazionale),[127] ispirato ai modelli francese e belga, in seguito riproposto in Parlamento, ma a quanto pare non approvato.
Le discipline legislative, in genere, dopo una definizione dell’istituto, che spesso include una serie di regole operative fondamentali, contengono una completa regolamentazione dei profili soggettivi ed oggettivi del contratto.
La nozione che emerge comprende, nella stragrande maggioranza dei casi, un nucleo comune di regole: la permanenza del diritto di proprietà in capo al concedente, la traslazione convenzionale di ogni rischio relativo al bene in capo all’utilizzatore, cui però vengono generalmente estese le garanzie di cui gode il concedente nei confronti del fornitore, insieme ai poteri necessari ad agire nei confronti di quest’ultimo. In caso d’inadempimento dell’utilizzatore, il contratto si risolve di diritto; i canoni versati restano acquisiti dal finanziatore e vengono altresì previste penali, fissate nella somma dei canoni non ancora scaduti, o in una quota parte vicina all’intero. Alla scadenza del contratto, l’utilizzatore può scegliere, in quasi tutti gli ordinamenti, tra l’acquisto del bene per un importo predeterminato, la proroga della locazione per un canone notevolmente ridotto, ovvero la restituzione del bene. A tale riguardo è bene anticipare che non mancano delle eccezioni: la legge greca non fa menzione della possibilità di acquisto e, nel common law inglese, nei paesi nordici ed in Sud Africa l’opzione non può proprio far parte del regolamento, perché la sua presenza muterebbe la natura del contratto.
In genere, nella definizione legislativa si fa riferimento espresso alla natura aziendale dei beni, come avviene in Francia, Belgio, Spagna, Grecia, Brasile, ed in qualche legge, come quella greca, in cui vengono annoverati anche i beni utilizzati per l’esercizio dell’attività professionale; del resto tale parificazione, quando non operata dal legislatore, viene generalmente posta in essere dai giudici o dai dottori dei diversi ordinamenti.[128] L’equiparazione non è così ovvia nel diritto italiano, vista la tradizionale (superata?) distinzione tra le attività svolte dai professionisti intellettuali e quelle propriamente imprenditoriali.[129] Probabilmente, tale discrasia può ritenersi in parte sanata, in materia di leasing, dalla disciplina fiscale dell’istituto, che già nel 1985 con la legge n. 17, del 17 febbraio, contemplava espressamente anche il leasing avente oggetto beni destinati all’utilizzo del professionista.[130]
È anche opportuno ricordare, sempre a titolo di premessa, che le leggi ad hoc contengono, nella generalità dei casi, alcune disposizioni in materia di durata del contratto. A prevedere una durata minima sono la legge greca (3 anni) quella del Brasile (3 anni e 2 per gli autoveicoli),[131] la disciplina portoghese (minimo 2 anni per i mobili e 10 per gli immobili, essendo forse l’unica disciplina a fissare anche la durata massima in 30 anni), quella di S. Marino (minimo 1 anno per i mobili e 4 anni per gli immobili).
In altri casi la legge prevede che la durata venga determinata in base ad altri diversi criteri dalle autorità amministrative; è il caso del Sud Africa, dove il ministro, con un suo regolamento, può stabilire la durata minima e quella massima dei contratti di leasing. In Turchia il contratto deve durare almeno 4 anni, ma si dà facoltà al Consiglio dei ministri di stabilire le condizioni in presenza delle quali può essere più breve (art. 7 decreto n. 85 /9866). In altri ordinamenti la durata minima deve essere rispettata se si vuole beneficiare delle agevolazioni fiscali o finanziarie previste dal legislatore.[132] In tal caso, se il contratto non rispetta la durata minima, non significa che esso sia nullo o affetto da altri vizi; vuol dire semplicemente che fuoriesce dalla fattispecie prevista per godere dei vantaggi fiscali o finanziari, ma in punto di diritto civile è valido ed opponibile a chiunque. Ciò non vale quando la legge prevede un limite minimo tout court, essendo quest’ultimo in genere posto da norme inderogabili (come abbiamo visto per Portogallo, Brasile, Grecia ecc.).
Altre legislazioni, come quella belga, si limitano a dire che la durata deve corrispondere alla presunta vita economica del bene, ed è questa la soluzione adottata anche dalla Convenzione di Ottawa sul leasing finanziario internazionale.[133]
Rimandando ai paragrafi successivi per la trattazione delle questioni inerenti la validità del contratto, per altro ritenute realmente problematiche soprattutto negli ordinamenti in cui non vi è una disciplina legislativa generale del leasing, è opportuno formulare alcune premesse sulla questione della qualificazione del negozio: laddove non c’è una legge ad hoc, essa si presenta problematica, ma anche negli ordinamenti che disciplinano appositamente il contratto il problema qualificatorio non può dirsi privo di importanza, visto che da esso dipende l’applicazione di una serie di norme operanti in caso di lacune o difficoltà ermeneutiche. Dappertutto si oscilla tra il polo della locazione e quello della vendita: secondo il Frignani,[134] la prospettiva della locazione ha sedotto il più delle volte i legislatori (“leasing come germinazione del tronco della locazione”)[135] mentre, l’assorbimento nel genus della vendita ha attratto più spesso i giudici e la dottrina.[136] Il Ferrarini,[137] invece, rileva che nei sistemi di common law si tende, alla stregua dell’originaria disciplina statunitense, a qualificare il contratto come vendità con riserva di proprietà, mentre nei sistemi di civil law, si è più propensi, ferma restante la varietà delle opinioni espresse e la consapevolezza della novità dell’istituto, a sostenere una parentela tra leasing e locazione.
Per quanto attiene agli obblighi in capo al lessor ed al lessee, il principale di questi, attribuito naturalmente al primo, consiste nel far ottenere all’utilizzatore il godimento del bene che presenti le caratteristiche pattuite in contratto. Nei formulari di tutto il mondo il rischio della mancata consegna del bene da parte del fornitore viene addossato all’utilizzatore, e lo stesso dicasi per i vizi della cosa: ciò viene in genere giustificato in base alla circostanza che l’utilizzatore sceglie preventivamente, come si è detto, il bene ed il produttore.[138]
Gli studiosi[139] e i giudici italiani ritengono[140] che la validità di tali clausole dipenda dall’eventualità che l’utilizzatore sia messo in condizione di tutelare i propri interessi nei confronti del fornitore. Nei contratti ciò avviene spesso grazie ad un trasferimento specifico delle azioni del lessor al lessee. Se poi il contratto non prevede nulla al riguardo, la giurisprudenza italiana propende per la nullità dello stesso, mentre la soluzione auspicabile per molti studiosi risiede nella possibilità di esercizio, in via diretta o di rivalsa, delle azioni e diritti spettanti al concedente nei confronti del produttore.[141]
In tutti gli ordinamenti, all’utilizzatore spettano anche gli oneri di manutenzione e di riparazione; egli sarà pure responsabile per il danneggiamento, la perdita e la sottrazione del bene.[142]
In tema di risoluzione per inadempimento, è opportuno anticipare che alla tradizione di common law, secondo la quale non ogni breach of contract rileva, ma solo quello che sia fundamental, si contrappone la regola dei Paesi della famiglia romanistico-germanica, per i quali ogni inadempimento può dar luogo alla risoluzione purché sia importante considerato l’interesse dell’altra parte (v. art. 1455 c.c. italiano), importanza che spesso è cristallizzata espressamente dai contraenti al momento della stipula.[143]
Le conseguenze della risoluzione, poi, hanno dato luogo a notevoli problemi laddove una legge sul leasing manca. Accanto ad una norma indiscussa, l’obbligo di restituzione del bene, l’altra, ovvero l’obbligo di risarcire i danni, è stata sottoposta ad interpretazioni diverse, e non in tutti gli ordinamenti si riscontra la chiarezza della legge turca, che dispone che l’utilizzatore debba pagare tutte le rate future e tutti i danni.[144]
Un’ultima notazione: non sembra di poter condividere oggi quanto si è affermato, pure autorevolmente,[145] in passato: le applicazioni del leasing hanno raggiunto ormai in ogni dove un altissimo livello di sofisticazione[146]e pertanto, pur non escludendo che, specie negli USA, vi possano essere nuove evoluzioni della tecnica contrattuale, si ritiene possibile ed opportuna una trattazione contestuale delle molteplici species del leasing, cui sarà dedicato l’ultimo capitolo.
3. Il leasing in Francia: accorgimenti linguistici e ricognizione degli interventi legislativi. I profili soggettivi (in particolare, art. 2 della legge 455-66) e la definizione legislativa del crédit-bail ex art. 1: inammissibilità di operazioni fuori legge, elementi essenziali della fattispecie e lacune rilevate da giurisprudenza e dottrina.
Come accennato,[147] per trattare in lingua italiana l’esperienza francese sul leasing sono necessari alcuni accorgimenti linguistici che paradossalmente derivano dalla comune matrice neolatina delle due lingue, dal momento che molte espressioni usate dal legislatore d’oltralpe potrebbero ingenuamente essere accostate, se non addirittura identificate, con analoghe locuzioni usate da studiosi ed operatori nel nostro Paese.[148]
I primi contratti di leasing stipulati in Francia, naturalmente ancora con il nomen anglosassone, risalgono agli stessi anni in cui l’istituto viene importato in Italia e, precisamente, nel 1962 la Locafrance[149] è la prima società a proporne la stipulazione.
La spinta all’emanazione di una legge ad hoc nasce, oltre che dalla volontà di offrire agli operatori una definizione giuridica dell’istituto, specie in seguito ad annose contrapposizioni tra questi ultimi e la giurisprudenza francese,[150] dall’esigenza, comunemente avvertita, di sottoporre le società esercenti il leasing ad un controllo pubblico efficace. È per questo motivo che il tempestivo legislatore francese detta un’apposita disciplina dell’istituto solo pochi anni dopo la sua comparsa, nel 1966, con la legge n. 455 del 2 luglio, riguardante, innanzi tutto, le imprese che praticano il crédit-bail,[151] locuzione quest’ultima mediante la quale il leasing viene naturalizzato dall’ordinamento francese che, per altro, vieta espressamente l’utilizzo dell’espressione anglosassone nei modelli contrattuali,[152] determinando in tal modo la peculiare situazione semantica consistente nell’opposizione tra i termini francese ed inglese.
Come si è visto,[153] pertanto, con il primo s’indica la fattispecie legalmente tipizzata, mentre con il secondo si rappresentano generalmente i contratti che, pur rispondendo allo stesso schema negoziale del crédit-bail, non possono dirsi rientranti nell’alveo applicativo della legge n. 455.
Senza dubbio, tra le cause della rapida crescita dello stipulato in Francia c’è anche la maggiore certezza giuridica raggiunta attraverso la strada maestra della legislazione; una certezza giuridica che viene estesa alle operazioni di crédit-bail aventi ad oggetto beni immobili, mediante una modifica della legge del 1966, sopraggiunta con l’ordonnance n. 67-837, del 28 settembre 1967, dedicata specificamente ad esse, che introduce tra l’altro lo statuto SICOMI (Sociétés Immobilières pour le Commerce et l’Industrie), cui sono collegati numerosi vantaggi fiscali per le operazioni di crédit-bail immobiliare, ed un apposito regime di pubblicità per le operazioni mobiliari oltre che immobiliari.[154]
Altro provvedimento fondamentale è la legge n. 78-22 del 10 gennaio 1978, c.d. loi Scrivener, finalizzata a garantire l’informazione e la protezione dei consumatori nell’ambito delle operazioni di credito (oggi integrata nel Code de la Consommation agli artt. L. 311-1 e ss.), ed applicabile alle operazioni di leasing mobiliare su beni ad uso personale o familiare, qualificate come “locations avec option d’achat” o “LOA”. È pertanto comprensibile la sua integrazione con la loi Scrivener II (n. 79-596), che dispone analoga disciplina riguardo al leasing immobiliare.[155]
Portata a termine una breve ricognizione degli interventi legislativi che interessano direttamente o indirettamente l’istituto, conviene fare cenno ai profili soggettivi della disciplina francese, specie con riguardo al crédit-bailleur, visto che l’art. 2 riserva l’esercizio abituale del crédit-bail alle banche ed agli istituti finanziari.[156] I concedenti, pertanto, sono assoggettati ad uno status particolare ed all’onere di assumere una specifica forma societaria. A tali imprese sono applicabili, inoltre, le norme di cui alla legge n. 84-86 del 24 gennaio 1984 sull’attività ed il controllo degli istituti di credito. In particolare, sono soggette al controllo della commissione bancaria e, qualora non vengano rispettate tali disposizioni, il contratto di leasing sarebbe affetto da nullità con riserva dell’applicazione di eventuali sanzioni penali.[157]
Passando al vero e proprio nucleo della disciplina, nell’art. 1 della legge 66-455, come del resto in tutte le discipline organiche dell’istituto predisposte dagli altri ordinamenti, è possibile rinvenire una definizione generale del contratto,[158] non priva di elementi disciplinari interessanti:[159] vengono innanzi tutto considerate operazioni di crédit-bail le operazioni di locazione di beni strumentali (“biens d’équipement” e “matériel d’outillage”) acquistati in vista di tale concessione in godimento da imprese che ne rimangono formalmente proprietarie[160] allorquando tali operazioni, quale sia la loro qualificazione, offrono al locatario la possibilità di acquistare in tutto o in parte i beni locati per un prezzo prestabilito che tenga conto, almeno in parte, dei versamenti effettuati a titolo di canoni.[161]
L’elemento più facile da individuare nella definizione dell’art. 1 è senza dubbio la natura strumentale dei beni oggetto del contratto:[162] se si tratta di mobili, bien d’équipement come computers, fotocopiatrici ed altre apparecchiature di tal genere, oppure matériel d’outillage come gru, trattori, ecc.; se, invece, si tratta di immobili devono comunque essere destinati ad un usage professionel: si noti, pertanto, che non rileva la natura mobile o immobile, materiale o immateriale del bene, né tanto meno se esso sia nuovo oppure usato.[163]
Nulla aggiunge la legge in ordine alle clausole che nella prassi regolano il godimento della cosa. Forse, come s’è arguito, per il legislatore esse non sono qualificanti del contratto, che potrebbe essere regolamentato, limitatamente a tali profili, anche come una normale locazione; oppure, come in maniera più convincente si afferma, il legislatore francese del 1966 ha ritenuto che tali clausole, ed in generale tutti gli elementi innovativi del regolamento di interessi, fossero pienamente compatibili con il tipo legale della locazione (si pensi al procedimento di formazione, alla misura elevata del corrispettivo, alla presenza dell’opzione): il leasing sarebbe configurabile, quindi, secondo i primi commentatori, come operazione complessa, nell’ambito della quale lo schema della locazione troverebbe una nuova forma di impiego.[164]
La dottrina francese, giungendo a definire il testo “courte et bonne”,[165] ha rilevato che in esso manca ogni riferimento al rapporto, per alcuni di vero e proprio mandato, in virtù del quale l’utilizzatore sceglie il fornitore ed il bene, di conseguenza sopportando tutti i rischi inerenti il medesimo, e liberando dalle relative responsabilità il concedente; inoltre il testo non fa alcun riferimento alla commisurazione dei canoni che avviene, generalmente, sulla base di un piano fiscale di ammortamento del bene.
In ogni caso l’elaborazione degli studiosi[166] ha enucleato dalla definizione legislativa tre elementi essenziali: l’acquisto del bene strumentale, finalizzato alla concessione in godimento e posto in essere dal crédit-bailleur o concedente; la locazione (bail) del bene all’utilizzatore,[167] concessa a fronte del versamento di canoni periodici; la previsione, sempre a favore dell’utilizzatore, della facoltà di acquistare il bene al termine del rapporto, per un prezzo convenuto, che tenga conto dei versamenti già effettuati.[168]
È interessante notare che la dottrina e soprattutto la giurisprudenza[169] francesi affermano che l’opzione è elemento qualificante del contratto, ma non in ogni caso; si sostiene, infatti, che il prezzo deve essere determinato tenendo conto, almeno in parte, dei versamenti effettuati a titolo di canoni di locazione. Da ciò deriva che anche la misura del corrispettivo costituisce sintomatologia univoca della sussistenza di un’operazione di leasing. Il requisito considerato si realizza, infatti, solo quando i canoni siano superiori al genuino valore di godimento della cosa e/o il prezzo da versare per l’esercizio dell’opzione sia inferiore al valore residuo della cosa.[170]
Nessun riferimento, invece, è fatto all’opzione di proroga che normalmente viene attribuita all’utilizzatore e non presenta profili problematici.
In un primo momento, la giurisprudenza francese ha interpretato letteralmente la definizione legislativa, negando che potesse essere applicata alle operazioni di leasing-fabricant, (leasing operativo)[171] nelle quali è lo stesso produttore che stipula il contratto di leasing con il suo cliente, così come alle operazioni di crédit-bail addossé,[172] in cui un produttore prende in crédit-bail la sua produzione per concederla in leasing ai suoi clienti. Non si è mai giunti, invece, ad escludere dall’alveo applicativo della legge la cession-bail, (sale and lease back) visto che nessuna disposizione vieta che il venditore diventi successivamente utilizzatore del bene.[173]
Ben presto, però, gli autori[174] hanno manifestato il proprio dissenso rispetto ad un’interpretazione considerata insoddisfacente, vista l’assenza di ragioni valide che giustificassero tali esclusioni, a parte l’innegabile inadeguatezza del testo legislativo. Per colmare le lacune è stata proposta una lettura “economica” dei testi di legge, che colloca il crédit-bail a metà tra locazione e vendita a credito, evidenziando il fondamentale profilo finanziario della tecnica contrattuale. Tale soluzione, pure evidentemente vaga, ha trovato e trova il consenso di molti studiosi e giudici di merito francesi, sebbene non abbia ancora ottenuto l’avallo della Cassazione. Si è osservato che, avvicinando il contratto ad una vendita a credito, l’opzione avrebbe carattere meramente “giuridico-formale”,[175] ed il suo esercizio diventerebbe in termini economici quasi obbligatorio per l’utilizzatore; ma così non è, posto che i canoni versati nel leasing hanno valore inferiore rispetto a quelli che bisognerebbe versare nell’ambito di una vendita a rate. D’altra parte, la definizione stabilisce che il prezzo d’opzione deve tener conto, almeno in parte, dei versamenti effettuati a titolo di canoni, e questi non possono rappresentare solo il corrispettivo del godimento del bene, ma devono tenere presente anche di una parte del valore dell’ammortamento considerato per la fissazione del prezzo d’acquisto. È proprio tale evidente differenza rispetto alla locazione che ha indotto il legislatore a prevedere un apposito regime pubblicitario per rendere opponibile il diritto del concedente: di fronte ad un mero conduttore, non vi sarebbero gli stessi rischi di confusione per i terzi e gli aventi causa.
In definitiva, si può ritenere[176] che i parametri economici del contratto debbano collocarsi fra i due estremi della vendita a credito e della locazione.
Ma quali sarebbero i vantaggi di siffatta prospettiva “economica”? Si argomenta[177] che tale prospettiva ricostruttiva permetterebbe di escludere l’applicazione delle norme sul crédit-bail quando si pone in essere una vendita a credito o una locazione dissumulate, con la conseguente applicazione delle discipline corrispondenti di diritto comune (si pensi alla disciplina delle locazioni ad uso non abitativo, senza dubbio meno vantaggiosa per un locatore mascherato da crédit- bailleur, oppure al fallimento del finanziatore che simuli la titolarità della posizione contrattuale propria del crédit-bailleur). Si potrebbero, inoltre, evitare le inopportune esclusioni generate dall’originaria interpretazione letterale adottata dalla giurisprudenza francese.
4. (segue): … la prospettazione bi-negoziale della complessiva operazione: un angolo visuale più efficace per un’indagine consapevole sui problemi dell’istituto; traslazione convenzionale dei rischi e necessità di estendere all’utilizzatore le garanzie proprie del concedente-acquirente nei confronti del fornitore.
L’operazione di leasing coinvolge tre soggetti e può essere rappresentata cogliendone la struttura bi-negoziale, sostanziandosi in due contratti bilaterali distinti:[178] una vendita ed un contratto di location financiére stricto sensu, che può essere tanto un crédit-bail tipico, tanto una location d’avec option d’achat.
L’innegabile trilateralità dello schema descritto fa sì che il legislatore francese parli di “operazione”, il ché esprime assai bene la realtà economica e riesce, secondo alcuni studiosi in maniera efficace,[179] a contemplare implicitamente i rapporti tra lessee e fornitore, specie con riguardo all’indicazione del bene e delle sue specifiche caratteristiche.
Purtroppo, una elementare descrizione del fenomeno non spiega adeguatamente l’innegabile complessità dell’assetto di interessi, che ha indotto gli studiosi francesi a parlare ora di interazione di cinque tecniche contrattuali (in ordine cronologico, promessa sinallagmatica di locazione, mandato, locazione di cosa, promessa unilaterale di vendita ed eventuale compravendita), tutte aventi lo stesso oggetto ed utilizzate per la realizzazione del leasing (Champaud), ora di contratto sui generis, sinallagmatico e ad esecuzione successiva (Cabrillac).
Da questo nuovo angolo visuale, si comprende meglio che il regolamento convenzionale si fonda sull’innesto della funzione finanziaria dell’operazione su uno schema astratto locatizio (credit + bail) e, pertanto, rende insufficiente una considerazione del contratto quale locazione tout court; miope semplificazione che pure viene realizzata, forse inconsapevolmente, dalla legge francese.[180]
La disciplina legislativa sui rapporti tra le parti, del resto, è vaga ed erronea, nella misura in cui adotta qualificazioni legali che non corrispondono né alla struttura dell’operazione, né all’intenzione dei soggetti che la realizzano. Per queste ragioni, la giurisprudenza ha avuto un margine di manovra molto largo, potendo puntare ad una ricostruzione più soddisfacente del fenomeno giuridico.
Nella pratica d’affari, del resto, quasi versi ribellandosi alla qualificazione semplicistica operata dal legislatore, vengono inserite nei formulari numerose clausole che stridono con le descritte qualificazioni legali. I crédit-bailleurs soprattutto, forti della loro competenza, si limitano ad assumere solo le obbligazioni proprie di un finanziatore, guardandosi bene dall’includere nel regolamento d’interessi quelle che sarebbero proprie di un acquirente oppure di un locatore (i tipi legali cui fa riferimento l’art. 1 della legge 66-455).[181]
La giurisprudenza cerca sapientemente di eliminare l’aporia tra il dettato legislativo e la volontà delle parti (o meglio dei crédit-bailleur, che predispongono i contratti conclusi per adesione) e, riguardo al concedente, essa acconsente che questi non assuma le obbligazioni proprie del locatore e trasferisca all’utilizzatore tutti i rischi associati al bene, rendendo così il regolamento d’interessi più vicino alla reale natura economica dell’operazione, ma imponendo una condizione destinata a proteggere l’utilizzatore, consistente nell’estensione a quest’ultimo delle garanzie spettanti al concedente-acquirente nei confronti del fornitore.[182] Con maggiore precisione, in materia di crédit-bail immobiliare, la Cassazione francese, prendendo in considerazione il regolamento convenzionale in tutta la sua complessità, vi rinviene un istituto giuridico particolare, tale da escludere l’operatività del regime normativo in materia di locazioni non abitative. Il nuovo meccanismo mutua elementi propri della locazione, ma è preordinato al perseguimento di interessi diversi, giustificando la presenza di clausole che non troverebbero accoglimento nell’ambito di un semplice rapporto locativo. La Cassazione, però, ha inteso consentire all’utilizzatore di proteggere la propria posizione giuridica, imponendo il trasferimento allo stesso delle azioni che spettano normalmente al crédit- bailleur, in quanto acquirente nei confronti del fornitore-venditore. Il Sommo Giudice francese[183] è giunto a ritenere che tale trasferimento di diritti e di azioni rappresenta un effetto naturale dell’operazione di crédit-bail, visto che essi si sostanziano evidentemente in una “contropartita” per l’utilizzatore,[184] ed in una condizione di validità delle clausole traslative dei rischi inerenti il bene.[185]
5. (segue): …il collegamento tra i rapporti contrattuali di crédit-bail e vendita. La risoluzione del rapporto di vendita e le sue ripercussioni sul crédit-bail. L’inadempimento dell’utilizzatore e le sue conseguenze latu sensu sanzionatorie. In particolare, la vicenda francese riguardante la clausola penale: dalla crisi, determinata dal principio napoleonico dell’intangibilità delle clausole penali (art. 1152 c.c.), alla sospirata riforma del codice civile. Alcune riflessioni conclusive.
L’unità economica dell’operazione si traduce giuridicamente in un legame d’interdipendenza tra i contratti, in particolare tra la compravendita e la locazione con promessa di vendita, che sono l’uno la causa dell’altro. La Corte di Cassazione d’oltralpe, che pure in materia di vendita a credito ha subito riconosciuto l’indipendenza dei due contratti di vendita e mutuo,[186] si è espressa[187] a tal proposito affermando che la risoluzione della vendita rende nullo, per mancanza di causa, il contratto di crédit-bail avente ad oggetto il bene venduto, visto anche che l’unità dell’operazione è affermata dalla legge. I crédit-bailleurs hanno allora cercato delle vie traverse per giungere al medesimo risultato. Ingegnosamente hanno elaborato dei mandati per la scelta e la recezione del materiale, caratterizzati da un’obbligazione di risultato: in presenza di tali clausole, il crédit-bailleur che constata che l’utilizzatore intende denunciare dei vizi relativi alla cosa data in crédit-bail, si limita a far valere la circostanza che il mandato per la scelta o la recezione non è stato eseguito correttamente. L’inadempimento dell’utilizzatore nell’esecuzione della sua obbligazione di risultato risulta dall’esistenza stessa di una controversia, e tale inadempimento comporta la sua responsabilità! Dato che la riparazione più adeguata consiste nel fare come se non ci fosse stata colpa, cioè controversia, il crédit-bailleur ha tutta l’intenzione di non subire alcuna delle conseguenze normalmente derivanti dall’eventuale rimessa in causa del contratto di vendita: “Con questo meccanismo, la dicotomia fra acquisto e finanziamento risulta indirettamente consacrata nonostante che l’unità intima dell’operazione di crédit-bail impedisca di riconoscere direttamente tale scissione”.[188]
La Cassazione,[189] in un primo momento non ha accolto sfavorevolmente tale raffinata quanto strumentale costruzione giuridica; ha, infatti, annullato una decisione che non aveva preso in considerazione l’argomentazione del crédit-bailleur, fondata sull’idea del mandato caratterizzato da un’obbligazione di risultato. Non significa accettare il principio della dicotomia, ma certo “inoltrarsi per la via che vi conduce”.[190] Tale tendenza risulta tanto più netta in una sentenza poco più recente,[191] con cui la Sezione Commerciale della Cassazione ha ammesso che la causa dell’obbligazione del conduttore di pagare il canone pattuito risiedeva nel pagamento del prezzo al venditore da parte del crédit-bailleur, dato che questo pagamento si era verificato in conformità alle clausole contrattuali che prevedevano una responsabilità dell’utilizzatore quale mandatario del concedente.[192]
La Chambre Commerciale ha palesato, in seguito, un vero e proprio, netto revirement, sostenendo che il trasferimento all’utilizzatore dei diritti e delle azioni che spettano al concedente nei confronti del fornitore a fronte della rinuncia di quest’ultimo ad agire contro il crédit-bailleur per non conformità o vizi occulti della cosa, costituisce un’idonea causa giustificante delle obbligazioni dell’utilizzatore ove la compravendita sia risolta.[193]
Dopo una lunga divergenza tra la prima Camera Civile e la Camera Commerciale, la Chambre Mixte della Cassazione,[194] ha deciso che la risoluzione del contratto di compravendita comporta necessariamente la risoluzione del contratto di crédit-bail, spettando alle parti il compito di regolarne, mediante apposite clausole, le conseguenze.[195] La dottrina ha osservato, inoltre, che il termine résiliation (risoluzione) è inappropriato, e che sarebbe stato più logico parlare di nullità; tuttavia, come è stato rilevato,[196] nell’impiego di tale termine va letta la volontà della Corte di affermare l’irretroattività degli effetti dell’annullamento del contratto di crédit-bail. In sostanza, si stabilisce che l’utilizzatore ha diritto alla restituzione dei canoni versati a partire dalla domanda di risoluzione della vendita.
Altra manifestazione del legame tra i rapporti contrattuali si legge nella circostanza che l’inadempimento dell’utilizzatore produce la risoluzione di diritto del rapporto di crédit-bail, con obbligo di restituire la cosa e pagare una penale, spesso costituita, come nella prassi italiana e tedesca, dalle rate a scadere. Del resto non vi sono mai stati dubbi riguardo alla possibilità che il concedente trattenga i canoni già versati, in quanto “la loro acquisizione da parte del finanziatore discende de plano dalla qualificazione del crédit- bail come locazione”.[197] Vi sono stai problemi, però, in ordine all’ammissibilità delle penali particolarmente severe previste dai primi formulari francesi, che imponevano ed impongono il versamento dei canoni a scadere o quanto meno una parte di essi vicina al totale, in genere i quattro quinti, dedotto il prezzo ottenuto dalla vendita del bene. I giudici di merito francesi hanno combattuto per lungo tempo contro le clausole penali non eque, fino alla riforma legislativa in materia di penali. Il Code Napoléon infatti, prevedeva il principio della intangibilità della clausola penale ex art. 1152, e i giudici di merito hanno tentato fin dal principio di svuotarlo o disattenderlo, rivestendo la loro intenzione equitativa con argomentazioni tecnico-giuridiche suggerite spesso dalla dottrina generalmente concorde,[198] ma senza fortuna, per la netta e decisa censura della Corte di Cassazione. Le buone ragioni dell’equità e l’ingegnosità delle costruzioni non sono state dunque sufficienti a risolvere, per il caso specifico del leasing come per il problema più generale, quella che negli ultimi anni si era abituati a chiamare la “crisi della clausola penale”. Una soluzione poteva essere offerta soltanto da un intervento legislativo che modificasse il principio dell’intangibilità della penale. Da tempo auspicata, addirittura con toni emergenziali (Malaure parla di “un texte qui rend licite le terrorisme contractuel doit d’urgence etre réformé”), la riforma delle norme del codice civile relative alle clausole penali viene operata con la loi del 9 luglio 1975. Durante i lavori preparatori la necessità dell’intervento legislativo viene motivata facendo riferimento alle penali previste dai contratti di leasing oltre che di vendita a rate. L’art. 1152 c.c. viene integrato riconoscendo al giudice il potere, che le parti non possono escludere, di modificare le penali manifestamente sproporzionate; l’art. 231 c.c. viene integrato escludendo che le parti possano sottrarsi alla riduzione della penale operata dal giudice in considerazione dell’interesse che l’esecuzione parziale ha per il creditore. Il quadro normativo è pertanto radicalmente mutato: i giudici, prima costretti ad esercitare la loro fantasia costruttiva per legittimare un loro potere di controllo sulle clausole penali del leasing, sono ora chiamati ad esercitarlo dalla legge usando, si auspica, la necessaria cautela.[199]
Con riguardo ai problemi sorti intorno alla quantificazione della penale[200] ed il rischio di locupletazione del crédit-bailleur, la Francia ha provveduto anche a quelli emanando il decrét n. 87-344 del 21 maggio 1987, il quale dispone che il concedente in caso di risoluzione per inadempimento, ha diritto di esigere : “Une indemnité égale à la différence entre, d’une part, la valeur actualisée, à la date de la résiliation du contrat, de la somme hors taxes des loyers non ancore échus et, d’autre part, la valeur vénale hors taxes du bien restitué”.[201]
È lecita, a questo punto, una sintesi su quanto osservato, soprattutto per apprezzare le discrasie profonde tra formante legislativo e prassi, alle quali giurisprudenza e dottrina hanno cercato opportunamente di porre rimedio.
La legge del 1966 non ha risolto affatto i problemi di qualificazione del contratto, visto che, limitandosi a citare i contratti di locazione e di vendita, non contempla norme avvertite come necessarie in quanto potenzialmente risolutive dei più complessi problemi sollevati dall’istituto, visto che la gran parte delle questioni derivano dall’estraneità del fornitore rispetto al contratto bilaterale di crédit-bail. Nello specifico, è diffusa nella dottrina francese la convinzione che la definizione legislativa del leasing di sostanzi in una “finzione legale”: il rapporto di godimento viene qualificato dalla legge francese, come dalla analoga disciplina vigente in Belgio, “location”,[202] omettendo ogni considerazione sulla rilevante componente finanziaria del contratto, oltre che sulla complessità dell’operazione, che la rende irriconducibile agli schemi contrattuali classici. Basta leggere i formulari per capire che la società di crédit-bail assume attraverso apposite clausole un ruolo puramente finanziario di intermediario che non prevede gli obblighi propri del locatore. L’utilizzatore poi, lungi dal potersi qualificare come mero conduttore, assume una posizione che è più vicina a quella dell’acquirente, visto che sceglie il fornitore ed il bene. La realtà economica dell’operazione implica dei rapporti giuridici che coinvolgono anche il concedente e finisce col tradursi in una serie di conseguenze giuridiche, quali il conferimento dell’azione diretta all’utilizzatore nei confronti del fornitore,[203] la possibilità di esercitare l’opzione diventando subacquirente e potendo di conseguenza esercitare diritti e azioni del suo dante causa nei confronti del fornitore: v’è pertanto una “spaccatura tra realtà giuridica ed economica”[204]
Com’è ormai quasi del tutto pacifico, non si può trascurare nel leasing la coesistenza della natura locativa, traslativa e finanziaria, che ha spinto la dottrina francese a parlare di “ibrido” (A. Bénabent), riunione indivisibile di più contratti, oppure di association de contracts, associazione di compravendita, locazione, promessa unilaterale di vendita, e talvolta anche mandato (G. Vermelle). Molto nota è l’articolata ricostruzione posta in essere dal Teyssie,[205] denominata “théorie des groupes de contrats”. I contratti che formano la locazione finanziaria costituirebbero un insieme di contratti a dipendenza unilaterale ed a struttura complessa. La categoria si caratterizza perché al suo interno non tutti i contratti hanno la stessa importanza, ma ve n’è uno principale, necessario ed essenziale alla realizzazione dell’obbiettivo perseguito dall’operazione complessiva. Il crédit-bail viene qualificato, in questa prospettiva, come unione di due sottoinsiemi di contratti a dipendenza unilaterale: un primo sottoinsieme raggruppa i contratti che intercorrono tra i medesimi soggetti del contratto di crédit-bail in senso stretto: il contratto principale e una serie di mandati, aventi carattere accessorio (per l’acquisto del bene, per la ricezione del materiale, per l’esercizio dell’azione di garanzia): la dipendenza è unilaterale visto che la loro causa risiede nel contratto complesso e non è certo vero il contrario; un secondo sottoinsieme comprende i contratti conclusi tra parti differenti: oltre al contratto principale, suoi ulteriori sottoinsiemi di contratti accessori, conclusi dalla società di crédit-bail con i terzi. Il primo sottoinsieme consiste nella convenzione d’acquisto tra fornitore e concedente, tramite l’utilizzatore: gioca un ruolo determinante dato che dalla sua esistenza e validità dipende la sopravvivenza del contratto principale. La causa della compravendita va ricercata nel contratto complesso, senza che sia vero il contrario. Il secondo sottoinsieme di accessori non necessari tiene conto del fatto che le parti possono aggiungere a discrezione numerose convenzioni accessorie, quali l’assicurazione del bene, od eventuali garanzie prestate da un terzo per l’adempimento dell’utilizzatore. Lo stesso artefice della raffinata ricostruzione rileva il punto debole della stessa in una certa fragilità del sistema che trova la sua radice nel brocardo accessorium sequitur principale. [206]
6. (segue): …il regime disciplinare relativo alla pubblicità del contratto di leasing: tutela dei terzi creditori ed aventi causa dell’utilizzatore. Permanenza della proprietà in capo al crédit-bailleur: funzione di garanzia e protezione giuridica, in particolare nel caso di fallimento dell’utilizzatore.
Altro dato caratterizzante dell’operazione complessivamente considerata, è rappresentato dal permanere della proprietà formale del bene in capo al crédit-bailleur, che dà luogo ad una situazione necessitante di adeguati accorgimenti pubblicitari al fine di evitare che il bene costituisca un apparente fattore di solvibilità agli occhi dei creditori dell’utilizzatore. Le soluzioni disciplinari riguardanti la pubblicità del contratto di leasing nei diversi ordinamenti sono di due tipi: o vengono predisposte norme speciali, o si impone il ricorso ai mezzi di diritto comune, necessari a rendere opponibile ai terzi il diritto di proprietà sui beni in possesso di altri soggetti.[207] Ebbene, in Francia vige una disciplina speciale contenuta nel décret del 4 luglio 1972 che sottopone i contratti, naturalmente stipulati in forma scritta, a registrazione[208] e, mentre per gli immobili vale il sistema previsto dalla disciplina generale,[209] per i mobili il décret prevede l’iscrizione in apposito registro, presso la cancelleria del Tribunale di Commercio nel cui distretto vi è la sede principale dell’utilizzatore.[210] Tale iscrizione, che deve essere rinnovata ogni cinque anni per quanto attiene alle operazioni mobiliari, crea, rispetto ai creditori ed agli aventi causa a titolo oneroso dell’utilizzatore, una presunzione assoluta di conoscenza e, di conseguenza, se gli oneri pubblicitari non vengono adempiuti, il diritto di proprietà del concedente non sarà opponibile a costoro, che potranno aggredire il bene come se rientrasse nella proprietà dell’utilizzatore, a meno che il concedente non dimostri che essi erano a conoscenza dei suoi diritti sulla cosa. Si consideri però, che alla società concedente, che agisce in rivendica del bene e vede rigettata la propria domanda a causa del mancato assolvimento dell’onere pubblicitario previsto dal décret, viene data comunque la possibilità di insinuarsi nel passivo fallimentare dell’utilizzatore. Se vi è invece un subacquirente, possessore in buona fede, rispetto a questi la pubblicità non produce alcun effetto, e trova applicazione la regola generale in materia mobiliare contenuta nell’art. 2279 del Code civil, in virtù della quale il possesso vale titolo.[211] Diversamente si comprende che lo stesso diritto di proprietà del concedente resta sempre opponibile nei confronti del suo debitore: del resto l’onere pubblicitario grava sempre sulle società di crédit-bail[212] e, secondo la Cassazione francese,[213] anche sulle società che praticano occasionalmente tale attività finanziaria, attesa la ratio dell’obbligo pubblicitario, teso completamente alla tutela dei terzi,[214] con la conseguenza che l’inosservanza degli obblighi pubblicitari non può essere fatta valere dall’utilizzatore, essendo egli perfettamente a conoscenza dell’esistenza del crédit-bail. Parallelamente il curatore fallimentare, come il debitore, non può invocare l’inesistenza della pubblicità del contratto per sostenere che il bene locato è di proprietà dell’utilizzatore: egli non può definirsi né terzo in buona fede né procédure collective (categoria che designa l’insieme costituito dai creditori del debitore, in questo caso l’utilizzatore, e dai rispettivi rappresentanti).
C’è un orientamento dottrinale che riduce il crédit-bail ad un mutuo accompagnato da una garanzia reale. Si tratta, certo, di un orientamento riduttivo e deformante della complessità dei rapporti giuridici sottesi all’operazione, ma la funzione di garanzia svolta dalla proprietà permanente in capo al concedente fino all’eventuale esercizio del diritto di opzione non è trascurabile, ed in quanto aspetto fondamentale del negozio, ha alimentato un acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale. La dottrina ha messo in luce la relatività della protezione offerta dalla proprietà: come si è visto, il décret del 1972 fa dipendere l’opponibilità ai terzi del diritto del concedente dall’assolvimento degli oneri pubblicitari. Inoltre, se oggetto è un bene mobile, risulta necessaria anche la disponibilità dell’utilizzatore, altrimenti un subacquirente potrebbe avvalersi della citata norma di cui all’art. 2279 c.c., non essendo la pubblicità sufficiente a provare la malafede.
La Corte di Cassazione, con una discussa sentenza del 1991[215] ha dichiarato applicabile alle società concedenti la legge del 1985 che, ai sensi dell’art. 115-1, impone in caso di fallimento dell’utilizzatore che, se il crédit-bailleur vuol far valere il proprio diritto di proprietà, deve rivendicare i beni concessi in bail nel termine di tre mesi, decorrenti dall’apertura del fallimento. L’efficacia della garanzia è quindi messa in pericolo, o quanto meno si richiede alle società di crédit-bail una maggiore diligenza per conservarla. Il legislatore, inoltre, è intervenuto modificando la legge del 1985, con la legge n. 94-475 del 10 giugno 1994: il nuovo testo dell’art. 115-1 della legge del 1985, dispensa espressamente il proprietario del bene dal dover agire in rivendica se il proprio contratto forma oggetto di pubblicità regolarmente effettuata; in tal caso, basterà semplicemente richiedere la restituzione del bene. Sempre ai sensi della nuova legge, se il contratto è risolto dopo l’apertura del fallimento, il termine di tre mesi decorre da tale risoluzione.
7. Il leasing in Germania. L’assenza di una disciplina legislativa organica: il problema fiscale e le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali tese a colmare le lacune attraverso molteplici tentativi di qualificazione del contratto. La tesi prevalente del leasing come Miete. La disciplina applicabile al contratto relativamente a condizioni generali, traslazione convenzionale dei rischi, mancata o ritardata consegna, inadempimento e il fallimento dell’utilizzatore.
Anche in Germania, nonostante la rapida diffusione del leasing, specie in alcuni comparti come quello automobilistico,[216] non v’è una definizione legislativa generale del fenomeno e, per questo, come in Svizzera ed in Italia, vi sono state voci contrastanti in ordine alla validità del contratto, che hanno progressivamente lasciato il posto ad una soluzione giurisprudenziale e dottrinale pressoché univoca.
Il primo vaglio giurisprudenziale della tecnica contrattuale, pur avendo coinvolto la riflessione sulla qualificazione del contratto, attiene ai problemi fiscali da essa sollevati, visto anche che il vantaggio fiscale costituisce la vera spinta alla diffusione dell’istituto in Germania, laddove, per la verità, manca anche una disciplina fiscale ad hoc.[217] In particolare, grande attenzione è stata riposta su di una norma tributaria che richiede l’individuazione del soggetto cui appartiene la “proprietà economica della cosa” affinché il bene locato possa non essere iscritto come posta attiva nel bilancio del locatario, il quale, al tempo stesso, può detrarre fiscalmente i canoni pagati in quanto spese di gestione. Il quesito da risolvere è, quindi, se le parti intendono trasferire la cosa e non soltanto il suo uso, facendo sì che permanga in capo al concedente una posizione giuridica qualificabile a-tecnicamente come proprietà anche “economica”, e non solo “formale”.[218] In proposito, conviene considerare la decisione del Bundesfinanzhof risalente al 26 gennaio 1970, cui gli autori solitamente fanno riferimento. La Corte, in primis, si preoccupa di delimitare il leasing finanziario rispetto alle diverse figure negoziali designate all’epoca con quel termine: esso prevede una durata pluriennale (Grundmietzeit) rapportata alla vita economica del bene; durante tale periodo, l’utilizzatore non ha diritto di recedere; le rate sono calcolate in modo da coprire, alla scadenza, i costi del finanziatore ed un interesse per il capitale, ovvero un profitto; all’utilizzatore sono addossati tutti i rischi inerenti il bene e, in caso di mora o di fallimento, tutte le rate diventano esigibili, fermo restante il diritto del concedente di rientrare in possesso del bene.[219]
Isolato il tipo sociale, passando al contenuto economico dell’operazione, i giudici, preferendo omettere ogni considerazione riguardo alla qualificazione del contratto in punto di diritto civile, individuano i criteri per ravvisare nel caso singolo il trasferimento della “proprietà economica” piuttosto che del semplice uso della cosa. La prima ipotesi si verifica a) se vi è il c.d. spezial-leasing, e cioè un contratto avente ad oggetto un bene non standardizzato, tale da escludere una sua utilizzazione da parte di soggetti diversi dall’utilizzatore; b) nel caso in cui il Grundmietzeit, cioè la durata del contratto, è uguale alla vita utile della cosa; c) nei casi in cui, indipendentemente dalla durata della vita del bene, vi è un’opzione di acquisto o di proroga per un corrispettivo puramente nominale: in tali casi, infatti, vi sarebbe l’ obbligo non giuridico ma “di fatto”, di esercitare l’opzione.[220]
In considerazione di tali sentenze, il Bundesfinanzministerium, per altro in diverse direttive, ha contribuito a definire la questione dell’imputazione della cosa locata al concedente; così, si è stabilito che la durata del contratto di locazione, durante la quale esso non può essere disdetto, deve essere di almeno il 40% e al massimo del 90 % del periodo di utilizzazione del bene considerato.[221]
Così, sul piano fiscale, la vicenda tedesca sul leasing raggiunge un punto fermo, che non manca di produrre importanti conseguenze sul dibattito civilistico.[222]
La giurisprudenza e la dottrina, nell’intenzione di colmare il vuoto legislativo in materia, hanno fornito una variegata gamma di risposte al quesito inerente la natura giuridica del contratto.[223] L’opinione che ha raccolto più consensi, anche tra i giudici, è che il leasing finanziario sia una locazione (Miete), così come configurata ex § 535 BGB. La tesi è autorevolmente sostenuta dal Flume che, muovendo dalla distinzione dogmatica tra vendita e locazione, si concentra sulla prestazione principale prevista da quest’ultima fattispecie, in particolare la cessione in uso contro un corrispettivo, affermando che tali obbligazioni si riscontrano nel leasing come nella locazione ex § 535 BGB, dato che la prestazione del locatore nel leasing consiste essenzialmente nel consentire il godimento della cosa e che, d’altro canto, il corrispettivo viene pagato dal conduttore pro usu rei; ancora, l’opzione d’acquisto non è vista come una caratteristica sempre ricorrente nel regolamento di interessi e, pertanto, risulta difficile avvicinare il contratto alla vendita rateale, visto anche che all’acquirente è in tal caso riconosciuta un’aspettativa reale garantita da mezzi di tutela e avvalorata da facoltà di disposizione, che si fatica ad attribuire al lessee: per questo motivo si è indotti a parlare di contratto di locazione atipico.[224]
Non è possibile, comunque, nemmeno per gli autori tedeschi, ignorare il significato economico della tecnica contrattuale, vale a dire la funzione finanziaria del leasing, che tuttavia non rende necessario l’allontanamento dal tipo legale della locazione. Naturalmente, il regolamento convenzionale in oggetto presenta molte clausole riguardo alle quali è quanto meno lecito dubitare che siano compatibili con la disciplina legale del contratto di locazione; il pensiero corre al trasferimento convenzionale dei rischi che, come è ben noto, non sussiste nella locazione: anzi, in essa è necessario che tali rischi vengano sopportati dal locatore. Il Flume tenta efficacemente di risolvere la questione puntellando ulteriormente la sua tesi: i rischi associati alla cosa (Sachgefahr) nelle locazioni di beni strumentali derivano ineludibilmente dall’uso della stessa e, pertanto, è necessario che siano sopportati dal conduttore. In quest’ottica, la regola vale anche per il leasing, visto che il locatore non ha alcun Sachinteresse (interesse verso la cosa) esclusivamente attribuibile al conduttore.
Non occorrono elaborazioni altrettanto raffinate per giungere alla distinzione tra leasing e vendita con riserva di proprietà. In quest’ultima, il diritto dell’acquirente è definito “diritto di aspettativa a carattere reale”,[225] che si trasforma nel pieno diritto di proprietà con il pagamento di tutte le rate: risulta sufficiente, pertanto, distinguere il diritto personale del lessee dal diritto reale del compratore a rate.[226]
È possibile a questo punto comprendere come, nell’esperienza tedesca si preferisce una soluzione vicina al modello francese, limitatamente all’inquadramento civilistico del negozio mentre, alla stregua del diritto tributario si opta per una configurazione del contratto molto simile all’originario modello statunitense. [227]
Naturalmente la qualificazione del contratto determina conseguenze importanti sul fronte della disciplina applicabile all’istituto: se si opta per l’atipicità del negozio, si è normalmente più propensi ad ammetterne le condizioni generali; se lo si riconduce alla locazione, diventano necessarie argomentazioni elaborate come quelle del Flume,[228] per giustificare regole negoziali evidentemente aporetiche rispetto al regolamento d’interessi della locazione ordinaria, disciplinata nel BGB.
I giudici tedeschi, fanno ricorso, a seconda del problema di cui si discute, alle norme sulla locazione (§ 535 ss. BGB), ma anche a quelle che disciplinano la vendita a rate.[229]
La dissertazione appare matura per risolvere preliminarmente due questioni essenziali in tema di disciplina del contratto: qual è l’incidenza sui contratti di leasing della disciplina, contenuta nell’ AGBG, sulle condizioni generali di contratto, nonché della normativa a tutela dell’acquirente a rate?
In riferimento al primo problema, è ormai pacifico che sul leasing operi la disciplina introdotta con l’ AGBG del 2 dicembre 1976, che predispone controlli generali cui anche tale contratto deve sottostare.[230] Con tale intervento legislativo, il problema di qualificare il nuovo istituto è diventato centrale, visto che l’equità delle clausole, alla stregua del principio della buona fede, deve essere parametrata alla disciplina del tipo contrattuale o, in presenza di un contratto atipico, alla natura generale di esso (§ 9).[231] Per i contratti in cui l’utilizzatore è commerciante o persona giuridica di diritto pubblico (ipotesi in cui larga parte della legge non si applica), non vi saranno controlli inediti e particolarmente invasivi. Le clausole, semplicemente, non dovranno essere “uberraschende”, vale a dire così inusitate e sorprendenti che l’aderente non possa metterle in conto (§ 3 ); per essere efficaci, il loro contenuto non dovrà essere tale da comportare per l’aderente-utilizzatore un pregiudizio fuori misura, in contrasto con il principio di buona fede (§ 9). Per i casi in cui l’utilizzatore non è né commerciante né persona giuridica pubblica, ma semplice consumatore, i controlli sono invece più intensi: oltre a doversi conformare ai requisiti sopra indicati, le condizioni generali di contratto dovranno essere rese conoscibili all’aderente, che dovrà poterne valutare l’operatività. Inoltre, quanto al contenuto, per vincolare le parti non dovranno ricadere nella “lista nera”[232] predisposta ex §§ 10 e 11 AGBG. Molte tra le clausole appartenenti a tale lista risultavano frequenti nei formulari tedeschi, così che, la violenta e tanto invocata censura non si è fatta attendere. Il riferimento è alle clausole di liquidazione del danno (§11 n. 5), alle penali (11 n6), alle clausole di esonero della responsabilità per colpa grave (11 n. 7) e alle clausole di esclusione della garanzia per vizi (11 n. 10).
Naturalmente, se una clausola è inefficace, non viene meno l’intero contratto, che dovrà essere disciplinato secondo quanto stabilito dalla legge (§ 6). In questo senso, le regole sull’interpretazione e sull’integrazione di cui ai §§ 157 BGB e 346 HGB, permettono di tener conto, prima del ricorso alle norme legali, delle particolarità dei contratti che divergono dalla legge.
Altri profili disciplinari, pure subordinati al superamento delle questioni in tema di qualificazione, riguardano l’applicabilità della disciplina sui negozi con pagamento a rate risalente al 1894 e riformata nel 1976. La legge, che non si applica ai contratti tra commercianti, predispone una tutela per l’acquirente a rate, ma opera espressamente anche quando un contratto non qualificabile come vendita rateale persegue economicamente lo stesso scopo.[233]. Il Bundesgerichtshof [234]sul punto è cauto: da una parte si attribuisce gran rilevanza all’inserimento nel testo contrattuale del diritto di opzione, dall’altra si specifica che tale convenzione non basta ad allontanarsi definitivamente dal polo della locazione, mentre appare decisiva la circostanza che il locatore si riservi il diritto di vendita, circostanza quest’ultima, per la verità, a dir poco infrequente.
I dubbi nutriti in passato sulla possibilità di concedere la tutela prevista dall’Abzahlungsgeshaft agli utilizzatori, laddove questi non fossero commercianti iscritti al registro, sono stati, quindi, gradualmente superati. Appurato che il leasing non è identificabile con la vendita a rate (§ 1), esso deve essere ricondotto entro quei contratti che perseguono lo scopo di un’Abzahlungsgeschaft mediante una diversa forma giuridica, in particolare mediante la concessione di una cosa attraverso lo schema locatizio (§ 6): ancora una volta si rivela determinante la sostanza economica del contratto
Tornando all’AGBG, se ne valutino le norme principali: esso prescrive la forma scritta del contratto e l’inclusione nel testo contrattuale di specifiche indicazioni sugli estremi economici dell’operazione (§ 1 a). Se ciò non avviene, il contratto non si ritiene formato, salvo che il bene sia stato preso in consegna.[235] I tribunali tedeschi, riconoscendo l’applicabilità dell’AGBG alla nuova tecnica contrattuale, hanno fatto ricorso ad argomentazioni diverse (coincidenza tra durata e vita economica, ammontare complessivo dei canoni, ripartizione dei rischi), tutte però concordanti nell’approdare alla configurazione dell’utilizzatore come “proprietario economico” del bene. La dottrina, invece, è apparsa sempre molto divisa sul punto. Essa tende a sottrarre alla tutela il non-full-pay-out leasing, limitando inoltre l’alveo applicativo della disciplina alle ipotesi nelle quali la durata corrisponde all’effettiva vita economica del bene ed a quelle in cui l’opzione d’acquisto viene di fatto obbligatoriamente esercitata dall’utilizzatore.[236]
Come in tutti gli ordinamenti, anche in quello tedesco è appurato che all’utilizzatore spetti di sopportare gli oneri di manutenzione e di riparazione del bene, essendo anche responsabile per il danneggiamento, la perdita e la sottrazione dello stesso. A tale regola si aggiunge che, in caso di perimento della cosa, il concedente, in deroga al principio casum sentit dominus applicabile alla locazione,[237] non sopporta i relativi rischi e può scegliere tra la facoltà di chiedere all’utilizzatore di sostituirgli il bene oppure di pagargliene il valore versando immediatamente ed integralmente l’importo pari ai canoni residui, ferma la possibilità, in caso di rottura, di ripararglielo.[238] Gli studiosi tedeschi, sulla scia di quanto ha scritto il Flume, giustificano tale dolorosa deroga della legge affermando, in primis, che il legislatore si riferisce alla locazione immobiliare, mentre il leasing ha ad oggetto beni mobili, esposti a rischi di perimento ben maggiori, connessi all’uso del bene e, pertanto, riguardanti il solo utilizzatore, visto che, come si è detto, il concedente non ha alcun interesse alla cosa (Sachinteresse).
In vero, sorge qualche dubbio sull’obbligo di versare i canoni residui: il pagamento deve includere il profitto del finanziatore? Sicuramente l’obbligo deve ritenersi sussistente anche quando il perimento è dovuto al fatto illecito di un terzo e il finanziatore abbia potuto ottenere il risarcimento del danno grazie alla cessione, prevista dal contratto, del diritto al risarcimento vantato dall’utilizzatore nei confronti dell’assicurazione dell’autore dell’illecito. [239]
È interessante ravvisare in Germania un’efficace soluzione riguardo all’ipotesi di traslazione del rischio senza l’attribuzione espressa all’utilizzatore di rimedi diretti nei confronti del fornitore. Mentre la giurisprudenza italiana, come ha scritto qualcuno “sparando ai tordi con le cannonate”,[240] ha dichiarato nullo il contratto, l’ OLG Hamm, 4 dicembre 1979, ha negato che la clausola di esclusione della garanzia, a fronte della contemporanea devoluzione all’utilizzatore delle pretese (Ansprueche) del finanziatore, costituisca una clausola tanto squilibrata da giustificare la sanzione della nullità anche nei contratti tra commercianti oltre che tra privati (v. c.d. §§ 9 e 11, n. 8 AGBG).
In caso di inadempimento del fornitore o ritardo nella consegna del bene è garantito al conduttore il diritto di disdetta senza preavviso (§542 BGB) oppure il diritto di recesso dal contratto (§§ 325, 326 BGB). La disciplina legale prevede, a favore dello stesso, una garanzia per vizi che si concreta nel diritto al risarcimento dei danni e nella liberazione dal pagamento dei canoni (§§ 537; 538 BGB). Diversamente, però, nei modelli di contratto il concedente si obbliga a rendere possibile per l’utilizzatore il godimento del bene: “Il concedente non garantisce né per la mancanza di vizi della cosa né per l’inadempimento del fornitore. Il concedente cede all’utilizzatore queste pretese di garanzia con la conclusione del contratto”.[241] In alcuni casi, poi, si giunge a prevedere una clausola di risoluzione per la mancata consegna del bene, anche se più spesso si esonera il concedente da ogni relativa responsabilità.[242]
Come è evidente, il diritto all’eliminazione dei vizi, alla riduzione dei canoni di leasing, al risarcimento dei danni, alla risoluzione o al recesso rappresentano un miraggio!
Nei formulari, come detto, il finanziatore si libera da ogni responsabilità per i vizi della cosa, ma non si limita a ciò: egli contestualmente, cede al lessee le azioni di cui è titolare in quanto acquirente del bene, oppure conferisce allo stesso il potere di esercitarle nei confronti del fornitore.[243] Esse, per altro, non risultano particolarmente utili all’utilizzatore nel caso di impossibilità della prestazione, così che anche il rischio di insolvenza, che normalmente avrebbe riguardato il concedente, viene addossato al lessee.
Non sempre tali condizioni generali superano indenni il vaglio giurisprudenziale. La Corte Suprema federale, con sentenza 8 ottobre 1975 ha ritenuto di censurare la clausola di traslazione convenzionale dei rischi, da ritenersi non presente nel contratto che, pur presentando tutti i profili del tipo sociale, non prevedeva l’opzione d’acquisto, ma solo la facoltà di proroga, risultando per questo, secondo i giudici, non riconducibile nell’alveo della locazione.[244] La risoluzione della vendita giunge quindi a risolvere anche il contratto di leasing, ma il rischio di inadempimento del fornitore, in relazione all’obbligazione di restituire il prezzo, grava sull’utilizzatore. [245]
In ordine alla risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, in Germania trova applicazione l’istituto del Nachfrist: esso richiede a colui che si aspetta la prestazione di concedere un ulteriore termine, un termine di grazia appunto, durante il quale l’altro può sanare (ove sia possibile ed ove lo voglia) l’inadempimento.[246]
I formulari tedeschi prevedono che, nel caso di ritardo nel pagamento del canone che superi trenta giorni, i canoni residui diventano immediatamente esigibili nel loro complesso e il finanziatore può esercitare l’ausserordentliches Kundigungsrecht ottenendo la restituzione del bene. Le conseguenze dell’esercizio della Kundigung sono variamente regolate dai formulari: in alcuni si prevede che il finanziatore possa pretendere anche l’immediato pagamento delle rate residue: tale clausola è considerata nulla, perché Kundigung e pagamento dei canoni residui sono strumenti alternativi, non cumulabili (Reich); in altri modelli si attribuisce il diritto al risarcimento del danno, quantificandolo preventivamente in una parte delle rate residue: si dovrà verificare se si tratti di clausole penali, sottoposte al controllo di cui al § 343 BGB, e quindi suscettibili di riduzione. Riguardo a queste ultime, la situazione tedesca è analoga a quella francese ed italiana, essendo identica la qualificazione giuridica dell’obbligazione. In Germania, dottrina e giurisprudenza hanno sempre controllato attentamente le condizioni generali di contratto, e quindi anche quelle contenenti le penali, ma sono sorti ulteriori problemi visto che, mentre nel HGB, e cioè nei contratti tra commercianti, la penale è libera (§348), secondo il BGB il giudice la può ridurre se è sproporzionalmente alta (§343) ; v’è infine il § 14, n. 7 dell’ AGBG, col quale bisogna far i conti, poiché dichiara invalide talune clausole penali.[247]
In caso di fallimento dell’utilizzatore e di conseguente scioglimento del contratto, l’opinione dominante riconosce al finanziatore, in quanto proprietario, il diritto di riprendere il bene (Aussonderungsrecht): in ciò la sua posizione è assimilabile a quella del venditore rateale, al quale la dottrina tedesca, quasi pacificamente, riconosce tale diritto. Il leasing quindi, sotto questo profilo, a differenza di quanto accade in Francia, non comporta nessun vantaggio rispetto alla vendita con riserva di proprietà. Dubbio è se, in caso di fallimento dell’utilizzatore, il finanziatore possa recedere dal contratto o se invece debba sottostare alla decisione del curatore di mantenere il contratto. L’alternativa si pone fra l’applicazione del § 19 KO, dettato per la locazione, che prevede la prima soluzione, o invece del § 17, principio generale per i contratti a prestazioni corrispettive, che prevede invece la seconda. La risposta dipende ancora una volta dalla qualificazione attribuita al leasing: se viene equiparato alla locazione, si opterà per la prima soluzione, se invece viene avvicinato alla vendita con riserva di proprietà, o viene considerato contratto sui generis comunque diverso dalla locazione, si giungerà alla seconda. [248]
Dalla qualificazione del contratto dipenderà anche la sorte dei canoni riscossi: soltanto se saranno considerati il corrispettivo di una fase già esaurita del godimento del bene, secondo uno schema tipicamente locatizio, potranno essere integralmente trattenuti dal finanziatore.[249]
Volendo lucidamente trarre qualche conclusione, è possibile ammettere che le norme dispositive del BGB abbiano lasciato campo libero all’autonomia privata delle società di leasing, fatto salvo il canone generale della buona fede. La disciplina del 1976 sulle condizioni generali e quella sui negozi che prevedono il pagamento a rate hanno però spinto i giudici a ritenere inammissibili clausole che prima superavano il vaglio giurisprudenziale. Si pensi ai vizi della cosa, al perimento del bene, alla mora nel pagamento da parte dell’utilizzatore. I giudici, di là dalla ossessivamente affermata funzione meramente finanziaria del concedente, hanno ritenuto di condurre l’assetto di interessi complessivo verso un riequilibrio che prima mancava.[250]
8. Il leasing nel diritto svizzero. Delimitazione del tipo sociale leasing finanziario e principali problemi di qualificazione: le parziali risposte giurisprudenziali e le soluzioni proposte dalla dottrina per l’inquadramento giuridico del contratto; il problema centrale della garanzia di credito.
È nota l’importanza del mercato svizzero dei servizi finanziari e, pertanto, non è possibile astenersi da qualche considerazione sulla regolamentazione dell’istituto in Svizzera, visto anche il suo sorprendente sviluppo, nonostante i molti dubbi sollevati in ordine al trattamento giuridico da riservare ad esso.
Com’è noto, non esiste nell’ordinamento svizzero una disciplina ad hoc del contratto;[251] manca una ricostruzione pacifica del fenomeno da parte della dottrina e un orientamento univoco della giurisprudenza.
Nei primi anni dalla recezione del leasing in Svizzera, il termine inglese, forse a causa della diffusa anglomania oppure per insospettabili difficoltà di traduzione, è stato utilizzato come
una sorta di etichetta, buona a reclamizzare contratti riconducibili alla locazione semplice o alla vendita a rate.[252]
Ben presto è emerso il carattere innovativo del leasing, progressivamente affermatosi come tipologia negoziale socialmente tipica, plasmata in maniera omogenea dalla prassi delle banche svizzere, in grado di proporre in breve tempo formulari identici, specie per le operazioni aventi ad oggetto beni mobili di natura strumentale. Diversamente, le operazioni immobiliari non hanno avuto analogo sviluppo, vista la presenza sul mercato svizzero di strumenti giuridici economicamente più vantaggiosi del leasing, come il tradizionale credito ipotecario.[253] Il leasing di consumo, in fine, ha raggiunto una certa diffusione, specie se realizzato secondo lo schema del leasing operativo, qualificato da autorevolissima dottrina,[254] a seconda dei casi, come locazione o vendita rateale. Il leasing finanziario, del resto, risulta difficilmente attuabile in Svizzera con riguardo ai beni di consumo, visto che si applicano ad esso le disposizioni di legge sulla vendita rateale.
Lo schema negoziale e la disciplina convenzionale dei contratti che emerge dalla prassi sono perfettamente in linea con l’esperienza giuridica degli altri ordinamenti, specie di quelli europei.[255] Un’importante peculiarità da segnalare attiene, però, al diritto di opzione che, in origine, rientrava ordinariamente nella disciplina convenzionale predisposta dai formulari, mentre oggi non viene più inserito nei contratti.[256]
La dottrina svizzera si è impegnata per molti anni nella delimitazione del vero e proprio leasing finanziario, rispetto alle differenti operazioni negoziali rappresentate dal leasing diretto ed operativo.[257] Per questo è sul primo che saranno incentrate le considerazioni che seguono.
Anche in Svizzera vi sono stati, ed in parte permangono, dubbi sulla validità e sulla collocazione dell’istituto, che si traducono in una giurisprudenza evidentemente contraddittoria e parziale,[258] che pure si è pronunciata in diverse occasioni sul tema. [259]
Le sentenze emesse a livello cantonale non forniscono un indirizzo risolutivo, che invece potrebbe essere imposto da una provvidenziale sentenza del Tribunale federale. Conserva comunque la sua importanza originaria la prima importante sentenza svizzera sul leasing, emanata dal Tribunale di Commercio di Zurigo, che il 1° giugno 1977 ha dovuto per la prima volta pronunciarsi sulla collocazione giuridica dell’istituto.[260] L’utilizzatore ha chiesto al tribunale, sulla base di pretesi inconvenienti tecnici presentati dal computer avuto in leasing, di dichiarare nullo ovvero senza effetti il contratto, adducendo tre argomenti: in primo luogo il contratto era da considerare nullo per impossibilità, poiché né il fornitore né la società di leasing avevano iscritto la riserva di proprietà nel registro prescritto, cosicché l’utilizzatore era diventato proprietario del bene; in secondo luogo, il contratto era da considerare nullo a causa della presenza di clausole essenziali in contrasto con la legge ed il buon costume; ed in terzo luogo si trattava di una vendita rateale camuffata. L’utilizzatore è riuscito a far valere i primi due argomenti; la terza questione è stata invece lasciata irrisolta, poiché nella fattispecie, a causa dell’iscrizione dell’utilizzatore nel registro del commercio, le norme sulla vendita rateale sarebbero state applicabili solo in minima parte. La sentenza ha riconosciuto che il contratto di leasing non costituisce soltanto una locazione o una compravendita, ma un contratto sui generis, negando di conseguenza l’illiceità di clausole che rientrano ordinariamente nel regolamento d’interessi. La motivazione, però, fortemente ispirata alla trattazione del Giger, è in parte contraddittoria, e le lacune sono evidenti laddove il giudicante si immerge nelle complesse questioni legate alla natura del contratto, affermando che vi sono due elementi essenziali nella pattuizione: il riconoscimento all’utilizzatore della posizione economica di proprietario del bene e l’attribuzione della proprietà legale del bene al concedente, con evidenti funzioni di garanzia. Il tribunale però, azzarda una qualificazione del contratto come cessione d’uso sui generis. Nell’affermare che non è necessaria l’iscrizione della riserva di proprietà, i giudici si limitano ad argomentare superficialmente che la finalità del contratto non consiste in un’alienazione del bene; essi rinunciano ad un vaglio serio finalizzato a cogliere nell’ effettiva volontà dei contraenti l’alienazione della cosa. Tale punto è difficilmente conciliabile con altre affermazioni contenute nella stessa sentenza laddove, per esempio, si afferma che la proprietà permanente in capo al concedente serve esclusivamente come garanzia del credito e viene proposto addirittura, al fine di semplificare il complicato meccanismo del leasing, di creare una garanzia reale mobiliare.
Passando ai problemi della liceità dell’accollo di tutti i rischi all’utilizzatore e dell’esclusione di qualsiasi obbligo di garanzia da parte del concedente, si prospetta la possibilità di applicare al leasing norme cogenti in materia di diritto delle obbligazioni, ed in particolare le disposizioni in materia di vendita rateale e di negozi giuridici aventi le stesse finalità economiche del leasing. Si ricordi che, siccome nel tradizionale contratto avente ad oggetto beni strumentali l’utilizzatore è sempre iscritto nel registro del commercio, dell’intera disciplina svizzera sulla vendita rateale saranno applicabili solo le disposizioni ex artt. 226 m, comma IV del codice delle obbligazioni svizzero, riducendo pertanto l’importanza della problematica, quanto meno per la tipologia di leasing in oggetto.[261]
Se in materia di diritto delle obbligazioni non si pongono particolari problemi, visto il principio generale dell’autonomia delle parti, maggiori problemi riguardano i diritti reali, dove vige il numero chiuso, L’operazione, infatti, è imperniata sulla permanenza del diritto di proprietà in capo al concedente, che deve necessariamente essere opponibile ai terzi, in particolare alla massa fallimentare dell’utilizzatore. Tale problema è stato alla base delle prime decisioni della giurisprudenza nell’ordinamento svizzero, italiano, francese e belga.[262] In tutte queste decisioni il bene oggetto del leasing è stato sottratto alla massa fallimentare, vista l’opponibilità riconosciuta al diritto di proprietà del concedente nei confronti dei terzi. Una sentenza contraria, come rilevato dal Giovanoli,[263] avrebbe determinato la morte dell’istituto, e non deve meravigliare che in Germania sia mancata una decisione analoga a quelle citate, vista la estrema liberalità vigente nell’ordinamento tedesco in tema di garanzie reali senza trasferimento di possesso, dove anzi la “Sicherungsubereignung” (costituzione in garanzia senza spossessamene del debitore) ha completamente soppiantato il pegno manuale.
L’ordinamento svizzero è estremamente restrittivo per quanto riguarda le garanzie reali su beni mobili e ne riconosce l’efficacia soltanto se vi è trasferimento del possesso al creditore; solo in determinati casi, soprattutto quello del patto di riservato dominio, questo trasferimento è sostituito dall’iscrizione in un pubblico registro. Nel caso del contratto di leasing si dovrà accertare se la società concedente è divenuta o è rimasta proprietaria del bene da essa finanziato, senza che sia stata iscritta una corrispondente riserva di proprietà nel registro pubblico prescritto. A tale riguardo tutto dipende dalla natura giuridica del contratto di leasing: se si ammette che si tratti essenzialmente di un contratto di alienazione, l’utilizzatore acquista con il possesso della cosa anche la sua proprietà, salvo che sia stata pattuita e iscritta nell’apposito registro una riserva di proprietà.
Ci sono, nella dottrina svizzera, quattro orientamenti principali in ordine alla natura giuridica del contratto.[264] Il primo in ordine cronologico, imputabile soprattutto ad Hausheer, ascrive il contratto ad una vendita rateale sui generis. Visto il deprezzamento del bene al termine del contratto, il concedente avrà ricevuto l’equivalente del prezzo della cosa. In siffatte circostanze, che vi sia o meno opzione d’acquisto, il negozio ha per scopo il trasferimento della sostanza del bene e le parti perseguono le stesse finalità economiche della vendita rateale. Il contratto sarebbe sottoposto alla disciplina sulla vendita rateale e sul patto di riservato dominio: cercando di mascherare un vero e proprio trasferimento della proprietà le parti hanno inteso eludere la norma imperativa ex 715 c.c. Di conseguenza, in difetto di un’espressa pattuizione della riserva di proprietà e della sua iscrizione nell’apposito registro pubblico, la proprietà passerebbe all’utilizzatore dal momento in cui questo entra in possesso del bene medesimo.
Una seconda teoria, meno restrittiva, imputabile al Schubiger e allo Brumann, cerca di individuare la volontà delle parti di trasferire la proprietà sul bene in un momento qualsiasi dell’operazione. In caso positivo c’è una vendita rateale sui generis; in caso contrario si tratterebbe di un contratto di cessione d’uso sui generis, e non sarebbero applicabili le norme relative alla riserva di proprietà. Il contratto, per contro, persegue lo stesso scopo della vendita rateale ed è di conseguenza soggetto alla normativa contenuta nell’art. 226 m, comma 4 del CO. Il punto debole di tale soluzione risiede nella difficoltà di determinare, in ciascun caso particolare, se le parti hanno avuto, all’atto della conclusione del contratto, l’intenzione di alienare la cosa. La grande incertezza che ne deriva rende questa teoria poco utilizzabile nella pratica e la progressiva standardizzazione dei formulari pare costituire ulteriore ostacolo per l’ardua impresa.
Altra dottrina, soprattutto Giger, ha inteso dapprima tentare una riconduzione del contratto alla locazione, poi ha parlato di contratto di cessione d’uso sui generis, ovvero di contratto misto sui generis contenente essenzialmente gli elementi di una locazione e, in misura minore, quelli della vendita, nonché eventualmente di altri contratti come il mandato, subordinatamente al consenso delle società di leasing. Esisterebbe, accanto alla vendita, un contratto di cessione d’uso atipico, implicante elementi di molteplici contratti come il mandato. Si è sostenuto pure (Schluep) che il contratto di locazione, disciplinato da norme generalmente dispositive, sarebbe tanto elastico da accogliere in sé anche un regolamento di interessi come il leasing. L’ultimo orientamento, fatto proprio dal Giovanoli,[265] parte dal ruolo svolto dal concedente, che non è un locatore ma un intermediario finanziario, il quale nulla assicura in relazione al bene locato. Si riscontrano elementi del mandato tra utilizzatore mandante e società mandataria rispetto all’acquisto del bene da concedere in leasing. Si comprende, in tal modo, il regime convenzionale attinente ai rischi relativi al bene mentre, facendo riferimento alla locazione ciò non risulta possibile. In tal senso, è significativo quanto accaduto nella Germania federale, dove le società hanno auspicato per lungo tempo l’assimilazione alla locazione pura, e i Tribunali, soprattutto il Bundesgerichtshof, hanno fatto assumere ai concedenti tutte le obbligazioni proprie del locatore, nonostante lo stesso sia sostanzialmente un prestatore di fondi. Nell’ambito della medesima ricostruzione, si ravvisano nel contratto anche elementi del mutuo avente ad oggetto, in questo caso, il prezzo dell’acquisto. L’elemento del mutuo spiega la struttura dei canoni, i quali non rappresentano altro che un rimborso rateale dell’onere finanziario sostenuto dal concedente.[266]
Osservando adesso la posizione giuridica del concedente, è forte la somiglianza con un proprietario fiduciario a scopo di garanzia, con la differenza che nel leasing non c’è l’automatico trasferimento della proprietà in capo al debitore liberato, ma l’utilizzatore ha una serie di opzioni, tra le quali manca (in Svizzera!) l’acquisto del bene. La siffatta differenza si giustifica, secondo la dottrina svizzera, con la particolare natura della cosa, che non è certo un bene durevole dal valore costante, ma una sorta di pegno evanescente che non conserva il proprio valore cosi da non sussistere alcuna motivazione per imporre il trasferimento automatico della proprietà al termine del contratto.
Si intende, adesso, verificare se, sulla base di tale tesi, la garanzia reale del credito perseguita dalle parti possa avere efficacia giuridica. L’art. 884 comma 1 c.c. svizzero stabilisce il principio che, salvo le eccezioni previste dalla legge, il diritto di pegno su cose mobili può essere costituito soltanto con il trasferimento del possesso, escludendo così l’ipoteca mobiliare senza pegno manuale, prima in uso. Per quanto concerne il trasferimento della proprietà a scopo di garanzia è determinante il 717 c.c., che si riferisce esclusivamente all’ipotesi in cui l’alienante stesso permane in possesso di una cosa mobile: in tal caso il trasferimento di proprietà è inefficace di fronte ai terzi se fatto nell’intenzione di eludere le prescrizioni sul pegno manuale. La predetta ipotesi si trova evidentemente realizzata nell’operazione di lease back, ma non nel caso del comune contratto di leasing, dove la società concedente acquista il bene da un terzo e non dal futuro utilizzatore. Pertanto, nella fattispecie non può essere applicabile l’art. 717 c.c. Al contrario nel diritto svizzero si trova un caso assai simile e precisamente nel famoso art. 401 CO: in esso si dispone espressamente che un bene mobile acquistato dal mandatario in nome proprio ma per conto del mandante possa essere rivendicato dal mandante stesso qualora questo abbia adempiuto a tutte le obbligazioni derivanti dal mandato, e in particolare se ha rimborsato al mandatario, con i relativi interessi, le spese da questi sostenute per l’esecuzione del mandato. Ora, le società di leasing acquistano in nome proprio[267] dei beni destinati in effetti all’utilizzatore e pertanto, va osservato che una base giuridica parzialmente fondata sul mandato assicura la funzione di garanzia a lungo termine dell’operazione di leasing nonostante il dettato dell’art. 404 CO sulla revocabilità in ogni tempo del mandato: nell’art. 401 CO, infatti, viene disposto che la proprietà dell’oggetto acquistato dal mandatario (qui la società di leasing) può passare al mandante (qui l’utilizzatore) soltanto quando quest’ultimo abbia adempiuto a tutte le sue obbligazioni verso il mandatario.
Nella prospettazione della dottrina svizzera, l’approccio non esclude l’applicazione delle norme sulla vendita rateale, quanto meno delle tre disposizioni citate nell’art. 226 m, comma 4° del CO, poiché il bene oggetto di leasing viene lasciato all’utilizzatore in pieno e duraturo godimento sino alla sua totale perdita di valore ma non sono applicabili al contratto le altre norme vigenti sulla riserva di proprietà, poiché non viene perseguita la finalità del trasferimento della proprietà sul bene. Alla scadenza del contratto infatti, il bene è in linea di principio completamente deprezzato, sicché sarebbe inverosimile attribuire alle parti una volontà di alienazione normalmente insussistente.
Il bilancio non è certo roseo. La questione di fondo, rappresentata dalla garanzia di credito a cui mirano almeno economicamente le parti, permane del tutto irrisolta in assenza di una decisione del Tribunale federale o del legislatore. La concezione del leasing come contratto sui generis è solo una prospettiva per assicurare al leasing finanziario una base giuridica conforme al profilo economico dell’operazione. Nell’ordinamento svizzero il contratto di leasing rappresenta il primo istituto che adempie alla funzione di garanzia reale mobiliare senza che vi sia trasferimento di possesso o iscrizione in un pubblico registro. Da questo punto di vista è corretto il paragone portato dalla citata sentenza del Tribunale di commercio di Zurigo con l’ipoteca mobiliare. Se ci si vorrà attenere al sistema delle garanzie mobiliari vigente in Svizzera, si dovrà, de lege ferenda, o ampliare l’ambito di applicazione del registro delle riserve di proprietà, o introdurre un registro apposito per l’iscrizione di beni concessi in leasing.
9. Il leasing nel diritto statunitense. L’originaria disciplina dello Uniform Commercial Code: lease intended as security e ruolo del security interest; il contributo della giurisprudenza nella ricostruzione di una fattispecie legale completa e rispondente alle esigenze di tutela dei contraenti. La rilevanza dell’opzione di acquisto per una nominal consideration e la restante disciplina applicabile. La nuova disciplina dell’equipment leasing giunta nel 1985: convergenze (molte) e divergenze (poche) con la Convenzione Unidroit. Il lessor da mero creditore, sebbene privilegiato, a “reale” proprietario del bene concesso in leasing.
Il testo originario dello Uniform Commercial Code, privo dell’analitica regolamentazione giunta nel 1985, conteneva la prima disciplina legislativa in materia di leasing, assunta successivamente a modello in altri ordinamenti e, pertanto, meritevole di qualche considerazione preliminare ad una trattazione della citata riforma. La disciplina non faceva espressamente riferimento al leasing, ma la categoria giuridica del lease intended as security cui essa si riferiva,[268] veniva e viene pacificamente sovrapposta alla categoria economica del financial lease.[269]
Il lease intended as security costituisce autonoma fattispecie negoziale, dotata di una fisionomia differente rispetto a quella della true lease (locazione) e più simile, invece, alla conditional sale (vendita con riserva della proprietà, individuata in base ad autonomi criteri ma soggetta, infatti, alla medesima disciplina).[270] La nozione contenuta nel testo originario dello U.C.C. non può dirsi propriamente analitica, essendo imperniata esclusivamente sul security interest, ovvero sulla posizione giuridica imputabile al lessor,[271] il cui diritto di proprietà svolge una funzione di mera garanzia ( unless a lease… is intended as security, reservation of title thereunder is not a security interest”).[272] In realtà, il rilievo attribuito dal Codice alla nozione di security interest è giustificabile alla stregua di alcune osservazioni relative alla sistemazione della disciplina nel Codice commerciale americano:[273] l’art. 9, che si riferisce al lease, e che ne esaurisce la disciplina prima della poderosa riforma del 1985, trova applicazione nei confronti delle transactions che siano “intended to create a security interest in personal property” [sect. 9-102 (1)]. Tra queste rientra tipicamente il mortgage che, come i numerosi strumenti di garanzia mobiliare senza spossessamento impiegati nella pratica mercantile statunitense, si risolve nella creazione della garanzia di un credito. Nel lease però, la creazione di una garanzia rappresenta certo un profilo importante dell’operazione ma, anche se elevato a criterio qualificante dal legislatore per esigenze sistematiche, non ne rappresenta certo lo scopo.[274]
La necessità di un esame dell’operazione nel suo complesso risulta espressamente nello U.C.C., laddove si stabilisce che è by the facts of each case che deve accertarsi se un lease sia intended as security [sect. 1-201 (37)].[275] A tal proposito, è ben nota l’importanza del contributo fornito dalla giurisprudenza prima del 1985 per l’individuazione della fattispecie legale mediante un functional economic approach in grado di considerare realisticamente il contenuto delle operazioni sulla base di molteplici profili quali il rapporto tra durata del contratto e vita utile della cosa, tra l’ammontare dei canoni previsti dal contratto e quelli praticati sul mercato, la proporzione tra option price e list price, quella tra option price e valore residuo della cosa, e prescindendo dalla tradizionale distinzione tra lease e sale, la quale si risolve nella legal issue relativa all’esistenza o meno di un trasferimento della proprietà. I giudici per molti anni hanno in pratica indagato sull’assetto di interessi convenzionalmente determinato ravvisandovi, in sostanza, l’operazione finanziamento di una compravendita con attribuzione di una garanzia al finanziatore.[276]
Il Codice efficacemente stabilisce che l’inclusione di una opzione di compera non rende di per se stessa il lease “intended as security” [sect. 1-101 (37)]: devono ricorrere ulteriori elementi perché possa escludersi la qualificabilità del contratto come true lease. Il testo aggiunge, inoltre, che un patto per il quale, una volta soddisfatte le condizioni del lease, il locatario diventa o ha la facoltà di diventare proprietario del bene senza versare alcun corrispettivo o versando un corrispettivo nominale, rende il lease un lease intended as security.
La dottrina con riguardo all’ipotesi prevista da questa disposizione ha sempre sostenuto che il locatario, prima ancora di esercitare l’opzione di compera, acquista una equity of ownership sulla cosa: si vuole con ciò descrivere la posizione fattuale del locatore che, versando nel corso del rapporto un canone superiore al valore del godimento della cosa, anticipa realmente una parte del prezzo dovuto per l’esercizio dell’opzione e quindi acquista, prima di vedersi trasferire il legal title, una sorta di proprietà sulla cosa.[277] La regola riferita non vale a coprire evidentemente ogni schema riconducibile al tipo legale, che resta pur sempre individuato dalla volontà di dare vita ad un security interest; però, da una lato, il fatto che si tratti di un criterio specifico corrispondente più di quello generale alle esigenze di certezza del diritto e, dall’altro, la circostanza che lo schema prevalente nella pratica sia quello che prevede l’attribuzione al locatario di una opzione di compera da esercitarsi dietro pagamento di un corrispettivo sovente non proporzionato al valore residuo della cosa, hanno fatto si che la giurisprudenza privilegiasse il criterio suddetto come strumento per la qualificazione del lease, impiegandolo anche in relazione a fattispecie che avrebbero potuto comunque essere trattate con l’adozione di criteri diversi.
Il ricorso alla regola in esame non si è rivelato, negli anni, esente da difficoltà interpretative. Bisogna innanzi tutto individuare il significato da attribuire alla nominal consideration, riguardo alla quale unico punto fermo è che, per stabilire se il corrispettivo per l’esercizio dell’opzione sia nominal, deve confrontarsi il suo valore con il valore residuo della cosa, quale è previsto al momento della conclusione del contratto, e che comunque la nozione di nominal consideration non si riferisce per forza ad un prezzo puramente simbolico, bensì ad un prezzo inadeguato al valore residuo della cosa.[278] È tuttavia difficile stabilire quando il prezzo possa essere definito inadeguato e la soluzione del quesito certo non può prescindere dall’essenza ultima del tipo legale (individuato, come più volte si è detto, dalla volontà di dare vita ad un security interest) e, in generale, dal significato della disciplina ad esso applicabile.
Nulla dice il Codice in ordine ai contratti di lease che non attribuiscono l’opzione al locatario, sicché si è dubbiosi riguardo alla possibilità di qualificarli come lease intended as security, ove pure ogni altra circostanza deponga in tal senso. La giurisprudenza, in genere, attribuendo particolare importanza alla previsione di un’opzione, è solita ritenere che si tratti di contratti di true lease. La dottrina, invece (G. Gilmore, J. White e R. Summers ed altri), pur invitando alla cautela laddove nulla sia previsto in ordine alla sorte del bene al termine del contratto, ritiene che nulla si opponga a qualificare il contratto come lease intended as security. Gli stessi giudici hanno fatto ricorso a numerose circostanze per concludere che un lease senza opzione di compera è in realtà diretto a costruire una garanzia e tale conclusione, del resto, pare conforme allo spirito della legge che ha rinunciato, fino al 1985, ad una definizione analitica e restrittiva per consentire agli interpreti di ricondurre al tipo legale tutti gli schemi che, in pratica, adempiessero alla funzione che si è visto essere caratteristica del tipo.
Concludendo, per quanto attiene alla disciplina originaria applicabile al lease intended as security, il contratto è assimilato, in buona parte, alla vendita con riserva di proprietà: da un lato, è soggetto alle norme sui securuty agreements, (accordi diretti a creare la garanzia mobiliare di un credito, ai quali è dedicato l’art. 9 dello U.C.C.), dall’altro, pur in assenza di un’espressa previsione in tal senso, si ritiene applicabile al contratto in esame l’art. 2, cioè la disciplina propria della vendita. I profili essenziali dell’istituto, che portano a distinguerlo dal true lease, sono nel testo dell’art. 9, entro il quale emergono come fondamentali le regole su perfection e priority provisions. Il Codice prevede un sistema di pubblicità, per altro modificato in qualche punto nel 1972: ove non si ottemperi agli oneri di pubblicità, il diritto del concedente non può essere opposto, fra gli altri, ai lien creditors che non siano a conoscenza del diritto stesso [sect. 9-301 (1) b)]; tra i lien creditors rientra il trustee in bankruptcy [ sect. 9-301 (3)] e, perché il diritto del concedente, in mancanza di pubblicità, non possa essergli opposto, è sufficiente che uno solo dei creditori non sia a conoscenza di tale diritto. Allo stesso modo, in assenza di pubblicità, il diritto del concedente non può essere opposto al creditore dell’utilizzatore, che abbia iscritto un security interest sulla medesima cosa successivamente alla stipulazione del lease. [sect. 9-132 (5) b) ].[279]
Nell’art. 9 è contenuta anche la disciplina dei lessor’s remedies, per il caso di inadempimento dell’utilizzatore (art. 9 Part V). È possibile osservare, sinteticamente, che a seguito dell’inadempimento dell’utilizzatore: a) il concedente ha diritto di impossessarsi della cosa; b) non sempre può trattenerla presso di sé, ma in certi casi è tenuto a venderla; c) in caso di vendita, il ricavato è destinato a soddisfare le ragioni del concedente, quanto residua è dovuto all’utilizzatore[280] e quanto difetta spetta al concedente.[281]
Si comprende pertanto che, com’è stato efficacemente affermato,[282] negli USA, fino al 1985, il lessor veniva sottoposto ad un trattamento giuridico in pratica coincidente con quello riservato ad un semplice creditore privilegiato, ritenendo che egli fosse proprietario dì un bene, ma solo a titolo di garanzia, per un prestito fatto o per il pagamento a rate del bene medesimo. In base all’art. 9 dello U.C.C., gli veniva perciò riconosciuto un securuty interest sul bene, ed i contratti di fornitura e di leasing trovavano nello U.C.C. disciplina e sorte autonoma, visto che la loro regolamentazione era rinvenibile rispettivamente nell’art. 2, sulle vendite, e nell’art. 9, sul leasing.[283]
Una disciplina apposita per l’equipment leasing giunge per mano della National Conference of Commissioners of Uniform State Laws, che nel 1985 inizia i lavori per disciplinare il contratto.[284] Dapprima si è pensato di elaborare un testo normativo ad hoc, denominato preferibilmente Uniform Personal Propery Leasing Act,[285] ma nel 1987 è prevalsa la soluzione consistente nella introduzione del nuovo corpo di norme all’interno U.C.C., come art. 2A, che segue l’art. 2 dedicato alle “Sales”, di cui riprende diverse norme, riconoscendo che “the lease is closer in spirit and form to the sale of goods than to the creation of a securuty interest”[286] L’enacment nei vari Stati è seguito molto velocemente, fino a quando la California, esercitando “it’s prerogatives at the most powerful and unruly of Uncle Sam’s children”, vi ha apportato una serie di emendamenti, poi condivisi da altri Stati. Di fronte ad una disciplina sempre meno omogenea negli USA, nel 1990, i Commissioners hanno varato una nuova versione dell’art. 2A, che fa propri molti degli emendamenti apportati al testo dalla California. Oggi, in alcuni Stati vige l’originario 2A, mentre in altri quello emendato.
La definizione di financial lease, quale si rinviene nell’art. 2A-103(g), corrisponde in larga misura a quella presente nella Convenzione Unidroit[287]
La disciplina americana continua ad imporre la forma scritta per il contratto in questione[288] e, anche se icto oculi potrebbe apparire come un’aporia in un sistema che rimane saldamente fedele al principio della libertà delle forme nel contratto, si tenga presente che la disciplina in questione deriva dal sistema dell’art. 9 dello U.C.C. che, ai fini dell’opponibilità, richiedeva che i security interests risultassero per iscritto.
In questa logica è ancora la disciplina della Provincia dell’Ontario, che discende del resto dall’art. 9 dello U.C.C.[289]
La freedom of contract, con poche regole imperative, viene chiaramente affermata dal testo normativo all’art. 2A-102(3), ed anche sulla garanzia del pacifico godimento, la recente disciplina introdotta nello U.C.C. [2°-211(1)] è coincidente quasi del tutto con il testo normativo elaborato dalla Unidroit. Alcune differenze, com’è stato rilevato da un autorevole studioso italiano,[290] sono riscontrabili nei rimedi per non conformità o mancata consegna. L’U.C.C., all’art. 2A-509(1), afferma la regola del perfect tender, che consente all’utilizzatore di rifiutare, prima dell’accettazione, il bene non conforme al contratto di fornitura. Si comprende che l’accettazione fa venir meno ogni diritto di rifiuto, e si concreta quando l’utilizzatore ispeziona i beni e/o indica che sono conformi, oppure li accetta a dispetto della non conformità o, in altro modo, omette un effettivo rifiuto [515 e 516 (2)]. La revoca dell’accettazione è possibile solo nel caso in cui il lessee non è a conoscenza della non conformità del bene nonostante precise promesse e assicurazioni della controparte.
Il “right to cure” da parte del concedente sorge solo dopo la scadenza del termine per l’esecuzione oppure se egli o il fornitore offrono un bene non conforme, ma che hanno ragionevole motivo di ritenere che sia accettabile per l’utilizzatore (513).[291]
Lo U.C.C. diverge da quanto stabilito dalla Convenzione Unidroit a proposito del diritto di trattenere i canoni finché il concedente non abbia eseguito correttamente (2A–407), confermando la tradizionale regola del leasing del “ad ogni costo” “hell or high water” secondo la quale l’obbligo dell’utilizzatore di pagare i canoni secondo i termini contrattuali diventa irrevocabile e indipendente dal momento in cui egli ha accettato i beni. Nel commento alla riforma si sottolinea che, a causa della funzione del lessor nel leasing finanziario, il lessee deve pagare i canoni nonostante il bene non sia conforme, in quanto tale eventualità riguarda il fornitore che, in vero, deve onorare le garanzie relative al bene. La regola che impone l’obbligo di pagare “come hell or high water” è soggetta solo al principio di buona fede, ma si reputa connaturata al leasing finanziario.
Si ricordi anche che il § 2 A -211 dello U.C.C. trasferisce in capo all’utilizzatore tutte le promesse e le garanzie che il fabbricante aveva fatto all’acquirente dello stesso.[292]
Si valuti a questo punto il novero di azioni a disposizione del lessor nell’ipotesi di inadempimento del lessee. Lo U.C.C. contiene regole analoghe a quelle presenti nella Convenzione Unidroit, affermando la regola degli “expectation damages” in quanto la funzione del risarcimento è quella di mettere la parte danneggiata in “as good a position if the other part fully performed” (art. 1-106). In caso di inadempimento che non “substantially empire the value of the lease contract” il lessor avrà diritto di recuperare tutte le sue perdite “as determined in any reasonable manner” [art. 2 A – 523(3)(b)].[293]
Anche per lo U.C.C. il lessor può richiedere le rate anticipate ma attualizzate al valore al momento del giudizio , oltre le spese se l’inadempimento è substantial e il bene non è stato restituito od offerto in restituzione [art. 2A–529(1)].
Per quanto attiene ai danni liquidati in via anticipata l’art. 2 A – 504(1) stabilisce che i danni saranno liquidati “only at an amount or by a formula that is reasonable in light of then anticipated arm caused by the default”.[294]
Valutando poi nellol specifico le azioni dell’utilizzatore nei confronti del fornitore, che vengono considerate essenziali in una relazione trilaterale qual è il leasing finanziario, l’art. 2A–209, con norma inderogabile, tratta l’utilizzatore come il “beneficiary” delle promesse e garanzie, esplicite o implicite, fatte dal fornitore al concedente nel contratto di fornitura. L’art. 2 A -209(3), in materia di immodificabilità del contratto di fornitura, è uguale all’art. 11 della Convenzione Unidroit. [295]
Lo U.C.C. prevede inoltre l’opponibilità del contratto di leasing nei confronti dei creditori dell’utilizzatore [2 A- 307(1)], assicurando così protezione al concedente nei confronti di questi ultimi.
Altro profilo interessante riguarda la responsabilità nei confronti dei terzi per il difetto del bene. Lo U.C.C. non disciplina espressamente tale fattispecie, ma la giurisprudenza ha già prima della riforma concesso l’immunità al concedente sul riflesso che questi non ha alcun controllo sulla produzione o sull’uso del prodotto difettoso. [296]
In caso di inadempimento o ritardo nella consegna troviamo nello U.C.C. una norma simile a quella vigente in Germania, per la quale è garantito all’utilizzatore o il diritto di disdetta senza preavviso o il diritto di recesso dal contratto; però il legislatore statunitense prende in considerazione anche altri rimedi a disposizione dell’utilizzatore secondo la natura dell’inadempimento che si verifichi.[297]
Altro obbligo che fa capo al concedente è la garanzia contro qualsiasi molestia o azione vantata da terzi sul bene: l’art. 2 A -211 specifica che una tale garanzia è legale. Negli USA i diritti derivanti dal contratto sono trasferibili, a meno che non vi sia una diversa disposizione nel contratto e purché la posizione dell’altra parte non ne subisca pregiudizio alcuno.[298]
La disciplina degli USA presenta elementi di innovazione ex art. 501 nel caso di inadempimento dell’utilizzatore esso prevede una serie di differenti rimedi in rapporto all’importanza dell’inadempimento ed alla possibilità di riprendere l’esecuzione, ma lascia alle parti la facoltà di determinare cosa possa costituire inadempimento.
Per quanto attiene alle conseguenze della risoluzione, la normativa USA è interessante perché si fa carico di evitare il locupletamento che ha tanto spaventato i giudici e qualche autore italiano. Il § 504 dello U.C.C. afferma: “ Damages payable by either party for default, or any other act or omission, includine indemnity for loss or diminution of anticipated tax benefits or loss or damage to lessor’s residual interest, may be liquidated in the lease agreement but inly at an amount or by a formula that is resonable in light og the then anticipated harm caused by the default or other act or omission”. Dunque, la norma, stabilendo il completo ristoro di tutti i danni, chiarisce che vanno ricompresi nei danni da risarcire anche la perdita o diminuzione del tax benefit di cui la società di leasing avrebbe goduto se il contratto fosse andato a buon fine. Applicare il secondo criterio, quello del loss of residual interest, significa che se, dopo il riutilizzo (per vendita, nuovo leasing o altrimenti) residuerà ancora una perdita, rispetto a quello che il concedente avrebbe realizzato con un esatto adempimento, quest’ultimo avrà diritto di richiederne il pagamento.
10. Il financial lease inglese: fisionomia e distinzione dai contratti di hire purchase e conditional sale. La disciplina rinvenibile in un Lending and Security Act: ulteriore esempio di convergenza nell’originario modello statunitense.
Il common law inglese rappresenta il primo sistema in Europa entro il quale il leasing è stato recepito.[299] Lo schema negoziale ed i profili essenziali dell’operazione sono i medesimi riscontrabili negli altri ordinamenti:[300] è essenziale che il lessor sia proprietario del bene oggetto del contratto (“The Lessor shall at all times retain ownership of the Goods and the Lesee shall have no interest in the Goods save as provided by this agreement”)[301], in quanto diversamente, non solo non potrebbe concederlo in godimento difettando della necessaria legittimazione, ma nemmeno opererebbero i vantaggi fiscali e contabili previsti per il leasing.[302]
Anche in Inghilterra la sequenza di comportamenti funzionali alla realizzazione dell’operazione vede protagonista iniziale il lessee, che sceglie bene e fornitore senza alcun coinvolgimento, in questa fase, del lessor. In vero, anche in un accordo di hire-purchase è riscontrabile l’iniziativa solitaria dell’hirer, ma nel leasing finanziario in particolare è maggiore il livello di coinvolgimento del probabile lessee, che spesso ha proprie richieste in ordine alle caratteristiche del bene e può negoziare con il fornitore per far fronte ai bisogni particolari dei suoi affari. Il finanziatore quasi mai controlla il bene e ne apprende le caratteristiche tecniche, essendo interessato esclusivamente alla solvibilità del lessee.[303] Tutti questi aspetti, del resto, non sono particolarmente rilevanti per il legislatore inglese, ma rendono chiaro il setting up dell’intera operazione in una prassi sofisticata come quella del Regno Unito.[304]
Un’importante connotazione dell’istituto inglese si rinviene nel regolamento convenzionale che deve essere adottato dai contraenti: il financial lease, infatti, si differenzia dall’hire-purchase e dalla conditional sale in quanto il lessee non ha l’obbligo né il diritto di comprare la merce, che deve invece restituire al lessor,[305] il quale ultimo decide liberamente se far terminare il rapporto di leasing o trattarne il rinnovo.[306] Pertanto, come nei Paesi nordici ed in Sud Africa, il contratto di leasing non deve prevedere l’opzione di acquisto, dato che la sua presenza nel regolamento di interessi muta la natura del contratto. Se c’è l’opzione, quindi, non siamo più in presenza di un contratto di leasing, bensì di un hire-purchase,[307] locazione che prevede, alla scadenza del contratto, l’acquisto della proprietà.[308]
Ogni responsabilità inerente il bene viene attribuita al lessee,[309] cui spetta mantenere in buono stato[310] ed assicurare i beni,[311] oltre che pagare i canoni a prescindere da qualsiasi cattivo funzionamento[312] e assumersi le conseguenze del suo deprezzamento.[313] Anche la prassi inglese prevede, in genere, l’estensione all’utilizzatore delle garanzie spettanti al concedente.[314] Tali azioni, però, possono essere esercitate dall’avente causa solo se risultano espressamente trasferite nel contratto, quindi ciascun soggetto esercita le azioni che gli sono state attribuite in contract.[315]
Riguardo alla durata, non vi sono particolari limiti tant’è che autorevolissima dottrina giunge ad affermare: “Leasing periods may range from fifteen years at one end to one day (car hire)”.[316] In ogni modo, anche nella prassi inglese il contratto si caratterizza per una durata che coincide o quasi con la vita economica del bene (working life)[317] e che permette al lessor, con un’opportuna commisurazione dei canoni basata sull’utile prodotto mediante l’attrezzatura, di recuperare i costi sopportati ed ottenere un sufficiente profitto per l’operazione realizzata, così da percepire una somma non dissimile da quella che gli sarebbe dovuta in base ad un accordo di vendita a rate.[318] Anche nella prassi inglese, inoltre, il bene conserva alla fine del contratto un valore residuale molto basso, che comunque, come spesso avviene, non impedisce al lessor di ricollocarlo sul mercato con una vendita,[319] il ricavato della quale viene generalmente conferito con pagamento o accreditato per una futura transazione al lessee.[320] Ciò che è importante, si ricordi, è non conferire al lessee l’opzione sull’acquisto del bene, che muterebbe la natura del contratto trasformandolo in un accordo di hire-purchase.[321] Molto efficace e riassuntiva degli aspetti descritti appare la definizione del financial lease contenuta negli Statements of Standard Accounting Pratice[322]: “one [agreement] that transfers substantially all the risks and rewards of ownership of an asset to the Lesee”.
In generale, le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto e frequentemente i formulari individuano una serie di comportamenti integranti inadempimento, la cui gravità dà diritto al concedente di terminare il rapporto.
Ci sono due tipi di clausole che sollecitano il vaglio delle corti: con la prima, immancabilmente riscontrabile negli accordi di leasing, il lessor cerca di evitare perdite nel caso di estinzione del rapporto a causa di inadempimento del lessee. È necessario, a tal fine, fissare una somma minima di denaro che il lessee deve pagare affinché il lessor percepisca il valore della sua aspettativa contrattuale. Ciò è meno difficile che in una transazione tipica di hire purchase, visto che un leasing finanziario impegna il lessee al pagamento dei canoni per il primo periodo, senza il potere di terminare l’accordo prima così che, una minimum payment clause può facilmente essere elaborata. In questo senso, si auspica che le corti valutino equitativamente la fattispecie, individuando un quantum adeguato al fine di coprire effettivamente le perdite del lessor. Altro tipo di clausola esonera il lessor dalla responsabilità per difetti dell’attrezzatura: essa è da ritenersi efficace soltanto fino a quando soddisfi il principio di ragionevolezza. Se allora l’effetto della descritta pattuizione fosse di privare il lessee di tutti i rimedi a causa della mancanza di rapporti giuridici con il fornitore, ciò potrebbe indurre le corti ad averne una visione più ostile; così, un lessor prudente, farà il possibile per assicurare al lessee i necessari strumenti di tutela, trasferendogli i suoi diritti di compratore o esercitandoli a beneficio del lessee. [323]
Il coinvolgimento di tre soggetti nella complessiva operazione ricalca quello rinvenibile in una semplice hire purchase oppure in una condizional sale. A parte eventuali espresse garanzie secondarie derivanti da ulteriori e appositi accordi, non vi sono rapporti tra fornitore e utilizzatore. Il lessee ha un solo interlocutore che è il lessor, e il diritto inglese, per quanto attiene alla trilateralità della complessiva operazione, opta per la soluzione drastica della (quasi) totale irrilevanza nel senso che, come nella normativa belga ed in quella greca, sono solo due i soggetti considerati, e la disciplina si disinteressa totalmente del terzo, chiamato indifferentemente produttore o fornitore, e ciò rende per la verità molto delicato il discorso delle azioni dell’utilizzatore nei confronti del fornitore.[324] Questo principio di separazione, infatti, ha conseguenze infelici: ciò significa che, tranne quando vi è un accordo diverso, il lessor deve rivolgersi al fornitore per ottenere tutela, anche se il lessee ingiustamente respinge una offerta di consegna o ritira la sua proposta contrattuale.
Un problema più serio, in termini pratici, esisteva nella Common law, poiché, se l’attrezzatura non corrispondeva a quanto previsto dal contratto di vendita o era consegnata tardi, il ricorso contro il fornitore spettava al lessor, mentre era il lessee che principalmente sopportava il danno; diversamente, la soddisfazione del lessee poteva derivare solo da un’azione contro lo sfortunato lessor, quando il reale colpevole era il fornitore. Oggi la maggior parte dei financial leases, escludono dal contenuto contrattuale qualsiasi responsabilità da parte del concedente per difetti dell’attrezzatura, e ciò è abbastanza comprensibile poiché il concedente non è implicato nella selezione o consegna del bene. Egli non rivendica alcuna competenza e “si fida” del lessee. Ma un’effettiva clausola di esonero, un tempo, rendeva più pesante la posizione del lessee perché egli era allora privato di tutti i ricorsi, salva la possibilità di stabilire garanzie collaterali da parte del fornitore. Tali questioni, sulle quali c’era un processo di legge molto complesso, sono state risolte efficacemente dalla Convenzione Unidroit (art. 8): il lessor è reso esente da responsabilità verso il lessee per la non conforme attrezzatura accettata da quest’ultimo, mentre, in base all’art. 10, gli obblighi del fornitore debbono essere adempiuti a favore del lessee. La Convenzione non aiuta i lessees nel Regno Unito, dal momento che non si applica nelle transazioni domestiche e deve essere ivi ancora ratificata. Fortunatamente, una soluzione è adesso fornita dai Contracts (Right of Third Parties) Act del 1999, poiché, dove il contratto di vendita espressamente stabilisce che il lessee possa far rispettare il regolamento di interessi non vi sono problemi, altrimenti opera la legge del 99, e al lessee spetta qualsiasi riparazione, compresi i danni subiti, che altrimenti avrebbe dovuto richiedere mediante un’azione per violazione del contratto di fornitura, rispetto alla quale non era legittimato salvo diversa previsione contrattuale.[325]
In Inghilterra quindi, vi sono tre categorie contrattuali da tenere ben presenti per qualificare nella giusta maniera il leasing: le conditional sales, vendite a rate, che si collocano senza ombra di dubbio fuori dal leasing; laddove invece il regolamento di interessi prevede l’opzione, si è in presenza di un contratto di hire-purchase, e si è parimenti fuori dal leasing. Si comprende che, per gli inglesi, il leasing è un contratto che non prevede l’opzione e non va nemmeno confuso con la vendita rateale. Come in Spagna,[326]anche in Inghilterra il problema della autonomia delle fattispecie della vendita rateale e del leasing appare chiaramente risolto, al contrario che in Italia![327]
Interessante è, infine, valutare l’approdo della prassi contrattuale, in un sistema elastico come quello inglese, in relazione ad uno dei più annosi problemi dell’operazione: le conseguenze giuridiche della risoluzione del contratto. A tal proposito, i modelli contrattuali prevedono che in ogni caso di fine anticipata del rapporto (risoluzione oppure rinuncia del lessee accettata dal lessor) il lessee dovrà pagare al lessor: gli arretrati dei canoni, compresa la quota di competenza di eventuali periodi interrotti, tutti i canoni che il lessee doveva pagare al lessor fino alla fine del primary period; il risarcimento per l’eventuale recesso dal contratto e per le spese e i costi sostenuti dal lessor al fine di rientrare in possesso dei beni, di venderli o tentare di venderli e per esercitare i propri diritti in virtù del presente contratto, avendo dedotto i Net Proceeds[328]
Il lessor corre pochi rischi di perdere il suo titolo nel caso di disposizione illegittima da parte del lessee: nessuna delle eccezioni statutarie alla regola del nemo dat è applicabile. Un rischio maggiore è associabile alla possibilità che l’attrezzatura perda la sua identità come potrebbe avvenire mediante l’ incorporazione nei locali occupati dal lessee. [329]
11. Riflessioni conclusive.
È possibile, a questo punto, superare una serie di equivoci attinenti in particolare alle differenze evidenziate dal leasing negli ordinamenti di civil law rispetto al modello originario statunitense ed a quello sviluppatosi nel common law inglese.
In Italia, in Francia e negli altri ordinamenti di civil law, è emerso un istituto per certi versi “nuovo”, che ha dovuto necessariamente fare proprie talune caratteristiche riconducibili alla fisionomia dei rispettivi sistemi giuridici.
Renato Clarizia, tra i massimi cultori della materia in Italia, rinviene tali differenze soprattutto nella differente nozione di diritto di proprietà. È ormai appurato che connotato fondamentale del leasing è rappresentato dalla permanenza della proprietà in capo al lessor, visto anche che da tale circostanza derivano importanti conseguenze disciplinari in materia di diritto civile, tributario e di contabilità. Del resto, in assenza di tale peculiarità, non vi sarebbero stati problemi riguardo alla traslazione dei rischi inerenti il bene.
Ebbene, nei sistemi di common law la nozione di proprietà presenta un fisionomia diversa e più complessa:[330] esiste la possibilità di distinguere una proprietà “economica” rispetto ad una proprietà “giuridica” e di conseguenza non vi sono problemi nel ravvisare nel lessor un proprietario soltanto formale (giuridico) dei beni oggetto del contratto e nel lesee un proprietario economico.[331]
Per questi motivi si ritiene arduo ricondurre la disciplina italiana dell’istituto all’originario modello americano di leasing. Com’è stato autorevolmente affermato,[332] il modello straniero ha costituito “un’occasione per radicare ancora maggiormente quella sottile distinzione tra “proprietà” ed “appartenenza” che è già presente, seppure non evidente, nel nostro codice civile e successivamente nella legislazione speciale. Distinzione che non è però completamente comparabile a quella tra legal e beneficial ownership di origine anglosassone”.
Negli ordinamenti di civil law, e quindi anche nel nostro, è possibile considerare il differente atteggiarsi del diritto di proprietà, in grado di assumere diverse connotazioni funzionali a seconda dell’assetto di interessi che si intende perseguire. Il potere sulla cosa in capo al proprietario può implicare prerogative e diritti ma anche obblighi e responsabilità differenti a seconda dei casi. Ergo “il diritto di proprietà può permanere in capo al soggetto a scopo di garanzia (ad esempio nella vendita con riserva di proprietà) ma anche per svolgere altre funzioni, come ad esempio nel contratto estimatorio, nell’usufrutto o nella locazione semplice”.[333]
Ora, ritenere che nel nostro leasing la proprietà sia funzionale al perseguimento di una garanzia in capo al lessor risulta semplicistico e porta ad una approssimativa assimilazione dell’istituto italiano all’originario modello americano del leasing as a security. Del resto, ragionando in questi termini sarebbe ammissibile l’individuazione di una funzione di garanzia ogni qual volta il proprietario non conservi anche la disponibilità materiale del bene ma ne consenta ad altri lo sfruttamento in maniera più o meno ampia.
Proprio su questo punto è evidenziabile la fondamentale distinzione tra civil e common law, che determina, come detto, differenze importanti sul piano della disciplina civile, contabile e fiscale. Come si vedrà, queste problematiche sono state ineludibile oggetto di compromesso per la Commissione redattrice del Progetto Unidroit, poi tramutatosi nella Convenzione di Ottawa sul leasing finanziario internazionale, che già traspare dalla definizione stessa di leasing in essa contenuta. Stessi problemi, del resto, sono stati affrontati nel Progetto di regolamentazione delle garanzie internazionali, sempre allo studio da parte della Unidroit, che vede contrapporsi i paesi di civil law, che non vogliono l’iscrizione del leasing nelle garanzie internazionali, e quelli di common law, che la auspicano.
Altro punto da considerare: nei Paesi di common law ed in particolare nel Regno Unito, il financial leasing non prevede l’opzione finale di acquisto: diversamente esso si trasforma in hire-purchase; a differenza dei Paesi di civil law, laddove (Italia, Francia, Belgio, non Svizzera) la previsione espressa dell’opzione finale d’acquisto rappresenta un elemento essenziale del contratto.
Il Clarizia, esponendo una posizione molto rigida sul punto, rileva che non sarebbe inutile un’indagine approfondita del modello americano di leasing tesa all’individuazione di caratteristiche da rimeditare, pur nella consapevolezza delle descritte differenze. Per esempio, il financial leasing americano, fortemente tax oriented, è tecnica di finanziamento utilizzabile esclusivamente dalle imprese e non utilizzabile, come avviene nel nostro Paese, dai consumatori e agli Enti pubblici. Ciò potrebbe portare ad una riconsiderazione degli oggetti del contratto, a prescindere dalla rilevanza fiscale della loro natura strumentale.
In quasi tutti i Paesi (gli USA costituiscono un’eccezione rilevante) la disciplina legislativa del regime giuridico del leasing è una conseguenza della necessità di disciplinare i soggetti attivi e cioè le società di leasing. Di certo, non è indispensabile provvedere alla disciplina dei profili oggettivi e soggettivi dell’istituto con un unico atto, ma possono esservi due strumenti legislativi diversi, autonomi e connessi allo stesso tempo.
Secondo: non emergono significativi trends di disciplina dei sottotipi, se si eccettua l’importante distinzione tra il leasing finanziario e quello di consumo e alcune disposizioni che, come in Francia, fanno riferimento alle sole operazioni su immobili. Il nucleo centrale della legislazione è imperniato sul leasing finanziario mobiliare di beni strumentali, ed ai sottotipi si applica la medesima normativa in quanto compatibile.
Terzo: La demarcazione classica tra common law e civil law, cioè tra paesi dove la regula iuris proviene dalla giurisprudenza, e Paesi dove la disciplina è opera del legislatore, a proposito del leasing diventa assai sfumata ed attenuata: si è osservato che gli USA si affidano ad una disciplina statutory assai dettagliata, mentre Paesi notoriamente appartenenti alla famiglia romanico-germanica, come la Germania, la Svizzera e l’Austria, regolano assai bene il leasing senza un intervento legislativo specifico[334]
In un contributo importante, anche se ormai risalente, Guido Ferrarini rinviene solo negli ordinamenti di common law l’attribuzione di piena rilevanza giuridica alla natura finanziaria del contratto, mediante la frequente assimilazione del leasing alla vendita con riserva di proprietà e l’assoggettamento di entrambi alla disciplina dei security interests su personal property. Allo stesso modo l’equiparazione normativa a strumenti come il chattel mortgage è significativa, visto che nel leasing c’è un’operazione di finanziamento nella quale la riserva della proprietà assolve ad una mera funzione di garanzia.
Altra notazione: l’ampiezza riconosciuta al tipo è diversa nei vari ordinamenti: ad esempio, la nozione di lease intended as security è comprensiva di schemi che non rientrerebbero nella definizione francese del crédit-bail o in quella belga della location financement. La diversità di soluzioni che lo studio comparatistico mette in luce deriva da differenti valutazioni del contenuto del contratto.[335]
Appare lungimirante quanto affermato da Giorgio De Nova nel lontano 1977:[336] l’illustre civilista italiano rileva che, pur essendo la prassi in larga misura omogenea nei diversi ordinamenti, l’istituto esaminato e controllato in base a canoni differenti, avrebbe potuto portare ad una più evidente differenziazione nei diversi paesi. Vale a dire che i diversi filtri ordinamentali hanno plasmato la fisionomia dell’istituto adeguandola ai differenti principi vigenti in materia di diritto privato contrattuale.
Capitolo terzo
La fisionomia del contratto di leasing nell’esperienza giuridica italiana. Problemi e soluzioni alla luce della prospettiva comparatistica.
1. Premesse metodologiche: l’analisi delle clausole tipiche quale necessario punto di partenza per individuare le regole operative del contratto. L’opportunità di considerare la complessiva operazione trilaterale facendo riferimento, in primis, alla tradizionale species del leasing finanziario mobiliare.
Si preferisce affrontare l’esperienza italiana del leasing mediante un approccio idoneo al taglio comparatistico della trattazione. Le clausole tipiche, che svolgono un ruolo sempre più centrale nel diritto dei nuovi contratti,[337] verranno analizzate facendo riferimento alla prassi dei formulari; successivamente si prenderanno in considerazione le decisioni dei giudici italiani e le riflessioni della dottrina, così da rendere possibile l’individuazione delle regole operative alla luce della molteplicità dei formanti che determinano, insieme, la disciplina del contratto; il tutto senza rinunciare a qualche riflessione di taglio stricto sensu comparatistico, soprattutto in ordine ai principali problemi sollevati dall’operazione e affrontati negli ordinamenti stranieri, in alcuni casi più proficuamente che in Italia.
Si tratta di una metodologia assai raramente utilizzata dalla dottrina nostrana,[338] che spesso dedica gran parte del proprio impegno alla trattazione di profili definitori e classificatori del contratto, per altro non sempre di grande rilievo pratico, rischiando, in questo modo, di anteporre gli schemi e le categorie dommatiche alla ricerca delle regole operative.[339]
È evidente, inoltre, che qualora si considerasse il solo rapporto contrattuale intercorrente tra concedente ed utilizzatore, rinunciando ad una visione completa del fenomeno giuridico, si rischierebbe di svilire l’autonomia concettuale dell’istituto e della corrispondente operazione economica, che di conseguenza rischierebbe di essere appiattita, come pure certa dottrina italiana ha cercato di fare, su una delle fattispecie legalmente tipiche previste dal nostro ordinamento.[340] Per questo motivo si intende, fin dal principio, valutare la complessità strutturale insita nel leasing che si sostanzia nella stipulazione di due contratti. Per “operazione di leasing” si fa riferimento, quindi, alla complessa fattispecie che compendia sia il rapporto di leasing tra concedente e utilizzatore, che quello di fornitura, intercorrente tra fornitore e concedente.[341]
Un ulteriore accorgimento consiste nell’innervare, in via preliminare, la riflessione sul leasing finanziario mobiliare, trattandosi della specie più tradizionale e di gran lunga più diffusa tra quelle venute alla luce con l’evoluzione della prassi negoziale.[342]
2. Breve ricognizione dei formanti del leasing nel diritto italiano. L’assenza di una disciplina organica dell’istituto nonostante le molteplici norme di legge. L’integrazione necessaria con gli usi raccolti dalle Camere di Commercio, senza tralasciare il crescente contributo della giurisprudenza, il codice deontologico Assilea e la prassi contrattuale.
Considerata la molteplicità dei formanti che disciplinano il contratto, appare a questo punto sufficiente una ricognizione degli stessi, limitatamente all’ordinamento giuridico italiano.
Norme legislative: con riguardo alle norme di diritto civile, pur non essendo riconducibile a nessun modello legale, il leasing è interessato da numerose disposizioni legislative, che non gli impediscono al contratto de quo di essere, ad oggi, fattispecie contrattuale atipica o innominata.
La migliore dottrina italiana[343] rileva al riguardo che, perché un contratto acquisti tipicità legale, è necessario che il legislatore gli conferisca una disciplina organica, obbiettivamente non riscontrabile nell’ordinamento italiano riguardo al leasing, nonostante il succedersi di interventi, che pure hanno toccato molteplici profili dell’istituto.
Si ricordi la più volte citata legge 2 maggio 1976, n. 183, che ha disciplinato l’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980. Essa contiene una definizione organica del contratto nell’art. 17, oltre ad una disposizione che prevede l’opzione di acquisto, stabilendo che essa può essere esercitata alla scadenza del contratto, ad un prezzo massimo pari all’1% del valore d’acquisto dei beni;[344] all’intervento legislativo in questione, inoltre, ha fatto seguito la direttiva attuativa del CIPE, contenente importanti disposizioni in ordine alla durata del contratto (minimo 5 anni, massimo 15) e all’ammontare massimo del c.d. maxicanone (fissato nel 20% del valore dell’impianto). Tale disciplina non può dirsi relativa al leasing, ma al solo leasing agevolato.[345]
Altro intervento del legislatore attiene ad alcuni profili disciplinari della responsabilità civile connessa alla circolazione degli autoveicoli: l’art. 91, comma 2°, del d.lg. 30 aprile 1992, n. 285, chiarisce che, responsabile in solido con il conducente, ex 2054 3° comma c.c., è l’utilizzatore, non la società di leasing.
Da menzionare vi è anche la legge sulla trasparenza del 17 febbraio 1992, n. 154, applicabile anche al leasing e, oltrepassando le frontiere del diritto civile, si annovera la legge del 2 maggio 1983, n. 178, che risolve il difficile problema riguardante la responsabilità penale delle società di leasing in conseguenza della violazione delle norme antinfortunistiche, e il d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 che, nel quadro del Testo Unico delle Imposte sul Reddito, detta un’organica disciplina fiscale del leasing.
Gli usi raccolti dalle Camere di Commercio: la Camera di Commercio di Milano, nel 1975, ha raccolto per prima gli usi in materia di leasing e factoring; in seguito gli altri enti omologhi hanno seguito l’esempio milanese. Com’è noto, gli usi normativi, ex art. 8, disposizioni preliminari al codice civile, hanno efficacia nelle materia “non regolate dalla legge e dai regolamenti”, oltre che nei casi in cui la disciplina legislativa o regolamentare contenga un espresso rinvio ad essi.
Il leasing, in quanto contratto innominato, costituisce senza dubbio materia “non regolata”, ma rimane necessario capire se gli usi in materia di leasing e factoring abbiano natura normativa o meno. È degno di nota che tutte le raccolte li presentino come “usi negoziali”; essi inoltre, non sono mai imperativi, e servono, quindi, solo ad interpretare le clausole contrattuali, non potendo prevalere sulle stesse;[346] non fanno altro che riportare la normativa pattizia normalmente contenuta nei formulari predisposti dalle imprese finanziarie, non manifestando nessuna ambizione di integrazione dei regolamenti contrattuali lacunosi, visto anche che nei modelli di leasing è pressoché impossibile riscontrare lacune!
Le raccolte di norme camerali hanno comunque il pregio di fornire una nozione ed una disciplina del contratto, contribuendo alla sua tipizzazione sociale.[347] Esse, inoltre, registrano le clausole comuni a tutti i contratti, lasciando cadere in disuso quelle estranee al regolamento d’interessi solitamente elaborato, così come è avvenuto per quelle di dubbia validità e le altre che, pur valide, non risultano essere rispondenti alla effettiva prassi operativa.[348]
Il problema che impone una riflessione attiene piuttosto alla disomogeneità delle raccolte sul territorio nazionale, che contrasta con una prassi nazionale indubitabilmente uniforme. Gli Usi raccolti dalla Camera di Commercio di Milano hanno fatto da modello, ma non sono stati sufficienti a garantire l’uniformità delle raccolte camerali, delle quali pertanto si auspica un coordinamento.[349]
Le decisioni giurisprudenziali, poi, hanno raggiunto in Italia dimensioni quantitative notevoli ed alle rare sentenze degli anni ‘70 si sono aggiunte numerose decisioni durante il decennio successivo. Le corti di merito sono state le sole ad occuparsi dell’istituto nei primi anni dalla sua importazione nel nostro Paese, accogliendolo con favore e ammettendo pacificamente le sue clausole tipiche, con qualche riserva solo in ordine alla operatività dei congegni risolutivi. Solo a partire dagli anni ‘80 la Corte di Cassazione si è occupata del leasing, con ricadute estremamente rilevanti che necessitano di un’apposita analisi.[350]
Si segnala, tra le decisioni, la sentenza della Corte Costituzionale del 3 luglio 1987, n. 271, [351] che ha escluso l’incostituzionalità dell’art. 7, del d.p.r. 27 aprile 1955, ritenendo assente qualsivoglia contrasto con le norme contenute negli artt. 2, 3, 32 e 41, 2° comma, della nostra Carta Fondamentale. La norma legislativa vagliata dalla Consulta sottrae il lessor alle responsabilità in materia di infortuni sul lavoro e, riguardo ad essa, il giudice delle leggi ha stabilito che il concedente non intrattiene alcun collegamento materiale con il bene oggetto del contratto.
Da prendere in considerazione, inoltre, il Codice Deontologico elaborato dalla Assilea ed approvato in data 22 marzo 1985. Si tratta di un insieme di raccomandazioni, di cui solo alcune riguardano il contenuto del contratto. Analogo interesse suscita la Dichiarazione di Siviglia, adottata dal Convegno Leaseurope tenutosi il 9/11 ottobre 1983, che riguarda in primo luogo i principi contabili del leasing, ma indirettamente contribuisce a delineare la nozione del contratto in questione adottata dall’Associazione.
La prassi contrattuale, infine, appare sostanzialmente omogenea. I formulari non mutano in maniera rilevante se il concedente è una società di emanazione bancaria o indipendente dalle banche, né tanto meno se muta l’oggetto dedotto nel contratto, con variazioni rilevanti allorquando si tratta di un immobile o, anche se in misura minore, di un autoveicolo.[352]
3. Profili soggettivi. Le parti del contratto di leasing: a) Il soggetto che svolge l’attività finanziaria: concedente o lessor.
Il concedente (o lessor) è il soggetto che, partecipando sia al contratto di fornitura che a quello di leasing, svolge il ruolo di intermediario tra fornitore ed utilizzatore, determinando il nesso di dipendenza tra i due rapporti giuridico-contrattuali.[353]
L’attività di leasing, come tutte le attività finanziarie,[354] in seguito all’introduzione del T. U. del credito, che ha soppresso la legge bancaria del 1936-38, può essere esercitata solo dai soggetti che risultano iscritti in particolari albi o elenchi, presentando i requisiti richiesti dalla legge.[355]
Nello specifico, può trattarsi di banche iscritte all’albo di cui all’art. 13, T. u. b.[356] oppure dei soggetti appartenenti ai gruppi creditizi iscritti all’albo di cui all’art 64 dello stesso T.u.b.[357] L’esercizio dell’attività di leasing è però possibile anche per gli intermediari diversi dalle banche, iscritti nell’elenco generale di cui all’art. 106 T.u.b.,[358] e per quelli iscritti nelle sezioni speciali dell’elenco generale di cui all’ art.107 e 113 T.u.b.
La ratio di tale disciplina appare chiara: l’esercizio in via prevalente nei confronti del pubblico dell’attività finanziaria necessita della soddisfazione di alcuni requisiti soggettivi minimi, che rendono possibile l’iscrizione nell’elenco generale tenuto dal Ministero del tesoro che si avvale dell’U.I.C. (art. 106, T.u.b.).
Altri, ulteriori requisiti soggettivi,[359] si rendono necessari per l’iscrizione nella sezione speciale dell’elenco tenuto dalla Banca d’Italia, ex art. 107,T.u.b.[360] L’impresa finanziaria è sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia, che si esplica in penetranti e diretti poteri di controllo. Essa, ai sensi del 4° comma, art. 107, “può effettuare ispezioni con facoltà di richiedere l’esibizione di documenti e gli atti ritenuti necessari”; inoltre, prosegue il comma 4° bis, può “imporre agli intermediari il divieto di intraprendere nuove operazioni per violazione di norme di legge o di disposizioni emanate ai sensi del presente decreto”.[361]
Se, invece, l’intermediario esercita in via prevalente le medesime attività finanziarie previste dall’art. 106, 1° comma, ma non nei confronti del pubblico, deve iscriversi in un’apposita sezione dell’elenco generale prevista dall’art.113 T.u.b; anche il tal caso deve soddisfare i requisiti minimi previsti dalla legge, vale a dire quelli di cui all’art. 108, rubricato “Requisiti di onorabilità dei partecipanti” e dall’art. 109, limitatamente ai “requisiti di onorabilità degli esponenti aziendali”;[362] è inoltre assoggettato a controlli molto meno penetranti di quelli previsti per gli altri intermediari.[363]
L’applicabilità all’attività di leasing del T.u.b. implica anche, come si vedrà meglio a proposito dei profili oggettivi del contratto, l’obbligo, per il concedente, di rispettare nei propri rapporti con la clientela le prescrizioni del Capo I, TitoloVI del T.u.b., dedicato alla trasparenza della condizioni contrattuali.[364]
Come si è rilevato in precedenza,[365] quindi, il leasing è un contratto quantomeno unilateralmente d’impresa, allo stesso modo dei contratti assicurativi, bancari ecc. Almeno una delle parti, nello specifico il concedente, deve essere qualificabile come banca o altro intermediario finanziario iscritto negli albi ed elenchi cui si è fatto riferimento.[366]
4. (segue): b) l’utilizzatore o lessee: imprenditore, lavoratore autonomo, ente pubblico, consumatore o cos’altro?
Nel contratto di leasing l’utilizzatore è la controparte del concedente. In origine si è pensato che il leasing fosse un contratto bilateralmente d’impresa e di conseguenza si è sostenuto che anche l’utilizzatore, come il concedente, dovesse essere qualificabile come imprenditore.
Prescindendo dal leasing agevolato,[367] nel quale i benefici concessi dalla legge sono sempre subordinati al ricorrere di determinati presupposti soggettivi in capo all’utilizzatore, e dalla disciplina fiscale, che subordina la deducibilità dei canoni alla natura strumentale dei beni, in Italia non esiste una normativa legislativa che richieda anche per l’utilizzatore particolari requisiti soggettivi[368] come la qualità giuridica di imprenditore[369]o che imponga la natura strumentale del bene oggetto del contratto, diversamente da quanto, come si è visto, avviene in Francia, dove la legge sul crédit bail richiede che i beni oggetto del contratto siano d’outillage e d’equipment, presupponendo un utilizzatore professionale. Se ne dovrebbe desumere che l’utilizzatore non debba essere necessariamente un imprenditore e, pertanto, chiunque possa stipulare un contratto di leasing con un’impresa finanziaria specializzata.[370]
La dottrina nostrana ha, però, sollevato efficaci obiezioni a tale superficiale conclusione, facendo leva sui complessivi profili strutturali e funzionali del leasing. Come si vedrà, è determinante, per risolvere la questione, analizzare le norme ex artt. 121 ss. del T.u.b. in tema di credito al consumo e quelle del Codice del consumo agli artt. 33 ss., valutando la possibilità di applicarle al contratto di leasing, atteso che l’ambito applicativo di entrambe è limitato ai contratti stipulati con i consumatori.[371]
Di fronte a tale possibilità, parte della dottrina italiana[372] ritiene che nelle ipotesi di leasing stipulato con il consumatore si esca dall’alveo della fattispecie socialmente tipica. La struttura dell’operazione, infatti, con le peculiarità che le sono proprie, verrebbe meno applicando la normativa nazionale ed europea a tutela del consumatore. Si fa riferimento, precisamente, all’assunzione di tutti i rischi inerenti il bene in capo all’utilizzatore; alla previsione di esonero del concedente da ogni responsabilità per mancata o ritardata consegna del bene e così via. Queste previsioni, secondo la menzionata dottrina, trovano nel leasing una loro giustificazione razionale fin quando il contratto interviene tra soggetti non bisognosi di particolare tutela, come avviene quando ci si imbatte nel consumatore. La rigorosa impostazione prospettata, pertanto, porta a ritenere che anche in assenza di alcuna previsione legislativa che sia in tal senso vincolante, l’utilizzatore debba essere impresa, lavoratore autonomo o ente pubblico. Siffatta conclusione risulta avvalorata dalle origini storiche dell’istituto, dalla prassi consolidata attraverso i formulari predisposti dalle società di leasing, dalle decisioni giurisprudenziali, dalle elaborazioni dottrinali e dalla Convenzione Unidroit.[373]
I profili soggettivi del contratto di leasing chiaramente non coinvolgono anche la partecipazione all’operazione del fornitore [374] che ne rimane estraneo.
5. Formazione del contratto e realizzazione dell’operazione: i comportamenti che normalmente portano alla stipulazione dei contratti di fornitura e di leasing.
Generalmente la sequenza di atti che porta alla costituzione del rapporto di leasing è la seguente: durante la fase precontrattuale, il futuro utilizzatore individua il fornitore del bene che, soddisfacendo le proprie esigenze, ritiene debba costituire l’oggetto del contratto; pertanto contatta il fornitore e con questi addiviene alle necessarie pattuizioni intorno a prezzo, modello, tipo e modalità di consegna del bene. A questo punto si rivolge alla società di leasing e formula, su un testo da questa unilateralmente predisposto, una proposta irrevocabile di leasing valida per un determinato periodo di tempo, con l’indicazione del bene, del fornitore e delle condizioni d’acquisto e di leasing. L’impresa finanziaria effettua una valutazione nel merito del credito e, se ritiene il proponente idoneo all’operazione sul piano della solvibilità finanziaria ed in relazione al particolare tipo di investimento richiesto, aderisce alla suddetta proposta e sottopone all’utilizzatore il testo definitivo del contratto, anch’esso confezionato dal medesimo concedente, e allorché l’utilizzatore lo sottoscrive, esso deve ritenersi perfezionato.
Il concedente può di conseguenza acquistare o far costruire il bene dal fornitore secondo le indicazioni e conformemente alle condizioni e modalità pattuite con l’utilizzatore, e anche in questo caso mediante un modello di contratto che predispone unilateralmente.[375] Il fornitore quindi, in virtù di quest’ultima pattuizione (contratto di fornitura) lo consegna direttamente all’utilizzatore, facendogli sottoscrivere un verbale di consegna ed eventualmente di collaudo che attesti la corrispondenza del bene consegnato a quello prescelto. L’originale del verbale viene inviato alla concedente, la quale corrisponde l’intero prezzo al fornitore e normalmente, mette in decorrenza il contratto di leasing, determinando l’inizio del rapporto contrattuale (durata del contratto).[376] Ciò vuol dire che dal mese della consegna o dal mese successivo cominciano a maturare i diritti di credito relativi ai canoni periodici.[377]
6. (segue): …il leasing quale contratto di adesione: requisiti di forma e condizioni generali: l’applicabilità delle norme codicistiche ex artt. 1341 e 1342 c.c.
L’art. 117 del T.u.b., al 1° comma, prevede che i contratti stipulati dalle banche e dagli intermediari finanziari siano redatti per iscritto ed un esemplare sia consegnato al cliente. Il comma 2 dello stesso articolo riserva al CICR la possibilità di prevedere, per ragioni tecniche, che particolari contratti possano essere stipulati mediante altra forma, e si pensi, ad es., alla forma telematica ed ai contratti stipulati tramite internet.[378] L’inosservanza della forma prescritta comporta la nullità dell’atto, rappresentando un elemento essenziale del contratto e da ritenersi richiesta ad substantiam e non ad probationem.[379]
Il leasing è, inoltre, un contratto di serie o di massa, in quanto destinato a disciplinare allo stesso modo la pluralità indefinita di rapporti della società concedente con la potenziale clientela. Per questo motivo, i contratti di locazione finanziaria sono redatti su moduli o formulari che recano condizioni generali di contratto contenenti clausole uniformi predisposte uniulaterlamente dalla concedente, cui la clientela aderisce mediante la sottoscrizione. Si tratta, in sostanza, di contratti per adesione, poiché, secondo il consolidato orientamento della Cassazione, è ravvisabile l’elemento sostanziale della predisposizione unilaterale di clausole destinate ad una pluralità indefinita di rapporti, e quello formale rappresentato dalla redazione mediante moduli o formulari:[380] per questi motivi trovano applicazione gli artt. 1341 e 1342 c.c.[381]
Il 1° comma dell’art. 1341 ritiene sufficiente, in luogo della conoscenza effettiva, la loro conoscibilità al momento della conclusione, usando come metro di giudizio l’ordinaria diligenza: “…al momento della conclusione del contratto le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza”.
Diventa rilevante la formulazione della clausole, in specie avendo riguardo alla loro chiarezza e comprensibilità, e le clausole oscure o di difficile interpretazione devono ritenersi inefficaci. Fermo restante il principio generale ex art. 1370 c.c., in base al quale nel dubbio prevale l’interpretazione contro l’autore della clausola, il 1° comma dell’art. 1342 c.c. stabilisce che nei contratti per adesione le clausole aggiunte al modulo o formulario prevalgono su quelle del modulo o formulario che risultino con esse incompatibili, anche se non sono state cancellate.[382]
Con riguardo poi alle clausole vessatorie, che derogano a principi generali e aggravano la posizione contrattuale dell’aderente, il 2° comma dell’art. 1342 c.c., con riferimento ai contratti per adesione conclusi su moduli o formulari, richiama espressamente il disposto dell’art. 1341, comma 2 c.c., in base al quale tali clausole per essere valide ed efficaci richiedono un ulteriore requisito formale:[383] quello della loro specifica approvazione mediante apposita sottoscrizione.[384]
Il comma 2 dell’art. 1341 c.c. contiene l’elenco delle clausole vessatorie. La dottrina ritiene che si tratti di un elenco tassativo e, quindi, insuscettibile di interpretazione analogica, ma suscettibile, invece, di interpretazione estensiva.[385]
Volendo tornare specificamente alla considerazione del contratto di leasing, è noto che molte sono le clausole necessitanti della “seconda firma” imposta dal legislatore. Ben noto e superato è, a tal riguardo, l’artificio usato da alcune imprese finanziarie che, inserendo le condizioni generali nella domanda di leasing, simulano la predisposizione delle stesse da parte dell’utilizzatore, che invece, riceve un modello prestampato di domanda, con nessuna possibilità di cambiarne il contenuto.[386]
7. Il contenuto minimo del negozio socialmente tipico nella prassi italiana e la validità del regolamento di interessi. Il vaglio di meritevolezza previsto dall’art. 1322, 2° comma del c.c. ed il suo esito positivo riguardo al leasing, nonostante la scarsa considerazione dai giudici di merito.
Il contenuto tipico del contratto stipulato tra società di leasing-concedente ed utilizzatore prevede: a) il godimento è concesso per un periodo di tempo determinato, che non eccede la vita tecnico-economica del bene, tendendo a coincidere con essa nel leasing di beni strumentali ed essendo ad essa inferiore nella generalità degli altri casi;[387] b) l’utilizzatore deve eseguire il pagamento di canoni periodici la cui misura complessiva è ragguagliata al prezzo di acquisto sopportato dal concedente ed è comprensiva, oltre che dell’ammortamento, dell’interesse sul capitale investito, delle spese di gestione e del margine di profitto dell’impresa di leasing.[388] Esso si presenta, pertanto, di regola più elevato di un comune canone di locazione;[389] c) in genere, il contratto prevede che alla scadenza convenuta all’utilizzatore sia consentito di scegliere tra tre soluzioni: la più rilevante consiste nell’acquisto della proprietà sul bene in virtù di un’opzione di riscatto prevista dal regolamento d’interessi per un prezzo generalmente predeterminato di regola modesto per i beni strumentali, più consistente per i beni di consumo durevoli (autoveicoli per es.);[390] d) le conseguenze di ogni rischio inerente il bene (per mancata o ritardata consegna da parte del fornitore, per le avarie prodottesi durante il trasporto, per i vizi, la perdita, il perimento, e per i danni che esso cagioni a terzi) gravano interamente sull’utilizzatore, e su quest’ultimo pesa l’obbligo di provvedere alla sua manutenzione, sia ordinaria che straordinaria. Generalmente l’assetto complessivo degli interessi viene completato dalla stipulazione, imposta all’utilizzatore, di un contratto di assicurazione che copra tali rischi, così da far fronte ai danni che potrebbero derivare dal bene o essere provocati al bene medesimo;[391] e) all’assunzione di tali rischi da parte dell’utilizzatore fa da contrappeso l’estensione a questi di una serie di garanzie che spetterebbero al concedente, in quanto proprietario formale del bene. Il lessee può esercitare le azioni giudiziarie che normalmente spetterebbero al solo proprietario direttamente contro il fornitore e contro i terzi; f) all’utilizzatore è fatto divieto di cedere il contratto o sublocare il bene senza l’autorizzazione del concedente; g) la modellistica contrattuale contempla, in molti casi, una clausola risolutiva espressa in vista dell’inadempimento di una qualsiasi delle differenti obbligazioni che fanno capo all’utilizzatore. Risolto il contratto, l’utilizzatore sarà tenuto a restituire il bene, corrispondere i canoni scaduti fino al momento della risoluzione e pagare a titolo di risarcimento danni una penale in genere prevista dal contratto, il cui ammontare varia a seconda dei casi.[392]
Alla luce di tale piattaforma negoziale, non ci sono state nella nostra esperienza giuridica voci contrarie all’ammissibilità della nuova tecnica contrattuale. Trattandosi di un contratto atipico, infatti, opera la norma dell’art. 1322, 2° comma, c.c. che richiede, ai fini della validità del regolamento, il perseguimento di “interessi meritevoli di tutela”.[393]
I Tribunali e le Corti d’Appello italiane non hanno mai dato specifica rilevanza al suddetto controllo, quantomeno riguardo al leasing, dando spesso per scontato il requisito ex art. 1322 c.c. In particolare, si evidenzia quanto stabilito nella prima sentenza italiana in materia: il Tribunale di Vigevano, in data 14 dicembre 1972,[394] ha considerato meritevoli di tutela gli interessi perseguiti mediante il contratto di leasing: “Tale contratto può presentare una notevole utilità per l’economia, in quanto concerne l’organizzazione dei fattori produttivi da parte di un imprenditore che altrimenti, in mancanza cioè di tutti i mezzi liquidi per acquistare beni strumentali, non potrebbe iniziare o dovrebbe cessare l’esercizio della sua impresa”.
Il Tribunale di Ancona, con sentenza del 21 gennaio 1981[395] ha deciso nello stesso senso, affermando che l’istituto “consente, attraverso lo sviluppo dei mezzi finanziari alternativi, l’utilizzazione di beni strumentali alla produzione pur in mancanza di capitali a disposizione per il loro acquisto da parte dell’imprenditore”. Ancor più chiaro il Tribunale di Milano, il 15 febbraio 1982: “Il leasing è uino strumento di tecnica finanziaria, estremamente elastico, che risponde alle molteplici esigenze di politica aziendale, e per tale motivo svolge un ruolo economico positivo che rende l’interesse perseguito dalle parti meritevole di tutela ex art. 1322 c.c.”[396]
La Corte d’Appello di Milano, il 27 marzo 1982,[397] considera “le esigenze che hanno determinato gli imprenditori a dar vita ad una figura negoziale non tipica sicuramente meritevoli di tutela siccome ricollegate all’intento di un più proficuo svolgimento dei traffici nelle loro modalità e nei loro risultati e sicuramente non contrastanti con alcuna regola fondamentale del nostro ordinamento giuridico. Infine, il Tribunale di Monza, in data 19 ottobre 1984:[398] “non si può mettere in dubbio che il leasing sia diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.
Il leasing finanziario ha trovato, quindi, nel vaglio dei giudici di merito una strada piana e sgombra da ostacoli, diversamente da quanto è avvenuto (e avviene) per il lease back.[399]
8. Alla ricerca di una qualificazione del contratto di leasing finanziario: sunto delle prime soluzioni dottrinali proposte dalla dottrina italiana.
La dottrina italiana, oggi concorde nel riconoscere la causa di finanziamento all’operazione di leasing complessivamente considerata,[400] è stata ed è divisa in ordine alla natura e quindi alla qualificazione del contratto stipulato tra concedente ed utilizzatore. L’argomento, di là dai concettualismi sui quali si rischia di insistere in maniera fuorviante, riveste un’importanza indubbia nell’ordinamento italiano, perché dal descritto inquadramento deriva l’individuazione delle norme disciplinanti il contratto[401] ed è tale impostazione a guidare il controllo delle condizioni generali, attraverso il quale vengono individuate quelle valide e quelle nulle perchè in contrasto con le norme imperative o con l’ordine pubblico economico vigenti nel nostro ordinamento.[402]
Fin dagli anni settanta, gli studiosi italiani hanno cercato di inquadrare il leasing in un tipo contrattuale già previsto dal nostro ordinamento, avvertendo subito difficoltà insormontabili, derivanti dalla novità strutturale e funzionale dell’istituto rispetto ai contratti legalmente tipici ai quali di volta in volta si cercava di ricondurlo.[403] Di fronte ad un istituto sorto in un ordinamento straniero ed importato in Italia, riesce difficile, specie alla dottrina nostrana, non cedere alla tentazione di collocarlo in una categoria giuridica nota, così da riportarlo alla “normalità” di una fattispecie legalmente tipica.[404] Così, si spiegano la riconduzione del contratto entro la fattispecie legale della locazione,[405] della vendita con riserva di proprietà[406] o del mutuo,[407] senza omettere che una parte della dottrina ha subito ravvisato nell’istituto un contratto atipico, in alcuni casi evidenziandone la causa mista, meritevole di tutela ex art. 1322, 2° comma c.c., in altri casi individuando, nell’operazione complessiva, un fenomeno di collegamento negoziale.[408]
È necessario valutare sinteticamente le molteplici proposte d’inquadramento del contratto avanzate dagli studiosi italiani.
Si escluda innanzitutto l’identificazione e, come ha scritto un autorevole studioso,[409] anche il solo “avvicinamento” del leasing al contratto di locazione previsto dal nostro codice civile. Una soluzione di tal fatta è stata prospettata[410] ravvisando una generale compatibilità della nozione legislativa della locazione delineata dall’art. 1571 c.c., con quella del leasing finanziario e operativo.[411]
La verità è che nel leasing finanziario si rinviene una funzione assente nella locazione ordinaria, oltre ad un’evidente diversità delle prestazioni reciproche e della durata dei due rapporti. La tesi in questione viene difesa arguendo che tali aspetti non incidono sulla struttura del contratto e l’essenza del rapporto resta sempre e solo lo scambio temporaneo fra attribuzione del godimento e pagamento del corrispettivo: la causa tipica della locazione non sarebbe revocata in dubbio dai comportamenti posti in essere prima della stipulazione del contratto e dalle valutazioni pregiuridiche che spingono i contraenti a stipulare.
Svariato è il novero degli argomenti critici in grado di demolire tale operazione, le cui velleità sono state ormai sepolte da dottrina e giurisprudenza: innanzitutto, la posizione dell’imprenditore non può essere equiparata a quella di un conduttore.[412] Certo, formalmente la proprietà si appunta sul finanziatore, mentre il contenuto sostanziale della proprietà, ciò che in un ordinamento di common law potremmo definire “proprietà economica”, è attribuito all’utilizzatore; ma è necessario comprendere che, anche se periodicamente l’utilizzatore deve corrispondere una somma alla società finanziatrice, quest’ultima non rappresenta il corrispettivo del godimento del bene, ma è piuttosto la restituzione parziale del finanziamento ricevuto. Del resto, il concedente non ha l’obbligo di “far godere la cosa”, come dovrebbe ritenersi ex art. 1571 c.c., bensì di “darla in godimento”, visto che l’insieme dei canoni corrisponde sostanzialmente al valore economico del bene e non al valore d’uso dello stesso. [413] Pertanto, è possibile arguire che risultano incompatibili con il regolamento di interessi previsto nella locazione, anche quando essa prevede un patto di futuro acquisto della proprietà (art. 1526, 3° comma, c.c.), le clausole che pongono a carico dell’utilizzatore tutti gli oneri di manutenzione del bene e tutti i rischi connessi al godimento dello stesso.[414] Nel leasing, gli aspetti inerenti al godimento del bene sono estranei alla posizione contrattuale della società di leasing, che è invece coinvolta unicamente nel profilo finanziario dell’operazione, dovendo sopportare il rischio d’insolvenza dell’utilizzatore.[415] Infine, non risulta facilmente conciliabile con la causa locativa la previsione, essenziale nel leasing, di un’opzione d’acquisto del bene (oltretutto per un corrispettivo che, come si vedrà, è di per sé spesso trascurabile).[416]
Se ne può dedurre che solo parte della disciplina della locazione è applicabile al leasing.[417] Nonostante l’efficacia degli argomenti critici esposti, soprattutto nei primi anni settanta, l’orientamento originariamente proposto dal Tabet ha trovato molti sostenitori in giurisprudenza, pronti quanto meno ad applicare all’istituto alcune norme codicistiche, tanto che nei primi formulari si usava espressamente derogare agli articoli del codice civile in materia di locazione, come ad es. gli artt. 1575, 1576, 1578, 1579, 1584, 1585 c.c.
La stessa operazione demolitoria risulta più complessa per escludere qualsivoglia tentativo d’inquadramento del contratto nella fattispecie legalmente tipica della vendita a rate con riserva di proprietà. Autorevole dottrina,[418] fin da tempi ormai molto risalenti, ha proposto tale soluzione, reclamando pertanto l’applicazione degli artt. 1523 e 1526 c.c., ritenendo che fosse legittimo l’avvicinamento del leasing a tale contratto tipico.
Il De Nova, per primo, valutando i problemi posti dal regolamento d’interessi, ha affermato che la disciplina del leasing deve essere ricercata selezionando le norme adatte tra quelle disciplinanti la locazione e la vendita, così da poter vagliare la liceità delle clausole inserite nei formulari.
Ciò che contraddistingue la raffinata elaborazione dottrinale del civilista italiano è la volontà di non rispondere al problema individuando l’appartenenza o la non appartenenza del contratto ad una delle due fattispecie legali, ma semmai concludendo per la somiglianza maggiore o minore. Il leasing finanziario viene in quest’ottica sottoposto a molte norme disciplinanti la locazione e la vendita rateale.
Se si dichiara, pertanto, l’atipicità del contratto, non vuol dire che non si possa trovare per esso una disciplina completa servendosi del codice civile. È necessario, quindi, operare una selezione all’interno delle discipline legali richiamate alla luce delle differenze e delle identità tipologiche.[419]
È certo doveroso riconoscere alcuni punti di contatto tra il leasing e tale fattispecie contrattuale della vendita rateale: la posizione dell’utilizzatore è sostanzialmente analoga a quella del compratore a rate fino a quando l’intero prezzo non sia stato pagato (ricordiamo che anche nei paesi anglosassoni il leasing viene avvicinato alla vendita con riserva di proprietà) e non possiamo omettere che anche nella vendita rateale è presente un barlume di finanziamento.[420] Tali analogie consentono entro certi limiti l’applicazione del procedimento analogico,[421] ma non possono però prevalere sulle decisive differenze segnalate dalla dottrina: il finanziamento nella vendita a rate si determina attraverso la rateizzazione del pagamento del prezzo, mentre nell’operazione di leasing ci troviamo in presenza di un terzo soggetto diverso dal venditore che interviene svolgendo il ruolo di finanziatore-intermediario; ergo, il rapporto tra finanziatore ed imprenditore-utilizzatore non può di certo essere avvicinato alla vendita a rate: si tratta piuttosto di un “rapporto di finanziamento che si ricollega a un rapporto di garanzia atteggiatesi particolarmente”.[422] La differenza tra i due istituti si coglie forse ancor meglio osservando i rispettivi regolamenti di interessi al momento della fine del rapporto giuridico contrattuale: nel caso della vendita a rate, l’acquisto della proprietà del bene in capo al compratore è la sola conseguenza automatica scaturente dal pagamento dell’ultima rata di prezzo e si determina ipso iure in virtù dell’originario contenuto contrattuale mentre, nel leasing, le possibilità che si presentano al versamento dell’ultima rata di finanziamento sono molteplici: normalmente l’utilizzatore può scegliere tra tre soluzioni distinte: a) acquistare la proprietà del bene pagando un prezzo residuo stabilito originariamente (prezzo d’opzione); b) prorogare il contratto di leasing facendo riferimento, per la quantificazione dei canoni, al valore d’uso residuale del bene; c) concludere l’utilizzazione del bene consentendo che il rapporto contrattuale abbia termine e la proprietà del finanziatore acquisti il suo pieno contenuto comprendendo anche tutte le facoltà connesse al godimento del bene.[423] È a questo punto facile arguire che, in virtù della differente ratio che fonda le due fattispecie,[424] si addiviene in essi ad un diverso assetto degli interessi regolati e soprattutto ad una differente distribuzione del rischio dell’obsolescenza del bene oltre che ad un diverso regime del rischio contrattuale. È possibile, dunque, concludere che, mentre nella vendita con riserva di proprietà il finanziamento rappresenta un particolare atteggiarsi del contratto di vendita, essendo la fattispecie comunque strumentale al collocamento dei beni sul mercato, nel leasing, contratto che mira tradizionalmente al finanziamento di attività produttive, l’appuntarsi su soggetti diversi della proprietà e del diritto di utilizzazione corrisponde all’assetto d’interessi più utile allo scopo che attraverso la complessiva operazione si intende realizzare.
Il leasing è, quindi, un’operazione di finanziamento dotata di propri connotati strutturali e funzionali. Nei rapporti tra finanziatore e imprenditore, pertanto, rilevano anzitutto i principi che regolano il rapporto di finanziamento; di conseguenza, i diversi problemi che possono sorgere durante la vita del rapporto andranno affrontati e risolti con riferimento all’effettiva natura del rapporto di finanziamento e non certo attraverso la disciplina della fattispecie contrattuale legalmente tipica. [425]
È necessario rifuggire, inoltre, dai pure diffusi tentativi di riconduzione al tipo legale del mutuo.[426] Quest’ultimo regolamento d’interessi prevede che il mutuatario diventi proprietari dei beni ricevuti, dovendo poi restituire beni della stessa specie e qualità. Nel leasing, essi restano nella proprietà formale del concedente fino all’eventuale esercizio dell’opzione. Inoltre, il lessee si obbliga a restituire beni (somme di denaro) diversi da quelli ricevuti.[427] Nonostante i due contratti svolgano funzioni simili, non v’è norma del mutuo che si possa ritenere applicabile anche al leasing, nemmeno in via analogica.[428]
Pure non condivisibile è la raffinata tesi[429] che individua nel leasing un duplice finanziamento, al fornitore e all’utilizzatore: si avrebbe una dazione ad un primo sovvenuto, il fornitore, che non si obbliga a restituire alcunché, ed un obbligo di restituzione a carico del secondo sovvenuto, l’utilizzatore, che non riceve alcunché! Ci troviamo di fronte ad un contratto di scambio e non di credito: sebbene si tratti comunque di uno strumento di finanziamento, tale funzione economica non ne plasma a tal punto la struttura da renderlo inquadrabile nei contratti credito, proprio come avviene nella vendita con patto di riscatto, nel riporto e, secondo molti, anche nella vendita rateale e nello sconto. [430]
In giurisprudenza e in dottrina,[431] è diffusa la tesi che ravvisa nel leasing un contratto atipico con causa di finanziamento, vista la funzione economica e le cause finanziarie rilevate nell’operazione. L’espressione “contratti di finanziamento” viene generalmente usata per indicare quei contratti nei quali l’approntamento dei mezzi finanziari in favore di un soggetto è realizzato in funzione di una certa finalità. Emblematico, in tal senso, è l’esempio del mutuo di scopo, nel quale il mutuatario deve destinare la somma alla realizzazione di un certo scopo.[432] La causa di finanziamento attribuita all’istituto è opponibile, in quest’ottica, a quelle di scambio e godimento, ragionando sull’agevole distinzione del leasing dagli altri tipi contrattuali cui si ritiene di ascriverlo.[433]
Invero, la citata finalità finanziaria deve essere rinvenuta non nel contratto di leasing, ma nella complessiva operazione, consistente nella sintesi fra il contratto di vendita e quello di leasing.
A questi tipi di inquadramento del contratto in fattispecie legalmente tipiche si aggiungono lungimiranti riflessioni sulla atipicità dello stesso, con diverse sfumature che possiamo ricondurre a due principali, quali il negozio a causa mista, e la figura del negozio misto.
Alcuni studiosi[434] hanno ravvisato nel contratto un negozio atipico, con una sua causa, un suo oggetto e sue caratteristiche peculiari, sia oggettive che soggettive, e nel quale vengono a confluire elementi propri di diversi schermi giuridici tradizionali, quali il mutuo, la vendita, la locazione.
Altri[435] hanno parlato di negozio misto, affermando una stretta connessione tra gli intenti economici perseguiti dai contraenti e rilevando che le strutture giudiche caratteristiche dell’affitto dei beni produttivi presentano deviazioni dallo schema tipico in relazione alla natura economica dell’operazione, consistente nell’attività intermediaria svolta tra produttore ed utilizzatore di un bene che viene acquistato da un ente finanziario ai fini dell’operazione stessa. Il contratto sarebbe comprensivo di elementi propri della locazione, della vendita e del mutuo. È ovvio opporre a tale inquadramento i connotati funzionali del leasing, che ne fanno un contratto peculiare perché caratterizzato dall’attività di intermediazione tra produttore ed utilizzatore,[436] con profili di originalità non riscontrabili nei contratti tipici citati.
Altro aspetto da valutare, considerato anche dall’ultima dottrina citata,[437] è relativo alla configurazione giuridica attribuita dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla complessiva operazione economica trilaterale di leasing. Le tesi sono diverse, e si ritiene necessaria una preliminare analisi del percorso giurisprudenziale italiano oltre che, soprattutto, delle clausole che caratterizzano il complesso regolamento di interessi.
9. Il farsi delle regole operative attraverso il percorso giurisprudenziale. Dalla prima sentenza del Tribunale di Vigevano (14 dicembre 1972) al caso Mammoletto (sent. del 28 ottobre 1983, n. 6390): il primo vaglio della Cassazione.
È ben noto che la prima sentenza italiana sul leasing viene emessa dal Tribunale di Vigevano il 14 dicembre 1972.[438] Essa affronta il tema scottante della disciplina del contratto, con particolare riferimento all’applicabilità del temuto art. 1526 c.c., che fa espresso riferimento alla risoluzione della vendita rateale, all’ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore nel caso specifico successivamente dichiarato fallito.[439] Sul punto, si genera un acceso dibattito che coinvolge dottrina e giurisprudenza. La Cassazione, durante i primi anni ottanta, si pronuncia solo incidentalmente in argomento senza, pertanto, poter risolvere il descritto problema.[440]
L’orientamento giurisprudenziale della Cassazione italiana acquista una fisionomia più definita con l’importante sentenza del 28 ottobre 1983, n. 6390,[441] primo intervento “organico” della S. C. in tema di leasing. Esso, notissimo ai cultori della materia come “caso Mammoletto”, pur affermando la natura creditizia del contratto, lo individua come espressione dell’autonomia contrattuale che, quando ha ad oggetto beni strumentali, persegue finalità diverse rispetto a quelle della vendita con riserva di proprietà, non dovendo considerarsi in frode alle norme che regolano siffatta fattispecie per il solo fatto di avere ad oggetto autovetture o altri beni tipicamente di consumo. Nella sentenza è, inoltre, molto chiara la distinzione tra leasing finanziario e operativo, nel primo caso essendo rinvenibili gli elementi essenziali del finanziamento per l’acquisto di un bene prodotto da terzi ed essendo l’utilità economica residua del bene, al termine del contratto e sotto il profilo finanziario, pressoché prossima all’obsolescenza.[442] Motivando la decisione, il Sommo Giudice fornisce interessanti considerazioni su alcuni tra i principali punti problematici del contratto affermando, ad es., che il canone di leasing viene determinato in ragione del costo del bene e della durata del contratto; che l’utilità economica del bene alla scadenza del contratto risulta esigua, vista la prevedibile obsolescenza, e conseguenzialmente scarso valore avrà la possibilità che l’utilizzatore ne diventi proprietario sfruttando l’opzione prevista dallo stesso, visto l’avvenuto esaurimento dell’operazione finanziaria. La stessa pronuncia raccomanda ai giudici del rinvio di “incentrare la propria indagine interpretativa sulle caratteristiche atipiche del contratto di leasing, in relazione soprattutto all’elemento di finanziamento, alla obsolescenza economica del bene, alla funzione economica del canone, non solo quale prezzo del bene, ma anche quale strumento dell’operazione finanziaria”.
Si tratta di una sentenza importantissima visto che ad essa fa costante riferimento la Cassazione, tanto da costituire un primo pilastro della “fisionomia giurisprudenziale” del leasing.
La vicenda processuale in questione si determina allorquando il sig. Mammoletto, titolare di una pizzeria, prende in leasing una lussuosa Mercedes, e si vede risolvere il contratto a seguito del mancato pagamento di un solo canone, pari a 1/36 del corrispettivo pattuito (sic!). La sentenza d’appello[443] censura l’operazione per illiceità, ritenendola in frode alle norme imperative che disciplinano la vendita a rate, mentre la Cassazione, cassando con rinvio, riconduce repentinamente la fattispecie ai contratti di credito.
La dottrina si è mostrata, negli anni, molto dubbiosa riguardo all’inquadramento di siffatto regolamento di interessi operato dalla Cassazione, e molti studiosi dubitano maliziosamente che in quel caso sia riscontrabile un contratto di leasing, proponendo di ascriverlo alla fattispecie legale della vendita con patto di riservato dominio, considerando innanzi tutto che al bene in oggetto (una Mercedes sportiva!) non si poteva certo attribuire natura strumentale alla gestione di una pizzeria; senza omettere che il valore residuo dello stesso sarebbe risultato certamente superiore al prezzo d’opzione, tanto da far facilmente comprendere che lo stesso contratto rappresenta uno strumento teso al successivo trasferimento definitivo della proprietà sul bene. Come si comprende, le caratteristiche e la funzione complessiva dell’operazione sono quelle proprie della vendita rateale, la cui disciplina, pertanto, avrebbe dovuto trovare pronta applicazione nel caso descritto. Non sembra possibile infatti, negare nella fattispecie l’operatività della regola di cui all’art. 1525 c.c., ove viene esclusa la risoluzione del contratto in caso di mancato pagamento di una rata che non superi l’ottava parte del prezzo, oltre che dell’art. 1526 c.c., in base al quale il venditore si vede obbligato a restituire, in seguito alla risoluzione, tutte le rate riscosse, sia pure mantenendo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa.[444]
Valutata l’enorme portata del caso Mammoletto, è possibile proseguire il cammino lungo l’itinerario percorso dalla giurisprudenza italiana.
10. (segue): …tre interventi del Sommo Giudice tra il 1986 e il 1988 fanno da prologo alle sentenze del 1989: in particolare Cass., Sez I, 6 maggio 1986 e Sez. I, 26 novembre 1987, n. 8766.
Fra il 1986 e il 1988 la Cassazione si pronuncia altre tre volte sul nuovo istituto, affrontando, in particolare, il tema della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, e contribuendo a delineare la fisionomia “giurisprudenziale” del contratto.
Il riferimento è alle sentenze della Cass., Sez I, 6 maggio 1986, n. 3023; Sez. I, 26 novembre 1987, n. 8766; Sez. III, 15 ottobre 1988, n. 5623.
Le prime due, soprattutto, insieme alla citata decisione sul caso Mammoletto, costituiscono, per il nostro giudice di legittimità, la base argomentativa per giungere a nuove conclusioni del 1989.[445]
La controversia decisa nel 1986[446] s’innesta sul fallimento di un lessee, cui ha fatto seguito lo scioglimento del rapporto contrattuale: in seguito all’avvenuta restituzione del bene, il problema più complesso da risolvere attiene al trattamento da riservare ai canoni percepiti dalla concedente fino all’apertura della procedura concorsuale. In primo grado, il tribunale di Grosseto ritiene applicabile il 1526 c.c., mentre la Corte d’appello di Firenze, al contrario, riforma la sentenza e riconosce il diritto del lessor di trattenere i canoni fino ad allora percepiti. La Cassazione, dopo una serie di considerazioni sulla atipicità e meritevolezza degli interessi perseguiti dal regolamento contrattuale, richiamando anche la precedente sentenza del 1983 n. 6390, ha avallato la tesi dei giudici di secondo grado, precisando che la causa del contratto non si rinviene nel trasferimento della proprietà con l’agevolazione derivante dalla rateizzazione, ma nel finanziamento per l’acquisto della disponibilità immediata del bene e, solo eventualmente, della proprietà di esso, con l’impegno per l’utilizzatore di rimborsare, attraverso il pagamento dei canoni, il finanziamento concesso dalla società di leasing, in più corrispondendo ad essa gli interessi e la remunerazione del capitale di rischio nell’operazione. La conferma di tale indirizzo è rinvenuta nella rapida obsolescenza cui in genere gli oggetti di tali contratti vanno incontro; in quest’ottica, il pagamento dei canoni svolge il ruolo di mutuo finanziario, remunerando il proprietario del valore economico del bene, e non quello di pagamento periodico di un prezzo d’acquisto. Ancora, la Cassazione considera che il contratto è per sua natura un contratto di durata e non si esaurisce nel compimento di un solo atto, presupponendo una prestazione continuativa, la messa a disposizione del bene, e una prestazione periodica, il pagamento rateale dei canoni. Pertanto, si conclude, il contratto è privo di una particolare disciplina tipica e ad esso risultano applicabili, in base al principio ex art. 1323 c.c., le norme sulla disciplina generale del contratto, fra le quali, in tema di risoluzione dei contratti di durata, quella ex art. 1458 c.c., palesemente incompatibile con quanto stabilito dall’art. 1526 c.c., riferito al contratto tipico di vendita con riserva di proprietà.
Alcune riflessioni: in verità, la giurisprudenza di merito ha già in precedenza applicato il 1458 c.c. in tema di risoluzione per inadempimento,[447] ma si è trattato di casi nei quali non v’è stata una richiesta del lessor in merito alla liquidazione della penale, e la sede fallimentare della controversia ha impedito l’esame di quelle richieste risarcitorie che i lessors sono soliti avanzare in ogni caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, non permettendo che, sul punto, si cristallizzasse un orientamento della S. C.
La sentenza della Cassazione solleva non poche perplessità, oltre ai consensi da parte della dottrina. I giudici di merito si adeguano in parte, ma molto spesso si dissociano dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità, continuando ad applicare l’art. 1526 c.c. Innanzitutto, è revocata in dubbio la qualificazione del leasing come contratto con causa di finanziamento: perché, allora, si chiede una parte della dottrina, la controversia non viene risolta applicando le norme fallimentari in materia di contratti di credito, ossia l’art. 55 l. fall?
Tale opzione normativa rappresenta una scelta obbligata se si vuole sostenere la natura finanziaria del leasing anche sul piano degli effetti giuridici! Altrettanto critica, è la dottrina sul punto della natura attribuita al corrispettivo dovuto dall’utilizzatore: perché, dopo aver pagato tutti i canoni e quindi rimborsato l’intero prestito, la proprietà non si trasferisce automaticamente all’utilizzatore, prescindendo dall’esercizio dell’opzione e dal versamento del relativo prezzo?
In un passaggio della motivazione, nel quale i giudici avvicinano il contratto de quo ai negozi di finanziamento della vendita, sembrerebbe tenuto in considerazione tale aspetto, ma successivamente viene fatto cadere, evidentemente per il timore di balenare l’avvicinamento del leasing alla vendita rateale, così da imporre la disciplina dello stesso con le norme di quest’ultimo contratto tipico. È ben nota la riflessione del Mirabelli[448] a tal proposito: egli ritiene che il centro della motivazione risieda nella considerazione che i canoni percepiti dalla società di leasing si sostanziano nella differenza tra il valore iniziale e il valore residuo del bene al momento della risoluzione, ritenendo secondaria l’attribuzione al contratto della funzione di finanziamento.
La Cassazione ha affermato, inoltre, che il leasing determina il trasferimento della mera disponibilità sul bene. La dottrina fa notare che, o la disponibilità si traduce in un diritto reale sul bene ed un effetto traslativo di tal genere renderebbe il contratto avvicinabile alla vendita con riserva di proprietà oppure deve sostenersi che il contratto finanzia l’utilizzazione del bene concesso in godimento dal proprietario ed in tal caso si paleserebbe lo schema causale tipico della locazione. Eppure, anche tale soluzione viene respinta dal Sommo Giudice che preferisce affermare la natura di contratto di credito.
Il Bussani,[449] con buona parte della dottrina contemporanea, rileva che opportuno per la Cassazione sarebbe stato non ostinarsi nella classificazione rigida del contratto, visto che nella prassi negoziale invalgono contratti aventi ad oggetto beni non suscettibili di rapida obsolescenza, la cui durata non coincide con la vita economica del bene ed il canone non è ragguagliato al valore economico dello stesso, come dato per scontato dalla S.C. Vi sono, infatti, diverse possibilità che il bene non sia soggetto a rapida obsolescenza tecnica, che la scadenza del contratto prescinda del tutto dalla vita economica del bene, e pertanto si rende opportuna una riflessione più elastica intorno alla descrizione ed alla qualificazione del contratto.
Si rifletta, adesso, sulla seconda sentenza resa dalla prima sezione n. 8766, del 26 novembre 1987,[450] che risale ad un anno e mezzo dopo e che non tiene affatto in considerazione i rilievi dottrinali prospettati. La vicenda di fatto è simile a quella già descritta: il lesee non paga un certo numero di canoni e il lessor, facendo valere la clausola risolutiva espressa, determina lo scioglimento del rapporto contrattuale. Solo dopo il lessee fallisce. Si comprende, quindi, che, travolto l’utilizzatore dall’insolvenza in un momento successivo alla risoluzione, la Cassazione può pronunciarsi sul contenuto della clausola penale, la cui applicazione è invocata dal lessor. Il concedente ottenuta la restituzione del bene, un automezzo, inoltra domanda d’ammissione al passivo per la somma dei canoni scaduti e di quelli a scadere, dedotto quanto ricavabile dalla vendita dell’autoveicolo. Il Tribunale di Genova applica l’art. 1526, c.c.; la Corte d’appello di Genova considera invece applicabile l’art. 1384, c.c., riducendo la penale di circa 10 milioni di lire, considerato anche il valore residuo del bene restituito.
La Cassazione respinge le censure della Curatela fallimentare avverso la sentenza di secondo grado, dichiarando in motivazione di aderire senza incertezze all’indirizzo tracciato dalle sentenze nn. 3890/1983 e 3023/1986, con buona pace della dottrina che aveva criticato le suddette decisioni.[451]
Di certo, la decisione non viene accolta pacificamente dai cultori.[452] Chi rinviene nel leasing una causa puramente finanziaria saluta festosamente la scelta come avallo delle proprie opinioni ed utile spunto per la risoluzione delle future controversie; gli altri studiosi avanzano una serie di obiezioni, ritenendo contraddittoria la motivazione e affermando che, se la Cassazione avesse coerentemente dato seguito alla prescelta qualificazione del contratto, il dispositivo sarebbe stato molto diverso. Volendo rinvenire una causa di finanziamento nel contratto, non è possibile applicare ad esso il 1384 c.c., in quanto, in tal caso, le conseguenze sarebbero diverse: visto che i contratti di credito non conoscono regole convenzionalmente inderogabili, eccetto quelle relative agli interessi usurari, nessuna censura sarebbe stata opponibile ad una clausola che impone all’utilizzatore la restituzione dell’intero tantumdem, con interessi e rivalutazione: argomentando in tal modo, lo spazio per applicare il 1384 c.c. è nullo. Riassumendo pertanto, o si accoglie la tesi della causa di finanziamento, riconoscendo la validità di tale clausola, o si opta per schemi causali diversi.[453]
Una dottrina ritiene difficile ammettere che, in seguito all’inadempimento dell’utilizzatore, il concedente possa ottenere la restituzione del bene, trattenendo le somme riscosse nonché pretendere i canoni scaduti e quelli a scadere. In molti casi, il lessor otterrebbe un vantaggio economico maggiore di quello che deriverebbe dalla scadenza naturale del contratto, specie nell’ipotesi in cui il bene trova facile collocamento sul mercato. Per questo, molti autori hanno ritenuto di risolvere il problema ricorrendo alla disciplina della vendita rateale con riserva di proprietà. Nel leasing, i canoni sono comprensivi del prezzo della cosa: il fatto che il lessee anticipi una quota del costo d’acquisto del bene è ritenuto bastevole a far scattare l‘operatività dell’art. 1526.c.c. Ciò avviene, per alcuni, mediante l’applicazione analogica della suddetta norma, vista l’identità di ratio che del resto giustifica l’applicazione alla locazione-vendita ex 1526, 3° comma, c.c. Si vuole, così, evitare che il concedente ottenga un profitto sproporzionato rispetto alla funzione economica del negozio, cosa configurabile allorquando il bene conservi, al tempo della risoluzione, un valore superiore al credito residuo. Altri autori,[454] più ambiziosamente, scelgono un’altra strada per affermare l’applicabilità del 1526 c.c., riscontrando la coincidenza tipologica sotto il profilo del corrispettivo ed invocando la diretta applicazione della norma.[455] La ratio dell’art. 1526 viene collegata, in quest’ottica, alla natura dei pagamenti periodici: se si tratta di corrispettivo per il godimento, viene in gioco la logica della locazione; se si tratta di rate di prezzo, entriamo nell’ambito della vendita. Se, inoltre, la durata del contratto è ragguagliata alla vita tecnico-economica del bene, l’insieme dei canoni pareggia il suo valore economico, mentre se la durata è più breve il valore residuo risulterà superiore all’abitualmente esiguo prezzo d’opzione e, quindi, i canoni appariranno comprensivi del prezzo d’acquisto del bene, favorendo l’ingresso del regolamento di interessi nella logica della vendita, che impone l’applicazione dell’art. 1526 c.c.
Altra parte della dottrina affronta il problema invocando l’applicazione della disciplina generale dei contratti. Il leasing, quale contratto atipico, non può essere ridotto a schemi classificatori troppo rigidi: in seguito alla risoluzione sarà sufficiente applicare l’art. 1384 c.c., che prevede la possibilità per il giudice di ridurre la penale se “l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della pena è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”. Tale strumento viene ritenuto idoneo a garantire l’equità dei regolamenti d’interessi, e si guarda con favore, pertanto, ai formulari che prevedono, nel caso di risoluzione, il diritto del concedente ad ottenere l’intero corrispettivo pattuito, sottraendo ad esso quanto ricavato dal reimpiego del bene sul mercato.
Gli artt. 1458 e 1384 del c.c., vengono giudicati applicabili anche da parte di chi inquadra il leasing come locazione. Tale inquadramento, come detto, non risulta però condivisibile per la dottrina maggioritaria. Alla stregua di tale prospettata soluzione, infatti, clausole del genere non sarebbero necessarie vista la possibilità del locatore di trattenere i canoni percepiti, in virtù del principio dell’irretroattività degli effetti della risoluzione stabilito per i contratti di durata ex art. 1458, 1° co. ult. parte c.c., ma è ipotizzabile che i redattori dei formulari vogliano rimarcare il governo delle conseguenze derivanti dalla risoluzione mediante un’analitica disciplina pattizia, senza dimenticare che, come si è detto, sono anche altri i punti deboli di tale inquadramento, essendo la figura del lessor del tutto irriconducibile a quella del proprietario locatore, visto che il primo acquista apposta il bene su indicazione del lessee.
Inutile ricordare che i formulari non tengono in alcun conto la disciplina codicistica della locazione, posta la differente natura del corrispettivo: si prescinde totalmente dal valore d’uso. Resta da chiarire, al riguardo, anche il significato dell’opzione di acquisto. Il carattere irrisorio o meno del prezzo d’opzione aiuta l’interprete a sciogliere i dubbi in ordine alla natura locatizia o traslativa del contratto.
11. (segue): …la formazione della fisionomia giurisprudenziale del leasing, scolpita nelle sei sentenze contestuali emanate il 16 dicembre 1989: l’originaria fattispecie viene scissa in due tipologie di contratto.
Si giunge finalmente[456] al 1989, anno importantissimo per il leasing come configurato dalla Cassazione italiana. Quest’ultima è intervenuta con sei sentenze coordinate e contestuali tutte datate 16 dicembre, emesse in sede fallimentare e decise dalla Sezione I (nn. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573, 5574)[457] sancendo “la fine della concezione unitaria e la conseguente partizione del leasing in due specie, denominate, per lo più, l’una di godimento o tradizionale e l’altra traslativa o nuova”.[458] Per quanto attiene ai dispositivi, la n. 5571 e la n. 5574 cassano con rinvio ad altro giudice, mentre le nn. 5569 e 5570 confermano le decisioni del giudice d’appello che avevano applicato l’art. 1526 c.c. ai contratti in esame. Tutte le decisioni presentano motivazioni assai simili.
Innanzitutto, la Cassazione, parzialmente ma nettamente, corregge il suo orientamento in ordine alla qualificazione del contratto. Ciò è determinato dall’attenzione dei giudici ai propri precedenti, ai contributi dottrinali e dalla preoccupazione, già avvertita dalle corti di merito e dalla dottrina, di trovare il punto d’equilibrio tra la conservazione della funzionalità propria del regolamento d’interessi e la necessità di evitare che venga pregiudicata senza giusta causa la posizione dell’utilizzatore, pure inadempiente, rispetto a quella del concedente, in deroga ai principi generali del diritto contrattuale ed alle discipline specifiche vincolanti.
Secondo la Cassazione, nella pratica negoziale si sarebbero diffusi due modelli di leasing, entrambi atipici e perseguenti interessi meritevoli di tutela, da distinguere nonostante l’identità delle clausole letterali impiegate dai formulari. Il leasing tradizionale, anche definito “di godimento” o “puro” è volto a realizzare una prevalente funzione di finanziamento e si caratterizza per avere ad oggetto beni che esauriscono la propria vita economica in corrispondenza della scadenza del contratto, per la perfetta corrispettività e sinallagmaticità tra le prestazioni della parti durante lo svolgimento del rapporto, in quanto i canoni pagati tendono a remunerare il concedente del valore economico consumato dall’utilizzatore; ciò si verifica anche quando l’utilizzatore esercita il diritto di opzione il cui effetto traslativo, remunerato, è eventuale e marginale rispetto all’assetto degli interessi che le parti hanno inteso regolare. La conclusione è che in questo caso si tratterebbe di un contratto ad esecuzione continuata o periodica, la cui risoluzione andrebbe disciplinata alla stregua dell’orientamento consolidato presso la Cassazione nel periodo precedente che, stando alle motivazioni, fino al 1989, avrebbe fatto solo riferimento al leasing tradizionale. Per i canoni già riscossi si applicherebbe l’art. 1458, co. 1°, seconda parte c.c.[459]
La Cassazione delinea, però, anche un altro tipo di leasing, che oggi viene detto comunemente “di consumo” o “traslativo”. Ad esso può ricorrere qualsiasi soggetto deducendo nel contratto anche un bene non strumentale. Si caratterizza perché in esso l’obsolescenza non coincide con la scadenza del contratto e, pertanto, il bene, alla scadenza contrattuale, non avrà consumato il suo valore economico, che sarà superiore rispetto al prezzo d’opzione. Ciò rende rivelante l’interesse dell’utilizzatore all’acquisto del bene e la consapevolezza dell’impresa finanziaria dell’esistenza di tale interesse. Si impone il ruolo essenziale dell’opzione in tale assetto di interessi e, soprattutto, emerge che la globalità dei canoni va commisurata non già al valore del solo godimento, ma al valore del bene in quanto tale: ogni canone sconta, oltre ad una quota imputabile al godimento, anche una quota di prezzo. Di conseguenza, non si può affermare che vi sia in tal caso piena corrispettività tra periodi di godimento e rate di canone, che incorporano anche ratei di prezzo, ed emerge la funzione di garanzia del finanziamento attribuibile alla conservazione della proprietà in capo al lessor. Balzano agli occhi, in queste fattispecie di contratto, molti profili di analogia rispetto alla vendita rateale, tanto da rendere indubbia l’operatività, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, della norma dell’art. 1526 c.c., la cui ratio si fonda sulla finalità di escludere un vantaggio ingiustificato per il concedente riportando le posizioni delle parti ad equità, e riconoscendo al finanziatore il diritto a vedersi restituito il bene riacquistandone la piena disponibilità, ma nello stesso tempo azzerando le situazioni finanziarie e attribuendo al concedente un equo compenso ragguagliato alle utilità conseguite dall’utilizzatore con il godimento del bene. La Cassazione ha, quindi, prospettato una serie di indici rilevatori dell’appartenenza di una fattispecie contrattuale concreta all’uno o all’altro tipo di leasing, così da individuare anche il rispettivo regime disciplinare.
Tali criteri, peraltro oggetto di severe critiche dottrinali, andrebbero comunque individuati caso per caso. A titolo di esempi, ricordiamo: la previsione di un’apprezzabile eccedenza nel rapporto tra valore residuo e prezzo d’opzione alla scadenza del contratto; la prevista facoltà di prorogare da parte dell’utilizzatore il contratto: le parti in tal senso, si sarebbero rappresentate l’eventualità altamente probabile della sopravvivenza di un valore residuo nel bene ancora apprezzabile, tanto da concretare l’interesse alla prosecuzione della sua utilizzazione; l’obbligo in capo all’utilizzatore di restituire il bene alla scadenza in buono stato di manutenzione e funzionamento; la considerazione della durata del contratto in rapporto alla natura del bene ed al suo normale periodo di obsolescenza; altro indice di individuazione è ricavabile, nel caso di risoluzione o scioglimento anticipato, dalla stima di quello che sarebbe dovuto essere il valore residuo finale estrapolato attraverso una proiezione nel futuro (utilizzando alcuni dati quali l’obsolescenza medio tempore verificatasi, la prevedibile ulteriore obsolescenza, la natura del bene ed il tipo programmato di uso e di reimpiego dello stesso) del valore residuo presente ancora nel bene al momento dello scioglimento anticipato. Il giudice di merito deve assolvere tale compito, che rappresenta una quaestio voluntatis, confrontando tali indici con il quadro complessivo degli altri indici di riscontro risultanti dal regolamento concordato dalle parti, salvo comunque il controllo di legittimità della Cassazione.
Non si sottovaluti, inoltre, che il rapporto può essere alterato dal sopravvenire di circostanze particolari; la stessa previsione iniziale può risultare sbagliata, così da determinare l’inutilità, ai fini ermeneutici, del raffronto tra il valore economico del bene alla scadenza ed il prezzo d’opzione.
12. (segue): …i principali argomenti critici della dottrina alla bipartizione giurisprudenziale e la permanenza del giudice di legittimità nel solco tracciato. La situazione attuale: assenza di regole operative certe in materia di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore: un confronto emblematico tra sentenze.
La soluzione della Cassazione ha sollevato non poche proteste da parte dei dottori che hanno prontamente evidenziato la distanza del disegno giurisprudenziale dall’effettivo assetto di interessi rinvenibile nei formulari normalmente in uso.
Pochi autori contestano la valutazione effettuata dalla Cassazione in ordine al permanere della proprietà in capo all’utilizzatore, cui si attribuisce pacificamente funzione di garanzia. Solo alcuni, infatti, ravvisano nel particolare atteggiarsi del diritto di proprietà la necessaria modalità attuativa del rapporto, funzionale ai vantaggi fiscali, contabili e di liquidità dell’utilizzatore.
Le critiche più aspre e frequenti riguardano, da una parte, la duplicazione dello schema contrattuale, con le conseguenze osservate riguardo alla disciplina applicabile nel caso di risoluzione, dall’altra, la scelta dei criteri orientativi per il rinvenimento, nel caso concreto, dell’una o dell’altra tipologia di leasing.
Il primo argomento è empiricamente giudicabile: se si osservano i formulari comunemente diffusi, si coglie una prassi sostanzialmente uniforme, almeno per quanto attiene al leasing mobiliare, sul quale del resto si è pronunciata la Cassazione: in Italia e, come visto, spesso anche all’estero, le clausole e l’assetto complessivo di interessi determinato dal contratto risultano pressoché identici.[460]
La dottrina ha, inoltre, criticato con nettezza gli indici rilevatori suggeriti all’interprete dalla Cassazione al fine di distinguere le due tipologie di leasing nelle fattispecie concrete che di volta in volta possono presentarsi: si osserva a) che il canone non viene usualmente stabilito in ragione della previsione iniziale delle parti circa il valore residuo del bene alla scadenza del contratto, bensì facendo semplicemente riferimento al costo del bene ed alla durata del rapporto contrattuale.[461] Per quanto attiene alla differenza imperniata sul rapporto tra prezzo di opzione e valore residuo del bene alla scadenza del contratto, si arguisce, inoltre, l’inaffidabilità di tale discrimen. È ben noto che nella prassi i prezzi d’opzione vengono fissati in ragione percentuale (dall’uno al dieci%), rispetto ad un parametro determinato dall’originario costo d’acquisto del bene, oppure dalla somma dei canoni al cui versamento è tenuto l’utilizzatore. Si ricordi anche che il ritorno dei beni nella disponibilità del lessor rappresenta un inconveniente piuttosto che un vantaggio, specie quando è difficilmente ricollocabile sul mercato.[462] Ancora, la durata minima consentita ai fini fiscali è della metà del periodo di ammortamento per i beni mobili e di otto anni per quelli immobili, cosicché le parti tendono a concludere contratti di durata pari a quella minima consentita, affinché l’utilizzatore possa ottenere il maggior beneficio fiscale.[463]
Concludendo: dal momento che i contratti hanno normalmente durata inferiore alla vita economica del bene “se la Cassazione avesse tratto le conseguenze logiche dalla scelta di quel criterio distintivo, essa avrebbe dovuto dedurre che il “nuovo” leasing semplicemente è il leasing”.[464]
Evidenziate le incongruenze della bipartizione operata dalla Cassazione, senza dubbio lontana dalla realtà operativa della tecnica contrattuale, la dottrina,in pieno accordo sull’unicità della fattispecie e sulla necessità di scongiurare ingiustificati arricchimenti del concedente, continua a dividersi sulle soluzioni operative da proporre ai giudici, specie in ordine alle conseguenze della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore.
C’è chi segnala l’opportunità di un’applicazione generalizzata dell’art. 1526 c.c., lasciando che le circostanze del caso di specie vengano valutate in sede di determinazione dell’equo compenso. In questo modo, le Corti di merito eviterebbero l’onere della classificazione ed avrebbero la possibilità di valutare una serie di profili incidenti sulle posizioni delle parti in seguito alla risoluzione: potrebbero valutare il valore residuo del bene, il prezzo dello stesso in quel momento, la difficoltà di ricollocazione sul mercato.[465]
Altri autori, richiamano la necessità di una clausola pattizia, oppure imposta ex lege, che preveda con chiarezza che in caso di risoluzione il bene deve essere destinato al soddisfacimento del credito del concedente con restituzione all’utilizzatore dell’eventuale residuo.[466] Tale indirizzo non si discosta molto da quello di chi suggerisce semplicemente l’accredito all’utilizzatore di quanto ricavato dalla vendita del bene. [467]
I giudici di legittimità italiani non risultano per nulla turbati dalle critiche della dottrina: la Cassazione ha confermato l’orientamento scolpito nelle sentenze del fatidico 13 dicembre 1989, con le sentenze rese, sempre in relazione a contenzioso di natura fallimentare, dalla sez. II il 5 giugno 1991 (n. 6357)[468] e il 20 febbraio 1992 (n. 2083),[469] ove l’indirizzo binario viene confermato in toto.
Il 7 gennaio 1993, la Cassazione, con l’autorevole suggello delle Sezioni Unite, nella sentenza n. 65[470] “mette il sigillo alla bipartizione operata dal “sestetto binario” quattro anni prima”.[471] In essa vengono tratteggiati i canoni essenziali per l’individuazione delle due distinte fattispecie, ribadendo la centralità del riscontro circa la coincidenza temporale tra il periodo di consumazione tecnica ed economica del bene e quello di durata del contratto: se non sussiste tale coincidenza, come detto, secondo la Cassazione bisogna propendere per il leasing traslativo poiché “l’importo totale dei canoni corrisponde al valore del bene in quanto tale e ciascun canone sconta anche una quota di prezzo” così che l’acquisto viene a costituire “una situazione di fatto necessitata per l’utilizzatore” .
Riguardo agli indici rilevatori osservati, il Sommo Giudice afferma che essi sono rilevanti solo “in quanto espressivi dell’intenzione delle parti”, sicchè, l’intera operazione ermeneutica diviene infine una quaestio volulntatis, la valutazione della quale, tra l’altro, è demandata al giudice di merito.[472]
Purtroppo, l’orientamento della giurisprdudenza italiana appare, invero, meno solido se si scende sul campo di battaglia dei giudici di merito. Molti di questi accolgono senza particolari proteste il revirement della Cassazione e la bipartizione prospettata,[473] ma ci sono anche giudici di merito più arcigni che contestano l’orientamento delineato[474].
La scelta binaria della Cassazione, del resto, offre il proprio avallo ad entrambe le soluzioni elaborate dagli orientamenti giurisprudenziali originati prima del 1989. Ciascun giudice può utilizzare l’indirizzo binario come una maschera, occultandovi le convinzioni in precedenza maturate attraverso una scelta simulata dell’una o dell’altra tipologia di leasing.
Per questo motivo, si rinvengono nella vita giurisprudenziale italiana decisioni radicalmente diverse aventi ad oggetto fattispecie pressoché identiche. Ciò si traduce, evidentemente, in un vulnus per la certezza del diritto, lasciando nello sconforto l’interprete che volesse cimentarsi nella ricerca di regole operative sicure, specie in ordine agli effetti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore. Riguardo a tale profilo disciplinare, si propone un significativo confronto tra decisioni riguardanti fattispecie di leasing nelle quali vi era stata, in seguito alla risoluzione per inadempimento del lessee, la restituzione del bene al concedente.
Il Tribunale Milano, in data 11 ottobre 1990,[475] in presenza di alcune circostanse (contratto di leasing di macchinari, lessee dichiarato fallito dopo la risoluzione del contratto, concedente che chiede solo la corresponsione dei canoni scaduti e non pagati), applica l’art. 1526 c.c., rigettando la domanda della società di leasing.
Tale magnanimità nei confronti dell’utilizzatore sarebbe anche comprensibile se trovasse riscontro presso tutti i giudici del nostro Paese! Il Tribunale di Napoli, invece, in data 30 gennaio 1991,[476] chiamato ad esaminare un contratto avente ad oggetto un automobile (beninteso, non un automezzo industriale, ma un’automobile per uso civile!), di fronte alle pretese del lessor aventi ad oggetto la somma dei canoni scaduti, di quelli a scadere, e del prezzo di opzione, sottratta la cifra corrispondente al valore del bene al momento della restituzione (cifra stabilita dalla stessa società di leasing!), accoglie per intero le richieste del concedente.
Nell’amarezza che deriva da tali considerazioni forse è lecito apprezzare le sentenze che, rigettando la bipartizione riferita, ravvisano nel leasing un’indubbia uniformità struttuale e funzionale, imperniata nella sempre presente causa di finanziamento.[477]
Evidentemente, infatti, l’indirizzo binario non permette, ad oggi, di risalire a regole operative fondamentali come quelle riguardanti le conseguenze giuridiche della risoluzione del rapporto per inadempimento del lessee.
13. (segue): …l’inadempimento dell’utilizzatore e la manutenzione del contratto: una soluzione interessante affidata all’autonomia contrattuale.
In alcuni formulari si cerca, in conseguenza dell’inadempimento dell’utilizzatore, di facilitare, in luogo della risoluzione del contratto, la conservazione dello stesso. In molti casi è prevista la facoltà in capo al concedente di chiedere, in alternativa alla risoluzione, l’esecuzione del contratto, per altro principio previsto dall’art. 1453 c.c. Molti contratti aggiungono che in seguito all’inadempimento il concedente può considerare l’utilizzatore “decaduto dal benedicio del termine”. Si tratta di una clausola che, secondo il De Nova, non è in alcun modo riconducibile alla disciplina legale dei contratti di credito che, ex artt. 1819 e 1829 c.c., prevedono che il ritardo nella restituzione di una rata o nel pagamento degli interessi giustifica la risoluzione del contratto e la conseguente immediata restituzione dell’intero. È più opportuno, per la dottrina menzionata, richiamare, per la disciplina della suddetta clausola, l’art. 1525 c.c. in tema di vendita rateale con patto di riservato dominio, [478] che stabilisce che anche in presenza di patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, non superiore all’ottavo del prezzo totale, non dà luogo alla risoluzione del contratto e il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive. L’opinione prevalente, appoggiata autorevolmente dalla Cassazione,[479] non ritiene ammissibile, argomentando a contrariis, che il debitore inadempiente per più di un ottavo decada automaticamente dal termine. In ogni caso si ritiene necessaria la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1186 c.c. Secondo la Cassazione,[480] da tale norma può ricavarsi che è valida una clausola che prevede la decadenza dal beneficio del termine per il compratore che non adempia a più di una rata o ad una rata superiore all’ottavo. In virtù di tale pattuizione il venditore può ottenere il pagamento immediato dell’intero e il compratore acquista la proprietà del bene: la vendita, da rateale diventa semplice. Il problema può sussistere in ordine alla possibilità di inserire siffatta clausola nel contratto di leasing, laddove manca l’automaticità del trasferimento del diritto reale. L’utilizzatore si troverebbe a dover corrispondere la totalità dei canoni senza ottenere la proprietà del bene. Tale differenza, secondo i più, non è decisiva, e la clausola risulterebbe pienamente efficace anche inserita nel contratto di leasing. Questo, però, solo nel caso in cui all’utilizzatore sia consentita la facoltà di esercitare subito il diritto di opzione.[481] Per quanto attiene poi al pagamento dei canoni a scadere, in genere si ritiene che debbano essere attualizzati. Nel caso non venisse pattuita l’attualizzazione, il pagamento attuale dei canoni nella misura prevista dal contratto comporterebbe una penale per l’inadempimento, come tale riducibile. Una conferma si ottiene valutando che, se il concedente invoca la clausola di manutenzione del contratto, si perviene allo stesso risultato per volontà del concedente come in caso di esercizio anticipato dell’opzione da parte dell’utilizzatore per volontà di quest’ultimo.
14. Inadempimento dell’utilizzatore: qualche riflessione comparatistica. La disciplina americana trova nella prassi tedesca soluzioni pressoché analoghe. La vicenda francese legata alla clausola penale: dalla crisi all’accoglimento legislativo delle istanze di giudici di merito ed imprese utilizzatrici.
È possibile raffrontare le soluzioni cui si è giunti in sistemi differenti. Nell’art. 9 dello U.C.C. è contenuta anche la disciplina dei lessor’s remedies per il caso di inadempimento dell’utilizzatore (art. 9 Part V). È possibile osservare, sinteticamente, che a seguito dell’inadempimento dell’utilizzatore: a) il concedente ha diritto di impossessarsi della cosa; b) non sempre può trattenerla presso di sé, ma in certi casi è tenuto a venderla; c) in caso di vendita, il ricavato è destinato a soddisfare le ragioni del concedente, visto che quanto residua è dovuto all’utilizzatore,[482] e quanto difetta spetta al lessor.[483]
La prassi negoziale statunitense, a fronte di una disciplina che appare così solida e completa, fa uso frequente di clausole che danno al lessor il diritto di pretendere, immediatamente dopo l’inadempimento del lessee, il pagamento del corrispettivo residuo. Vi è, senza dubbio, il pericolo che, in alcuni casi estremi, i giudici considerino tali clausole inefficaci qualificandole come penalities.[484]
L’analisi della prassi negoziale tedesca, mette in evidenza regole convenzionali non molto dissimili da quelle statunitensi. Così, in genere, l’utilizzatore corrisponde anche i canoni a scadere, ma beneficia di quanto ottenuto dal lessor in seguito alla ricollocazione del bene sul mercato. L’utilizzatore, inolte, prima che vi sia disponibilità del bene in capo al concedente, può pagare l’intero corrispettivo e diventarne proprietario.[485]
Non è possibile omettere quanto accaduto in Francia, specie a proposito della clausola penale generalmente prevista dai formulari. L’utilizzatore è generalmente tenuto a versare a titolo di risarcimento una somma uguale o proporzionale alle rate residue. Data l’originaria vigenza del principio della irriducibilità delle clausole ex art. 1152 c.c., è stato molto difficile rendere equi regolamenti di interessi marcatamente squilibrati a favore del crédit-bailleur, nonostante gli ingegnosi tentativi delle imprese utilizzatrici e l’ardimentosa ostinazione di molti giudici di merito. Il legislatore è intervenuto risolutivamente sul punto modificando l’art. 1152 c.c. con legge 9 luglio 1975, in virtù della quale si conferisce ai giudici il potere di aumentare o ridurre la clausola penale quando essa risulti manifestamente eccessiva o irrisoria.[486]
15. Obbligazioni a carico delle parti: il concedente quale medio finanziario. Assenza di un obbligo di consegna a suo carico.
Analizzare il contenuto delle clausole tipiche del contratto risulta il solo strumento euristico per comprenderne la natura e quindi la disciplina.[487]
Possiamo, a questo punto, definire con più precisione le obbligazioni minime che i contratti tipo prevedono a carico delle parti.
Per quanto attiene alla società di leasing-concedente, l’obbligazione principale consiste nella concessione in godimento del bene e si articola in una serie di obblighi tutti strumentali allo svolgimento del ruolo meramente finanziario proprio del lessor; obblighi che peraltro sono difficili da analizzare visto che il regolamento contrattuale, predisposto unilateralmente dal concedente, tende ad essere vago e lacunoso, se non a tacere del tutto, sulle obbligazioni a suo carico. [488]
In primis, secondo un ordine logico oltre che cronologico, l’impresa finanziaria concedente: 1) si impegna a concludere il contratto di compravendita o di appalto con il fornitore; 2) pattuisce con quest’ultimo che il bene verrà consegnato direttamente all’utilizzatore, secondo le intese raggiunte tra fornitore e lessee: la dottrina più autorevole[489] riconosce in tal caso un pactum de contraendo cum tertio precisando che, in tal caso, non sussistendo un contratto preliminare a favore del terzo, l’utilizzatore non ha un diritto autonomo alla conclusione del contratto di compravendita o appalto. Bisogna poi aggiungere che non sempre la modellistica contrattuale fa riferimento espresso a tale obbligazione, e talvolta è necessaria un’interpretazione estesa a tutte le clausole contrattuali, compresi gli allegati. La maggior parte dei formulari impone alla concedente l’obbligo di “mettere a disposizione” dell’utilizzatore il bene che questi ha scelto; manca invece la specifica e ulteriore obbligazione di “far godere” il bene all’utilizzatore per un determinato periodo di tempo, che invece caratterizza normalmente i contratti di locazione. In genere, la scarna disciplina del contratto si limita a prevedere, inoltre, che il lesee possa utilizzare il bene fino alla scadenza predeterminata, salva l’eventuale proroga, senza alcuna specificazione in ordine ai corrispondenti obblighi del lessor,[490] che pertanto deve ritenersi tenuto a porre in essere i comportamenti strumentali al godimento dell’utilizzatore solo nei limiti previsti dal contratto.[491] Si comprende, pertanto, che l’obbligazione del concedente risulta meno gravosa sotto il profilo del godimento del bene, rispetto a quella attribuibile ad un semplice locatore, nonostante il contenuto ampio ed atipico del diritto personale di godimento imputabile all’utilizzatore in base al contratto di leasing; 3) il concedente si obbliga a pattuire con il fornitore la facoltà per l’utilizzatore di esercitare direttamente, anche nel proprio interesse, tutti i diritti e le azioni derivanti dal contratto stipulato tra il fornitore e il concedente. Tale impegno assume un ruolo determinante per far sì che il complessivo regolamento d’interessi superi ogni vaglio di liceità; 4) il lessor si obbliga inoltre, come accennato poco sopra, a concedere il godimento del bene all’utilizzatore, garantendo quest’ultimo dalle molestie di terzi che pretendano di avere diritti sulla cosa.
Al fine di fugare ogni ulteriore dubbio riguardo alla sussistenza di altre obbligazioni in capo al lessor, si ricordi che l’utilizzatore, alla prima scadenza, ha la possibilità di determinare l’esito della vicenda contrattuale, sfruttando una delle alternative solitamente previste normalmente dalla modulistica contrattuale: la restituzione del bene, la proroga del rapporto per un ulteriore periodo di tempo, l’esercizio del diritto d’opzione. Nonostante l’opzione a favore dell’utilizzatore appartenga alla fisionomia socialmente tipica dell’operazione, il lessee non può vantare in base al contratto nessuna aspettativa di carattere reale nei confronti dei terzi, né tanto meno invocare l’applicazione analogica della disciplina codicistica in materia di vendita rateale.[492] Con ciò si intende sottolineare che non vi è nessun corrispondente obbligo da parte della concedente di trasferere il diritto di proprietà all’utilizzatore.
Negli ultimi anni si avverte l’assenza nei contratti di clausole, prima invece molto frequenti, come quelle che prevedevano la “garanzia di pacifico godimento del bene” a favore dell’utilizzatore: ciò portava i giudici italiani, in base ad un’avventata assimilazione del contratto alla normale locazione, ad applicare in via analogica la normativa tipica di quest’ultima, dando luogo ad una valutazione particolarmente rigorosa delle clausole di esonero da responsabilità in favore della concedente.[493]
In dottrina, del resto, si è a lungo discusso sulla possibilità di ammettere una vera e propria obbligazione del concedente di consegnare il bene all’utilizzatore, ma è sempre prevalsa nettamente la soluzione negativa, atteso che il finanziatore, coerentemente con il proprio ruolo, non assume espressamente nessun obbligo a tal proposito, né intende accollarsi il rischio della mancata consegna del bene da parte del fornitore. [494] I formulari prevedono un impegno del primo di pattuire con il fornitore che la cosa verrà consegnata direttamente da costui all’utilizzatore nei tempi e secondo le modalità convenute tra lessor e lessee. [495]
16. (segue): …le molteplici obbligazioni dell’utilizzatore: una disciplina convenzionale più analitica che non lascia dubbi insoluti.
Le obbligazioni a carico dell’utilizzatore vanno analizzate, come avvenuto per il concedente, tenendo conto della loro scansione temporale nell’ambito della vicenda contrattuale. Riguardo ad esse, la modulistica contrattuale presenta una disciplina analitica, precisa e costante, e ciò ha spinto molti studiosi ed operatori a dubitare dell’opportunità di una disciplina legislativa del contratto che ha ormai raggiunto un’indubbia tipicità sociale. Permangono, in ogni caso, aspetti problematici che hanno occupato molto spesso i nostri giudici e spinto la dottrina italiana ad accesi dibattiti.
Il soggetto utilizzatore è innanzi tutto obbligato a: 1) pagare i c.d. precanoni, talvolta da versare in unica soluzione (c.d. maxi canone): si tratta di canoni anticipati che possono assumere, secondo alcuni, il carattere di vero e proprio deposito cauzionale. Talvolta, il pagamento degli stessi è messo in relazione con l’attività preliminare al contratto di leasing svolta dal concedente: ciò, evidentemente, al fine di salvaguardare il diritto di ritenzione del concedente in caso di risoluzione anticipata del rapporto; 2) spetta all’utilizzatore, inoltre, il pagamento di tutte le spese accessorie quali tributi, assicurazioni…;[496] 3) l’utilizzatore è poi obbligato a ricevere dal venditore o dall’ appaltatore la consegna del bene per conto del concedente e a redigere il relativo verbale di consegna, informando tempestivamente la concedente laddove vi fossero inadempimenti del venditore; 4) egli è obbligato al versamento dei canoni periodici per tutta la durata del contratto in corrispondenza delle scadenze previste; essi sono commisurati normalmente al costo sopportato dall’impresa di leasing per l’acquisto del bene, agli interessi sul capitale investito, senza trascurare quanto spetta alla concedente a titolo di profitto.[497] L’evoluzione dei formulari ha fatto sì che si passasse dall’obbligo di pagare i canoni anche in ipotesi di mancato utilizzo dei beni (per perdita o deterioramento), alla possibilità per il concedente, prevista da apposite clausole, di scegliere in tale ipotesi la risoluzione anticipata. In tal caso, in genere, si prevede che: l’utilizzatore perde quanto versato a titolo di “precanoni” o “maxicanone” insieme al diritto d’opzione, che chiaramente non potrà più esercitare, ma non deve pagare tutti i canoni fino alla scadenza, limitandosi invece al versamento di un’indennità pari al totale del corrispettivo a scadere, attualizzato al tasso ufficiale di sconto vigente in quel momento, maggiorato dell’importo del diritto d’opzione; 5) per quanto attiene all’utilizzo del bene, l’utilizzatore deve farlo in conformità alle prescrizioni contrattuali,[498] senza mutarne la destinazione economica e senza cederlo in uso ad altri e provvedendo a tutte le spese di riparazione e manutenzione sia ordinaria che straordinaria;[499] 6) è, inoltre, obbligato a restituire il bene qualora non intenda esercitare affermativamente il diritto d’opzione né prorogare il contratto alla scadenza .[500]
17. (segue): …note comparatistiche sull’opzione d’acquisto. La prassi svizzera quale eccezione negli ordinamenti di civil law. La legge americana prima e dopo la “compromissoria” riforma dello U.C.C. L’istituto inglese: l’opzione muta la natura del contratto in hire-purchase.
Ripercorrendo lo schema dell’operazione ed il contenuto tipico del contratto, specie attraverso l’isolamento delle principali obbligazioni a carico delle parti, si comprende come l’attribuzione del diritto di opzione in ordine all’acquisto del bene rappresenti spesso, per i civilians, un elemento essenziale del contratto, o comunque, una previsione generalmente ricorrente nel regolamento contenuto nei formulari.
Un’eccezione, nella prassi continentale, è ravvisabile nei modelli di contratto predisposti dalle banche svizzere, le quali ultime, nelle prime esperienze d’importazione dell’istituto, erano solite attribuire all’utilizzatore, tra le altre possibilità esistenti al termine del rapporto, l’opzione d’acquisto. Oggi, tale previsione non è riscontrabile nella prassi svizzera e l’utilizzatore deve pertanto trarre vantaggio in altri modi dal valore residuale del bene; ad es. stipulando un successivo contratto di locazione a canone ridotto, se non addirittura puramente nominale, oppure facendosi scontare la maggior parte del ricavato derivante dalla vendita alla stipulazione di un nuovo contratto di leasing per un nuovo bene.[501]
Discorso più analitico risulta necessario con riguardo agli ordinamenti di common law.
Come visto, il § 9 dello U.C.C. americano, tralasciando per ora gli effetti della riforma del 1985, stabilsce che l’opzione di compera non rende, da sola, il lease “intended as security” [sect. 1-101 (37)], visto che devono ricorrere ulteriori elementi perché possa escludersi la qualificabilità del contratto come true lease.
Secondo gli studiosi americani, prima ancora di esercitare l’opzione di compera, il lessee acquista una equity of ownership sulla cosa: si tratta della posizione fattuale del locatore che, versando nel corso del rapporto un canone superiore al valore del godimento della cosa, anticipa realmente una parte del prezzo dovuto per l’esercizio dell’opzione e, quindi, acquista, prima di vedersi trasferire il legal title, una sorta di proprietà economica sulla cosa.[502]
Si comprende facilmente perché, specie prima della riforma del 1985, vi fosse una sostanziale equiparazione, ai fini disciplinari, tra la conditional sale ed il lease intended as security: prospettato in questi termini il regolamento di interessi, la mente corre veloce alla causa traslativa della vendita, piuttosto che alla concessione in godimento riscontrabile nelle locazioni.
Nonostante la regola riferita non coprisse ogni schema riconducibile al tipo legale, che restava pur sempre individuato dalla volontà di dare vita ad un security interest, la giurisprudenza, per esigenze di certezza del diritto ed in virtù della frequentissima presenza nei formulari dell’opzione d’acquisto, privilegiava il criterio suddetto come strumento per la qualificazione del lease.
Nulla diceva, inoltre, il Codice Commerciale americano in ordine ai contratti di lease privi dell’opzione a favore del locatario, sicché si era dubbiosi riguardo alla possibilità di qualificarli come lease intended security, ove pure ogni altra circostanza deponesse in tal senso.
La disputa può ritenersi in buona parte risolta dall’introduzione della corposa disciplina del leasing in virtù del § 2A del Codice Commerciale. L’attuale testo normativo, precisamente al §. 2A–103 (g), nel definire l’istituto, aderendo peraltro all’indirizzo compromissorio scelto dalla Convenzione Unidroit, non contempla il diritto di opzione quale elemento essenziale.
Passando ora alla disciplina del Regno Unito, come si è visto, il financial lease si differenzia dall’hire-purchase e dalla conditional sale in quanto il lessee non ha l’obbligo né il diritto di comprare la merce, che deve invece restituire al lessor, il quale ultimo decide liberamente se far terminare il rapporto di leasing o trattarne il rinnovo. Il contratto di leasing, dunque, non deve prevedere l’opzione di acquisto, dato che la sua presenza nel regolamento di interessi muta la natura del contratto: se vi è opzione, non siamo più in presenza di un contratto di leasing, bensì di un hire-purchase.
18. Le clausole sull’inversione del rischio, vero punctum dolens del regolamento di interessi: l’accoglimento pacifico di dottrina e giurisprudenza, pur con rilevanti limiti di liceità ed importanti ripercussioni sulla qualificazione del contratto.
Un aspetto problematico del contenuto tipico dei contratti di leasing, che contribuisce a caratterizzare la tecnica di finanziamento in esame[503] è senza dubbio rappresentato dalla disciplina convenzionale riguardante la distribuzione dei rischi inerenti l’operazione, il bene oggetto del contratto e l’imputazione delle corrispondenti responsabilità in capo ai contraenti. Ciò accade dal momento che, i modelli predisposti dalle società di leasing sono congegnati in maniera tale da far gravare sul concedente i soli rischi strettamente finanziari connessi all’eventualità che l’utilizzatore non adempia, senza dimenticare che, proprio contro codesto rischio, la società di leasing conserva la proprietà formale del bene quale “garanzia in senso economico”,[504] mentre ogni rischio relativo al bene viene sopportato dal lessee, esonerando così il lessor dalle relative responsabilità, in deroga alle norme codicistiche che operano in materia di locazione ed, in particolare, all’art. 1578 c.c. in tema di “vizi della cosa locata”, all’art. 1579 c.c. in tema di “limitazioni convenzionali della responsabilità”, all’art. 1580 rubricato “cose pericolose per la salute” ed all’art. 1588 c.c., riguardante le ipotesi di “perdita e deterioramento della cosa locata”.[505]
L’utilizzatore è, pertanto, tenuto a pagare i canoni anche in caso di mancata o ritardata consegna del bene da parte del fornitore, essendogli preclusa la possibilità di richiedere la risoluzione del contratto di leasing ed il conseguente risarcimento del danno al concedente, senza omettere che nel caso di solo ritardo nella consegna l’utilizzatore è egualmente obbligato a pagare i canoni, ma può agire per il risarcimento dei danni nei confronti del venditore.[506] Inoltre, l’utilizzatore non può invocare nei confronti del concedente la garanzia per vizi, difetti o mancanza delle qualità richieste, anche allorquando tali circostanze ne rendano del tutto impossibile il godimento; in deroga all’art. 1588 c.c., poi, l’utilizzatore è responsabile per la perdita, il perimento totale o parziale ed il furto del bene, anche se dovuti a causa a lui non imputabile, sicché, in tal caso, si vedrà costretto a corrispondere i canoni residui, anche se ha cessato di godere del bene.
Dal punto di vista strettamente economico, si comprende come un siffatto regolamento contrattuale miri ad assicurare all’impresa di leasing almeno il recupero dei costi sopportati per acquistare o far costruire il bene. In punto di diritto, fatte salve alcune distinzioni, nessuno oggi ne contesta la validità,[507] ed è significativo che un autorevole studioso, fornendo un importante contributo sul tema, abbia concluso per la validità della clausole di inversione del rischio, nella misura in cui esse rappresentino il mezzo per assicurare al concedente la restituzione del finanziamento ed un profitto adeguato.[508]
La dottrina propende in genere per la validità, usando argomentazioni diverse che evidenziano specifici profili del regolamento contrattuale quali, ad es., la funzione di mera garanzia svolta dalla proprietà formale che permane in capo alla concedente, la necessità di contenere i rischi derivanti dal contratto entro la semplice sfera finanziaria, indipendentemente dal destino del bene; ancora si mette in luce che, dal momento che fornitore e bene vengono indicati dall’utilizzatore, è coerente che egli, in quanto autore di tali scelte, si faccia carico dei rischi da esse derivanti. Non si tralasci, poi, che alla riferita traslazione convenzionale dei rischi in capo all’utilizzatore, spesso corrisponde l’attribuzione allo stesso dei rimedi contrattuali (es. azione di consegna o garanzia per vizi) contro il fornitore, che spetterebbero normalmente al concedente in quanto parte acquirente nel contratto di vendita del bene ( il riferimento è alle norme codicistiche di cui agli artt. 1482, “cosa gravata da garanzie reali o altri vincoli”, 1483, “evizione totale della cosa” e 1490, “garanzia per i vizi della cosa venduta”) o committente nel contratto d’appalto, (artt. 1667, operante nel caso di “difformità e vizi dell’opera” e 1669, riguardante “rovina e difetti di cose immobili”), nonché delle azioni processuali nei confronti dei terzi a tutela dei diritti del concedente.[509]
Per queste ragioni in dottrina c’è chi[510] ravvisa generalmente in quelle descritte, clausole naturalia negotii, da giustificare sulla base della struttura dell’operazione e della causa di finanziamento generalmente riconosciutale.
Il generale riconoscimento di liceità e quindi di validità ed efficacia accordato alle clausole che esonerano il concedente dalle menzionate responsabilità non può però ritenersi indiscriminato ed incondizionato.[511]
In tale senso, alcuni studiosi italiani ritengono che il limite insuperabile sia rappresentato dai principi codicistici in materia di obbligazioni e contratti. In quest’ottica, si suole fare riferimento, innanzitutto, all’art. 1229 c.c., che sancisce la nullità di “qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave” e agli artt. 1256 e 1463 c.c., di cui, la prima norma sancisce l’estinzione del rapporto obbligatorio quando, “per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile”;[512] mentre l’altra afferma che: “nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”.
Altri studiosi, in vista di una più equilibrata ripartizione del rischio contrattuale, con specifico riguardo ai difetti della cosa, suggeriscono di ricorrere alla disciplina legale della locazione, invocando l’applicazione dell’art. 1579 c.c., che prevede l’inefficacia della clausole che limitano o escludono la responsabilità del locatore per i vizi della cosa allorquando il locatore li ha in malafede taciuti al conduttore oppure se i vizi sono tali da rendere impossibile il godimento.
Larga parte della dottrina preferisce, comunque, impostare la questione in termini diversi, ritenendo che senza una pattuizione tra il concedente e il fornitore finalizzata all’estensione di tutti i diritti e le azioni derivanti al lessor dal contratto di fornitura, sarebbe impossibile garantire al lesee un’adeguata tutela dei propri interessi nei confronti del fornitore. I rilievi della suddetta dottrina hanno ormai piegato la prassi contrattuale, tanto che concedente e fornitore addivengono il più delle volte ad accordi funzionali alla tutela dell’utilizzatore ed anche la giurisprudenza ha raggiunto maggiore elasticità alla ricerca di un reale equilibrio tra le posizioni delle parti che va individuato prestando attenzione al rapporto che lega al bene concedente ed utilizzatore.
19. I contrappesi necessari alla descritta traslazione convenzionale dei rischi. In particolare, la tutela dell’utilizzatore nei confronti del fornitore: la posizione della giurisprudenza francese e la soluzione prevista dalla riforma dello U.C.C. americano: regole operative pressoché identiche, a fronte di un paradossale “scambio di ruoli” tra civil e common law.
I formulari di tutto il mondo prevedono che sia il solo utilizzatore a sopportare i rischi inerenti il bene, ma bisogna anche chiedersi come possa essere sanato tale evidente squilibrio. La risposta è ormai saldamente in possesso di giudici, legislatori ed operatori di tutti gli ordinamenti. Si sceglie di esporre qualche considerazione riguardo a due ordinamenti che, sul punto, sembrano aver raggiunto una soluzione particolarmente solida ed efficace.
La giurisprudenza francese, facendo fronte ad una disciplina legislativa senza dubbio tempestiva ma invero carente, acconsente che il crédit-bailleur non assuma le obbligazioni proprie del locatore e trasferisca all’utilizzatore tutti i rischi associati al bene, ma impone una condizione destinata a proteggere l’utilizzatore, consistente nell’estensione a quest’ultimo delle garanzie spettanti al concedente-acquirente nei confronti del fornitore.[513] Con maggiore precisione, in materia di crédit-bail immobiliare, la Cassazione francese, prendendo in considerazione il regolamento convenzionale in tutta la sua complessità, vi rinviene un istituto giuridico particolare, tale da escludere l’operatività del regime normativo in materia di locazioni non abitative. Il meccanismo contrattuale mutua elementi propri della locazione, ma è preordinato al perseguimento di interessi diversi, giustificando la presenza di clausole che non troverebbero accoglimento nell’ambito di un semplice rapporto locativo. La Cassazione però, come anticipato, ha inteso consentire all’utilizzatore di proteggere la propria posizione giuridica, imponendo il trasferimento a questi delle azioni che riconosciute normalmente al crédit bailleur, in quanto acquirente nei confronti del fornitore-venditore. Il Sommo Giudice francese[514] è giunto a ritenere che tale trasferimento di diritti e di azioni rappresenti un effetto naturale dell’operazione di crédit-bail, visto che essi si sostanziano evidentemente in una “contropartita” per l’utilizzatore,[515] ed in una condizione di validità delle clausole traslative dei rischi inerenti il bene.[516]
Negli U.S.A., il contesto disciplinare del leasing risulta molto diverso e, per assurdo, molto più “continentale” di quello francese. L’interprete che voglia cimentarsi nella lettura delle norme americane, dovrà mettere in conto più di settanta articoli!
Nonostante le riferite differenze che suggestivamente potrebbero far pensare ad un paradossale scambio di ruoli tra common e civil law, ma che più realisticamente ne sottolineano ancora una volta le convergenze,[517] si giunge nell’ordinamento americano a soluzioni operative analoghe.
Come si è visto, il § 2A-211 dello U.C.C. trasferisce in capo all’utilizzatore tutte le promesse e le garanzie rese dal fabbricante all’acquirente del bene.[518] In particolare, si valuti il novero di azioni a disposizione del lessor nell’ipotesi di inadempimento del lesee. Lo U.C.C. contiene norme analoghe a quelle presenti nella Convenzione Unidroit, prospettando, in sintesi, la regola degli “expectation damages” in quanto la funzione del risarcimento è quella di mettere la parte danneggiata in “as good a position if the other part fully performed” (art. 1-106).
È possibile ipotizzare che i Commissioners americani abbiano voluto raggiungere una
soluzione aderente a quella contenuta nella Convenzione Unidroit, nell’ottica di una successiva ed indolore ratifica. Ciò che può interessare il comparatista è che, in questo caso, l’interazione tra i formanti, cooperanti in misura diversa nell’ordinamento francese (netta prevalenza delle regole giurisprudenziali) e americano (disciplina legislativa analitica in stile statutory), ha condotto a regole operative pressoché identiche.
20. (segue): …nell’ambito della traslazione convenzionale dei rischi, in particolare, le regole operative relative alla mancata o ritardata consegna del bene da parte del fornitore. Gli interventi della Cassazione, la rilevanza del collegamento negoziale, e le critiche della dottrina.
Si è detto che le pattuizioni descritte in tema di inversione del rischio trovano parere favorevole nell’esperienza giuridica italiana. Ebbene, le poche eccezioni in tal senso riguardano per lo più la disciplina contrattuale relativa all’ipotesi della mancata consegna del bene da parte del fornitore. Se si applicasse a tale ipotesi la disciplina generale codicistica, bisognerebbe dedurre che la mancata consegna determina l’impossibilità della prestazione del concedente, e quindi la sua liberazione ex art. 1526 c.c. e, di conseguenza, anche la liberazione dell’utilizzatore dalla sua prestazione ex art. 1463 c.c.;[519] ma, al riguardo, i contratti di leasing contengono una diversa disciplina, evidentemente derogatoria delle norme citate. I formulari, in verità, prevedono regole pattizie spesso diverse quanto a tenore letterale ma concordanti nell’addossare sull’utilizzatore tutti i rischi inerenti la mancata o ritardata consegna del bene, impedendo a quest’ultimo di eccepirla per sospendere il pagamento dei canoni.[520]
Per la prima volta il Sommo Giudice si è pronunciato sul punto il 21 giugno 1993,[521] con la sentenza n. 6862. La vicenda di fatto può essere riassunta nella mancata consegna di un autoveicolo da parte del fornitore, che ha ricevuto regolarmente l’intero prezzo dalla concedente prima della sottoscrizione del verbale di consegna da parte dell’utilizzatore. La Cassazione, ha valutato se nel caso concreto la clausola d’inversione del rischio si estendesse all’ipotesi di mancata consegna, per poi riscontrare o meno l’esistenza di un patto subordinante il pagamento del fornitore alla dimostrazione dell’avvenuta consegna del bene. Così, prendendo atto della sussistenza di un’operazione bi-negoziale di leasing imperniata sull’interesse dell’utilizzatore ad ottenere la disponibilità del bene oltre che sul ruolo del concedente, mero intermediario finanziario che si avvale della proprietà in funzione di garanzia, e considerando che l’utilizzatore sceglie bene e fornitore, si ha che: “il fornitore viene ad assumere la posizione del soggetto indicato dal creditore (l’utilizzatore) al debitore (il concedente) per ricevere la prestazione di questo,… di concludere il contratto di compravendita…impiegando il capitale nell’acquisto del bene, così da determinare nel fornitore…l’obbligazione di consegnare il bene all’utilizzatore”. Il fornitore, pertanto, diventa, nella prospettiva adottata dalla Cassazione, qualificabile come ausiliario dell’utilizzatore, residuando in capo al concedente il solo obbligo di far assumere al fornitore l’obbligo della consegna. Si tenga presente, che siffatta qualificazione del fornitore, oltre ad essere stata esclusa dalle successive decisioni della S. C., non ha trovato in dottrina alcun sostenitore, fatta salva un’eccezione,[522] seppure autorevole e degna di menzione.
La Cassazione quindi, ha ammesso senza particolari ostacoli la clausola di esonero del concedente dalla responsabilità per omessa consegna del bene, valutando il complessivo assetto di interessi scolpito nei due negozi conclusi. Il limite di liceità consiste nell’eventuale convenzione che il concedente debba subordinare il pagamento del prezzo alla dimostrazione dell’avvenuta consegna. Tale pattuizione, determina una diretta correlazione tra le modalità d’impiego del capitale finanziato per l’acquisto e l’assunzione del rischio di inadempimento da parte dell’utilizzatore: il rischio verrebbe meno se la concedente non rispettasse le modalità operative espressamente pattuite.[523]
La seconda decisione della Cassazione in argomento, risale al 2 agosto 1995, ed è la n. 8464,[524] riguardante un vicenda di fatto analoga a quella descritta in precedenza. Anche in questo caso, vi è mancata consegna di un autoveicolo già pagato dalla concedente. L’utilizzatore interrompe il pagamento dei canoni e la concedente risolve il contratto chiedendo un decreto ingiuntivo per il recupero del suo credito.
Il primo motivo attiene alla violazione, da parte del concedente, del dovere di adempiere alla propria obbligazione con diligenza, ai sensi dell’art. 1176 c.c. La Cassazione non accoglie tale motivo, ritenendo che i termini di pagamento derivino dalle clausole del contratto di acquisto stipulato dalla concedente con il fornitore, indicato dallo stesso utilizzatore. In questo caso, non è possibile ravvisare nel modus operandi del concedente un comportamento integrante tale violazione. Sarebbe stato tale in caso di mancato o tardivo pagamento, che avrebbe legittimato il fornitore a non adempiere non consegnando o ritardando la consegna. Il pagamento, avvenuto tempestivamente (due giorni dopo la stipula del contratto), è da considerarsi legittimo, in quando diretto ad agevolare la messa a disposizione del bene all’utilizzatore secondo i termini contrattuali.
In ordine alla traslazione del rischio, qualsivoglia valutazione del regolamento d’interessi non può prescindere dall’apprezzamento del corrispondente conferimento all’utilizzatore delle azioni nei confronti del venditore. A tal proposito, si noti che la più autorevole dottrina ritiene essenziale tale profilo nel vaglio di liceità di tali clausole, specie in tema di mancata o ritardata consegna.[525]
Completa e puntuale appare la valutazione della Cassazione che richiede, a tal proposito, la sussistenza di una valida giustificazione che renda meritevoli di tutela tali clausole: “la sostanziale imposizione dell’onere da parte del contraente forte, richiede la ricerca di una giustificazione sul piano funzionale: da un lato l’inversione del rischio deve corrispondere ad un’esigenza apprezzabile del concedente, con l’esclusione di un arricchimento immotivato; dall’altro lato deve evidenziarsi un bilanciamento di altrettanti apprezzabili vantaggi per l’utilizzatore onerato”. A tal proposito, la soluzione viene ravvisata nella funzione di finanziamento del leasing: “Lo scopo della clausola di inversione del rischio è coerente con la figura del concedente quale finanziatore e tende a fargli conseguire la restituzione della somma anticipata”. In ordine poi alla necessità che vi sia effettivo bilanciamento degli interessi tra concedente ed utilizzatore, nel caso in specie, la Cassazione ritiene valida la clausola perché rappresentante il costo dell’economia negoziale realizzata stipulando un contratto che consente di realizzare l’interesse al godimento e al finanziamento.
È da notare che il Sommo Giudice italiano non ha ritenuto di confermare il principio enunciato nella sentenza n. 6862 del 1993, che individuava nel fornitore un ausiliario dell’utilizzatore attraverso un’interpretazione estensiva del 1228 c.c., visto che il fornitore, pure indicato dall’utilizzatore, “non svolge affatto un’attività che nell’esecuzione del rapporto obbligatorio spetterebbe al creditore e non agisce, di conseguenza, in vece sua. Sarebbe infatti, erroneo supporre che l’utilizzatore debba consegnare il bene a se stesso, delegandone l’esecuzione al fornitore”.
Altra decisione sull’argomento è giunta con la sentenza emessa il 6 dicembre 1996, n. 10897.[526] La Cassazione ha chiarito che il 1° comma dell’art. 1575 c.c., in virtù del quale il locatore è obbligato a consegnare la cosa al locatario, non si applica al leasing se le parti stabiliscono che il fornitore deve consegnare il bene all’utilizzatore, né può addebitarsi al concedente la responsabilità della mancata consegna se quest’ultimo ha fatto sottoscrivere alla altre parti un verbale di consegna senza che questa sia avvenuta. Si noti la rilevanza attribuita al verbale di consegna sottoscritto dalle parti: esso rappresenta una garanzia tale da escludere ogni responsabilità della concedente e legittimare l’inversione del rischio.[527]
Ulteriori spunti sull’argomento giungono due anni dopo, con la sentenza del 30 giugno 1998, n. 6412:[528] la Cassazione si è occupata di un altro caso in cui, nonostante la presenza del verbale di consegna firmato dall’utilizzatore e dal fornitore, quest’ultimo non ha mai consegnato il bene oggetto del contratto (ancora una volta si tratta di autoveicolo).
Pur riportando taluni principi affermati nelle precedenti sentenze del 1991 e del 1993, la novità della decisione riguarda il richiamo all’istituto del collegamento negoziale che naturalmente ha trovato felice accoglimento nella dottrina che da tempo adopera tale categoria per ricostruire il complessivo fenomeno giuridico.[529] Secondo la Corte, il nesso tra i contratti di leasing e di fornitura non dà luogo ad un contratto plurilaterale atipico, come pure una parte nettamente minoritaria della dottrina[530] ha sostenuto e sostiene, ma “integra un vero e proprio collegamento negoziale, caratterizzato principalmente dal fatto che la scelta e l’indicazione dei beni avvengono ad opera dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi benché i beni siano acquistati o fatti costruire dal concedente”. Anche la dottrina maggioritaria[531] ha messo in luce che, in un’operazione così strutturata, l’acquisto del bene è effettuato dal concedente per conto dell’utilizzatore, e l’esonero dalla responsabilità per l’inadempimento del fornitore costituisce un elemento naturale del negozio, posto che è l’utilizzatore a prendere contatti con il fornitore, scegliere il bene, e pattuirne il prezzo d’acquisto. L’utilizzatore mantiene comunque il diritto di ricevere il bene così da poterne godere, pertanto non essendo privo di tutela: il collegamento tra i due contratti e il fatto che l’acquisto avvenga per il solo fine di concedere il bene in leasing all’utilizzatore costituiscono per la Cassazione un sufficiente presupposto per legittimare in via di principio l’utilizzatore ad esercitare le azioni scaturenti dal contratto di fornitura. Si realizza, secondo la S. C., nella conclusione del contratto di fornitura la medesima scissione di posizione in confronto del terzo contraente che è presente nei contratti conclusi dal mandatario in nome proprio e nell’interesse del mandante: dall’art. 1705, 2° comma del c.c., si ricava il principio per cui il mandante (utilizzatore) ha diritto, in via diretta, di far propri di fronte ai terzi (fornitore) i diritti di credito sorti in testa al mandatario (concedente) assumendo l’esecuzione dell’affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso: il mandante può esercitare, pertanto, verso il terzo le azioni spettanti al mandatario intese ad ottenere l’adempimento o in caso di inadempimento il risarcimento del danno. Non si dimentichi che, come del resto sottolineato dalla S. C., simile costruzione viene a coincidere con quanto previsto nella Convenzione Unidroit sul leasing internazionale.[532]
Ultima decisione che si ritiene di considerare in materia, è quella emessa dalla Cassazione in data 2 novembre 1998, n. 10926.[533] La vicenda di fatto sorge in quanto l’utilizzatore eccepisce che il fornitore, a fronte degli impegni assunti in ordine alla consegna del bene, al collaudo, all’istruzione del personale, non ha tenuto fede ad essi, per cui ha interrotto il pagamento dei canoni vedendosi risolvere il contratto per inadempimento. La Corte si sofferma sulla Convenzione Unidroit e sulla precedente sentenza n. 8464 del 1996 le cui soluzioni non vengono condivise, preferendo riprendere quanto affermato con la più recente sent. n. 6412 del 1998, in parte discostandosene. Lungi dal ravvisare la conclusione di un contratto plurilaterale, la Cassazione rileva la presenza di due contratti l’uno (la fornitura) strumentale all’altro (il leasing), qualificato come contratto di scambio in quanto “la prestazione del concedente a favore dell’utilizzatore e la controprestazione di questo non si esauriscono nel fare credito e nel restituirlo, constano bensì quantomeno anche nel dare e ricevere in godimento”. L’inadempimento del fornitore, in quest’ottica, costituisce rispetto al leasing una causa di sopravvenuta impossibilità d’adempiere non dipendente da colpa del concedente, che impedisce la realizzazione della causa del contratto stesso, sollevando il problema della derogabilità dell’art. 1463 c.c. in materia di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, e dei limiti di validità delle clausole d’inversione del rischio. Modificando parzialmente il suo precedente orientamento, la Cassazione ha affermato che la clausola che fa gravare sull’utilizzatore il rischio della mancata consegna è contrastante con il principio dell’esecuzione secondo buona fede, di cui all’art. 1375 c.c. e, pertanto, invalida.
Nel caso in specie, però, anche se il fornitore aveva solo parziamente adempiuto la propria obbligazione, stante la scissione tra chi acquista il bene e chi lo riceve e risultando comunque sottoscritto dall’utilizzatore il verbale di consegna, la Cassazione ha ritenuto giustificabile, ex art. 1375 c.c., il pagamento al fornitore effettuato dalla concedente che aveva fatto affidamento sull’autoresponsabilità dell’utilizzatore nel ricevere la prestazione. L’utilizzatore poteva rifiutare la consegna ex 1181 c.c. e non sottoscrivere il verbale, in modo da consentire alla concedente di non pagare il fornitore. Se poi la società concedente avesse pagato in mancanza di un verbale firmato, avrebbe legittimato senz’altro l’utilizzatore ad opporgli l’eccezione di non dovere il corrispettivo per un godimento non ottenuto. Per la Cassazione, quindi, ciò non esclude che: “In forza del collegamento negoziale tra leasing e vendita e dell’accostamento dell’utilizzatore al mandante, il quale nel mandato senza rappresentanza può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, l’utilizzatore, sprovvisto di azione verso il concedente in caso di mancata consegna, può agire direttamente verso il fornitore per il risarcimento dei danni, e se del caso, per l’adempimento”.[534]
Una parte della dottrina non trova accoglibile tale soluzione, non condividendo l’individuazione della sola causa di scambio nell’intera operazione e ignorando essa il sopravvenuto T.u.b.; inoltre, si arguisce che l’individuazione di un rapporto di mandato e la dichiarata consapevolezza da parte del fornitore delle finalità della vendita non sono sufficienti a fondare una volontà diretta a creare un collegamento negoziale di tipo necessario e bilaterale che consenta un’autonoma legittimazione ad agire dell’utilizzatore verso il fornitore, posto che la semplice consapevolezza del fornitore non è sufficiente a superare l’ostacolo formale dell’art. 1372 c.c.[535]
Se si attribuisce al leasing, com’è opportuno fare, una causa di finanziamento, la mancanza di consegna o la presenza di vizi o difetti non fanno venir meno l’obbligazione restitutoria dell’utilizzatore relativa al finanziamento ricevuto; pertanto, non sarebbe possibile ravvisare nell’ipotesi danni al concedente tali da legittimare l’utilizzatore ad agire nei confronti del fornitore. Se, invece, erroneamente si ravvisa nel contratto una causa di godimento o scambio, tali patologie comporterebbero una risoluzione per impossibilità sopravvenuta della fornitura, con la conseguenza che l’utilizzatore potrebbe agire esclusivamente per chiedere la risoluzione di tale contratto, con ciò che ne consegue in termini di responsabilità verso la concedente per aver promesso il fatto del terzo fornitore.
La dottrina maggioritaria[536] ritiene valida la clausola dell’inversione del rischio anche quando riguardi la mancata consegna del bene, argomentando dalla causa di finanziamento propria del leasing, elemento naturale del negozio per cui, in virtù della legittimazione ad agire derivatagli dalla concedente, l’utilizzatore può chiedere direttamente al fornitore il risarcimento dei propri danni o chiedere alla concedente di agire per l’esecuzione in forma specifica o per la risoluzione del contratto di fornitura.
Tra gli autori c’è chi[537] fa notare il carattere teorico del problema mettendo in luce la distanza delle argomentazioni della Cassazione rispetto a quanto previsto dai formulari. La portata del problema attiene alle fattispecie con consegne ripartite nel tempo ed ai contratti aventi ad oggetto autoveicoli. Si noti che, da un lato, l’obbligo del concedente di pagare il prezzo sorge solo dopo la consegna del bene accettata mediante firma del verbale di consegna dall’utilizzatore; in materia di autoveicoli, poi, vi è una prassi consolidata per cui i concessionari non provvedono ad immatricolare l’automezzo se prima non ricevono il relativo prezzo dalla concedente. Il concessionario ha bisogno dei soldi per riavere dalla banca che lo ha finanziato i documenti necessari per l’immatricolazione dell’auto. In tali casi, se il verbale di consegna è stato regolarmente sottoscritto, l’utilizzatore non può eccepire nulla alla concedente la quale ex art. 1375 c.c deve corrispondere il prezzo al fornitore. Allo stesso modo, non può eccepire nulla alla concedente nel caso del pagamento anticipato al fornitore, visto che lui lo ha scelto ed indicato alla concedente, promettendone l’adempimento ex 1381 c.c., ed autorizzando anche quest’ultima, in deroga al principio generale, a pagarlo anticipatamente rispetto al momento della consegna.
Da ciò emerge, dunque, che al di là della validità o meno della clausola, è lo stesso utilizzatore che espressamente e volontariamente si assume il rischio dell’inadempimento del fornitore.[538]
21. (segue): …Spunti comparatistici in tema di mancata consegna del bene da parte del fornitore: la significativa interazione tra giurisprudenza e prassi francesi per un più equilibrato assetto di interessi.
Anche all’estero, il problema in oggetto ha suscitato vigorose reazioni dei giudici e, ancor più spesso, astute soluzioni dei lessors.
Particolarmente complessa risulta la qualificazione della posizione giuridica del concedente nell’ambito di tale patologica eventualità. In genere: 1) con la stipulazione del contratto di leasing, il concedente si obbliga a concludere anche la compravendita, alle condizioni concordate tra fornitore ed utilizzatore, oltre che a dare ad essa compiuta esecuzione; 2) il concedente non si obbliga mai ad effettuare la consegna materiale del bene all’utilizzatore, non rientrando essa nel novero degli obblighi che egli assume con la stipulazione del leasing.[539]
La prassi tedesca, sul punto, risulta particolarmente esplicita, prevedendo quasi sempre che il concedente limita la propria responsabilità alle ipotesi di mancata consegna derivante da sua colpa.[540]
Il punto nevralgico della questione è senza dubbio relativo alle conseguenze prodotte dalla mancata consegna sul rapporto giuridico-contrattuale di leasing.
La prassi contrattuale di tutti gli ordinamenti fa emergere nei formulari le seguenti alternative: a) si esclude semplicemente qualsiasi responsabilità del concedente per la mancata consegna, b) si aggiunge l’impegno del lessee a rinunciare ad ogni velleità in ordine alla richiesta di risoluzione del contratto di leasing; c) si impone all’utilizzatore la corresponsione di un indennizzo al concedente. Senza dubbio, è quest’ultima la tipologia di clausole più diffusa nella prassi straniera olte che in quella italiana.[541]
Significativa, in materia, l’esperienza francese: la Corte d’Appello parigina, con la risalente sentenza emessa l’8 gennaio 1973, censurò pesantemente una clausola rientrante nel tipo c). La previsione contrattuale imponeva all’utilizzatore il risarcimento di tutte le somme spese oltre agli interessi finanziari sostenuti in relazione alla compravendita ed alla sua risoluzione giudiziale o extra giudiziale. Nel caso concreto, il prezzo era stato già corrisposto dal crédit-bailleur: il venditore si rifiutava di restituire il prezzo e, pertanto, quest’ultima agiva in giudizio per chiedere all’utilizzatore l’indennizzo previsto dal contratto. La Corte d’Appello di Parigi, dopo aver definito la clausola esorbitante rispetto ai prinicipi del diritto della responsabilità contrattuale e da interpretare, pertanto, restrittivamente, statuì che essa riguardava solo le ipotesi di ritardo della consegna. La Corte rigettò, inoltre, gli argomenti relativi alla contestata inesecuzione da parte dell’utilizzatore del mandato avente ad oggetto la stipulazione della compravendita. Ritenendo il comportamento del mandatario–utilizzatore sufficientemente diligente, pronunciò la risoluzione del contratto di leasing condannando severamente il concedente alla restituzione dei canoni percepiti, facendo cadere così su di lui tutti i rischi del recupero del prezzo pagato.[542]
Agli occhi di un osservatore contemporaeo, sarebbe stato più opportuno argomentare la decisione puntualizzando che il concedente aveva imprudentemente pagato il prezzo della vendita prima di ricevere dall’utilizzatore il verbale di consegna. Le argomentazioni della Corte però, discendono inequivocabilmente dalla tesi dominante in Francia relativamente alla qualificazione del contratto di crédit-bail, ritenuto sostanzialmente una locazione accompagnata da promessa di vendita.[543]
La prassi francese ha adattato i formulari, nel tempo, all’atteggiamento severo della giurisprudenza: solitamente i modelli predisposti negli ultimi anni dalle società di crédit-bail prevedono la risoluzione del contratto, il diritto del concedente al rimborso e l’estensione all’utilizzatore delle azioni del concedente contro il fornitore.[544] Un siffatto regolamento di interessi, difficilmente potrebbe essere censurato da un giudice e difficilmente potrebbe esserne messa in dubbio la compatibilità con lo schema locatizio cui solitamente i francesi riconducono il contratto tipico di crédit-bail.
22. Il rispetto delle norme relative all’impiego del bene, in particolare la responsabilità per violazione delle norme antinfortunistiche. L’intervento risolutivo del legislatore italiano.
All’utilizzatore, secondo quanto generalmente i formulari stabiliscono, spetta anche l’osservanza delle norme relative all’impiego del bene.[545]
Particolare problematicità ha presentato, in passato, la responsabilità penale dell’utilizzatore per violazione delle norme antinfortunistiche. La giurisprudenza sul punto è stata contrastante, alternando sentenze assolutorie del legale rappresentante della società di leasing che aveva concesso in godimento beni non rispondenti alle suddette norme[546] a severe sentenze di condanna.[547] In tal senso, è da considerarsi risolutorio l’intervento del legislatore che con legge 2 maggio 1983, n. 178 ha aggiunto alla’art. 7 del d.p.r. 27 aprile 1955, n. 547[548] i due comma che seguono: “Ai fini del comma precedente il contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto i beni ivi indicati non costituisce vendita, noleggio, o concessione in uso”; “Chiunque concede in locazione finanziaria beni assoggettati a qualsiasi forma di omologazione obbligatoria è tenuto a che detti beni siano accompagnati dalle previste certificazioni o dagli altri documenti richiesti dalla legge. L’inosservanza dell’obbligo è punita ai sensi del successivo art. 390”.[549]
23. Altre vicende del rapporto di leasing: riguardo al concedente: la cessione del bene, del contratto, e quella dei crediti derivanti dal contratto; riguardo all’utilizzatore: la cessione del complesso aziendale e l’operatività della successione ope legis (art. 2558 c.c.)
A parte le vicende patologiche che possono colpire il rapporto di leasing, ve ne sono altre da tenere in considerazione.
Iniziando da quelle attinenti al concedente, egli può alienare il bene oggetto del leasing; può cedere il contratto di leasing e può alienare i crediti nascenti dal contratto.[550] In dottrina c’è chi fa notare che, a causa della particolare struttura dell’operazione, non risulta possibile distinguere tra cessione del bene e del contratto. Se il lessor si limitasse alla cessione del bene, potrebbe applicarsi il principio vigente in tema di locazione, secondo cui il contratto è opponibile al terzo acquirente se ha data certa anteriore all’alienazione della cosa (art. 1599 c.c.), ma il diritto di opzione risulterebbe frustrato, perché non sarebbe opponibile all’acquirente né esercitatile nei suoi confronti. All’alienazione deve, perciò, accompagnarsi anche la cessione del contratto. Riguardo all’ipotesi inversa, è ammesso pacificamente che il leasing sia cedibile, visto quanto stabilito dall’art. 1406 c.c.: Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purchè l’altra parte vi consenta: in effetti, il leasing è contratto a prestazioni corrispettive, ed esse non sono ancora interamente eseguite al momento della cessione. Per il leasing, inoltre, si può parlare di prestazioni non eseguite interamente neppure da parte del concedetne, a meno che non si pensi che l’unica obbligazione derivante dal contratto in capo a quest’ultimo consista nell’acquistare o far costuire il bene da concedere in leasing.[551] Naturalmente, occorre il consenso dell’utilizzatore, che in molti formulari viene prestato in via preventiva.[552]
Generalmente si ritiene ammissibile una cessione del contratto di leasing “nella sua integralità e contestualmente al trasferimento della proprietà del bene”, comprendendo nella cessione la soggezione al diritto di opzione dell’utilizzatore.[553] È invece possibile cedere autonomamente i crediti derivanti dal contratto: si tratta di una forma di finanziamento dell’impresa concedente, specie se viene realizzata nella forma del factoring, come spesso avviene.[554]
Si valutino, adesso, alcune vicende inerenti l’utilizzatore.
I formulari frequentemente vietano la cessione del contratto da parte dell’utilizzatore. Quando pure essa è consentita, richiede il consenso del concedente ex 1406 c.c., e nel consentire la cessione la società di leasing suole dichiarare di non liberare il cedente, e così può agire contro di lui qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte (1408 2° co. c.c.). Altro problema, riguarda l’ipotesi della cessione d’azienda da parte dell’utilizzatore. L’art. 2558 c.c. stabilisce che “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”. Il leasing è sicuramente un contratto stipulato per esercitare l’azienda, e non pare abbia carattere personale, se intendiamo per personali i contratti nei quali la prestazione del cedente è oggettivamente infungibile. Se, invece, intendiamo per contratti a carattere personale quelli nei quali sia stata determinante della stipulazione la considerazione della persona del cedente, allora in discorso cambia, vista l’istruttoria riguardo la solvibilità del lessee che precede ordinariamente la stipulazione del contratto. Anche in questo caso però non si ritiene che il contratto abbia natura personale visto che, comunque, la prestazione dell’utilizzatore non è soggettivamente infungibile. In conclusione, se il testo contrattuale non prevede diversamente, la cessione dell’azienda comporta la successione nel contratto stesso. Frequentemente però, i formulari[555] prevedono un divieto di cessione anche in caso di alienazione del complesso aziendale, laddove non vi sia il consenso del concedente. Bisogna capire se una clausola del genere è valida. Se si ritiene che il patto contrario ex 2558 c.c. possa essere stipulato solo riguardo ai contratti d’impresa [556] e non, invece, per i contratti aziendali in senso stretto,[557] la risposta è negativa: il leasing è contratto aziendale in senso stretto, e non vale ad escludere la successione un patto tra cedente e acquirente, a maggior ragione non potrà operare a tal fine una clausola inserita nel contratto di leasing che ne impedisce la cessione in caso di alienazione d’azienda. Se invece non si ammette la citata distinzione tra contratti d’impresa e d’azienda, rimane aperta la strada ad una soluzione opposta dell’accoglibilità di siffatta clausola: il divieto di cessione renderebbe il leasing contratto personale, escludendolo dalla cessione ope legis ex 2558 c.c.
Le decisioni giurisprudenziali hanno coinvolto il leasing nella successione ex 2558 c.c. ritenendo che si trasmettesse insieme all’azienda, anche se nel caso di specie[558] la clausola si limitava a vietare all’utilizzatore di cedere il godimento del bene a terzi.
Senza dubbio, però, una valutazione complessiva della stretta inerenza del leasing all’azienda, induce ad accogliere con favore le clausole che ammettono espressamente la successione nel contratto nell’ipotesi in cui l’azienda venga ceduta.[559]
Senza dubbio, l’utilizzatore può cedere il diritto di opzione, e ciò avviene abbastanza di frequente, non ponendosi in tal caso un problema di intuitus personae come possibile limite alla cessione in quanto il contratto di vendita finale del bene non può considerarsi intuitus personae e l’opzione può circolare nella stessa misura in cui può circolare il contratto cui è finalizzata. Se l’opzione è stipulata per sé o per persona da nominare non vi sono problemi riguardo alla necessità del consenso del contraente ceduto e l’utilizzatore può limitarsi, nel termine pattuito, a nominare un terzo che eserciti il diritto di opzione. Negli altri casi, rimane da stabilire se l’opzione sia cedibile liberamente, o invece soltanto con il consenso del contraente ceduto. .[560]
24. Sintesi degli orientamenti riguardo alla struttura della complessiva operazione: contratto trilaterale, costruzione binegoziale ed eventuale collegamento tra negozi.
È indubbio che dal punto di vista economico l’operazione di leasing coinvolga tre parti.
Dal punto di vista giuridico, la valutazione è un po’ diversa.
Mentre in altri contesti disciplinari simili, come quello francese, nessuno propende per l’individuazione di un contratto trilaterale, in Italia vi è una tesi di tal genere, sebbene prospettata da una parte minoritaria della dottrina.
Il maggior sostenitore di tale inquadramento[561] afferma che, come sul piano economico, anche su quello giuridico risulta ineludibile il coinvolgimento di tre soggetti: “I vari atti negoziali posti in essere dalle tre parti costituiscono una fattispecie a formazione successiva e progressiva che rispecchia la procedura adottata per l’operazione economica di finanziamento e, come questa, integrano un’operazione unitaria”. In quest’ottica, la bilateralità sarebbe confinata all’aspetto documentale del fenomeno, tenuto in piedi da ragioni storiche piuttosto che da una realistica osservazione dell’operazione complessiva. Raggiunta tale prospettiva, gli accordi tra utilizzatore e fornitore precedenti la stipulazione del contratto, lungi dal costituire mere trattative, si atteggerebbero quali: “frazione iniziale della fattispecie negoziale complessiva” sottoposta alla condizione sospensiva dell’adesione del concedente. La violazione di tale “accordo” è fonte di responsabilità contrattuale e può ricorrersi alla finzione di avveramento ex art. 1359 c.c. se la condotta dei “contraenti iniziali” impedisce il finanziamento del concedente. [562]
Tale tesi, comunque rimasta minoritaria, ha ricevuto, quindici anni or sono, l’autorevole avallo del Consiglio di Stato, che con deliberazione 5 giugno 1991, in sede consultiva, ha affermato che il leasing pubblico deve essere strutturato come vero e proprio contratto trilatero, richiedendo la contestuale partecipazione delle tre parti alla stipulazione.[563]
Successivamente, è stata la Cassazione a riportare in auge la prospettazione esposta dal magistrato milanese. La. Suprema Corte, con sentenza emessa il 26 gennaio 2000, n. 854,[564] ha osservato che l’operazione di leasing ha struttura giuridica unitaria “nella quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall’affare” e che “il contratto si scioglie rispetto a tutte le parti” se il fornitore non ottempera alla propria obbligazione; tutto induce a pensare che la Cassazione abbia accolto la teoria dell’unico contratto plurilaterale, altrimenti non si capirebbe quale è il contratto cui fanno riferimento le parole riportate!
L’orientamento dominante nella dottrina[565] e giurisprudenza[566] italiane, pur concordando sul fatto che sotto l’aspetto puramente economico l’operazione di leasing ha struttura trilaterale, nega che dal punto di vista giuridico possa configurarsi come contratto plurilaterale o trilaterale. Non può parlarsi di contratto plurilaterale perché difetta il requisito del conseguimento di uno scopo comune. Nemmeno può ricondursi allo schema del contratto trilaterale, come nel caso della cessione del contratto, perché il consenso del fornitore non è necessario alla conclusione del contratto.
L’operazione di leasing si articola, piuttosto, in due contratti bilaterali: uno intercorrente tra concedente e fornitore, che può essere un contratto di compravendita o di appalto, e l’altro vincolante concedente ed utilizzatore, che è il contratto di leasing in senso stretto. Tuttavia, in seno a quest’ultimo orientamento la dottrina si divide quando si tratta di stabilire se sussista o meno un collegamento negoziale, ed accogliere l’una o l’altra soluzione produce importanti conseguenze quando uno dei contratti collegati non trovi regolare esecuzione o risulti viziato ab origine.
Una dottrina minoritaria[567] nega che si possa parlare tecnicamente di collegamento negoziale, perché difettano i requisiti essenziali: quello obbiettivo del nesso teleologico tra i due contratti e quello soggettivo dello scopo comune tra le parti, le quali devono volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi, ma anche il loro collegamento per un fine ulteriore. Si osserva che “nel caso dell’operazione di leasing non può dirsi che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in leasing all’acquirente” [568] Ciò tuttavia non impedisce alle parti di instaurare legami tra i due contratti, ad esempio mediante convenzioni tra concedente ed utilizzatore. Un autore[569] ha criticato la tesi c.d. del mero collegamento convenzionale, categoria ritenuta inesistente. In tal modo, si argomenta , si finisce con il considerare il mezzo con il quale si accerta il collegamento in questione (ossia il riferimento contenuto in ciascuno dei due contratti all’altro) come elemento qualificante di esso.
L’Autore citato appartiene a quella corrente dottrinale[570] che, partendo dalla constatazione che nei formulari standard ciascun contratto fa esplicito riferimento all’altro, ritiene innegabile la sussistenza di un collegamento negoziale, pur essendo compravendita e leasing stipulati tra soggetti diversi. I due contratti vanno considerati autonomi dal punto di vista strutturale ma non da quello funzionale: sono preordinati, nell’intenzione delle parti, alla realizzazione di uno scopo pratico unitario. Si sottolinea che la sorte del leasing dipende dalla esistenza e validità della vendita e non viceversa, per cui l’operazione complessiva “può ricostruirsi in termini di regolamento plurinegoziale unitario, purché si abbia sempre presente che essa, al suo interno, non è “equilibrata”, dal momento che trae origine da contratti avvinti da un nesso unilaterale di dipendenza”[571]
25. (segue): …il profilo funzionale. La causa di finanziamento: un problema antico da risolvere con le acquisite consapevolezze.
Si è ricordato che il T.U.B. riserva a determinate categorie di soggetti imprenditoriali l’esercizio dell’attività di leasing nei confronti del pubblico. Tale circostanza è, secondo autorevole dottrina,[572] molto rilevante ai fini della corretta individuazione della causa contrattuale. I requisiti che il legislatore prescrive per il concedente influiscono sui profili causali del contratto che egli stipula nell’esercizio della propria attività imprenditoriale. I contratti stipulati dalla società di leasing, che è un’impresa finanziaria, rientrano a pieno titolo nel perseguimento dell’oggetto sociale, l’attività di finanziamento. La natura giuridica del concedente impone anche l’applicazione di una stringente disciplina concernente il profilo oggettivo del contratto. S’intende fare riferimento alla regolamentazione della c.d. trasparenza delle condizioni contrattuali (115 ss., T. U. B.): anche se la suddetta disciplina attiene in prevalenza al profilo economico dell’attività finanziaria, essa influisce ineludibilmente sul contenuto dei contratti di leasing, presupponendo il carattere finanziario degli stessi.
Ancora, è opportuno aggiungere altri elementi incontestabili del regolamento d’interessi che contribuiscano ad individuare la causa del negozio. Essa, come detto, non coincide con quella della locazione pura e semplice (il concedente non acquista o fa costruire il bene per goderne direttamente anche soltanto in una prospettiva futura, tant’è che non partecipa alla scelta del bene nè del fornitore, né lo acquista o lo fa costruire per farlo godere per un determinato periodo di tempo e per poi ritornare nella piena disponibilità giuridica e materiale dello stesso), nè è riconducibile al regolamento d’interessi tipico della vendita con riserva di proprietà (egli non acquista o fa costruire il bene per consentire all’utilizzatore di acquisirne la piena proprietà attraverso un pagamento rateale). La causa è pertanto riconducibile a quella propria degli strumenti contrattuali mediante i quali si realizza l’approntamento di mezzi finanziari a beneficio di un soggetto che si obbliga alla restituzione del tantumdem: i contratti finanziari. Nel leasing, il concedente si obbliga verso l’utilizzatore ad acquistare o a far costruire un determinato bene per metterglielo a disposizione, dietro il pagamento di corrispettivi periodici. La causa di finanziamento si manifesta nel mettere a disposizione dell’utilizzatore il bene (appositamente acquistato o fatto costruire o lascato nella disponibilità dell’utilizzatore) per un certo periodo di tempo con l’obbligo a carico dell’utilizzatore di pagare a sua volta (come restituzione del tantumdem) canoni periodici, il cui ammontare complessivo tiene conto dell’esborso fatto dal concedetne per l’acquisto o per l’appalto del bene. E’ l’intensità di questa messa a disposizione del bene a caratterizzare casualmente il contratto: l’utilizzatore disponde del bene in qualità di finanziato e sfruttandone tutte le risorse.[573] L’utilizzatore paga i canoni ed in questo modo restituisce il tantumdem, l’ammontare del finanziamento realizzato dal concedente con l’acquisto o l’appalto della costruzione e la messa a disposizione del bene. Il bene qui non è assoggettato allo stesso regime della locazione semplice o della vendita rateale: nella locazione il conduttore deve godere del bene conscio che alla scadenza dovrà essere restituito in uno stato che ne consenta utilizzazioni future; nella vendita rateale, il bene assolve ad una funzione di garanzia nel pagamento delle rate. Nel leasing “la causa di finanziamento banalizza l’esistenza stessa del bene e, comunque, caratterizza peculiarmente (appunto in funzione di finanziamento) il permanere del diritto di proprietà in capo al concedente e l’ampiezza e struttura dei “poteri” in capo all’utilizzatore”;[574] il concedente non si preoccupa di se e come materialmente disponga di esso l’utilizzatore, delle sue qualità, si preoccupa solo di mettere a disposizione dell’utilizzatore proprio quel bene da lui scelto: con l’acquisto (o l’appalto per la costruzione) e la messa a disposizione del bene le obbligazioni a carico del concedente si sono esaurite, mentre a carico dell’utilizzatore vi è l’obbligo di pagare i canoni periodici alle scadenze pattuite. Si comprende come nell’operazione tutti i rischi e le responsabilità inerenti il bene facciano carico all’utilizzatore (e non al concedente) cui si estendono le garanzie prestate dal fornitore (o dall’appaltatore), sicchè nel rapporto concedente–utilizzatore, coerentemente alla causa di finanziamento, rileva esclusivamente il profilo finanziario. La causa di finanziamento che caratterizza il leasing non può essere confusa con quella di godimento che caratterizza la locazione semplice, o con quella di scambio che caratterizza la vendita. La causa di finanziamento si atteggia in modo del tutto peculiare nel leasing, giustificando una peculiare disciplina della proprietà del bene e del diritto di disposizione in capo all’utilizzatore.
I profili soggettivi ed oggettivi del contratto ci inducono a rivedere molte superate posizioni dottrinali e giurisprudenziali, per altro esposte diffusamente,[575] che negavano al leasing l’autonomia tipologica che oggi pacificamente gli si riconosce. Esse ora ascrivevano il contratto alla fattispecie della locazione ora alla vendita con riserva di proprietà.
26. Il leasing nelle procedure concorsuali: la legge fallimentare e il nuovo equilibrio tra continuazione e scioglimento del contratto di leasing. In particolare, la collocazione del bene da parte dell’utilizzatore in caso di soluzione del rapporto.
L’avvento del fallimento per un’impresa pone, in una prospettiva liquidatoria, problemi non solo per i beni, ma anche per i rapporti di durata non ancora esauriti alla data della dichiarazione d’insolvenza. La disciplina dei contratti preesistenti al fallimento, dunque, ha proprio la funzione di coordinare la vincolatività degli impegni assunti e la nuova situazione che trova la sua scaturigine dalla dichiarazione di fallimento.
Ora, il leasing,[576] tra i contratti d’impresa, occupa una posizione di grande interesse in quanto, da un lato, è un contratto di durata e, dall’altro, può concludersi con la vicenda traslativa della proprietà del bene all’esito del riscatto. È per questo che l’art. 72 quater della nuova legge fall.[577] ha contemplato per il contratto di leasing una specifica disciplina che tiene conto sia del fallimento del concedente sia quello dell’utilizzatore.
Il legislatore ha provveduto a disciplinare la liquidazione del rapporto di durata e, nello stesso tempo, anche la restituzione del bene o la sua acquisizione alla procedura fallimentare.
Nel caso di fallimento della società di leasing[578] la legge fall. dispone la continuazione del rapporto e fa salva la facoltà dell’utilizzatore di riscattare il bene al termine del contratto per evitare l’interruzione dei flussi dei pagamenti alla concedente per operazioni già promosse ed evitare il pregiudizio di creditori cartolari.[579]
La disciplina per l’ipotesi di fallimento dell’utilizzatore[580] è più articolata. Valgono due principi: quello della sospensione ex lege nel contratto e quello della sua possibile continuazione ove il curatore, su parere del comitato dei creditori, dichiari di subentrarvi assumendone tutti gli obblighi. In questo caso la curatela, pagati i canoni in prededuzione,[581] acquisirebbe il diritto a riscattare la proprietà del bene.
La regola della sospensione ex lege non trova applicazione solo nell’ipotesi in cui venga disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa[582] dell’utilizzatore non essendo possibile proseguire l’attività produttiva senza gli indispensabili beni capitali. Si verifica, allora, un’automatica[583] successione nel contratto da parte della curatela senza che sia necessario alcuna autorizzazione del comitato dei creditori posto che il fenomeno è collegato alla continuazione dell’attività d’impresa. La curatela, però, acquista nello stesso tempo un diritto di recesso dal contratto per cui, ferma la prosecuzione del contratto con permanenza degli obblighi di pagamento del canone, sarà possibile che il curatore, in vista di una riduzione dei volumi di attività o di una ristrutturazione, si svincoli dagli impegni.
Nel caso, decisamente più frequente, in cui non vi sia la continuazione dell’attività d’impresa e, dunque, manchi la necessità operativa di avvalersi dei beni strumentali oggetto di locazione finanziaria, la situazione muta radicalmente e il curatore, subordinatamente alla autorizzazione del comitato dei creditori, può decidere di subentrare nel rapporto.[584] Ove poi si versi in una situazione di incertezza il concedente può chiedere al giudice delegato l’assegnazione di termini al curatore per definire la sorte del contratto.
L’ipotesi più delicata della nuova disciplina fallimentare in relazione agli effetti imputabili al fallimento sui contratti in corso è quella relativa alla scioglimento del rapporto di leasing.
Il legislatore ha tenuto in considerazione che la funzione di leasing è il finanziamento e, fermo il prezzo d’opzione, i canoni pagati periodicamente al concedente costituiscono sia il corrispettivo per il godimento del bene sia il prezzo capitalizzato dello stesso. In questa impostazione sembra esservi il superamento della dicotomia tradizionale tra leasing traslativo e di godimento cara alla giurisprudenza[585] e dottrina italiana.[586]
La scelta di sottrarsi alla continuazione del rapporto impone di coordinare la procedura liquidativa con la sorte del bene oggetto di locazione finanziaria, ma anche dei corrispettivi pagati dal fallito che, nella nuova prospettiva legislativa si pongono sia come corrispettivo del godimento sia come anticipo sul prezzo del bene.
Il curatore che non intenda subentrare nel rapporto deve restituire il bene al concedente il quale ultimo è obbligato a realizzarne il valore di mercato sia alienandolo a terzi sia trovando altra collocazione[587] al bene. La realizzazione obbligatoria, in qualsiasi forma avvenga, non sembra funzionale alle finalità liquidative quanto a comparare i valori[588] tra il credito residuo del concedente ed il valore del bene stesso in modo che tale somma ricavata possa essere imputata a soddisfare il credito vantato dal concedente e distogliere l’eventuale eccedenza a favore della massa dei creditori.[589]
Dalla sobria descrizione della disciplina legislativa si intuisce facilmente che la posizione dell’utilizzatore in caso di scioglimento del contratto assume profili decisamente peculiari. In particolare, la nuova legge gli attribuisce il diritto di soddisfazione esclusiva sul valore di realizzazione del bene al di fuori di ogni logica concorsuale.[590] La posizione di vantaggio potrebbe essere spiegata osservando che la utile collocazione del bene non è affatto sicura. Specialmente per alcuni strumenti di produzione ad alto coefficiente di obsolescenza la diversa allocazione non è affatto sicura e la soddisfazione non concorrenziale dell’impresa di leasing potrebbe costituire un incentivo non irrilevante. Inoltre, non va sottovalutato che la facoltà di imputare la somma realizzata al saturazione del credito da pagamento dei canoni è limitata al credito residuo in linea capitale (vale a dire: con esclusione del credito per interessi, spese, eventuali commissioni…).
Infine, sembra sopravviva una lacuna legislativa relativa al regime dei canoni pagati dall’utilizzatore fallito. Infatti, un’autorevole dottrina[591] non considera sufficiente la limitazione della revocatoria fallimentare[592] che non può scalfire i pagamenti eseguiti prima della dichiarazione di fallimento e ritiene che il curatore possa richiedere al concedente la restituzione dei canoni pagati dall’utilizzatore prima della dichiarazione di fallimento.
La tesi, in realtà, non persuade. La curatela fallimentare si troverebbe a chiedere il pagamento dei canoni senza poterlo ottenere attraverso il persuasivo (!) strumento della revocatoria giudiziale. La dottrina tradizionale,[593] peraltro, ha riconosciuto alla società concedente di ritenere i canoni già pagati a titolo di equo compenso per l’utilizzazione ai sensi dell’art. 1526 c.c.[594]
Capitolo quarto
Il leasing tra diritto uniforme e diritto privato internazionale.
1. Circolazione dei modelli e configurabilità di una nuova lex mercatoria.
Il diritto dei business contracts rappresenta senza dubbio l’insieme di regole che meno risentono dei confini nazionali. Molte pratiche contrattuali vivificano la prassi degli affari in maniera uniforme ed extrastatuale. Gli ordinamenti interni, in questi settori, tendono ad uniformarsi con gli altri e a mettere in comune le reciproche esperienze; proprio i contratti come il leasing sono stati importati negli ordinamenti continentali dalla prassi anglosassone.
In questo campo vi è diffusione di regole oggettive del commercio internazionale, circolazione dei modelli di condizioni generali di contratto, usi del commercio internazionale che rappresentano l’humus sul quale i costanti tentativi di uniformazione delle legislazioni nazionali allignano. Una trattazione fugace della lex merchatoria può in tal senso aiutare a ricostruire lo scenario ideale entro il quale dobbiamo collocare uno strumento contrattuale come il leasing.
La lex merchatoria[595] è la legge dei mercanti. Questo richiamo non è solamente un rilievo storico. Esso richiama una questione delicata quanto appassionante: tale locuzione può esprimere un complesso di norme applicabili indipendentemente dai singoli diritti nazionali?
L’elaborazione di una lex merchatoria si deve al ceto dei mercanti, che per tutto il medioevo la adottarono come una vera e propria lex universalis. Essa conserva oggi la funzione di rendere uniforme la regolamentazione in taluni settori con l’individuazione di quei principi e regole affermatisi nella pratica del commercio intenzionale ed, in qualche caso, sembra avere l’ambizione di porsi come corpo di norme d’origine extrastatuale: regole e pratiche consuetudinarie sviluppatesi all’interno dei diversi settori di traffico giuridico, veicolate dai formulari e dai contratti-tipo elaborati dalle principali associazioni di categoria integrati all’occorrenza dai principi genetrali di diritto.
Così la lex mercatoria diviene un vero e proprio “ordinamento giuridico sopranazionale a se stante distinto ed indipendente sia rispetto agli ordinamenti nazionali sia all’ordinamento internazionale pubblico e grazie al quale gli operatori economici impegnati negli scambi commerciali internazionali riuscirebbero volendolo a disciplinatre i loro rapporti d’affari indipendentemente dai diritti nazionali”[596].
2. Il leasing internazionale, un genus che cattura le diverse pratiche negoziali. La diversità dei sistemi cui appartengono i contraenti e i tentativi di unificazione, tra i quali la Convenzione Unidroit, testo normativo dall’ambito applicativo ristretto, che impone una serie di regole ispirate all’equilibrio degli interessi delle parti.
Quando i contraenti della locazione finanziaria appartengono ad ordinamenti diversi si ha un contratto di leasing internazionale, ed è da considerarsi irrilevante, in tal senso, lo Stato d’appartenenza del fornitore.[597] Nella prassi negoziale internazionale, in realtà, sono nati diversi strumenti negoziali che solitamente vengono ricondotti al leasing internazionale, che funge in tal senso da genus-contenitore degli stessi. Le società di leasing sono spesso indotte ad utilizzare formulari diversi rispetto a quelli predisposti per i contratti stipulati con soggetti dello stesso Stato, attese le differenti esigenze derivanti dalla transnazionalità del contratto. In un primo momento, hanno avuto molto peso le difficoltà relative alla stipulazione del contratto oltre le frontiere,[598] tanto che gli operatori hanno per lungo tempo preferito operazioni nelle quali vi fosse conterraneità di utilizzatore e concedente, ma l’estrema flessibilità dei modelli non esclude che, anche in ambito transnazionale, vi sia un’evidente standardizzazione dei contenuti contrattuali, con il conseguente superamento delle difficoltà menzionate e il raggiungimento del risultato auspicato dell’uniformizzazione delle regole operative del contratto.[599]
Per leasing internazionale è possibile intendere: a) un numero limitato di strutture base cui gli operatori si ispirano; b) una ricca serie di contratti derivati dal nucleo comune, determinati dalle numerose variabili che possono incidere sul regolamento d’interessi. Tali variabili possono essere spiegate in relazione ad elementi esterni alle parti, come le condizioni istituzionali ed economiche dei Paesi cui appartengono i contraenti (vincoli normativi, opportunità imposte o messe a disposizione dal sistema, aspetti fiscali e finanziari), oppure ad elementi che riguardano gli specifici interessi dei contraenti. Sono proprio queste ad incidere profondamente sugli aspetti caratterizzanti dell’operazione.
Gli schemi negoziali di base sono sostanzialmente tre: a) operazioni di leasing internazionale in senso stretto (foreign to foreign leasing, o cross-border leasing) nelle quali tutti i tre soggetti coinvolti appartengono a Stati diversi; b) leasing all’esportazione (export leasing), nel quale la società concedente ed il fornitore appartengono allo stesso ordinamento; c) operazioni particolari nelle quali intervengono nuove figure come società costituite ad hoc. La transnazionalità del rapporto e le conseguenze che da essa derivano accomunano tali figure contrassegnandone la fisionomia. Ciò rende possibile il conseguimento di nuove ulteriori utilità rispetto a quelle derivanti dai contratti stipulati in ambito domestico, ma porta con sé anche molti problemi di cui s’impone il superamento.
La diversità dei sistemi, delle regole, specie per quanto riguarda il regime fiscale dei contratti, dà luogo a difficoltà ascrivibili alla eterogeneità delle fonti ed all’inquadramento del leasing, considerata la differente struttura che al contratto viene attribuita nei diversi ordinamenti.
Queste difficoltà, insieme all’enorme sviluppo del contratto stipulato oltre le frontiere, si sono trasformate in terreno fertile per i tentativi di uniformazione della disciplina transnazionale del contratto. A parte il contributo notevole fornito in tal senso dalle società di leasing con la predisposizione di formulari standardizzati, è da segnalare l’intervento dell’Unidroit, Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto privato, con sede a Roma,[600] che ha guidato la stesura e l’approvazione della convenzione sul leasing finanziario internazionale (Convention on International Financial Leasing) firmata ad Ottawa il 28 maggio 1998.
Ratificata dal nostro Paese con l. 14 luglio 1993, n. 259, essa è entrata in vigore il 1° maggio 1995.
La Convenzione mira a favorire lo sviluppo del leasing mediante la predisposizione di regole uniformi[601] e ciò rende comprensibile la ristrettezza del suo ambito applicativo che, si anticipa, comprende, da una parte, le sole ipotesi in cui lessor e lessee hanno sedi in Stati diversi (art. 3), dall’altra, disciplina il solo leasing di beni mobili non di consumo (art. 1.4) senza l’interessamento dei profili fiscali e contabili (v. preambolo). Si ricordi, inoltre, che essa detta solo la disciplina delle questioni ritenute più importanti, per il resto rimandando ai principi generali della medesima convenzione, o in mancanza, alla legge applicabile (art. 6.2)[602]
La Convenzione è strutturata in tre capitoli, preceduti da un preambolo. In quest’ultimo sono indicate le finalità dello sforzo unificatore: rimuovere gli ostacoli giuridici che si frappongono alla diffusione del leasing internazionale, così favorendone la diffusione, ed al tempo stesso, promuovere un equo contemperamento degli interessi fra le differenti parti dell’operazione. Tali finalità hanno rilevanza indubbia anche nell’interpretazione del suddetto testo normativo (art. 6 Conv.).[603]
Il Capitolo I è teso alla determinazione dell’ambito di applicazione e alla previsione di disposizioni generali. La Convenzione di applica alla financial leasing transaction, non solo, dunque, al contratto di leasing (art.1).
La definizione adottata è molto significativa: si parla di un’operazione secondo la quale il concedente provvede ad acquistare (stipulando a tal fine un contratto con il fornitore) i beni strumentali indicati dall’utilizzatore e concede a questi il godimento di tali beni, contro il pagamento dei canoni.
Essa muove dal carattere trilaterale dell’operazione per poi individuare tre tratti qualificanti: a) l’utilizzatore individua il bene e sceglie il fornitore; b) il concedente acquista il bene in funzione del contratto di leasing (circostanza nota al fornitore); c) i canoni sono calcolati in modo da tener conto, in particolare, dell’ammortamento dell’intero costo del bene o di una parte sostanziale di esso.[604]
Passando all’ambito di applicazione, è necessario che lessor e lesee abbiano le proprie sedi in Stati diversi, che l’utilizzatore scelga e specifichi i beni, che il fornitore sia a conoscenza del contratto di leasing in vista del quale viene concluso il contratto di fornitura, che i canoni siano calcolati in modo da tener conto dell’ammortamento di tutto, o di una parte sostanziale del costo del bene; il riferimento ai beni mobili come possibili oggetti del contratto (impianti, materiali od altri beni strumentali purché non usati dall’utilizzatore essenzialmente per scopi personali, familiari o domestici) comporta l’esclusione dal raggio di operatività della Convenzione del leasing immobiliare.[605]
L’opzione d’acquisto del bene, la possibilità di prorogare il contratto e la circostanza che il prezzo o il canone fissato per l’esercizio dell’opzione sia nominale o meno, non rappresentano un elemento essenziale del regolamento d’interessi: i redattori hanno attribuito preminenza all’interesse finanziario del lessor al recupero del capitale investito giungendo, secondo il Ferrarini, ad un compromesso tra Paesi di Civil Law e Paesi di Common Law. [606] In questi ultimi, come in quelli nordici, l’opzione trasforma il leasing in hire puchase.
Ritornando all’ambito operativo ratione materiae, come si è detto, la Convenzione non si applica al leasing di consumo (art. 1.4), mentre governa la fattispecie del sub-leasing (art. 2) e quella caratterizzata dal fatto che il bene mobile è divenuto un immobile per l’artificioso mutamento di destinazione (art. 4).
L’ambito geografico di applicazione è invece desumibile ex art. 3: concedente ed utilizzatore devono avere le loro sedi in Stai diversi ed essi, così come pure quello in cui ha sede il fornitore, devono essere contraenti. In altri termini, sia il contratto di fornitura che quello di leasing devono essere retti dalla legge di uno Stato firmatario.
È stata in tal modo creata una nuova ed autonoma fattispecie non riconducibile agli schemi negoziali della prassi internazionale né tanto meno alla fisionomia assunta dal contratto in alcun ordinamento aderente. [607]
Altro problema è quello relativo alla derogabilità delle disposizioni contenute nella Convenzione. La sua applicazione può essere esclusa per intero, ma solo con l’accordo di tutti i soggetti interessati e, in caso diverso, le parti, nei loro reciproci rapporti, possono derogare o modificare gli effetti delle disposizioni della Convenzione, ad eccezione di quanto previsto dall’art. 8.3, relativo alla garanzia del pacifico godimento, e dagli artt. 13.3b e 13.4 relativi alle clausole penali e alla decadenza dal beneficio del termine.[608]
L’autonomia e la novità della fattispecie emergono soprattutto dalla disciplina del Capitolo II, intitolato “Diritti e doversi delle parti”. I lessor’s real rights sono opponibili ai terzi creditori del lessee, compreso il fallimento, anche qualora quest’ultimi avessero ottenuto provvedimenti cautelari o esecutivi sul bene. La suddetta opponibilità non pregiudica i creditori privilegiati o titolari di garanzia mobiliare sul bene e non opera se la legge applicabile ne subordina l’opponibilità a particolari forme pubblicitarie (art. 7). Queste ultime sono state classificate in base a tre criteri: per navi, aeromobili, veicoli soggetti a registrazione si applica la legge dello Stato di registrazione; per altri mobili (di solito usati in più di un Paese) la legge dello Stato dell’utilizzatore; per tutti gli altri beni la lex rei sitae al momento in cui il creditore fa valere le sue pretese.
Un’altra regola internazional-privatistica ha risolto il problema dei materiali incorporati in beni immobili e degli effetti sui rapporti tra concedente e proprietario degli immobili (art. 6).[609] Il nodo cruciale della responsabilità del concedente è oggetto dell’art. 7 che ha visto lo scontro, ancora non del tutto composto, tra chi ha inteso favorire il concedente e chi l’utilizzatore. Al § 1 si dispone che il concedente è esonerato da qualsiasi responsabilità verso l’utilizzatore salvo che sia interventuo nella scelta del fornitore o nella specificazione del materiale. [610]
Il lessor non è responsabile per i danni arrecati dal bene all’utilizzatore ed ai terzi (art. 8.1), ma risponde per il mancato pacifico godimento del bene da parte dell’utilizzatore nonché per la mancata o ritardata consegna del bene, o della consegna di un oggetto non conforme a quanto pattuito. In tali ultimi casi, il lessee potrà rifiutare il bene o risolvere il rapporto di leasing come se avesse acquistato il bene direttamente dal concedente alle stesse condizioni del contratto di fornitura. Il lessee può trattenere i canoni dovuti fino a quando il lessor non abbia provveduto alla consegna conformemente a quanto pattuito nel contratto, mentre, nel caso in cui il primo opti per la risoluzione, avrà diritto alla restituzione di tutti i canoni pagati meno la somma corrispondente ad un equo compenso per il godimento tratto medio tempore dal bene, salvo il risarcimento dei danni direttamente imputabili alla condotta del concedente.
L’utilizzatore può agire direttamente nei confronti del fornitore per ottenere l’esatto adempimento, la riparazione dei vizi od il risarcimento dei danni.[611] Il lessee quindi, non può agire direttamente chiedendo la risoluzione del contratto di fornitura, ipotesi nella quale occorrerà il consenso del lessor (art. 8, commi 2,3 e 4).[612]
Ai sensi dell’art. 9 l’utilizzatore è obbligato alla manutenzione del bene, oltre che a riconsegnare lo stesso alla scadenza del contratto in condizioni non deteriorate.
Ai sensi dell’art. 11, ogni modifica del contratto di fornitura che si pretenda efficace nei confronti del lessee, abbisogna del consenso di quest’ultimo. Per quanto riguarda l’inadempimento dell’utilizzatore, se questi non adempie, il lessor ha diritto di percepire canoni scaduti e non pagati oltre ad interessi moratori e danni, e se l’inadempienza è substantial, dopo aver fissato un termine di grazia[613] il concedente può richiedere anche i canoni non ancora scaduti (se così previsto nel contratto), oppure potrà risolvere il contratto, recuperare il bene e chiedere l’ammontare dei danni che ritiene necessario a porlo nella stessa situazione nelle quale si sarebbe trovato con l’adempimento del lessee (se ne deduce il limite quantitativo di eventuali penali pattuite).[614]
Il lessor può cedere i diritti derivanti dal contratto, allo stesso modo del lesee il quale ha però bisogno per farlo del consenso della controparte.
Emerge il chiaro compromesso non solo tra paesi di Civil e di Common Law, ma anche tra Paesi industriali e Paesi in via di sviluppo. Il testo è stato giudicato “disciplina compatta e coerente di un discreto testo di diritto uniforme” destinato non solo a facilitare le operazioni di leasing internazionale, ma forse anche a fungere da modello per future legislazioni nazionali.[615]
3. Questioni di diritto internazionale privato in tema di leasing finanziario internazionale. La responsabilità della società di leasing importatrice.
L’Italia ha recepito la direttiva CEE 25 luglio 1985, n. 374 sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi con il d.p.r. 24 maggio 1988, n. 224. In base ad essa, il produttore è responsabile del danno cagionato dai difetti del prodotto (art. 1), vale a dire di ogni bene mobile, considerato tale ex art. 2.1. Un prodotto è difettoso se presenta un difetto di fabbricazione e non offre la sicurezza normalmente assicurata dagli altri esemplari della medesima serie ex art. 5.3.[616]
Ciò che può interessare nell’economia di questa dissertazione è che la responsabilità per danno da prodotti difettosi può non essere del solo produttore, ma anche di “chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, importi nella Comunità Europea un prodotto per la vendita, la locazione, la locazione finanziaria e qualsiasi altra forma di distribuzione, e chiunque si presenti come importatore nella Comunità europea apponendo il proprio nome, o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione” (art. 3.4). E’ responsabile, inoltre, il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale. Se vi è pluralità di soggetti responsabili tutti sono obbligati in solido al risarcimento, salvo il regresso da parte di chi ha risarcito (art. 9).
Il caso del leasing è, dunque, espressamente considerato nel decreto all’art. 3.4 nella parte in cui si parla di importazione nella CE per la locazione finanziaria. Si fa riferimento, in particolare, all’importazione da un paese non comunitario.[617]
Se vi è, pertanto, un leasing che abbia ad oggetto un prodotto importato in un paese della CE da società concedente, quest’ultima risponde in solido con il produttore (art. 9), e non può esonerarsi dalla responsabilità nei confronti del danneggiato (art. 12).
La società di leasing non potrà, dunque, liberarsi adducendo di non essere produttrice, in quanto la responsabilità discende dal fatto di non aver esercitato il necessario controllo sul prodotto.
Il decreto sovverte il principio secondo cui la società concedente non è responsabile per i difetti del bene e per i danni che ne derivano. Per sottrarsi alle conseguenza del risarcimento, questa dovrà fare importare il bene ad un altro soggetto e poi acquistarlo da ques’utlimo. In tal caso sarebbe necessario, però, che l’importatore sia individuato visto che, in caso contrario, la società di leasing (anche se viene individuato solo il produttore) potrà essere ritenuta responsabile come fornitore che ha distribuito il prodotto stesso (art. 4.6).
Il soggetto che importa il bene nella comunità per poi cederlo alla società di leasing potrà anche essere l’utilizzatore secondo lo schema del lease back.
Altra soluzione è quella di prevedere una clausola di esonero della responsabilità della società di leasing nei rapporti con il produttore. Tale clausola, valida se eslcude soltanto la colpa semplice (art. 1229 c.c.), non è opponibile al danneggiato (art. 12 del decreto) il quale può agire anche contro il concedente. Giova l’esonero, tuttavia, riconosciuto a quest’ultima in sede di regresso nei confronti del produttore, che nei rapporti interni sarà, quindi, l’unico responsabile. Se la società di leasing non dovesse seguire queste vie, non rimane altra soluzione che quella di un’assicurazione.
4. In particolare: l’azione diretta dell’utilizzatore nei confronti del fornitore nel leasing finanziario internazionale.
Una delle caratteristiche del leasing è la dissociazione subbiettiva tra la titolarità del diritto di proprietà e quella del diritto di godere dei beni oggetto del contratto. Il destinatario finale dell’operazione non è in relazione giuridica, ma solo economica, con il fornitore, per cui, pur percuotendosi gli inadempimenti di quest’ultimo sul leasee e generando pregiudizi inimmaginabili sol se si riflette che i beni in leasing sono generalmente strumentali all’attività d’impresa, mancano all’utilizzatore gli strumenti diretti per far valere la responsabilità del fornitore.
Normalmente la soluzione al problema è convenzionale, ma in questo caso per evitare che tale situazione in un contesto internazionale si risolva in un’immotivata esposizione dell’utilizzatore alle bizzarrie di un produttore di un altro paese, è stata prevista espressamente l’azione diretta[618] del primo nei confronti del fornitore.
L’art. 10 della Convenzione Unidroit stabilisce che “gli obblighi del fornitore in base al contratto di fornitura potranno essere fatti valere anche dall’utilizzatore come se egli fosse stato parte di tal contratto e come se il bene gli dovesse essere fornito direttamente. Tuttavia il fornitore non sarà responsabile nei confronti sia del concedente sia dell’utilizzatore per il danno medesimo. Quest’articolo non dà tuttavia diritto all’utilizzatore di risolvere o annullare il contratto di fornitura senza il consenso del concedente”.
Lo stile è chiaramente discorsivo ma decisamente efficace è il contenuto che stabilisce chiaramente quali sono gli equilibri che innervano la c.d. azione diretta, la quale è accompagnata dal divieto di duplicazione del risarcimento a favore dell’utilizzatore (com’è ovvio per evitare un ingiustificato arricchimento) e dall’esclusione della risolubilità del contratto a mera discrezione di quest’ultimo (che si porrebbe come l’arbitrio rispetto alla regola della vincolatività dei contratti ex art. 1372 c.c.).[619]
Capitolo quinto
Il leasing tra presente e futuro: forme speciali e specifiche applicazioni.
1. Le molteplici species del complesso ed articolato genus del leasing classificate mediante i fondamentali criteri ordinanti.
Come affermato da un autorevole commercialista italiano, [620] “il successo del leasing, anche per le agevolazioni fiscali di cui gode, ne ha notevolmente ampliato l’ambito di utilizzazione”. L’oggetto dedotto nel contratto non è sempre un bene strumentale all’esercizio dell’attività imprenditoriale dell’utilizzatore (leasing d’impresa), visto che successivamente ha preso piede il leasing di beni di consumo durevoli, quali automobili ed elettrodomestici (leasing di consumo), oltre al leasing di beni immobili (stabilimenti industriali o studi professionali).
A tale tecnica contrattuale pertanto ricorrono non solo gli imprenditori, ma anche i professionisti, per le agevolazioni tributarie di cui anche questi ultimi possono godere. L’operazione, inoltre, si è articolata in tre tecniche operative notevolmente diverse tra loro: leasing finanziario o leasing tout court, leasing operativo e sale and lease back (o leasing di ritorno).
Le species del genus contrattuale in oggetto sono pertanto suscettibili di un’ordinata classificazione, operata solitamente dalla dottrina[621] in base ai seguenti fondamentali criteri ordinanti: a) la natura dei soggetti, che rende possibile la distinzione tra leasing pubblico (nel quale lessee è la Pubblica Amministrazione) e leasing di consumo (nel quale tale posizione contrattuale è riconducibile ad un privato-consumatore); b) la natura del bene, che permette, non solo di considerare separatamente, in via generale, il leasing mobiliare e quello immobiliare, ma anche di rinvenire specifiche species contrattuali nel leasing artistico, agricolo, automobilistico, di software, azionario …; c) la struttura dell’operazione, che rende agevole la distinzione tra il leasing operativo, che molti autori non ritengono appartenente al suddetto genus,[622] ed il sale and lease back e dal leasing addossé.
Si comprende che la formula leasing racchiude oggi esperienze contrattuali eterogenee per finalità e struttura che pongono di conseguenza problemi diversi di inquadramento e disciplina. La forma contrattuale più diffusa e caratteristica, comunque, resta il leasing finanziario (di beni strumentali, di consumo, immobiliare).
“L’elemento comune alle molteplici applicazioni del leasing è dato dalla originale tecnica di finanziamento in cui si risolve questa operazione contrattuale”[623]
2. A) Qualità dei contraenti. Leasing pubblico e leasing agevolato.
Nella prassi operativa italiana è invalsa, tra le varianti del regolamento de quo il c.d. leasing pubblico,[624] nell’ambito del quale l’utilizzatore è tendenzialmente una Pubblica amministrazione[625] che, nell’esercizio della capacità iure privatorum,[626] si avvicina all’operazione descritta perché il bene messo a disposizione dal concedente (normalmente un imprenditore privato che ne rimane proprietario) manifesta attitudine alla soddisfazione dell’interesse pubblico che l’ente istituzionalmente deve curare e promuovere. [627]
Delicata sembra la questione dell’oggetto del contratto di leasing pubblico. La difficoltà derivano dal fatto che solo in caso di eventuale esercizio del diritto d’opzione l’Amministrazione Pubblica diverrebbe esclusiva proprietaria di beni che vengono stabilmente impiegati nella cura dell’interesse collettivo, mentre, prima di quella scelta, solo l’impresa concedente può legittimamente vantare il diritto dominicale sul bene strumentale. In proposito, non si dubita di escludere dal novero dei potenziali oggetti del leasing pubblico i beni demaniali e quelli sulla cui destinazione non può interferire il privato.
Tali limitazioni non sono suggerite da un’astratta e formalistica difesa delle prerogative della P.A., quanto dalla preoccupazione concreta che l’equilibrio del regolamento contrattuale (in particolare, per le clausole di limitazione o esonero totale della responsabilità del lessor o per le ipotesi convenzionali di risoluzione) possa indurre una trasmutazione dei beni di cui sopra facendoli tralignare[628] dalle finalità d’interesse pubblico cui sono strumentali.
A fronte della agevole definizione di tale species nella categoria generale del leasing finanziario, si pongono almeno due problemi che hanno interessato la dottrina negli ultimi anni: la qualificazione dei canoni pagati dalla P.A. (e dell’eventuale prezzo di riscatto) come spesa corrente o in conto capitale, posta la diversità dei diversi margini d’indebitamento configurati dalle leggi di finanza pubblica e degli enti locali e l’operatività delle c.d. procedure ad evidenza pubblica per la selezione dell’intermediario finanziario.
In relazione alla prima questione si sono delineati diversi orientamenti: coloro[629] che svalutano l’opzione d’acquisto considerandola solo eventuale ed accessoria, tendono a valorizzare, invece, la prestazione di messa a disposizione del bene. Così, siccome il concedente rimane formale proprietario, il costo dei canoni deve essere iscritto a bilancio come una posta in conto corrente. Solo l’eventuale e concreto riscatto darà luogo alla acquisizione della titolarità della proprietà da parte della Pubblica Amministrazione e, verificata quest’ipotesi, l’esclusivo prezzo di riscatto potrà essere imputato come posta in conto capitale.
Tale interpretazione sembra alimentata dal timore di allentare i cordoni della spesa pubblica attraverso l’espediente della locazione finanziaria, ma appare eccessivamente rigida nella parte in cui non offre un criterio mobile di valutazione delle poste di bilancio. Per esempio, talvolta, l’operazione di leasing potrebbe essere promossa in previsione di uno strategico riscatto avvalendosi della convenienza economica ed evitando un indebitamento istantaneo nel singolo esercizio di bilancio. Sarebbe allora opportuno discernere, come suggerisce una seconda opinione,[630] ai fini della qualificazione della spesa, in base all’attitudine del bene (c.d. funzione della spesa) oggetto del leasing pubblico alla soddisfazione strutturale e strategico-politica dell’interesse pubblico o al contingente mantenimento della amministrazione.
Con riferimento al secondo dei problemi accennati, sembra vi sia unanimità[631] sulla imprescindibilità[632] della selezione concorsuale dell’intermediario finanziario attraverso una procedura ad evidenza pubblica che valorizzi l’uguaglianza e l’efficienza della Pubblica Amministrazione nell’esercizio della capacità iure privatorum, alla stregua di quanto avviene per gli appalti di opere e servizi pubblici.
Sembrano fondersi in questo caso sia i principi che governano l’azione amministrativa[633] sia la norma comunitaria della libera circolazione delle merci.
In alcune ipotesi, le leggi statali configurano l’erogazione di contributi agevolati a determinati soggetti che soddisfano particolari condizioni oppure rientrano in categorie che il legislatore intende promuovere (artigiani, imprenditori agricoli, editori…) per incoraggiare il loro avvicinamento al mercato del leasing. Si osservano, dunque, delle operazioni di locazione finanziaria in cui la Pubblica Amministrazione interviene non in veste di utilizzatrice, ma come promotore diretto o indiretto dell’iniziativa. In questi casi, secondo un osservatore,[634] si assisterebbe all’innervarsi di un’autonoma species contrattuale definita come “leasing agevolato” e contrassegnata dall’intervento di un ente pubblico quale promotore di un investimento produttivo realizzato attraverso la locazione finanziaria.
3. (segue): …il leasing di consumo
È noto che negli ultimi lustri per il concorso di determinate circostanze sia invalso il ricorso al credito[635] per l’acquisto di beni o servizi destinati al consumo (mobili, elettrodomestici, viaggi turistici…). Le tecniche impiegate sono diverse potendosi realizzare lo stesso obiettivo economico con lo strumento delle dilazioni di pagamento da parte del fornitore (vendita a rate) oppure prestiti da parte di istituti di credito o società finanziarie collegate eventualmente al fornitore.
Si è profilato, dunque, un fertile campo d’impiego per il leasing. Tale affermazione è legata alla configurabilità della locazione finanziaria come di un contratto tra imprenditori (concedente ed utilizzatore) avente ad oggetto beni capitali, cioè elementi suscettibili di essere combinati nel processo produttivo per la produzione di altri beni a loro volta strumentali o finali. La nozione, tuttavia, non assurge a paradigma indeclinabile.
È invalsa nella vendita al minuto la tecnica di agevolare il finanziamento di beni di consumo attraverso un’operazione che si avvicina a quella tradizionale del leasing di beni strumentali e di cui condivide il profilo latu sensu causale: il leasing di consumo.[636]
Con questa espressione si rappresenta l’operazione in cui l’utilizzatore non opera come imprenditore, ma come consumatore[637] e i beni scambiati non sono strumentali, ma di largo consumo.
Tutto ciò è consentito dalla malleabilità[638] del contratto de quo che si presta ad essere piegato a piacimento per la realizzazione degli interessi dei privati ma, in questo caso, la vicenda traslativa tende ad assomigliare ad una vendita rateale.
Del resto è la prassi che ha portato all’utilizzo del suddetto schema negoziale[639] per l’acquisto di beni standardizzati di consumo destinati a scopi personali o promiscui: si è parlato, in tali casi, di leasing c.d. traslativo. Tale sottotipo deve essere valutato positivamente ai fini dell’applicabilità della disciplina ex artt. 33 e ss. del Codice del consumo, senza dimenticare l’indiretto riconoscimento normativo nel Testo Unico in materia bancaria e creditizia che però pone qualche problema di coordinamento con l’ipotesi in esame.[640]
La bipartizione tra leasing di godimento o “tradizionale” e “leasing traslativo” o “di consumo” effettuata dalla Cassazione italiana, e confermata con l’autorevole suggello delle Sezioni Unite, fa parte del diritto vivente italiano. La S.C. ha operato una scissione della monolitica fattispecie contrattuale, ravvisando nelle due distinte tipologie una presunta diversità economica dell’operazione, imperniata nella differente natura del bene oggetto del contratto. Precisamente, la coincidenza o meno della durata del contratto con la vita economica del bene rappresenterebbe il discrimen tra le due figure contrattuali.
Nel leasing tradizionale, il corrispettivo sarebbe commisurato al solo godimento, mentre nel leasing traslativo od “impuro” sarebbe compresa anche una percentuale del prezzo del bene, così da rendere possibile l’acquisto della proprietà pagando un prezzo d’opzione sensibilmente inferiore al valore economico residuo, in alcuni casi più elevato che al momento della stipulazione.
La dottrina ha contestato tale operazione ermeneutica, che sembra essere stata respinta anche dal legislatore recente (art. 72 quater della legge fall.), mettendone in luce l’artificiosità ma, come detto, bisogna prendere atto che essa è ormai entrata a far parte del diritto vivente, senza sottovalutare che una rilevante parte dei contratti stipulati rispondono oggi alla fisionomia del leasing traslativo piuttosto che di quello tradizionale.
La disciplina riguardante i contratti del consumatore sembra prescindere del tutto da tale bipartizione, facendo essa riferimento alla necessità che uno dei contraenti sia qualificabile come consumatore. In verità, la Cassazione, pur articolando tale bipartizione sul profilo oggettivo della natura economica del bene, ha sottolineato come il leasing tradizionale dovesse essere sempre stipulato da un utilizzatore-imprenditore per scopi attinenti all’esercizio della propria attività economica. Diversamente però, il leasing traslativo si è andato espandendo verso settori impropri, divenendo anche un metodo di finanziamento del consumo. La bipartizione, criticata dalla dottrina perché fondata su ragioni inconsistenti, si è rivelata esplosiva perché ha determinato l’espansione del modello ben oltre il suo originario alveo naturale.
La peculiare funzione originaria del leasing, consistente nel finanziamento dell’impresa in grado di giustificare una regolamentazione pattizia fortemente derogatoria di norme codicistiche dei tipi legali nonché un regime fiscale molto vantaggioso, risulta inesistente nel leasing traslativo che condivide con quello tradizionale la struttura, ma presenta profili funzionali del tutto diversi che lo rendono equiparabile alla vendita con riserva di proprietà.[641]
Il modello atipico potrebbe essere utilizzato, quindi, per eludere l’applicazione di norme imperative previste dal codice civile in materia di vendita con riserva di proprietà. Certo non è più possibile tralasciare che, seppure indirettamente, tale sottotipo è stato riconosciuto dal legislatore nel T.u.b., e pertanto l’interprete non può esimersi dall’analizzarlo valutando anche l’applicazione della disciplina in commento. Senza dubbio il leasing di consumo è stato spinto dal suo momento fiscale, sempre vantaggioso nonostante la deducibilità dei canoni dal reddito d’impresa o da lavoro autonomo sia stata ridotta al 50% per i beni destinati ad uso promiscuo.
La prassi evidenzia che una fetta considerevole dei contratti stipulati in Italia hanno ad oggetto beni utilizzati dal professionista contraente per fini personali o, come più spesso avviene, promiscui.
Come devono essere individuati i contratti di leasing ascrivibili all’alveo applicativo di tale disciplina? I dubbi possono essere fugati con facilità solo per i tipi negoziali soggettivamente qualificanti, quali ad es. il leasing tradizionale, i quali escludono di per sé la presenza del consumatore. Negli altri casi bisogna valutare lo scopo dell’ipotetico consumatore caso per caso. Ciò non può voler dire attribuire rilevanza ai motivi effettuando nel caso concreto un’indagine psicologica delle intenzioni del contraente. Il mero motivo è irrilevante eccetto l’ipotesi ex 1345 c.c. Se, invece, l’interesse al consumo viene obbiettivizzato nell’assetto contrattuale, esso assume rilevanza sostanziale sotto il profilo causale. I parametri d’individuazione da tenere presenti per effettuare l’indagine sulla presenza effettiva del consumatore nel contratto saranno diversi: la natura del bene in sè, senza sopravvalutare il rapporto tra il bene e l’attività professionale svolta dal contraente: se i beni sono normalmente destinati al consumo, consumabili e non, l’attività acquista indubbio rilievo, se invece si tratta di beni potenzialmente strumentali all’attività professionale sarà sufficiente fare riferimento all’obbiettiva destinazione secondo l’id quod plerumque accidit. Se i beni si pongono in posizione di necessaria strumentalità con l’attività dell’utilizzatore allo stesso modo non sorgono problemi. Le difficoltà ricorrono per quei beni di natura ermafrodita, potendo soddisfare esigenze professionali e personali allo stesso modo (auto, personal computers). Se è inconoscibile l’uso personale o professionale di un bene, allo stesso modo si tratterà di naturale destinazione ad uso promiscuo.
Si è cercato di trovare un criterio generale valido per tutti casi in cui la natura del bene non sia di per sé significativa, attesa l’inammissibilità di indagini psicologiche ed in mancanza di una particolare comune intenzione delle parti. Le soluzioni sono due: escludere la tutela sempre quando il soggetto eserciti un’attvità professionale, oppure estendere la tutela ad ogni caso in cui il bene presenti una possibilità di utilizzo promiscuo. L’opzione restrittiva escluderebbe la tutela per quasi tutti i contratti di leasing e non terrebbe in debito conto quanto previsto dal legislatore che, in materia di credito al consumo, ha concepito come possibile un contratto di leasing avente ad oggetto beni destinati ad uso personale. Il Palazzi ritiene preferibile la seconda opzione perché più compatibile con i criteri di interpretazione oggettiva e in sintonia con la ratio della novella codicistica trasfusa nel codice del consumo. Gli scopi estranei devono essere desunti dal contratto alla stregua degli ordinari criteri ermeneutici stabiliti dal codice civile: l’art. 1370 c.c., ribadito nell’art. 1469 quater c.c., 2° comma, (oggi art. 35, 2° co. del Codice del consumo) ci dà qualche argomento a favore della tesi estensiva. Proprio nel valutare se ci si trova di fronte ad un consumatore o meno, si potrebbe interpretare la clausola in caso di dubbio, in modo favorevole al consumatore. Un principio di tal genere risponde alla citata sovraordinazione dell’interesse al consumo rispetto a quello alla produzione e al relativo generale favor verso il consumatore che porta, nel caso di difficoltà sull’identificazione della finalità d’utilizzo, ad interpretare comunque in modo da proteggere l’interesse assiologicamente prevalente.
Alcuni autori hanno ritenuto che nella disciplina sul credito al consumo vi fosse una presunzione di estraneità dello scopo perseguito rispetto alle esigenze professionali del contraente persona fisica, in favore del quale andrebbe tale generica lettura. Il richiamo alla presunzione semplice ex art. 2729 c.c. deve essere rettamente inteso. Essa opera nel senso di presumere che il contratto rappresenti un atto di consumo solo laddove nel contratto di leasing stipulato con una persona fisica viene dedotto quale oggetto un bene teleologicamente poco significativo. Il professionista pertanto ha l’onere di provare l’uso esclusivo per l’impresa o la professione, così da escludere la qualità di consumatore e, di conseguenza, la disciplina di tutela: una semplice dichiarazione del lessee all’interno del contratto circa la destinazione del bene a scopi professionali. Del resto, è facile immaginare la diffusione di tali clausole per il potere contrattuale dei lessors ma anche e soprattutto per permettere al lessee di sfruttare i vantaggi fiscali anche a costo di una dichiarazione mendace. Se i parametri per individuare il consumatrore devono avere natura obbiettiva, l’interprete dovrà rivolgersi solo a questi. Il consumatore che abbia fornito una dichiarazione mendace ed invochi l’applicazione della disciplina di tutela dovrà dichiarare la mendacità, di fatto dimostrabile anche facendo semplicemente leva sulla natura del bene utilizzato.[642]
L’opacità del profilo funzionale del leasing di consumo rispetto a quello tradizionale non è stato sottovalutato dalla dottrina italiana[643] che ha tentato di svelare le conseguenze normative di tale allontanamento dal modello di base.
In particolare, l’intervento del consumatore nella veste di utilizzatore fa scattare l’operatività della disciplina codicistica sulle condizioni generali di contratto ex art. 1341 e 1342 c.c. e quella sui contratti del consumatore (artt. 1469 bis e ss., ora trasfusa nel codice del consumo).[644] Oltre alla necessità che l’aderente approvi specificamente per iscritto le clausole vessatorie ai sensi dell’art. 1341, 2° co., c.c. si profila un controllo sostanziale volto a sindacare l’equilibrio delle diverse clausole contrattuali e la loro conformità alla buona fede.
Ciò che può interessare in questa sede è l’astratta delibazione di vessatorietà dei grumi di clausole che costituiscono il cuore della locazione finanziaria in senso tradizionale e che sono normalmente riportate anche nei regolamenti di leasing al consumo.[645] Con una precisazione: la loro eventuale caducazione (la disciplina dei contratti del consumatore prevede l’ineffcacia per le clausole abusive) snaturerebbe il contratto compromettendone la riconduibilità allo schema della locazione finanziaria.
Scorrendo l’elenco delle clausole della c.d. lista grigia di clausole in odore di vessatorietà ci si imbatte in quelle disposizioni contrattuali che hanno per effetto o per oggetto di “escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto del professionista”.
Ora, nelle locazioni finanziarie si incontrano clausole che esonerano il concedente dalla responsabilità per il ritardo o l’omessa consegna del bene oppure che escludono la garanzia per vizi o contro l’evizione. Queste disposizioni dovrebbero sfuggire all’invalidità sol se si riflette alla struttura complessa dell’operazione di leasing che coinvolge ben tre soggetti. Diviene arduo, infatti, nonostante le autorevoli voci contrarie,[646] imputare al concedente l’inadempimento del produttore e comunque, in caso di mancata consegna del bene, l’utilizzatore-consumatore non sarebbe tenuto a pagare i canoni.
Altra clausola destinata a generare perplessità è quella concernente l’imposizione del pagamento di una penale strangolatoria a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inadempimento del consumatore. Al riguardo, anche la configurabilità dell’ipotesi di inefficacia della disposizione non dovrebbe obnubilare il diritto del concedente al risarcimento del danno subito in conseguenza dell’altrui inadempimento.
Appurata l’applicabilità della disciplina dei contratti del consumatore al leasing stipulato da un utilizzatore che miri ad acquistare a credito beni e servizi, bisognerà interrogarsi sull’operatività della disciplina di cui al Capo II del Titolo VI del T.u.b. (artt. 121 a 126),[647] dedicata al credito al consumo, potendosi senza dubbio sostenere che il lessor finanzi indirettamente l’utilizzatore.[648]
Oggi, in dottrina ed in giurisprudenza è pacifico che il contratto di leasing al consumo possa farsi rientrare nell’alveo applicativo delle norme ex art. 121 del T.u.b.,[649] anzi non manca chi[650] sostiene che tra le nozioni di credito al consumo e di leasing a favore di consumatore vi sia un rapporto di genus ad speciem, prospettandosi quest’ultimo come tecnica operativa per la realizzazione della funzione di credito
Un privato non imprenditore né lavoratore autonomo, comunque, che si avvalga di tale strumento rinuncerebbe ai vantaggi fiscali, dai quali il legislatore lo esclude, ma il contratto dovrebbe uniformarsi a quanto disposto dalle norme in materia di credito al consumo e l’utilizzatore del bene si gioverebbe dei rimedi e delle tutele previste.
Innanzi tutto per il credito al consumo valgono i principi e le regole che il T.u.b. contempla per i contratti bancari: pubblicità,[651] trasparenza, costante informazione sulle vicende contrattuali, forma scritta[652] a pena di nullità c.d. di protezione, contenuto minimo del contratto…
Tali norme (esplicitate dagli artt. 121 a 126 del T.u.b.) vanno coordinate con la tecnica del leasing e calibrate con la realizzazione della sua funzione.
Innanzi tutto, nelle condizioni di contratto devono essere analiticamente[653] specificate: le caratteristiche dei beni oggetto di leasing, le eventuali garanzie richieste e le coperture assicurative, il prezzo d’acquisto in contanti, il numero e gli importi delle singole rate per il consumatore e il TAEG[654] (tasso annuale effettivo globale) e gli eventuali fattori che possono determinarne un’oscillazione. Chiaramente deve essere fissato anche il prezzo dell’eventuale opzione d’acquisto.
Da non sottovalutare, inoltre, che nel leasing di consumo, la dinamica fisiologica del rapporto di finanziamento è quella dell’acquisto del bene da parte dell’utilizzatore-consumatore.[655]
È per queste ragioni che la risoluzione del contratto per inadempimento del consumatore[656] deve essere subordinata ad un inadempimento grave che può considerarsi cristallizzato nella soglia dell’ottava parte del totale dei canoni periodici più gli interessi. Da questo punto di vista sembra insuperabile l’art. 125 T.u.b. che al primo comma richiama l’applicazione dell’art. 1525 c.c.[657] dettato in materia di vendita con riserva di proprietà per quei contratti di credito al consumo in relazione ai quali sia stato concessa garanzia reale sul bene acquistato col finanziamento.
Sulla stessa scia si pone anche la considerazione che pone l’opportunità di contemplare la facoltà del consumatore di riscattare anticipatamente il bene o quella di recedere dal contratto. A questo proposito, l’art. 125 T.u.b., secondo comma, pone un vincolo di inderogabilità, escludendo che le parti possano convenzionalmente derogarvi. Si pone piuttosto un problema con la prevista recedibilità ad nutum configurata per il credito al consumo che diviene inapplicabile[658] al leasing di consumo per contrasto con i principi generali di vincolatività del contratto (art. 1372 c.c.) e con quelli valevoli nell’ambito degli illeciti contrattuali (artt. 1218, 2740 c.c. …).[659]
4. (segue): …note comparatistiche sul leasing di consumo. Diversi criteri individuativi e differenti tutele.
Due sono i criteri adoperati dai legislatori per enucleare la sottocategoria di leasing al consumo: l’uno consiste nel ricorso a semplici parametri quantitativi, l’altro si sostanzia nel riferimento della disciplina alla qualità del soggetto utilizzatore oppure alla destinazione del bene: il più delle volte tali criteri vengono impiegati cumulativamente, come avviene del resto negli USA. [660] Lo U.C.C. americano qualifica come consumer lease l’operazione nella quale l’ammontare dei canoni non superi i 25.000 dollari.
In Inghilterra ogni operazione la cui somma totale sia inferiore a 5.000 sterline cade sotto il Consumer Credit Act del 1974 e dunque rientra in un alveo disciplinare appositamente pensato per tutelare efficacemente il consumatore. È senza dubbio crescente l’importanza attribuita dai legislatori all’elemento funzionale. Così lo U.C.C., art 2 A-103, e) afferma che il consumer lease è quello indirizzato primarily for a personal, family or household purpose (di qui la definizione è trasmigrata nella Convenzione Unidroit).
Per quanto attiene alla regolamentazione del contratto, talvolta si assiste alla sottrazione alla disciplina generale, altre volte c’è l’applicazione congiunta di questa e della disciplina sulla tutela del consumatore: è questo il caso degli USA, dove si deve far riferimento al Consumer Leasing Act, oggi racchiuso nella Sez. 1667 dell’art. 15 dello U.C.C. e allo Uniform Consumer Credit Code del 1974 (Sez. 1.301 dello U.C.C.).
In Francia la legge del 1966 esclude i biens à usage personnel ou familial, la cui disciplina cadrà sotto la legge n. 78/22 del 10 gennaio 1978 (loi Schrivener) sul credito al consumo:[661] le due normative, quindi, non si sommano ma si escludono.
In altri Paesi, la distinzione e la disciplina sono molto meno chiare. La Germania nel 1896 ha emanato la prima legge al mondo a tutela del contraente debole nelle vendite a rate (Abzahlungsgesetz), il cui art. 8 ne esclude l’applicazione quando l’acquirente sia un imprenditore. Con l’apparire del leasing però, per uno di quegli strani fenomeni non infrequenti nell’interpretazione delle norme scritte, si è dimenticato l’art. 8 a tutto vantaggio dell’art. 6, che ne reclama l’applicabilità anche in caso di vendita dissimulata (verhuellte Abzahlungsgeschaeft) e lo si è ritenuto applicabile anche al leasing, dapprima richiedendosi che il contratto riconoscesse il diritto d’acquisto del bene e che tale acquisto fosse la causa del negozio, poi applicando la formula attuariale della somma dei canoni uguale all’intero prezzo del bene. È ben noto come una simile parabola di pensiero abbia attraversato la giurisprudenza e la dottrina italiane seppure con riferimento all’applicabilità dell’art. 1526 c.c., la cui ispirazione all’Abzahlungsgesetz è evidente. [662]
5. C) Oggetto del contratto. Leasing immobiliare.
Nella prassi degli affari si è ormai affermata la figura della locazione finanziaria di immobili[663] già costruiti o ancora da costruire.[664] Questo contratto si distingue dal leasing c.d. mobiliare in quanto il concedente si impegna ad acquistare o a far costruire un immobile su richiesta del locatario-conduttore-utilizzatore per poi concederglielo in godimento contro il pagamento di un canone periodico (capitalizzato sul valore di un immobile che non manifesta fenomeni di obsolescenza) e con possibilità di riscattarlo o rinnovare il contratto alla scadenza ordinaria, mentre conserva delle operazioni tradizionali di locazione finanziaria il profilo funzionale,[665] che è quello di finanziamento, e la struttura triangolare.[666]
Sembrerebbe di poter affermare con certezza, nonostante autorevoli voci contrarie,[667] che la peculiarità del bene oggetto dell’operazione implichi deviazioni rispetto ai formulari facilmente percepibili anche all’osservatore non esperto che sono conseguenza anche del diverso modo di atteggiarsi della funzione economico-individuale[668] del negozio. L’elemento discriminante è sempre la non soggezione degli immobili al fenomeno dell’obsolescenza tecnica che rende i mobili non utilizzabili dopo un certo numero di anni.
Innanzi tutto la durata[669] del contratto non è calibrata sul regime d’impiego potenziale del bene, ma è saldamente ancorata a criteri finanziari (attualmente la durata non inferiore ad otto anni ai fini della deducibilità). Ciò significa che alla scadenza del contratto l’immobile manifesterà attitudine a fornire utilità diverse all’utilizzatore che, alla luce di ciò, prenderà in seria considerazione sia la facoltà di prorogare e\o rinnovare il rapporto sia quella di riscattare il bene. Ciò spiega perché il prezzo d’opzione è tendenzialmente alto:[670] supera le soglie applicate al leasing mobiliare (1,5-5%) ed è calcolato in base alla considerazione di fattori come la rivalutazione dell’immobile nel tempo e le condizioni generali che potrebbero suggerire un intervento di ristrutturazione.
L’importo dei canoni sarà la proiezione della somma necessaria per la restituzione del finanziamento necessario per l’acquisto o l’appalto del bene[671] (naturalmente maggiorato dall’utile d’impresa), prescindendo da oscillazioni del valore di mercato che potrebbero registrarsi tra il momento in cui è dato inizio all’operazione tecnica e quello del riscatto.
Chiaramente la natura del bene oggetto del contratto influisce anche sulle vicende critiche e patologiche del rapporto. In caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore,[672] per es., il concedente si troverebbe nella possibilità di poter percepire i canoni non ancora scaduti e nello stesso tempo poter collocare l’immobile sul mercato realizzando un prezzo maggiorato rispetto al momento in cui è stata promossa l’operazione di leasing, della rivalutazione, salvo il deperimento della cosa.
Altro profilo problematico potrebbe esser quello della responsabilità extracontrattuale collegata a danni cagionati a terzi dall’immobile di proprietà del concedente.[673]
Il dubbio s’ispessisce se si riflette sul fatto che la giurisprudenza[674] esclude da qualsiasi responsabilità per danni derivanti dalla rovina di un edificio il conduttore semplice e circoscrive, dunque, la sfera operativa dell’art. 2053 c.c.[675] al solo proprietario. Nonostante gli sforzi interpretativi[676] fatti per dilatare la platea dei possibili responsabili fino a farvi rientrare anche l’utilizzatore siano lodevoli, sembra che l’operazione ermeneutica debordi nella manipolazione del dato normativo. Le osservazioni più interessanti, comunque, mettono in evidenza che l’art. 2053 c.c. non configura affatto un’ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del proprietario il quale, infatti, può liberarsi se dimostra di aver curato la manutenzione e di non avere responsabilità sotto il profilo della costruzione.[677]
Da altra prospettiva si fa notare che se l’art. 2053 c.c. sembra concentrarsi sul proprietario, l’art. 2051 c.c. configurando l’ipotesi del danno cagionato dalle cose in custodia sembrerebbe chiamare in gioco il conduttore (e quindi, nel nostro caso, l’utilizzatore).
Infine, se si prende in considerazione il leasing immobiliare di beni da costruire l’operazione si complica posto che la locazione finanziaria non è funzionalmente collegata con una vendita e, cioè, con un contratto ad esecuzione istantanea, ma con l’appalto d’opera.
Se è vero che la proprietà dell’opera da costruire confluirà nel patrimonio del concedente-committente, il destinatario finale della prestazione di risultato dell’appaltatore è l’utilizzatore. Si intuisce allora la ragione di scelte ben precise che emergono anche da una sommaria lettura dei formulari impiegati nella prassi. In essi,[678] infatti, l’utilizzatore chiede ed ottiene di scegliere l’impresa appaltatrice, quelle fornitrici dei vari materiali necessari alla costruzione e il direttore dei lavori. A fronte di queste facoltà evidentemente vi sono dei precisi accordi sulla distribuzione dei rischi derivanti dall’inadempimento. Sempre in questo solco si pongono le clausole che chiamano l’utilizzatore alla cura predisposizione ed elaborazione dei disegni, progetti esecutivi e particolareggiati o, ancora, la disposizione secondo cui “L’utilizzatore si assume in ogni caso l’obbligo di controllare, con la massima diligenza, la corretta esecuzione di tutte le opere, ponendo particolare cura alla loro piena conformità alle norme di legge e di regolamento al rispetto delle previsione del piano, delle modalità esecutive stabilite dalla concessione edilizia, ecc. nonché all’osservanza della buona tecnica costruttiva e deve direttamente e costantemente vigilare sulla situazione economica finanziaria ed imprenditoriale delle imprese, altri incaricati e fornitori cui sia stata affidata l’esecuzione dell’opera, così come sulla loro capacità di iniziarla, proseguirla e portarla a termine…”.[679]
Da un punto di vista più ampio, poi, le legislazioni degli altri paesi si riferiscono solo al leasing mobiliare. Talvolta però viene appositamente menzionato il leasing immobiliare, come nella legge Turca oppure in quella della Repubblica di S. Marino, con, in alcuni casi, un barlume di disciplina: è il caso delle legge francese.
In Italia, l’art. 17 della citata legge sul Mezzogiorno, menziona esplicitamente anche gli immobili, adibititi però ad uso industriale e perciò come beni aziendali (questa interpretazione discende dalla ratio legis e dalla sua struttura; nello stesso senso il D. M. 23 luglio 1980 in tema di leasing nel commercio) . Di immobili adibiti esclusivamente a tale uso parla anche la legge portoghese, all’art. 3. [680]
6. (segue): …il leasing di autoveicoli di navi e di aeromobili
La locazione finanziaria di autoveicoli,[681] navi[682] ed aeromobili[683] (quest’ultima nelle diverse forme conosciute di US aircraft Leasing, Leveraged lease, UK aircraft Leasing, French aircraft Leasing e German aircraft Leasin)[684] si caratterizza semplicemente per il regime pubblicitario cui sono sottoposti i beni oggetto del contratto e per la peculiare piattaforma di responsabilità prevista dalle leggi speciali.
Nell’ordinamento italiano l’art. 91 del C.d.S. stabilisce che i veicoli siano immatricolati a nome del concedente, ma che sul libretto di circolazione sia annotato il nome dell’utilizzatore congiuntamente al giorno di scadenza dell’operazione. Naturalmente l’accorgimento serve a riconoscere nel locatario uno dei debitori solidali in caso di danni da circolazione del veicolo e in caso di irrogazione di sanzioni amministrative.
Per quanto riguarda le navi e gli aeromobili,[685] il codice della navigazione prevede una netta separazione tra proprietario-concedente e armatore della nave o esercente del veicolo. Il primo è tenuto a subire solo i provvedimenti che dovessero incidere sulla disponibilità del bene, mentre per tutti gli altri rischi e responsabilità bisogna far capo ad armatore o esercente.
7. (segue): …leasing di beni immateriali quale interessante tendenza evolutiva del contratto. In particolare: leasing del software e del marchio.
Al punto in cui si è pervenuti deve essere chiara la versatilità della operazione di leasing che costituisce anche una delle principali ragioni del suo successo negli ordinamenti continentali. La diffusione di contratti che hanno ad oggetto opere d’arte, aeromobili, navi, vigneti[686]… ha innescato la discussione[687] su quali dovessero essere le caratteristiche essenziali almeno delle componenti oggettive del regolamento d’interessi.
Tra i problemi attuali del leasing vi è la necessità o meno che oggetto del contratto sia un bene mobile o immobile, fisicamente individuabile. Autorevole dottrina[688] ha ritenuto di recente che, posto che il leasing il finanziamento si attua non con la dazione di una somma di denaro ma con l’attribuzione di una utilitas, la cosa dedotta quale oggetto del contratto potrebbe anche non necessariamente identificarsi in un bene fisicamente individuabile, ma in un bene immateriale o in un servizio.
Superata ormai la convinzione che oggetto del contratto in questione possa essere solo un bene materiale (mobile od immobile), si fa strada il leasing dei beni immateriali attraverso sapienti e sofisticati accorgimenti agevolati dalla duttilità dello schema negoziale.
Essi riguardano la corretta individuazione del bene oggetto del contratto di finanziamento. Ricordiamo che qualsiasi entità suscettibile di essere oggetto di diritti ai sensi dell’art. 810 c.c. può essere considerata una bene in senso giuridico. I beni immateriali realizzano un apporto creativo essendo frutto di una creazione intellettuale. In più, seconda caratteristica, sono suscettibili di essere riprodotti in un numero di esemplari indefinito.[689]
Un bene immateriale, per le ragioni esposte, può essere dedotto in un contratto di leasing quale suo oggetto. Ciò solo quando può essere acquisito in proprietà dalla società concedente, ovvero quando questa acquisti la titolarità di un diritto assoluto che può successivamente trasferire all’utilizzatore, nel caso eserciti l’opzione finale di acquisto. Chiaramente tutto ciò non si verifica se l’oggetto del trasferimento dal fornitore alla società concedente è una semplice concessione o licenza d’uso.[690]
Circa la configurabilità di un contratto di leasing rispetto al programma per elaboratore (software),[691] la questione cui bisogna porre attenzione è la natura giuridica dell’oggetto del contratto per stabilire se sia qualificabile come bene immateriale o come servizio.[692] Infatti solo nel primo caso sarà possibile parlare di leasing.
Il legislatore italiano con il D. Lgs. n. 518/1992, attuativo della Dir. 91/250/CEE, ha equiparato i programmi per elaboratori alle opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura. Così, le problematiche connesse alla vendita del software confluiscono nel campo di quelle relative alla cessione dei diritti di utilizzazione dell’opera di un autore. Per individuare la natura giuridica del software occorre definire il c.d. “programma sorgente”,[693] ovvero la descrizione del programma, scritta dall’uomo in linguaggio macchina, che non ha utilità alcuna se non incorporato nell’elaboratore che ne consente l’utilizzazione: bisogna, dunque, considerare unitariamente programma sorgente e programma operativo, tralasciando il supporto meccanico il quale a sua volta è inutilizzabile senza i primi.[694]
Il software è il portato di dell’attività creativa che si concreta in un supporto da applicare all’elaboratore per consentirne il funzionamento. Laddove, invece si identificasse il software col supporto materiale non si porrebbe alcun problema di qualificazione come bene giuridico: esso si identificherebbe con l’hardware che lo incorpora.[695] Ma è il caso di precisare che il legislatore del 1942 non sottovaluta l’importanza di quelle entità che sfuggono al concetto di materialità e che manifestano attitudine a fornire un’utilità che soddisfa determinati interessi dell’uomo.
La disciplina sulle creazioni intellettuali, infatti, riserva ai titolari dei beni immateriali un ius excludendi simile, mutandis mutantis, a quello dei titolari di beni materiali sempre che tale creazione si sia manifestata nella pubblicazione (vale a dire si stata incorporata).
È così che, in via astratta, la dottrina[696] ha tendenzialmente escluso la possibilità che la funzione di finanziamento propria del contratto di leasing possa trovare spazio anche con riferimento ai programmi per elaboratore.
In realtà, deve notarsi che in alcuni casi piuttosto marginali si profila l’utilità di acquisire la disponibilità di un software senza dover affrontare il pesante onere economico come nel caso in cui il programma non sia standardizzato e prodotto in serie, oppure debba essere calibrato ad hoc sulle esigenze dell’utilizzatore.[697]
In ogni caso la pratica del leasing di software non ha precedenti in Italia, mentre nessun problema si è posto nei Paesi di common law, ove il leasing ha radici molto più profonde e non comprende l’opzione di acquisto finale.
In Francia,[698] la dottrina nega la possibilità che il crédit-bail possa avere ad oggetto un software per la mancanza di due presupposti fondamentali (l’acquisto in vista della locazione da parte del concedente[699] e, di conseguenza, l’opzione finale d’acquisto), così che potrebbe prospettarsi la possibilità[700] (con una sofisticheria che non fa altro che invertire l’ordine dei fattori) che il titolare dei diritti sul software ceda in licenza il programma all’utilizzatore, il quale, a sua volta, dovrebbe trasferire il solo godimento dei diritti acquistati alla società di leasing mediante un contratto di crédit-bail.
Altre ipotesi da considerare, ai fini della completezza della presente dissertazione e il leasing dei segni distintivi ed, in particolare, del marchio.
La nozione legislativa di marchio è desumibile da una serie di norme, contenute nel codice civile e nella legislazione speciale: esso è ritenuto il più importante tra i segni distintivi e, in quanto tale, deve essere idoneo a consentire al pubblico di distinguere i prodotti o servizi di un imprenditore da quelli di un altro.[701] Si tratta di un fondamentale “strumento di comunicazione, informazione e concorrenza”.[702]
In quanto segno distintivo, in linea di massima il marchio può essere considerato come un’entità priva di valore in sé e tutelata solo in funzione del suo accreditamento sul mercato. Tuttavia, proprio tale accreditamento consente di affermare come il valore del marchio non si esaurisca in una funzione meramente distintiva, ma esplichi una vera e propria funzione attrattiva, riconosciuta sia dalla riforma della normativa sui marchi nel 1992 sia dal nuovo Codice della Proprietà Industriale.
È chiaro che il esso assuma nelle relazioni commerciali un valore strumentale elevatissimo, ponendosi come elemento fondamentale dell’avviamento oggettivo e del valore di una azienda. Non stupisce, quindi, come un segno distintivo che veicoli valori economici rilevanti possa essere visto come oggetto virtuale di un contratto di locazione finanziaria.
L’ipotesi profila un’operazione particolare sia per l’oggetto del contratto sia per la necessità di conciliare le diverse normative settoriali che, se presenti, potrebbero creare delicati profili di frizione che sarà bene evidenziare.
Innanzi tutto, in passato si è posto il problema della titolarità del marchi in ragione di una disciplina decisamente restrittiva in ordine alla sua libera circolazione. Ci si è chiesto se un imprenditore finanziario possa validamente acquisire, in relazione ad un marchio d’impresa registrato per prodotti o per servizi non affini ai suoi, la posizione di lessor.[703]
La riforma intervenuta con il D. Lgs. n. 40/92, confermata sul punto dal nuovo Codice della Proprietà Industriale, ha modificato il testo del precitato art. 22 della legge sui marchi: “Può ottenere una registrazione per marchio d’impresa chi lo utilizzi, o si proponga di utilizzarlo, nella fabbricazione o commercio di prodotti o nella prestazione di servizi della propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso”. Il che equivale a dire che chiunque, anche chi non sia imprenditore né intenda diventarlo, possa validamente registrare un marchio, con l’unico limite della volontà di destinarlo ad essere usato come tale e per diverse finalità.
La riforma ha inoltre abbandonato la regola della cessione vincolata alla contestuale cessione dell’azienda, e il trasferimento può avere ad oggetto anche il solo marchio isolatamente considerato. Di conseguenza, in base a quanto disposto dagli artt. 2573 c.c. e 15 della legge marchi[704], il marchio può essere liberamente trasferito, così come può essere concesso in licenza, purché da tali operazioni non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico.
Concludendo sul punto, non sembra si possano avere dubbi sulla piena legittimità di un’operazione di leasing avente ad oggetto il segno distintivo. Infatti, la conclusione di un contratto di leasing non induce una manipolazione delle funzioni proprie del marchio con pericolo di inganno al pubblico,[705] in quanto questo continuerà a contrassegnare i beni dell’impresa che produce o commercializza il prodotto e\o servizio identificato dal marchio dell’impresa che lo utilizza e continuerà ad utilizzarlo.[706]
Il pericolo di inganno al pubblico diviene attuale se la cessione ha ad oggetto un marchio generale:[707] in tal caso, infatti, viene in rilievo una funzione diversa del segno, ovvero quella comunicativa di origine del prodotto (beninteso, non della qualità)[708], in quanto elemento sostanziale di coerenza dei prodotti tra loro diversi che recano tutti lo stesso marchio (generale, appunto).
In tale ipotesi, la soluzione per evitare l’insorgere dell’inganno al pubblico potrebbe essere la cessione del marchio generale unitamente alla cessione dell’azienda oppure un’adeguata informazione al pubblico sulla circostanza che la cessione riguarda il solo segno distintivo. A tale discorso si collega quello delle garanzie da prevedere opportunamente in sede contrattuale: la capacità attrattiva del marchio e il suo valore economico, strettamente collegato alla qualità dei prodotti e la circostanza che non intervengano eventi che ne deteriorino l’immagine, giustificano la configurazione in capo al concedente di poteri ispettivi e di controllo.
Tra i pericoli che vanno segnalati vi è anche quello per cui il marchio oggetto di leasing venga utilizzato in altri settori merceologici.[709] È possibile, poi, che l’attività dell’utilizzatore fletta in relazione alla originaria posizione di mercato così da influenzare l’immagine di quel marchio sul mercato.
Queste ipotesi riconducibili a responsabilità dell’utilizzatore, aprirebbero la strada all’azione del concedente verso il lessee per la perdita di valore del marchio e a quella del titolare originario del marchio che legittimamente lo utilizza in altri settori e che sarebbe pregiudicato dalla delicata vicenda. In tali casi sembrano, dunque, potersi applicare de plano le norme previste per le fattispecie di licenza.
Nel caso di licenza esclusiva dunque al titolare-licenziante resta solo la titolarità del diritto di marchio, ma egli è legittimato ad agire in giudizio in difesa[710] del marchio sia contro le contestazioni della sua validità e/o efficacia sia contro le contraffazioni. Stessa legittimazione spetta al licenziatario esclusivo. Non è invece rinvenibile in capo al licenziatario non esclusivo, per il quale la legge si limita solo a stabilire l’obbligo contrattuale di uniformità qualitativa ex art. 15, co. 2.
Le ipotesi prospettate lumeggiano quale debba essere l’attenzione necessaria nella redazione concreta di tali regolamenti d’interesse e sarebbe necessario, per le parti,cautelarsi le une verso le altre con le opportune garanzie in sede negoziale.[711]
Altro problema è posto dalla decadenza del diritto di marchio in caso di mancato utilizzo da parte di un titolare o di un suo avente causa per un periodo di cinque anni (salvo legittimo motivo). Si può ipotizzare, per es., che il concedente si imbatta in un’ipotesi di mancata utilizzazione oppure debba far fronte alla risoluzione del contratto o al mancato esercizio dell’opzione.
Cosa può accadere in tali ipotesi? In caso di mancato esercizio del diritto di opzione, la concedente si ritroverebbe proprietaria di un marchio non direttamente utilizzabile, ma è pur vero che le norme sopra citate della nuova legge marchi consentono un facile ricollocamento sul mercato, come cessione, rilocazione e così via. Tuttavia nella pratica potrebbe accadere che il valore del segno si ritrovi modificato da eventi assolutamente imprevedibili al momento della stipula del contratto e il concedente sopporterebbe il rischio di ritrovarsi, alla sua scadenza, titolare di un marchio privo di valore.
In dottrina,[712] è stata proposta in tal caso la previsione di un patto di riacquisto a carico del concedente il marchio ad un prezzo prestabilito, qualora l’utilizzatore non eserciti l’opzione finale di acquisto oppure risulti inadempiente.
In caso di inadempimento dell’utilizzatore e conseguente risoluzione del contratto è fondamentale impedire che l’utilizzatore continui indebitamente a fare uso del marchio sul quale non ha più alcun diritto. In tal caso, però, dovrebbero operare le ordinarie norme in tema di contraffazione ponendosi l’utilizzatore come un terzo rispetto al monopolio del segno da parte del legittimo proprietario.
Tra le patologie del contratto, da ultimo, è utile menzionare l’ipotesi del fallimento dell’utilizzatore: sembra, in questo caso, ragionevole affermare che il curatore non abbia altra scelta che sciogliere il contratto, dato l’evidente intuitus personae che lo caratterizza, salva l’autorizzazione alla continuazione dell’impresa.
Attualmente, data la carente esperienza italiana, può facilmente profilarsi un grumo di difficoltà e diffidenze verso l’applicazione di questo strumento nel nostro ordinamento in riferimento al marchio e al software, mentre, invece, se ne rileva la presenza negli Stati Uniti e in Inghilterra.[713] Se la causa di finanziamento che caratterizza il leasing ben potrebbe applicarsi ai programmi per elaboratore non possono negarsi le difficoltà oggettive collegate alla immaterialità e non incorporazione di tali beni giuridici. Anzi, sembra che gli ostacoli di ordine giuridico siano eludibili, mentre non si può dire lo stesso per i rischi di tipo pratico connessi soprattutto al regime della responsabilità e delle garanzie.
Non dovrebbe profilarsi, però, un serio deterrente per le società di leasing più ambiziose e dinamiche, le quali negli ultimi anni hanno aggredito i settori più disparati (si pensi, ad esempio, al leasing azionario, di opere cinematografiche, di vigneti e così via).
Le considerazioni sin qui svolte sembrano confermare che la questione cruciale del leasing di beni immateriali sia essenzialmente di ordine tecnico-contrattuale e che essa debba essere risolta grazie ad una sapiente alchimia di tutti gli interessi in gioco e con una meticolosa disciplina di garanzie adeguate all’importanza dei beni oggetto del contratto
8. (segue): … il leasing azionario. Il fenomeno dell’alterità subbiettiva tra il socio-concedente e l’utilizzatore-titolare dei diritti amministrativi e patrimoniali. La locazione finanziaria di azioni da parte della stessa società emittente e il venture leasing: i vincoli di legge relativi alle operazioni su azioni proprie e la loro interpretazione.
Il leasing delle azioni di una società di capitali (società per azioni o società in accomandita per azioni) è un operazione che mette alla corda la naturale versatilità e malleabilità della locazione finanziaria.[714] Esso consente ad una società di leasing di concedere, verso corrispettivo, in locazione finanziaria alla stessa società emittente oppure ad altro soggetto azioni con facoltà di riscatto per l’utilizzatore alla scadenza del contratto.[715] Dovrebbe, inoltre, rientrare nell’ambito della categoria del c.d. leasing traslativo posto che l’oggetto non smarrisce l’attitudine a rendere utilità allo scadere del contratto.[716]
L’azione costituisce una quota rappresentativa della partecipazione dei soci all’ente sociale caratterizzata dai requisiti dell’autonomia, omogeneità, standardizzazione ed indivisibilità.[717] Ogni azione costituisce titolo per l’esercizio di diritti di natura patrimoniale ed amministrativa per cui la circolazione di un pacchetto azionario può non solo determinare vantaggi di carattere economico a favore del detentore, ma può anche dar luogo alla modificazione degli equilibri interni alla compagine sociale.
Deve essere aggiunto che, considerando che l’azione rappresenta una frazione del capitale sociale pari al valore nominale, essa non proietta adeguatamente il peso economico di una partecipazione societaria ove il patrimonio netto normalmente è ben più pingue del capitale sociale che di esso rappresenta solo una posta (almeno nelle imprese societarie che abbiano accumulato riserve e utili non distribuiti).
Le azioni, poi, costituiscono lo strumento per la circolazione delle partecipazioni societarie di cui incorporano i diritti e seguono le regole di trasferimento dei titoli di credito nominativi (artt. 2021-2027 c.c.). Peraltro, la circolazione basata sul trasferimento materiale dei titoli sta cedendo il passo a quella dematerializzata[718] legata al sistema delle registrazioni contabili in quanto considerata maggiormente sicura.
Le azioni possono essere anche oggetto di vincolo giuridico[719] come quando vengono costituite in pegno o date in usufrutto. L’equilibrio ai fini dell’esercizio dei diritti patrimoniali e amministrativi tra usufruttuario e nudo proprietario e tra creditore pignoratizio e debitore pignorato è stabilito dal codice civile all’art. 2352. In particolare, nel caso di pegno,[720] il diritto di voto, salvo diverso accordo tra le parti, spetta al creditore pignoratizio. Ciò, nel silenzio della legge, dovrebbe valere anche per il diritto alla percezione degli utili. Per quanto riguarda il diritto d’opzione, che manifesta natura patrimoniale e nello stesso tempo amministrativa, esso spetta al socio-debitore pignoratizio e solo in caso di sua inattività esso va alienato.[721] Per quanto riguarda l’ipotesi dell’usufrutto[722] su azioni, il diritto di voto e quello alla percezione degli utili spetta all’usufruttuario, ma è ammessa convenzione contraria. Solo il diritto d’opzione spetta al nudo proprietario che ove dovesse rimanere inattivo assisterebbe alla vendita delle azioni per suo conto.[723]
Ancora diversa è la disciplina legislativa del sequestro giudiziario[724] da parte di chi pretenda di avere la titolarità delle azioni. Il diritto di voto spetta al custode con i vincoli che il giudice della cautela impone nel provvedimento di sequestro; anche i diritti patrimoniali vengono gestiti dal custode secondo le direttive dell’autorità giudiziaria.
È forse possibile enucleare delle linee comuni emergenti dalla disciplina delle fattispecie del pegno, dell’usufrutto e del sequestro giudiziario su azioni: si tratta della concorrenza di interessi diversi in capo al proprietario dei titoli e a chi esercita i diritti patrimoniali ed amministrativi. Non vi è dubbio che tale separatezza[725] ricorra anche nell’ipotesi di leasing su titoli.
Va ulteriormente ricordato che la legge pone severi limiti alla sottoscrizione di azioni proprie e alle sottoscrizioni reciproche, tanto che sarà necessario osservare un meticoloso rispetto di queste norme nell’ipotesi in cui la società emittente figuri nell’operazione di leasing come utilizzatore di azione proprie o di partecipazioni incrociate con altre società coinvolte.
I pochi elementi sinteticamente rappresentati mettono subito in evidenza quanto sia ardua un’operazione di locazione finanziaria di tal fatta, ma, nonostante tutto, la difficoltà di reperire finanziamenti per la conquista di pacchetti azionari,[726] la convenienza che deriva alle società emittenti dal godimento di azioni proprie senza affrontare esborsi pari al valore di mercato e la duttilità dello strumento negoziale alimentano una notevole attenzione degli operatori e degli studiosi. L’ammissibilità dell’operazione non dovrebbe essere esclusa anche nel caso in cui l’emittente si ponga come utilizzatore delle proprie azioni essendo l’operazione riconducibile allo schema del sale and lease back, ma è chiaro che le complicazioni pratiche sono insidiose ed è necessario assumere tutti gli accorgimenti per schivare il divieto di sottoscrizione di cui al citato art. 2357 quater. Lo stesso dovrebbe valere anche nel caso più complesso del venture leasing[727] che coinvolge tre soggetti: la società di leasing sottoscrive l’aumento di capitale deliberato dalla società bersaglio per concederlo ad altra società finanziaria; quest’ultima si obbligherebbe a trasferire le azioni alla società emittente solo dopo l’esercizio del diritto di riscatto.
Una corretta impostazione del problema si ottiene muovendo dalla affermazione della causa di finanziamento del contratto di leasing[728] anche ove esso abbia ad oggetto dei titoli azionari. L’utilizzatore ottiene la disponibilità di un pacchetto azionario esercitando il diritto di partecipare alle assemblee e votando[729] oltre a percepire gli eventuali utili[730] in distribuzione mentre un terzo (banca o impresa finanziaria) finanzia l’operazione. Nel caso del citato lease back,[731] invece, sarebbe la stessa società emittente ad ottenere il finanziamento (da impiegare nell’attività produttiva) senza chiedere ai soci la liberazione integrale di azioni di nuova emissione in corrispondenza di un aumento di capitale.
Lo sforzo economico per la conquista istantanea di una partecipazione societaria verrebbe diluito nel pagamento periodico dei canoni di leasing. Se la questione viene posta in questi termini ci si sottrae alle blandizie delle ricostruzioni tradizionali che suggeriscono di attribuire all’operazione una rassicurante fisionomia quale quella di una locazione con opzione di vendita irrevocabile.[732]
Le ragioni di una certa diffidenza manifestata dalla dottrina tradizionale rispetto all’operazione di cui si discute è probabilmente riconducibile al fenomeno dell’alterità subbiettiva che corre tra la titolarità della proprietà e quella dei diritti collegati al possesso delle azioni. Durante lo svolgimento del rapporto, la società che risulta proprietaria delle azioni e formalmente socia sarebbe diversa dal titolare dei diritti collegati allo strumento finanziario.
In realtà, il nostro ordinamento conosce altre ipotesi (pegno, dell’usufrutto, sequestro giudiziario), all’uopo evocate supra, in cui si registra la stessa caratteristica separatezza. Così, nel caso del leasing azionario, la prioritaria preoccupazione della parti dovrà essere quella di regolamentare[733] dettagliatamente la distribuzione dei diritti. Possono farsi, al riguardo alcune considerazioni: nella pratica, l’utilizzatore promuove un’operazione di leasing azionario per ottenere immediatamente la disponibilità di un pacchetto azionario senza sostenerne il collegato sforzo finanziario che viene diluito nel tempo. È chiaro, quindi, che mai rinuncerebbe alle utilità che derivano normalmente dalla partecipazione societaria ed, in particolar modo, al diritto di partecipazione alle assemblee, al diritto di voto (e di nomina e revoca degli amministratori), al diritto alla percezione degli utili. Viceversa, la società concedente, fermo il valore di mercato delle azioni destinate a tornare nella sua piena disponibilità in caso di mancato riscatto, non dovrebbe manifestare nessun interesse alla gestione dell’impresa sociale.[734]
È già stato notato che le azioni seguono le regole della circolazione dei titoli di credito nominativi, per cui sorge il problema della compatibilità del sistema della doppia annotazione con il fenomeno della alterità subbiettiva tra concedente e utilizzatore. In analogia con quanto si verifica per il pegno e l’usufrutto, si potrebbe immaginare di annotare nel libro soci come azionista la società di leasing che risulterebbe proprietaria anche dal dato letterale del titolo cartaceo (ove esistente)[735], mentre i soli diritti dell’utilizzatore dovrebbero risultare sia dai libri sociali che dal tenore letterale delle azioni.[736]
Alcuni punti di frizione sorgono, tuttavia, ove si rifletta che in alcuni statuti societari, al fine di salvaguardare l’omogeneità della compagine sociale, sono previsti dei vincoli rispetto alla libera circolazione delle azioni: le c.d. clausole di prelazione[737] o di gradimento.[738]
Nel primo caso, si pone la necessità di una rinuncia di tutti i soci che avrebbero diritto di prelazione e tale atto dovrebbe valere sia per il trasferimento alla concedente sia per quello alla emittente all’esito dell’esercizio dell’opzione. Per quanto riguarda le clausole di gradimento dovrebbero essere interpretate restrittivamente e considerate operanti solo nelle ipotesi in cui il trasferimento minaccerebbe la omogeneità della compagine sociale.[739]
Alla luce delle considerazioni esposte sembrerebbero chiariti anche i profili del leasing di azioni di propria emissione o del venture leasing. Il punto cruciale è interpretare e rispettare i vincoli di legge volti ad evitare la creazione di paraventi societari. Tali limiti[740] (art. 2357 e art. 2357 quater) possono così brevemente essere enucleati: a) è previsto solo l’impiego delle riserve disponibili e degli utili distribuibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato; b) il valore nominale delle azioni proprie da acquistare o sottoscrivere non deve mai superare la soglia di un decimo del capitale sociale; c) i titoli devono essere interamente[741] liberati; d) l’acquisto deve essere deliberato dalla assemblea in sede ordinaria che fissa il c.d. contenuto minimo dell’operazione.[742] Vi è, inoltre, l’art. 2357 ter che prevede limiti inderogabili alla disponibilità di azioni proprie, alla percezioni degli utili, all’esercizio del diritto d’opzione per l’ipotesi di nuova emissione e il congelamento del diritto di voto per evitare l’alterazione degli equilibri societari.
In particolare, in riferimento alla clausola sub a) dovrebbe facilmente avvertirsi l’ostilità del calcolo del costo dell’operazione per non sforare il limite delle riserve disponibili e degli utili distribuibili da ultimo bilancio. Gli ostacoli derivano dal fatto che il legislatore ha preso in considerazione un’operazione che perfeziona istantaneamente ed unitariamente, ma, nel leasing la società emittente-utilizzatrice versa i canoni periodicamente spalmandoli nel tempo e paga solo alla fine del rapporto il prezzo di riscatto. Data l’assenza di decisioni giurisprudenziali, gli osservatori[743] si attestano su posizioni di estrema prudenza che, tuttavia, hanno l’inconveniente di erodere notevolmente i margini operativi dell’istituto. Si sostiene la necessità di considerare ai fini del calcolo del costo dell’operazione il prezzo di riscatto e il valore complessivo dei canoni. Per evitare lo sforamento di cui sopra, inoltre, le riserve disponibili devono coprire l’intero costo e si devono conservare integre senza mai flettere raggiungendo livelli inferiori dell’onere economico che la società sostiene, anche se esso è diluito nel tempo.[744]
Ma se le cose stanno in questo modo la stipulazione del contratto di leasing su proprie azioni impedirebbe alla società di procedere ad un aumento gratuito di capitale che si ottiene imputando le riserve a capitale sociale. Sommessamente si potrebbe suggerire di evitare irrigidimenti eccessivi che avrebbero il solo effetto di ridurre la sfera di operatività di questa interessante forma di finanziamento per le imprese e riflettere sul fatto che in sede di aumento gratuito del capitale il patrimonio netto della società non varia perché è interessato da uno spostamento di masse interne e le azioni locate subirebbero una proporzionale flessione.[745]
In relazione a punto sub b), poi, bisogna capire su quale valore calcolare la soglia del dieci per cento, visto che la società di leasing non è tenuta a rispettare alcun limite quando acquista titoli di altro ente collettivo. Allora l’attenzione si sposta dal momento in cui l’operazione viene promossa a quello in cui la società emittente ha facoltà di far proprie le azioni con il riscatto, quindi quello della scadenza del contratto. Ma a questo punto i titoli potrebbero aver subito delle oscillazioni di valore e il capitale sociale potrebbe essere stato oggetto di aumento reale o di riduzione per perdite.
Probabilmente la soluzione che meglio può servire a lubrificare un’operazione per altri versi complicata è quella impiegata nell’acquisto di azioni proprie tramite società fiduciaria e, cioè, quella di osservare il limite legale sia in sede di conclusione del contratto sia in sede di riscatto.[746] Qualora poi si volesse osare, nel rispetto dello spirito della legge che impone di non eludere attraverso le operazioni su azioni proprie l’impegno che i soci assumono con la sottoscrizione del capitale sociale e il vincolo che deriva dall’effettuazione del conferimento, si potrebbe valorizzare la fase in cui è esercitato il diritto di riscatto essendo solo questo il momento in cui la società emittente diviene proprietaria dei propri titoli dopo aver rimborsato alla società di leasing il loro prezzo originario attraverso il pagamento dei canoni e del prezzo finale.
Infine, con riferimento al requisito sub d), ed in particolare, al lasso temporale di efficacia dell’autorizzazione all’operazione deliberata dalla assemblea ordinaria deve riflettersi sul fatto che il limite dei diciotto mesi va riferito solo alla dinamica interna senza coinvolgere la durata del contratto di leasing. Ciò significa che gli amministratori hanno diciotto mesi di tempo dalla deliberazione dell’autorizzazione per promuovere l’operazione, ma essa può dispiegarsi anche oltre tale termine e il diritto di riscatto, all’esito del quale la società emittente acquisisce formalmente le proprie azioni, può essere esercitato ben oltre tale termine. Ragionare diversamente significherebbe tendere anche inconsapevolmente per l’inammissibilità dell’operazione nell’ordinamento italiano.[747]
In conclusione è possibile riconoscere che la realizzazione della funzione di finanziamento può incontrare degli ostacoli collegati alla peculiare natura dei beni il cui acquisto è finanziato. Si pensi al leasing di azioni proprie di una società che veda ridursi per perdite il capitale sociale o che decida di distribuire le riserve disponibili o che divenga irreversibilmente insolvente…[748]
I casi descritti, tuttavia, rappresentano una fenomenologia patologica che può rintracciarsi in relazione a qualsiasi contratto e anche con riferimento a schemi di locazione finanziaria che abbiano ad oggetto beni più rassicuranti delle azioni. A ben guardare, infatti, non siamo molto distanti dalle ipotesi di cui si è detto in tema di danneggiamento o perimento del bene in godimento all’utilizzatore. Pertanto, il caso di distribuzione delle riserve da parte della società emittente-utilizzatrice dovrebbe assomigliare a quello di danneggiamento del bene da parte dell’utilizzatore e quello di fallimento all’ipotesi di distruzione totale del bene.
9. B) Schema dell’operazione. Leasing convenzionato.
Si parla di leasing convenzionato quando la società concedente si impegna preventivamente con i fornitori a concludere contratti di locazione finanziaria, al di sotto di un importo massimo predeterminato, con tutti gli utilizzatori che si rivolgeranno all’organizzazione di vendita dei produttori (si pensi al settore degli autoveicoli).[749] In tal caso l’imputazione dei rischi relativi alla compravendita in capo all’utilizzatore risulta assai problematica soprattutto con riguardo alla portata delle obbligazioni di garanzia a carico del fornitore e della società concedente, tra i quali del resto vi è un accordo contrattuale preventivo.[750]
10. (segue): …il leasing operativo.
Il leasing operativo,[751] detto anche leasing “diretto” o “del produttore”, non porta in dote problemi qualificatori, pertanto sarà sufficiente limitarsi a determinare lo schema contrattuale da applicare per evitare di incorrere in dannose confusioni con la locazione finanziaria.
In esso i beni sono concessi in godimento direttamente dal produttore, che si obbliga ad erogare parallele prestazioni di servizi quali l’assistenza tecnica, la manutenzione…[752] In genere esso ha ad oggetto beni strumentali standardizzati[753] come macchine fotocopiatrici o personal computers. La struttura dell’operazione è bilaterale e la durata del contratto è più breve della vita economica dei beni che ne costituiscono l’oggetto, destinati generalmente a nuove utilizzazioni;[754] i canoni sono commisurati al valore d’uso.
La dottrina pacifica[755] fa confluire il contratto in questione nello schema della locazione pura, assoggettandolo alla relativa disciplina inderogabile compreso l’art. 1526 qualora sia prevista un’opzione d’acquisto alla scadenza del contratto.[756]
Le ragioni di questa scelta risiedono tutte nel diverso profilo funzionale evidenziato nel contratto de quo che rivela una causa di godimento e non di finanziamento. Ciò detto, la disciplina e gli equilibri negoziali relativi alla responsabilità[757] per danneggiamento e perimento della cosa non potrebbero che essere quelli della locazione semplice.[758]
11. (segue): …il sale and lease back o leasing di ritorno. L’immotivata ostilità di parte della dottrina e giurisprudenza italiana e la liceità dell’operazione alla luce della causa di finanziamento che, riflettendosi sulla struttura dell’operazione impedisce l’assimilazione con le alienazioni a scopo di garanzia.
Il comparatista che volesse cimentarsi nel paragonare l’esperienza italiana sul lease back a quella vissuta negli ordinamenti stranieri si troverebbe nella impossibilità evidente di condurre qualsivoglia indagine.
Negli Stati Uniti il regolamento di cui si discute si è affacciato sul mercato[759] già nella metà degli anni ’40, mentre nel nostro paese si è dovuto attendere il 1976 perché si promuovesse la prima operazione di questo tipo su un ipermercato.[760]
Di solito le leggi straniere che disciplinano il contratto di leasing si limitano al leasing finanziario; solo raramente le legislazioni sulla materia trainano anche il lease back.[761] È il caso della legge greca,[762] col secondo comma dell’art. 1.
Al lease back si è deciso di dedicare spazio maggiore rispetto alle altre applicazioni del contratto in questione, pure degne di interesse, visto anche l’originale esperienza italiana. È bene, infatti, premettere che un problema relativo alla ammissibilità e alla compatibilità con i principi generali dell’ordinamento del lease back può riscontrarsi solo in Italia, mentre in altri paesi, ad es. la Grecia, la questione non è all’ordine del giorno.[763]
Innanzitutto, la principale motivazione che rende tale contratto degno di interesse attiene alla circolazione dei modelli giuridici e alle difficoltà che questa potrebbe determinare posto che la figura contrattuale trae origine da altri ordinamenti e solo con la globalizzazione dei mercati si è diffusa nei nostri confini. Si tratta, infatti, di un contratto universalmente considerato valido. La storia del nostro paese però è stata diversa[764] per una pluralità di fattori tra i quali hanno influito anche l’isolamento rispetto al commercio internazionale, la debolezza della nostra economia rispetto a quelle dei paesi più forti…
Naturalmente i termini di paragone sono gli ordinamenti di Common Law “ che conoscono la distinzione tra proprietà giuridica (o formale) e proprietà economica (o sostanziale). Proprio grazie a tale distinzione il lease back ha riscosso larga fortuna nei Paesi anglosassoni, i cui ordinamenti sono altresì caratterizzati dall’apertura e dall’elasticità da parte dei teorici e dei pratici del diritto, a recepire in tipo contrattuale ogni combinazione predisposta dall’autonomia privata per le esigenza dei rapporti di commercio.
I risultati ottenuti nei Paesi di Common Law non sono irraggiungibili ed ad essi si può pervenire anche nell’ambiente giuridico continentale a patto di non guardare le vicende economiche con piglio formalista ed ostilità verso qualsiasi novità suggerita dal mondo degli affari.
Nel sale and lease back “un imprenditore vende propri beni (mobili, immobili o anche l’intero complesso aziendale) ad una società di leasing che ne paga il prezzo. Nel contempo, quest’ultima stipula col venditore un contratto di leasing avente ad oggetto gli stessi beni. Questi, quindi, restano nella disponibilità del venditore, che pagherà i canoni di leasing e potrà riacquistarli alla scadenza esercitando la relativa opzione”.[765]
La peculiarità risiede nella posizione del venditore del bene. Egli è lo stesso imprenditore che diventa utilizzatore del bene nell’ambito del contratto di leasing di ritorno stipulato contestualmente al contratto di vendita. In tal modo si ottiene la liquidità desiderata e si potenzia il capitale circolante dell’impresa monetizzando beni mobili ed immobili del complesso aziendale e conservandone la disponibilità.[766] Si tratta, quindi, di uno strumento di finanziamento che dal punto di vista economico ed operativo si fa apprezzare per la rapidità che non è una caratteristica degli altri canali di finanziamento bancario.
L’invalere di questo regolamento nel contesto ordinamentale italiano, come detto, ha sollevato dubbi sulla liceità dell’operazione. Si è parlato di un’operazione riconducibile alle vendite (con patto di riscatto) a scopo di garanzia; l’alienazione determinerebbe effetti immediati ma precari perché in grado di consolidarsi con l’inadempimento del debitore. In realtà, può ben dirsi che tale atteggiamento è stato il prodotto di una preconcetta ostilità rispetto ad un’operazione lontana dalla nostra tradizione, posto che pochi hanno invece sollevato obiezioni di ordine pratico sulla dimensione economica dell’operazione. Non è mancato chi[767] ha messo in guardia dai costi di istruttoria e di negoziazione oppure dal pericolo di impiegare il leasing di ritorno come ultima disperata opzione per evitare un’insolvenza ormai irreversibile che invece verrebbe solo obnubilata con grave pregiudizio dei creditori che vedrebbero svanire immobilizzazioni non riscattate.
La questione delle vendite a scopo di garanzia, in ogni caso, è molto risalente nel nostro ordinamento.
La dottrina degli anni ’60 si è interrogata sul perimetro operativo da riconoscere al divieto di patto commissorio. Quest’ultimo è previsto dall’art. 2744 c.c. in via generale e dall’art. 1963 in tema di anticresi. Si vieta il patto tra creditore e debitore in virtù del quale, in caso di inadempimento del secondo, il primo acquisterebbe la proprietà del bene dato in garanzia.
Lo stesso risultato di quest’accordo strangolatorio per il debitore si ottiene coordinando un contratto di mutuo con una alienazione con patto di riservato dominio (o anche con patto di riscatto): vendita a scopo di garantire la restituzione della somma mutuata.
In principio e tacendo di un’interpretazione dell’amministrazione finanziaria[768] poi smentita dai giudici tributari, una giurisprudenza[769] formalista e insensibile all’indagine della componente valutativa dei negozi, il regolamento di interessi, ha individuato un rassicurante criterio per discriminare tra una vendita a scopo di garanzia ed altra operazione lecita: l’osservazione del momento in cui si sarebbe prodotta la vicenda traslativa. Nel caso di trasferimento immediato della proprietà la vendita sarebbe stata inattaccabile e compatibile col divieto di patto commissorio, mentre ove la alienazione fosse stata differita nel tempo coincidendo col mancato pagamento dell’ultima rata di prezzo l’operazione avrebbe assunto i contorni della vendita a scopo di garanzia.
Da questo punto di vista è facile intendere che il leasing di ritorno si sottrae a qualsiasi censura, in quanto, negletta qualsiasi indagine del profilo causale dell’operazione, il trasferimento della proprietà dal venditore-utilizzatore al acquirente-concedente si verifica istantaneamente e non viene differito.[770]
La giurisprudenza non avrebbe potuto conservare questo agnostico orientamento per molto tempo. Infatti, nei primi anni ottanta esso è stato superato da una decisione epocale,[771] poi autorevolmente confermata dalle Sezioni Unite[772] della S.C., che ha posto le basi per una seria indagine valutativa del regolamento d’interesse programmato dalle parti volta a far emergere la funzione economico-individuale[773] del contratto che nel nostro caso non può che essere di finanziamento.
Alla luce di questo nuovo orientamento, il criterio discriminante per identificare le vendite a scopo di garanzia illecite per contrasto con il divieto di cui all’art. 2744 c.c. non è più quello del momento in cui si produce la vicenda traslativa del bene, ma lo scopo pratico-operativo che le parti hanno impresso alla loro piattaforma negoziale. Così si ha violazione del patto commissorio o frode alla legge nel caso in cui la funzione effettiva della alienazione sia quella di garantire il pagamento del debito da parte del venditore per l’esistenza di un nesso strutturale e funzionale tra i contratti di mutuo e di compravendita.
È stato inevitabile a questo punto che le opinioni sulla ammissibilità del leasing di ritorno si riposizionassero: da una parte, si è schierata la giurisprudenza[774] che ha visto nel contratto de quo un fenomeno di deviazioni dai principi dell’ordinamento irrecuperabile e lo ha considerato strutturalmente ed irreversibilmente contra legem. Da altra parte, si sono rifiutate le soluzioni generalizzanti[775] e si è distinto tra operazioni di leasing con limpida funzione di finanziamento e contratti “anomali”[776], lontani dal normotipo contrattuale, piegati alla realizzazione di una funzione di garanzia.
La dottrina italiana[777] ha avuto modo di mettere in evidenza gli elementi che escludono anche una lontana similitudine tra il leasing di ritorno e la vendita a scopo di garanzia: innanzi tutto, da un punto di vista strutturale,[778] la prima operazione non è sottoposta a condizione risolutiva o sospensiva collegata ad un qualsiasi inadempimento dell’utilizzatore; poi, nel sale back manca o comunque non è strutturalmente indispensabile un credito preesistete[779] da garantire; mancano precise anomalie che possono costituire indici sintomatici di illiceità come la sproporzione tra valore (elevato) del bene trasferito in proprietà alla società di leasing e prezzo (basso) pagato al venditore, posto che normalmente vi è proporzionalità tra l’oggetto del contratto e i canoni.[780]
La giurisprudenza non è rimasta insensibile a queste argomentazioni e ha sposato l’orientamento ormai maggioritario sopra riportato con una decisione che non ha lasciato strascichi. Muovendo dall’indagine del profilo causale del contratto la S.C.[781] ha fatto tesoro di tutte le opinioni che evidenziavano come la funzione di finanziamento si proietti sulla struttura dell’operazione imponendo l’essenzialità del trasferimento immediato della proprietà alla società di leasing e ha affermato che l’alienazione nel lease beck “non risulta piegata a scopo di garanzia, quale accessorio di un preesistente o concomitante mutuo, ma costituisce necessario presupposto per la concessione del bene in leasing”.
I successivi sviluppi giurisprudenziali[782] percorrono con sicurezza il solco già tracciato e, pertanto, si esclude che il sale and lease back sia preordinato per ragioni fisiologiche ad uno scopo di garanzia né, in particolare, alla fraudolenta elusione del patto commissorio, “pertanto –ha affermato la S.C.- pur dovendosi ammettere che il sale and lease back, come qualsiasi altro contratto, può essere impiegato per scopi illeciti e fraudolenti, deve tuttavia sottolinearsi che tale ultima ipotesi si realizza solo se, per le circostanza del caso concreto (difficoltà economiche dell’impresa venditrice legittimanti il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza; sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente che confermi la validità di tale sospetto), l’operazione si atteggi in modo da perseguire un risultato confliggente con il divieto sancito dall’art. 2744 c.c.”
L’autonomia strutturale e funzionale rispetto alla vendita a scopo di garanzia emerge con risalto anche se si riflette al fatto che in quest’ultima l’alienazione costituisce un mezzo secondario per la soddisfazione dell’interesse del creditore.[783] Tale considerazione dovrebbe anche fugare i dubbi sulla piena validità[784] di clausole in uso nella dinamica economica, oggetto di entusiastica menzione da parte di alcuni osservatori,[785] garanzie alle quali, in caso di risoluzione del contratto, il ricavato della vendita del bene, eccedente all’importo del credito, sarà imputato a credito dell’utilizzatore.[786] L’ipotesi riproduce il c.d. patto marciano per il quale, solo al termine del rapporto, si dà luogo alla stima del bene oggetto di garanzia al fine di legittimare la vicenda traslativa a favore del creditore, se il valore del bene sia equiparabile al valore del credito inadempiuto oppure per quantificare lo scarto. In questo modo il creditore potrebbe ottenere il bene semplicemente pagando la differenza senza pregiudizio per le ragioni del debitore non mortificato dallo squilibrio delle condizioni del contratto.
In realtà questa soluzione non sembra molto lontana dalla tecnica adottata dalla nuova legge fallimentare (art. 72 quater) per la quale, come visto in precedenza, nell’ipotesi di fallimento dell’utilizzatore e ove il curatore non intenda subentrare nel contratto, il concedente, ricevuto il bene, è obbligato a realizzarne il valore di mercato sia alienandolo a terzi sia trovando altra collocazione. L’adempimento di tale obbligo consente di comparare i valori tra il credito residuo del concedente ed il valore del bene stesso cosicché la somma ricavata possa essere imputata al credito del concedente, distraendo il residuo a favore della massa dei creditori.[787]
12. (segue): …il leasing addossé.
Caratteristiche analoghe a quelle del sale and lease back si riscontrano in contratti che hanno una spiccata proiezione tecnico-aziendale come il leasing addossé[788] (anche detto crédit-bail adossè). L’operazione è diffusa nell’ordinamento francese e si avvita intorno ad un costituto possessorio, permettendo ad un’impresa di vendere la sua produzione ad un lessor e di riottenere i medesimi beni a titolo di locazione finanziaria con facoltà di sub-concederli in leasing operativo o finanziario, a seconda della categoria merceologica del bene o del profilo della clientela. L’operazione ha ad oggetto beni caratterizzati da prezzi di vendita molto elevati e interessa una clientela frazionata di tipo commerciale. Queste caratteristiche amplificano il rischio per la società concedente che lo scarica su quella utilizzatrice.
I beni venduti, dati in concessione e poi in sub-concessione non hanno il carattere della strumentalità, ma sono beni finali e ciò ha colpito quegli autori[789] che considerano che la natura di bene capitale consenta di contrassegnare il leasing di ritorno rispetto alla alienazione di garanzia tanto da indurli a considerare l’operazione come contraria al divieto di patto commissorio.
13. Conclusioni. L’evoluzione dirompente di un complesso genus contrattuale oltre le frontiere ed i settori merceologici.
È possibile, adesso, rendere cristalline alcune conclusioni prospettate medio tempore.
L’analisi comparatistica ha messo in luce la forza espansiva del modello leasing. Al di là delle differenze ordinamentali e, in particolare, del differente ruolo svolto nei singoli ordinamenti dai formanti legislativo, giurisprudenziale e dottrinale, si è giunti il più delle volte a regole operative analoghe se non identiche. I principali problemi denunziati dall’operazione, come la traslazione convenzionale dei rischi, gli strumenti di tutela dell’utilizzatore nel caso di inadempimento del fornitore e la risoluzione del rapporto, vengono risolti, infatti, il più delle volte senza censurare il contratto in punto di validità, né tanto meno espungendo dal regolamento di interessi le clausole in odore di illiceità, ma piuttosto preferendo equilibrare l’assetto di interessi complessivo mediante opportuni contrappesi, come ad esempio, l’estensione all’utilizzatore degli strumenti di tutela normalmente spettanti al concedente-acquirente.
In questi termini ha agito da protagonista la prassi espressa dai formulari: essa, imponendosi come vero e proprio formante del diritto, ha adeguato il contenuto dei negozi alle richieste più pressanti, spesso nell’ambito di un fitto dialogo tra giudici, dottori e, per l’appunto, società di leasing; in ambito sovranzionale poi, ha determinato la formazione di regole operative comuni, ormai riconducibili al ben noto fenomeno della lex mercatoria.
Altro dato significativo attiene all’applicazione dello schema negoziale ben oltre gli originari confini del tradizionale leasing di beni strumentali. Ciò è innegabile con riguardo alla natura dei soggetti contraenti, alla variabile complessità dello schema negoziale ed alle caratteristiche dell’oggetto dedotto nel contratto. Ed è proprio sulle possibilità applicative del contratto in relazione all’oggetto che deve concentrarsi l’occhio lungimirante del giurista e dell’operatore. Nonostante i dubbi di studiosi troppo legati ai propri schemi classificatori, anche nelle ipotesi più controverse, come il leasing di azioni e di beni immateriali in genere, lo strumento giuridico de quo si è imposto travalicando ostacoli reali ed immaginari rinvenuti nel singolo ordinamento.
Un tempo era lecito parlare di una prassi continentale nettamente meno evoluta di quella americana, oggi non è possibile rinvenire differenze rilevanti in termini di sofisticazione delle prassi negoziali. Il leasing ha travalicato limiti ordinamentali che sembravano insormontabili, riuscendo a sterilizzare norme di divieto altrimenti preclusive, come nel caso del lease back, o addirittura ad imporre deroghe, un tempo nemmeno immaginabili, a divieti saldamente ancorati alla tradizione dei singoli ordinamenti, come nel caso dello staff leasing, importato in Italia per il tramite della c.d. legge Biagi.[790]
Evidentemente, se sono ancora possibili nuovi sviluppi dell’istituto, questi si realizzeranno in ordine all’oggetto del contratto, sfruttando l’elasticità di un modello le cui risorse, in questo senso, appaiono inesauribili.
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28-11-2003, n. 18229, in Contratti, 2004, 6, 575 ss.
25-05-2004, n. 10032, in Mass. Giur. It., 2004
26-05-2004, n. 10133, in Danno e Resp., 2005, 2, 153 ss.
05-07-2004, n. 12279, in Guida al Diritto, 2004, 35, 48 ss.
21-07-2004, n. 13580, in Giur. It., 2005, 925 ss.
02-08-2004, n. 14786, in Mass. Giur. It., 2004
01-10-2004, n. 19657, in Impresa, 2005, 1, 115 ss.
13-01-2005, n. 574, in Mass. Giur. It., 2005
21-01-2005, n. 1273, in Mass. Giur. It., 2005
8-03-2005, n. 5003, in Giur. It., 2005, 1852 ss.
30-03-2005, n. 6728, in Mass. Giur. It., 2005
10-06-2005, n. 12317, in Mass. Giur. It., 2005
15-07-2005, n. 15026, in Mass. Giur. It., 2005
19-07-2005, n. 15199, in Mass. Giur. It., 2005
19-07-2005, n. 15199, in Guida al Diritto, 2005, 39, 59 ss.
05-08-2005, n. 16581, in Impresa, 2006, 2, 317 ss.
05-09-2005, n. 17770, in Impresa, 2006, 3, 480 ss.
05-09-2005, n. 17767, in Obbl. e Contr., 2005, 2, 105 ss.
14-03-2006, n. 5438, in Mass. Giur. It., 2006.
29-03-2006, n. 7296, in Obbl. e Contr., 2006, 7, 665 ss.
27-07-2006, n. 17145, in Obbl. e Contr., 2006, 10, 773 ss.
CORTI d’APPELLO
Napoli, 15-06-2000 Banca Borsa, 2002, II, 298 ss.
Milano, 21-12-1999 Nuova Giur. Civ., 2000, I, 322 ss.
Milano, 8-2-1990, in Riv. it. leasing, 1992, II, 517 ss.
Milano, 29-10-1991, in Riv. it. leasing, II, 1992, 489 ss.
Milano, 12-11-1991, in Riv. it. leasing, 1992, III, 770 ss.
Genova, 1-3-1993, in Riv. it. leasing, 1994, II, 660 ss.
Venezia, 6-5-1993, in Riv. it. leasing, 1993, III, 803 ss.
Bologna, 5-6-1993, in Riv. it. leasing, 1993, III, 803 ss.
Firenze, 22-1-1994, in Riv.it. leasing, 1994, II, 659
TRIBUNALI
Vigevano, 14-12-1972, in Banca, borsa, tit. cred., 1973, II, 287 ss.
Milano, 13-6-1985, in Riv. It. Leasing, 1986, 172 ss.
Roma, 19-6-1986, in Riv. It. Leasing, 1986, 786 ss.
Milano, 10-7-1986, in Riv. it. leasing, 1992, III, 797 ss.
Milano, 24-7-1989, in Riv. it. leasing, 1992, III, 794 ss.
Roma, 21-6-1990, in Riv. it. leasing, 1992, II, 504 ss.
Torino, 23-11-1990, in Riv. it. leasing, 1992. II, 493 ss.
Milano, 21-1-1991, in Riv. it. leasing, 1993, III, 804 ss.
Torino, 28-2-1991, in Riv. it. leasing, 1992, III, 785 ss.
Milano, 7-3-1991, in Riv. it. leasing, 1993, I, 273 ss.
Roma, 31-3-1991, in Riv. it. leasing, 1992, III, 782 ss.
Genova, 2° Sez. Penale, 15-6-1991, in Riv. it. leasing, 1992, II, 503 ss.
Parma, 24-6-1991, in Riv. it. leasing, I, 1992, 191 ss.
Roma, 31-7-1991, in Riv. it. leasing, 1992, II, 503 ss.
Milano 7-10-1991, in Riv. it. leasing, 1993, II, 520 ss.
Milano 31-10-1991, in Riv. it. leasing, 1993, II, 486 ss.
Roma, 11-12-1991, in Riv. il. Leasing, 1992, III, 770 ss.
Torino, 14-1-1992, in Riv. it. leasing, 1992, III, 780 ss.
Milano, 26-1-1992, in Riv. it. leasing, 1993, I, 265 ss.
Torino, 5-2-1992, in Riv. it. leasing, 1992, II, 493 ss.
Rovigo, 15-2-1992, in Riv. it. leasing, 1993, II, 464 ss.
Savona, 22-2-1992, in Riv. it. leasing, 1993, II, 486 ss.
Roma, 9-3-1992, in Riv. it. leasing, 1992, III, 778 ss.
Novara, 13-3-1992, in Riv. it. leasing, 1993, II, 485 ss.
Milano, 6-5-1992, in Riv. it. leasing, 1993, III, 803 ss.
Mondovì, 8-5-1992, in Riv. it. leasing, 1993, II, 485 ss.
Savona, 30-6-1992, in Riv. it. leasing, 1993, II, 485 ss.
Mondovì, 13-7-1992, in Riv. it. leasing, I, 1993, 261ss.
Milano, 7-9-1992, in Riv. it. leasing, I. 1993, 250 ss.
Milano, 2-11-1992, in Riv. it. leasing, 1883, II, 464 ss.
Milano, 7-9-1992, in Riv. it. leasing, 1993, II, 464 ss.
Milano, 26-11-1992, in Riv. it. leasing, 1994, II, 660 ss.
Milano, 3-9-1992 in Riv. it. leasing, 1994, II, 659 ss.
Milano, 7-9-1992 in Riv. it. leasing, 1994, II, 870 ss.
Monza, 24-5-1988, in Foro It.,1989, I, 1271.
CONSIGLIO DI STATO
Sezione consultiva; decisione del 5 giugno 1991: Richiesta di parere sull’acquisizione in locazione finanziaria di elicotteri per la Protezione civile. In Riv. it. leasing, 1992, II, 467 ss.
Giurisprudenza francese.
Cass. comm. 15 dicembre 1975, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 80, e in Bull. Civ. IV, n. 301, 248 ss.
Cass. comm. 25 gennaio 1977; in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 86.
Cass. comm. 26 gennaio 1977 in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 86.
Cass. comm. 21 maggio 1979, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 80.
Cass. comm. 11 maggio 1981, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 87.
Cass. 1° civ, 3 marzo 1982, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 86.
Cass. comm. 10 maggio 1982, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 88.
Cass. comm. 15 marzo 1983, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 88.
Cass. comm. 8 dicembre 1987, in Bull. Civ., 129, n. 265 ss.
Chambre Mixte, 23 novembre 1990, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 88.
Cass. comm. 15 ottobre 1991, in Bull. Civ. IV, n. 291 ss.
Cass. comm., 5 marzo 1996, in JCP, G., 1996, i, 3960, n.12.
Cass. comm. 30 novembre 1999, in RJDA 2/2000, n.49.
App. Amiens, 23 novembre 1976, in G. De Nova, La recezione…, cit., 139.
Trib. La Rochelle, 26 giugno 1964; in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 79.
Trib. Rennes, 30 novembre 1976, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 80.
Trib. Lyon, 5 febbraio 1976 in G. De Nova, La recezione…, cit., 139.
Giurisprudenza tedesca
Bundesfinanzhof, 26 gennaio 1970 cit. in H. J. Sonnenberger, La giurisprudenza sul leasing in Germania, 14.
Bundesgerichtshof, 24 maggio 1982, cit. in H. J. Sonnenberger, op. ult. cit., 17
Bundesgerichtshof, 8 ottobre 1975, H. J. Sonnenberger, op. ult. cit., 19.
Giurisprudenza svizzera
Tribunale del Commercio di Zurigo del 1° giugno 1977, in M. Giovanoli, La giurisprudenza sul leasing in Svizzera, 49 ss.
[1] Basti ricordare che autorevole dottrina, ormai più di dieci anni or sono, ha parlato a tal proposito di “arcipelago leasing”. A. Luminoso, I contratti tipici e atipici, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1995, 421.
[2] Il testo di legge in questione viene riportato, tra gli altri, da G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, X ed., Torino, 1996, 860.
[3] Art. 6, 11° co., d.l. antiriciclaggio. È opportuno precisare, per ragioni di completezza, che la vigente legge antiriciclaggio, a differenza del decreto citato, non contiene alcuna definizione del leasing . Com’è noto si è ritenuto che tale disciplina non rappresentasse un’adeguata sedes materiae per ospitare una definizione generale dell’istituto. È altrettanto noto, però, che giammai si è giunti nel nostro ordinamento ad elaborare per via legislativa una disciplina generale del leasing che comprendesse anche una definizione generale del contratto simile alle molteplici riportate.
[4] Cass. Civ. 30 giugno 1998, n. 6412, in Danno e resp., 1998, 11, 1044.
[5] Per una sintetica analisi degli strumenti di finanziamento delle imprese alternativi al leasing v. O. Amat, El leasing. Modalidades, fincionamiento y comparatiòn con otras opciones, Bilbao, 1990, 85 ss.
[6] L’efficace sintesi è di G. Campobasso, Diritto commerciale, III vol., Torino, 2003, 145.
[7] G. Ferri , Manuale…, cit., 858 e ss.
[8] A. Luminoso, Il leasing finanziario: struttura dell’operazione e caratteri del contratto, in Manuale di diritto commerciale, a cura di V. Buonocore, Torino, 2003, 712 e ss.
[9] A. Luminoso, Il leasing finanziario…, cit., 712 ss.
[10] Si ritiene preferibile l’espressione “formante” a quella di “fonte”. Il primo termine sembra meglio attagliarsi ad un novero di fattori più ampio rispetto alla triade costituita da legislazione, giurisprudenza e dottrina. Quest’ultima, anche nella tradizione giuridica occidentale, fondata indubbiamente sulla rule of professional law, appare riduttiva ai fini di un’indagine che abbia l’aspirazione della completezza. La disciplina del leasing, infatti, come si vedrà meglio in seguito, più che dall’attività di legislatori e giudici, è determinata dai modelli contrattuali predisposti dalle imprese finanziarie. Tali norme convenzionali vengono spesso fissate nelle raccolte di usi e contribuiscono in misura sempre più rilevante alla formazione di regole operative che superano le frontiere inducendo gli studiosi a ravvisarvi una nuova lex mercatoria. Per la comprensione del significato di formante e dei problemi riguardanti il rapporto tra i diversi fattori del diritto v. R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, in Trattato di diritto comparato diretto da R. Sacco, I, Torino, 1992, 43 ss; La migliore dottrina inoltre, ci aiuta a comprendere come la rule of profesisonal law debba rappresentare un punto di partenza per l’analisi dei modelli occidentali e non un insuperabile vincolo dogmatico. V., anche per gli esempi particolarmente illuminanti riportati riguardo all’insufficienza della suddetta triade nei sistemi occidentali, U. Mattei e P. G. Monateri, Introduzione breve al diritto comparato, Padova, 1997, 51 ss.
[11] La norma camerale prosegue: “Si suole, indicare con il termine leasing immobiliare, comunemente detto locazione finanziaria immobiliare, il contratto con il quale una parte, detto locatore, si obbliga a mettere a disposizione dell’altra parte, detto conduttore o locatario, per un dato tempo un bene immobile verso un corrispettivo, pagabile a scadenze periodiche, determinato in relazione al valore dell’immobile, alla durata del contratto e ad altri elementi; detti immobili sono acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta ed indicazione del conduttore, con facoltà per quest’ultimo di divenirne proprietario alla scadenza del periodo contrattuale dietro versamento di un importo da determinarsi secondo criteri prestabiliti”. Usi negoziali in materia di leasing e di factoring della C.C.I.A.A. di Milano, (conformi Usi Camera di commercio Mantova), in Riv. it. Leasing, 1991, 1-2, 169 ss. E’ utile anticipare che gli usi svolgono senza dubbio una funzione importantissima nel cammino verso la tipizzazione sociale di molti se non di tutti i moderni rapporti commerciali. Le cc. dd. raccolte di usi contemplate dall’art. 9 disp. prel. c.c rappresentano parte rilevante della vera disciplina di tali contratti, tra i quali vanno annoverati per diffusione e intensità del dibattito dottrinale e giurisprudenziale prodotto, insieme al leasing, il factoring e il franchising. V. in V. Buonocore, Le fonti del diritto commerciale, in Manuale di diritto commerciale, a cura di V. Buonocore, Torino, 2003, 35.
[12] International Accounting Standard – IAS n. 17 in F. Dezzani e L. Dezzani, Eliminazione di attività e di passività fittizie, inesistenti, o indicate per valori superiori a quelli effettivi, in Fisco, 2003, 4967. Il principio continua affermando: “In altre parole, l’operazione ha lo scopo di fare acquisire ad un soggetto utilizzatore la disponibilità di beni senza dover sostenere l’intero costo in un’unica soluzione. Inoltre, la concessione in godimento del bene assume solitamente una funzione strumentale rispetto alla vendita e, quindi, al mantenimento della proprietà in capo al concedente-locatore è attribuito un mero scopo di garanzia. Attesa la natura finanziaria dell’operazione, il pagamento del canone è considerato non tanto come corrispettivo per la locazione del bene, piuttosto come modalità per la restituzione di un finanziamento, che è pari al costo del bene (maggiorato delle spese accessorie) aumentato del compenso per l’attività del finanziatore (sotto forma di interesse sul capitale investito). La modalità di determinazione del canone assume, pertanto, connotati tipicamente finanziari”.
[13] Art. 1,1°,2° e 3° §, conv. Ottawa. Tale disciplina internazionale di carattere pattizio svolge un ruolo particolarmente importante per la regolamentazione del leasing in un ordinamento, come quello italiano, nel quale tale contratto deve ritenersi ancora atipico. Come si vedrà nel capitolo quarto è possibile prospettare anche l’applicazione analogica delle norme di Ottawa al leasing interno.
[14] G. De Nova, Leasing, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., vol. X, Torino, 1995, 462 e 463: in seguito ad analogo excursus, l’Autore mette in luce che il bene deve essere acquistato o fatto costruire dal concedente, su scelta ed indicazione dell’utilizzatore: tale rilievo conduce, secondo il De Nova, ad escludere dal genus contrattuale in oggetto il leasing diretto o “del produttore”. Egli inoltre, evidenzia la previsione del diritto di opzione, che, a differenza di altri autori italiani, ritiene elemento essenziale del contratto.
[15] Dizionario Sansoni, Firenze, 1991, 592. V. anche Oxford advanced learner’s dictionary of current english, Oxford, 1991, 710. Tale essenziale traduzione è riportata da quasi tutti gli autori che si sono cimentati in una trattazione monografica del tema. Tra questi, F. Cavazzuti, Leasing I) Diritto Privato, in Enc. Giur. Roma, 1994, 1. V. anche L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa. Leasing e factoring, Milano, 1989, 3.
[16] Per tutti v. F. De Franchis, Dizionario giuridico/law dictionary, Milano, 1984-1996. V. anche G. C. Cheshire, Modern Law of Real Property, 12° ed., a cura di E. H. Burn, London, 1976, 382 ss.
[17] V. sect. 9-1 e 5 Uniform Commercial Code.
[18] R. Sacco, Introduzione…,cit., 32. L’assunto del celebre Autore torinese viene ripreso anche da U. Mattei e P. G.Monateri, Introduzione breve…,cit., Padova, 1997, 31.
[19] R. Sacco, Introduzione…,cit., 32.
[20] R. Sacco, Introduzione…,cit., 40 e 41.
[21] U. Mattei, P.G. Monateri,, Introduzione breve…, cit., 31. Con parole particolarmente efficaci, il Sacco afferma: “Talora peraltro, noi possiamo trovare classificazioni volute dal potere, specie dal legislatore. La dottrina può contestare, ma non può ignorare, questa volontà. Il traduttore non deve nascondere ai suoi lettori l’eventuale presenza di una volontà politica che sconfina nel settore delle regole di decisione per invadere il terreno degli strumenti della conoscenza”(Introduzione…, cit., 38).
[22] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, Milano, 1977, 21 ss; Id., Problemi della locazione finanziaria: esperienze giurisprudenziali e prassi contrattuale in Italia e all’estero e G. De Nova, La recezione del leasing finanziario in Germania, in Francia, in Italia, alla luce della qualificazione, entrambi in AA. VV., Nuovi tipi contrattuali e tecniche di redazione nella pratica commerciale. Profili comparatistici, a cura di P. Verrucosi, Milano, 1978, rispettivamente 179 ss. e 117.
[23] È preferibile astenersi da considerazioni più analitiche che verranno proposte infra, nell’ambito del capitolo successivo, dedicato alla trattazione del leasing in alcuni tra i principali ordinamenti del mondo giuridico occidentale. Proprio a causa del descritto intervento legislativo, bisogna evitare l’uso spregiudicato del termine location financière: il giurista italiano potrebbe cadere nella facile tentazione di utilizzarlo ritenendolo derivante dalla semplice ed ovvia traduzione di “locazione finanziaria”. È indubbia la comune matrice neolatina delle lingue italiana e francese ed è indubbio che ci sia assonanza e somiglianza tra le due parole, ma si cadrebbe nell’errore di equiparare la nozione francese a quella nostrana e ciò risulterebbe davvero fuorviante. È per questo necessario utilizzare i termini francesi anziché superficiali traduzioni che potrebbero indurre in errore il lettore italiano. Sul significato della locuzione Location financière gli autori francesi per altro non sono tutti concordi: alcuni lo utilizzano per indicare una categoria che accoglie in sé tre contratti distinti: il credit bail ( leasing di beni strumentali all’esercizio dell’impresa, disciplinato, come si è visto, dal legislatore francese; la location avec option d’achat (locazione con opzione d’acquisto, che riguarda i beni destinati all’uso personale o familiare ) e la location de lunge durèe (locazione di lunga durata, che presenta un’importante componente finanziaria ma non è accompagnata dall’opzione finale d’acquisto). Altri autori indicano col nomen location financière solo quelle operazioni di locazione finanziaria che non prevedono l’opzione d’acquisto finale. Per tutti v. A. Cremonese, Il leasing in Francia, in Contr. e impresa/Europa, Padova, 2004, I,144 ss.
[24] R. Sacco, Introduzione…, cit., 33.
[25] “Prestito locativo”, “finanziamento di locazione”, “locazione di beni strumentali” sono alcune delle locuzioni in cui il termine leasing veniva tradotto in italiano nel primi anni 70. V. V. Buonocore, Il leasing. Profili privatistici e tributari, Milano, 1975, 3, nota 1. Anche nella manualistica più recente possiamo riscontrare esempi di semplicistica traduzione. A titolo di es. v. A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1997, 747, che parla di “locazione con facoltà di comprare”.
[26] F. Vassallo Paleologo, I contratti di locazione finanziaria, Padova, 1994, 2.
[27] Tra gli altri F. Vassallo Paleologo, I contratti…, cit., 2 ss.
[28] Molti autori italiani si esprimono in tal senso mettendo in luce uno o più argomenti tra quelli richiamati. Sceglie la medesima soluzione, ma incidentalmente e senza argomentare, A. Luminoso, Il leasing finanziario…, cit., 712.
[29] Il riferimento è all’art. 72 quater della legge fallimentare introdotto dal recentissimo intervento riformatore ex D.Lgs. 9 gennaio 2006, n.5 ed in vigore dal 16 luglio 2006.
[30] In questo senso R. Clarizia, Il contratto di leasing con sentenze ed altri materiali, Milano,1995, 3. Di diversa opinione M. R. La Torre, Manuale della locazione finanziaria, Milano, 2002, 115, nota 2. L’Autore in sostanza si appella alla necessità di distinguere le diverse tecniche di recezione dell’istituto nei differenti ordinamenti che, valutate anche le discipline di common law, mettono in evidenza istituti con fisionomie tutt’ altro che omogenee. Non si comprende però, come possa l’utilizzo del termine inglese, diventato secondo La Torre generico ed equivoco, ostacolare il giurista nella valutazione delle differenze ordinamentali.
[31] Tale assunto relativo all’autonomia del leasing è patrimonio comune di tutta la dottrina e la giurisprudenza italiane. Tra gli altri v. L. Ghia, I contratti…, cit., 5 e 6. In termini altrettanto chiari G. De Nova, Leasing…, cit., 462. A conferma ulteriore di tale osservazione si veda V. Buonocore, Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, 74 ss. L’autorevole commercialista, nel configurare la locazione come genus cui ritiene riconducibili diverse species contrattuali caratterizzate dalla natura civile piuttosto che commerciale dei contraenti, si guarda bene dall’inserire in tale categoria il leasing. Questo perché semplicemente il leasing non è in alcun modo assimilabile alla nostra locazione!
[32] R. Sacco, Introduzione…, cit., 35.
[33] A. Luminoso, I contratti…, cit., 360.
[34] O. Amat, El leasing…, cit., 11 ss.
[35] M. Bussani, Il diritto europeo del contratto fra codificazione e stratificazione, in Io comparo, tu compari, egli compara: che cosa, come, perché? a cura di V. Bertorello, Milano, 2003, 25.
[36] Sull’argomento molti sono i contributi che da anni si vanno accumulando. Tra i più recenti v. A. Ortolani, Le lingue del diritto. Nuove prospettive in tema di traduzione e interpretazione del diritto plurilingue, in Riv. Crit. Dir. Priv., IV, 2003, 203.
[37] La conferma di questo assunto è facilmente ottenibile sfogliando un qualsiasi dizionario della lingua italiana. Tra gli altri v. Palazzi, Folena, Dizionario della lingua italiana, Torino, 1993, 997; Devoto, Oli, Dizionario della lingua italiana, Firenze, 2004-5, 1520.
[38] A. Procida Mirabelli di Lauro, La civilistica italiana e il metodo comparativo, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1999, III, 382. Per le nozioni di comparazione sincronica e diacronica, v. L. J. Costantinesco, Il metodo…, cit., 28 ss.
[39] A. Trabucchi, Istituzioni…, cit., 746.
[40] È interessante rinvenire nell’antichità operazioni contrattuali avvicinabili alla moderna tecnica del leasing, in quanto rispondenti ad analoghe finalità di finanziamento avvertite dagli operatori economici dell’epoca. In Medio Oriente nel 3000 a.C. i proprietari affittano ai loro agricoltori una parte della terra dietro il pagamento di un canone, generalmente equivalente ad un settimo o un ottavo del raccolto. Nella stessa epoca, altre analoghe operazioni vengono utilizzate nella zona del Tigri e dell’ Eufrate così come nel Golfo Persico. Esse hanno ad oggetto sicuramente le imbarcazioni, un bene strumentale che rappresenta anche il principale mezzo di trasporto nella zona. Tali contratti prevedono in sostanza il trasferimento del rischio derivante da naufragio a carico del locatario, che dovrebbe sopportarlo risarcendo di conseguenza il proprietario concedente. Tale aspetto del regolamento d’interessi fa pensare ad alcuni aspetti del contenuto tipico del contratto di leasing. Analogamente, intorno al 1750 a. C., il potente Hammurabi, re della Babilonia, riconosce la validità dell’affitto di persone rientranti nella sua proprietà, attraverso un’apposita statuizione contenuta nel famoso codice. Questa forma d’affitto di beni strumentali (sic!) si diffonde com’è noto negli antichi imperi di Egitto, Grecia e Roma. Anche al tempo dei fenici è diffusa una forma d’affitto con scopo finanziario stipulato tra proprietari delle navi e locatari che si servono delle navi stesse per esercitare la propria attività economica. V. O. Amat, El leasing…,cit., 9 ss.
[41] O. Amat, El leasing…, cit., 9 ss.
[42]L.Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa. Leasing e factoring, Milano, 1989, 3.
[43] Se vogliamo, analogo sviluppo c’è stato con riguardo al factoring. L. Ghia, I contratti di finanziamento…, cit., 3.
[44] L. Ghia, I contratti di finanziamento…, cit., 3.
[45] O. Amat, El leasing…,cit., 9 ss.
[46] M. Spinelli, G. Gentile, Diritto bancario, Padova, 1984, 330.
[47] L. Ghia, Il contratto di Leasing e la giurisprudenza, in Mondo bancario, 1993, n. 1, pag. 39.
[48] V. art. 102, 7° comma, d.p.r. n. 917/1986 e art. 13, d.p.r. n. 42/1988, richiamati da M. Bussani, Contratti moderni. Factoring. Franchising, Leasing, in I singoli contratti, IV, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, 268.
[49] V. artt. 96, 97 e 08 d.p.r. n. 917/1986, richiamati da M. Bussani, op. ult. cit., 269.
[50] M. Bussani, P. Cendon, I contratti nuovi. Casi e materiali di dottrina e giurisprudenza. Leasing, factoring, franchising, Milano, 1989, 25 e 26.
[51] M. Bussani, P. Cendon, I contratti…, cit., 24.
[52] A. Procida Mirabelli di Lauro, La civilistica…, cit., 382: efficacemente l’Autore afferma: “La comprensione delle norme nel quadro dei rispettivi ordinamenti impone di conoscere sia i fattori giuridici (gerarchia dei valori, principi costituzionali e non, concetti, partizioni, categorie, regole ermeneutiche ecc.) che i dati metagiuridici in grado di condizionare la realtà e l’effettività del diritto”.
[53] Ulteriori e stringate considerazioni sul profili economici del leasing saranno inserite infra, nell’ultimo capitolo, dedicato alle molteplici e variegate applicazioni del contratto.
[54] Sull’IVA come imposta indiretta si rimanda a F. Pica, La ragione dei tributi, Torino, 2002, 35 ss.
[55] Durante il citato periodo vanno anche annoverati i primi tentativi di elaborazione normativa in Italia.
[56] L. Ghia, I contratti di finanziamento…, cit., 4 e 5.
[57] G. Caselli, Leasing, in Contr. e Impr., 1985, I, 213 ss..
[58] G. De Nova, Il contratto di leasing con sentenze ed altri materiali, Milano, 1995, 6.
[59] Nel contesto del mercato italiano più precisamente il segmento immobiliare rappresenta il 43.8% dello stipulato complessivo, seguito da quello dei beni strumentali (29.8%), dal segmento auto (23.2%) e da quello aeronavale (3.2%). La flessione del 2003 ha riguardato soprattutto i segmenti immobiliare e strumentale. La suddetta flessione è imputabile maggiormente da una parte al un generale rallentamento della congiuntura macroeconomica, fattore cui il leasing, quale forma tecnica di finanziamento dei fattori produttivi d’impresa, è fortemente correlato; dall’altra al venir meno di leggi agevolative ( in particolare la c.d. Tremonti bis) che avevano contribuito, nel 2002, a sostenere la domanda di leasing da parte delle imprese. A proposito delle principali tendenze evolutive del mercato, si evidenzia che: mentre il settore strumentale ha subito una flessione nel 2003, in controtendenza, le operazioni prive di opzione d’acquisto sono aumentate in particolar modo per i contratti relativi a beni di I. T. Si sta inoltre riscontrando una crescita delle operazioni finalizzate all’utilizzo dei beni piuttosto che al loro acquisto. Tali operazioni sono generalmente qualificabili come leasing operativo. Va aggiunto che il fenomeno è per ora concentrato su tipologie di beni a rapida obsolescenza tecnologica che implicano un notevole rischio residuale. (Analisi degli impatti strategici ed organizzativi dell’introduzione dello IAS 17 sul mercato de leasing in Italia, indagine realizzata da Price Waterhouse Coopers Advisory per conto di Assilea servizi surl, in Quaderni Assilea supplemento 33, 2005, 5 ss. consultabile sul sito www.assilea.it)
[60] Secondo un’indagine condotta dal gruppo bancario Capitalia su un campione di cinquemila imprese, ricorre a tale strumento di finanziamento circa un quarto delle imprese fino a 50 dipendenti contro il 3% delle imprese con oltre 500 dipendenti.
[61] Price Waterhouse Coopers Advisory, Analisi…, cit., 15.
[62] Price Waterhouse Coopers Advisory, Analisi…, cit., 17.
[63] Price Waterhouse Coopers Advisory, Analisi…, cit. 9 ss.
[64] Il dato emerge dal rapporto annuale Assilea 2006, consultabile in rete sul sito www.assilea.it
[65] Italia Oggi, Crescita non stop. Leasing + 15.6%, articolo del 15 Giugno 2006, 10.
[66] Confermata la buona crescita del comparto aeronavale e ferroviario (+ 21 %) che ha raggiunto uno stipulato di 1.9 miliardi. L’incremento del settore, che continua ad essere trainato dalla nautica da diporto, nel primo quadrimestre 2006 si è attestato al 28 % (Italia Oggi, Crescita…, cit., 10).
[67] Italia Oggi, Crescita…, cit., 10.
[68] D. Stevanato, Il momento fiscale nella redazione di nuovi modelli contrattuali, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di Paolo Cendon, I, Questioni generali, Torino, 2005,80 ss.
[69] D. Stevanato, op. cit.,80 ss. La disciplina fiscale stabilisce i criteri per calcolare le basi imponibili e le imposte: i contribuenti, valutando preventivamente tali criteri scelgono quelli che consentono loro di raggiungere i risultati economici prefissi attraverso comportamenti non colpiti dall’imposta o colpiti da essa in maniera più mite.
[70] Ciò è avvenuto senza dubbio per il contratto di leasing, che, pur rimanendo nel nostro ordinamento fattispecie contrattuale solo socialmente tipica, è stato oggetto delle attenzioni del legislatore tributario fin da tempi molto risalenti.
[71] G. De Nova, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 1998, 566.
[72] Una chiara esposizione delle principali perplessità intorno all’ammissibilità dell’operazione nel nostro ordinamento è fornita da M. Liace, Leasing di azioni di società, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di Paolo Cendon, XII, Finanziamento alle imprese, Torino, 2005, 673 ss.
[73] Sostengono l’ammissibilità della figura, oltre alla Banca d’Italia, proponendone l’adozione per ragioni di pianificazione fiscale, P. Anello e S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli azionari, in Società, XII, 1995, 1531 ss; gli stessi Autori confermano la loro posizione in Ancora sul leasing dei titoli azionari, ivi, XI, 2000, 1312 ss.
[74] D. Stevanato, Il momento…, cit., 80 ss.
[75] Vasta è la letteratura economica sul leasing: Tra gli altri v. L. Anderloni ed altri, Manuale del leasing, Milano, 1998; G. Fossati, Il leasing, aspetti e sviluppi contabili, giuridici, finanziari e fiscali del leasing in Italia.
[76] Per tale classificazione, per altro pacifica, v. tra gli altri V.Buonocore, Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000, 58; A. Luminoso, Il leasing…, cit., 712; R. Clarizia, Contratti di leasing, in I contratti del mercato finanziario a cura di E. Gabrielli e R. Lener, II, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Torino, 2004, 317.
[77]A dire il vero, tale classificazione, specie in materia di diritto contrattuale, sembra assumere contorni sempre meno definiti, fino a diventare, in alcuni casi, un obsoleto intralcio definitorio che male si attaglia alla sempre più complessa e stratificata disciplina dei contratti.
[78] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, in Riv. it. leasing, 1998, 19: “ogni serio discorso legislativo sul leasing non può più essere solo quello nazionale: deve innanzitutto allargarsi agli altri Peasi CEE, (si pensi solo alla prospettiva di ciò che accadrà nel 1992 con il mutuo riconoscimento degli enti creditizi, nozione entro la quale in Germania, in Inghilterra ed altri Paesi rientrano le imprese di leasing); deve allargarsi oltre la CEE per prendere in considerazione quanto avviene in altri Paesi con i quali si fanno contratti di leasing (in primis USA, Canada, Giappone: si pensi al leasing di navi o aeromobili); infine lo scenario deve contemplare anche il progetto di legge uniforme per il leasing internazionale che l’Unidroit ha predisposto nell’aprile 1987…”.
[79] Il frequente riferimento al “mondo giuridico” o alla “tradizione giuridica” occidentali, lungi dal voler marginalizzare gli ordinamenti che non vi rientrano, prende atto di una ormai risalente convergenza degli ordinamenti di common e di civil law. V., con riguardo al diritto dei contratti, la sintesi chiara ed efficace di J. Gordley, Common law v. civil law. Una distinzione che va scomparendo?, in Scritti in onore di R. Sacco. La comparazione giuridica alle soglie del terzo millennio, a cura di P. Cendon, Milano, 1994, 564 ss. Di “naturale convergenza dei sistemi” parla anche G. Alpa, Lineamenti di diritto contrattuale, in AA. VV., Diritto privato comparato. Istituti e problemi, Roma-Bari, 1999, 151.
[80] È ben noto che la comparazione non ha particolari scopi ulteriori alla individuazione di differenze ed identità tra modelli. È possibile però, in un momento logicamente e cronologicamente successivo alla comparazione vera e propria, utilizzare i risultati della stessa per il perseguimento di diversi scopi pratici, tra i quali occupa posizione di particolare rilevanza l’analisi di un istituto di diritto uniforme qual è, nel nostro caso, il leasing internazionale. Per una efficace analisi dei fecondi rapporti tra diritto comparato e diritto internazionale, comunitario e uniforme in genere, v. L. J. Costantinesco, Il metodo comparativo, ed. it. di A. Procida Mirabelli di Lauro, 299 ss. In termini altrettanti chiari R. Sacco, Introduzione…, cit., 154 ss.
[81] Vedi supra, 5 ss.
[82] V. Buonocore, Contrattazione…cit., 58 e 59.
[83] N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, 41 ss. per l’inquadramento del contratto nello schema personae, res e actiones; v. anche 101 ss. per la configurazione del diritto del mercato come diritto di strumenti, e non degli scopi.
[84] G. Alpa , L’avvocato. I nuovi volti della professione forense nell’età della globalizzazione, Bologna, 2005, 100 ss.
[85] N. Irti, L’ordine…, cit., 10 ss.
[86] Valutazioni sul tema, seppure con particolare riferimento alla crescente inadeguatezza dell’insegnamento del diritto nelle nostre università, sono presenti in A.Procida Mirabelli di Lauro, La civilistica italiana e il metodo comparativo, in Riv. crit. dir. priv., 1999, 368 ss.; e nel recente intervento convegnistico, Metodo comparativo e diritto privato europeo, in Io comparo, tu compari, egli compara: che cosa, come, perché? a cura di V. Bertorello, Milano, 2003, 250.
[87] G. Alpa, L’avvocato…, cit., 92.
[88] È chiaro il riferimento al caso Centros, affrontato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee. I coniugi Bryde, cittadini danesi residenti in Danimarca, costituivano in Inghilterra, ai sensi della legge inglese, una società di capitali (Centros), indicando quale sede principale della società l’abitazione inglese di alcuni amici. La loro intenzione non era di svolgere la propria attività (import-export di vini) in Inghilterra, bensì esclusivamente in Danimarca, e il motivo della costituzione della società in Inghilterra era solo di evitare l’applicazione delle leggi danesi in materia di società che prevedono una misura minima del capitale della società molto più elevata di quella prevista dalle leggi inglesi. Costituita dunque la società, i coniugi Bryde facevano richiesta alle competenti autorità danesi di poter registrare in Danimarca una succursale di Centros per il tramite della quale svolgere l’attività d’impresa in Danimarca. Sul tema v. A. Perrone, Dalla libertà di stabilimento delle società alla competizione tra ordinamenti? Riflessioni sul caso Centros, in Società, 2001, 1292.
[89] È evidente il riferimento alla prassi elusiva delle norme italiane in materia d’accesso all’esercizio della professione di avvocato mediante il conseguimento del titolo spagnolo di abogado.
[90] La globalizzazione ha portato gli operatori economici a muoversi oltre le frontiere avvalendosi di attività consulenziali adeguate. Ciò ha favorito lo sviluppo anche in Europa delle grandi law firms americane o di tipo americano Tale fenomeno ha ancora una volta diviso apologeti e critici. In direzione aspramente critica va quanto affermato da Y. Dezalay, I mercanti del diritto: le multinazionali del diritto e la ristrutturazione dell’ordine giuridico internazionale, ed. it. a cura di M. Raiteri, Milano, 1997: egli definisce tale tipologia di professionisti “mercanti del diritto” trovando pieno accordo in studiosi nostrani come P.G. Monateri e A. M. Musy (Globalizzazione e giustizia: l’impatto della globalizzazione sul sistema giuridico italiano e sull’orgnizzazione degli studi legali, Milano, 2003). Gli autorevoli studiosi citati attribuiscono alle law firms il potere di imporre una nuova lex mercatoria e di riuscire così a mercificare ogni rapporto giuridico, facendo prevalere il diritto privato sul diritto pubblico, gli interessi economici dei più potenti e le strategie più sofisticate sugli interessi sociali. In ultima analisi, l’autolegittimazione avrebbe la meglio sul riconoscimento della comunità. Ne conseguirebbe un sistema giuridico fondato sul contratto e non sulla legge quale effetto dell’influenza del pragmatismo procedurale di stampo americano. Vi è chi dubita della veridicità di un quadro a tinte così fosche: G. Alpa (L’avvocato…, cit., 102) si chiede il perché di una accezione tanto negativa del contratto e del diritto privato; analogamente non comprende la demonizzazione di certi avvocati (quelli delle grandi law firms), piuttosto che di altri (quelli delle piccole boutique professionali); ugualmente criticabile è, secondo il civilista italiano, la definizione dell’ arbitrato come “strumento di giustizia addomesticata”.
[91] È forse superfluo aggiungere che tali esempi di regulatory competition rappresentano solo un piccolo saggio degli innumerevoli possibili. Si è scelto di limitare gli stessi all’ambito del diritto latu sensu d’impresa. Per comprendere le pure notevoli applicazioni di tale discorso ad altri settori del diritto basti pensare alla disomogeneità delle discipline sulla procreazione artificiale, sull’aborto o sulle unioni familiari nei diversi ordinamenti europei e non. In tal senso v. G. Alpa, L’avvocato…cit., 95.
[92] In quest’ottica è piuttosto diffusa la convinzione secondo la quale la codificazione degli ordinamenti rappresenterebbe un modello perdente perché rigido rispetto al più elastico common law. La competizione del resto non si fonda su astratte categorie dommatiche o su condizionamenti ideologici, ma è determinata soprattutto da ragioni economiche: tra le molteplici libertà che il mercato esige vi è quella di scegliere tra gli ordinamenti possibili. Così l’operatore economico sceglie la sede della propria impresa nel paese il cui ordinamento gli reca maggiori benefici; ma anche il consumatore, destinatario di beni e servizi, può sfruttare il “mercato delle regole” essendo libero di scegliere il prodotto o il servizio nel paese le cui regole risultino per lui più vantaggiose. Una competizione che di fatto vede vincenti gli ordinamenti di common law. Appare a tal proposito di estrema lungimiranza e di estremo interesse, specie facendo riferimento al leasing, quanto scritto, oltre venti anni or sono, da G. Gorla, Il diritto comparato in Italia e nel mondo occidentale e una introduzione al dialogo civil law – common law, Milano 1983, 505 e 506: “Si tratta di vedere come di fatto in Italia si comportano avvocati e giudici, cioè il Foro (e insieme la dottrina) specialmente nelle cause concernenti casus novi o nuove specie di contratti o affari commerciali o industriali (per noi “innominati”: v. art. 1322 c.c.), rispetto ai quali altri paesi (specialmente U.S.A., Inghilterra e Germania) con il loro diritto legislativo e/o giurisprudenziale, stanno all’avanguardia e addirittura hanno dato, nel loro linguaggio tecnico-giuridico il nome a quei nuovi contratti o affari”. Tra gli interventi più recenti a tal proposito v. Alpa G., L’avvocato…, cit., 89 ss. In ambito europeo si è discusso con riguardo alla diversità di regolamentazione esistente negli Stati membri dell’U. E. Essa rappresenterebbe un fattore di potenziale ostacolo alla liberalizzazione del mercato professionale. Bisogna anche aggiungere che per diverse ragioni, il modello prevalente non è sempre il migliore ma piuttosto il più forte. Di qui si teme che la concorrenza faccia scomparire modelli “deboli” anche se più apprezzabili. Proprio a proposito del supposto imperialismo di taluni modelli giuridici (quelli di common law, in specie degli USA, che sembrano aver assunto una posizione dominante non solo nei business contracts come il leasing) si è sviluppato un poderoso dibattito critico, di certo non esente dal rischio di condizionamenti ideologici, cui hanno partecipato tanto giuristi di common law che di tradizione romanistica. Omettendo qualsiasi considerazione in merito, si rinvia a U. Mattei, A theory if Imperial Law. A study on U.S. Hegemony and the Latin Resistance, in 10 Indiana J. G. L. S., 2003 e in Global Jurist Frontiers, 2002. Di tale fenomeno prende atto, seppure senza assumere una posizione precisa sul tema, M. Bussani, Il diritto…, cit., 25 e 26.
[93] V. Buonocore, Contrattazione…, cit, 192 e 205 ss; v. anche F. Galgano La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005.
[94] Il mutamento delle competenze richieste a coloro che esercitano una professione legale si traduce nella necessità di modificare l’insegnamento del diritto così come tradizionalmente concepito. È significativo quanto affermato da R. Sacco,: “Sto per vedere la caduta del postulato nazionalistico nell’insegnamento del diritto” (Diritto internazionale e diritto comparato, a cura di G. Conetti, in che cos’è il diritto comparato, a cura di P. Cendon, 216). Lo stesso Autore, in termini ancor più chiari: “L’insegnamento del diritto limitato territorialmente non è valido, ed è anzi mentitorio” (Insegnamento e studio del diritto comparato, a cura di M. Bussani e M. Graziadei, ivi, 293).
[95] M. J. Bonell è tra gli studiosi che auspicano un codice globale del commercio internazionale V. in particolare per le relazioni tra diritto comparato e unificazione giuridica, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, in AA. VV., Diritto privato comparato. Istituti e problemi, Roma-Bari, 1999, 3 ss.
[96] Nella materia del diritto contrattuale la formula in esame può voler dire competizione tra regole imposte e regole di default.Può voler dire anche competizione tra clausole contrattuali. Ancora, competizione tra gli ordinamenti può voler dire competizione tra le modalità d’ intervento – legislativo o amministrativo o autodisciplinare – nella regolazione del mercato, cioè modalità di configurazione dell’ordine giuridico del mercato. La concorrenza tra regole va vista pure come momento necessario e anteriore all’individuazione dei modelli più appropriati per costruire un diritto uniforme.
[97] M. Bussani, Il diritto…, cit., 24 ss. L’Autore spiega come, specialmente nella stipulazione dei business contracts, certo non sempre “impermeabili a valutazioni in termini di squilibrio fra le parti circa il rispettivo potere contrattuale” prevalgano criteri di efficienza che si sottraggono generalmente ad ogni sforzo codificatorio, forse attuabile con maggiore successo con riguardo ai contratti con i consumatori. I contratti “specie quando sono a carattere commerciale e hanno come parti grandi imprese, di solito autoregolano la scelta del foro competente a decidere sulle controversie come il diritto applicabile al contratto e (il più delle volte) sottraggono gli eventuali conflitti alle giurisdizioni ordinarie per rimetterli nelle mani egli arbitri”; A. Procida Mirabelli di Lauro, La civilistica italiana…, cit., 369; Sul punto si pronuncia in termini analoghi P. G. Monateri, Ripensare il contratto: verso una visione antagonista del contratto, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. Cendon, I, Introduzione, Torino, 2005, 60: “Il percorso pratico del contratto, rispetto a quello teorico nostrano, si è decisamente indirizzato verso l’ “americanizzazione” di quest’ultimo: importanza decisiva del testo, virtù passive dei giudici, causa come consideration quale governing factor dello scambio, ma ingresso del tort a lato del contratto, e tutela legislativa forte del consumatore…”. L’Autore contrappone a quello americano il modello tedesco, incentrato sulle integrazioni giurisprudenziali imperniate sul principio della buona fede, preferibile secondo l’elaborazione dottrinale, ma nettamente perdente nella sfida “pragmatica” della globalizzazione. Il modello americano infatti, permette un trattamento professionale del contratto che prescinde dalle varianti locali, e che si affida al testo, rispetto al quale i mezzi dell’interpretazione non possono di certo pretendere di rimuovere eventuali ingiustizie nell’assetto di interessi.
[98] G. Alpa, L’avvocato…, cit., 91.
[99] Ad affermare la necessità di impedire la colonizzazione in alternativa alla realizzazione di uno spazio giuridico uniforme v. G. Alpa, L’avvocato…, cit., 92.
[100] R. Sacco, Introduzione…, cit., 6. L’Autore, pur guardandosi dall’attribuire qualsivoglia scopo necessario alla scienza del diritto comparato, riflette sull’utilità dell’approccio comparatistico per la comprensione della molteplicità dei modelli giuridici, in modo da ” non disconoscere il carattere naturale e legittimo del pluralismo culturale e giuridico”.
[101] Si intende fare riferimento alla nozione così come descritta da G. Gorla, Il diritto…, cit., 471. L’autorevole studioso si riferisce al diritto comparato adoperando una “certa vasta accezione, la quale è pur usuale presso molti comparatisti, e cioè nel senso comprensivo anche degli studi di diritto straniero (sia allo scopo di preparare la comparazione, sia ad altri scopi teorici e pratici), e comprensivo inoltre di attività connesse (riforme del diritto nazionale, uniformazioni etc.) normalmente svolte dai comparatisti per connessione i quasi per mestiere di esperti, anche se queste attività, da un certo punto di vista scientifico, non si possono far rientrare nel “diritto comparato” come scienza”.
[102] Si omette qualsiasi considerazione in ordine alla natura scientifica del diritto comparato, per la quale v. A. Gambaro, R. Sacco, P. G. Monateri, voce Comparazione giuridica, in Digesto, Disc. Priv, Sez. Civile, III, Torino, 1988, 51, ove viene riportata la prima delle “Tesi di Trento”: Il compito della comparazione giuridica, senza il quale la comparazione giuridica non sarebbe scienza, è l’acquisizione di una migliore conoscenza del diritto, così come in genere il compito di tutte le scienza comparatistiche è l’acquisizione di una migliore conoscenza dei dati appartenenti all’ ambito cui si applica”. Analogamente l’oggetto della ricerca non consente una trattazione del problema, per altro superato, intorno al rapporto tra “scienza del diritto comparato” e “metodo comparatistico”. Gli studiosi sono giunti pacificamente alla conclusione che ogni scienza è anche metodo e viceversa. V. R. Sacco, Introduzione…, cit., 10.
[103] Si vuole fare riferimento alle moltpeplici prospettive e scuole del diritto comparato, spesso di carattere interdisciplinare. Tra queste si ricordano: l’esame storico (v. L. J. Costantinesco, Introduzione al diritto comparato, ed. it. a cura di A. Procida Mirabelli di Lauro, Torino, 1996, 65 ss.), il case law, le prospettive strutturaliste, decostruttive e funzionali, l’analisi economica del diritto (v. U. Mattei e P.G.Monateri, Introduzione…, cit., 83 ss.), quella sociologica e antropologica (L.J. Costantinesco, Introduzione…, cit., 111 ss.). Per una disamina del dibattito sull’unità o pluralità del metodo comparativo v. L. J. Costantinesco, Il metodo…, cit., 33 e ss. L’Autore, come la gran parte degli studiosi moderni del diritto comparato, propende per l’ unità del metodo, ferma restante la possibilità di valorizzare alcuni aspetti dell’itinerario metodologico scegliendo tra le molteplici prospettive proposte dalla dottrina, in ragione della peculiarità dei problemi affrontati e degli scopi prefissi.
[104] Tra i numerosi contributi metodologici, particolarmente attento alla successione delle fasi e al rispetto delle regole procedimentali risulta essere L. J. Costantinesco, Il metodo…, cit, 44 ss.
[105] Tale tripartizione è presente, tra l’altro, nel Manifesto dell’opera “Sistemi giuridici comparati” firmato da G. Ayani, F. Castro, M. Guadagni, U. Mattei, P. G. Monateri, A. Procida Mirabelli di Lauro, a cura di A. Procida Mirabelli di Lauro, in Introduzione al diritto comparato, Torino, 1996. Un importante e chiaro contributo in ordine al ruolo del contratto nei moderni sistemi di economia di mercato globale è quello di D. Corapi, R. Torino, Evoluzione dei sistemi economici e nuovi modelli contrattuali, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. Cendon, I, Introduzione, Torino, 2005, 27 ss. Gli autori, dopo aver affermato la centralità del contratto nel mercato, a prescindere dall’importanza che si attribuisca a quest’ultimo, individuano le principali linee evolutive del nuovo diritto dei contratti in rapporto all’evoluzione dei sistemi economici. Così, l’economia del consumismo ha determinato la standardizzazione dei testi contrattuali e la contrapposizione delle parti contraenti nelle due categorie di consumatore e professionista-imprenditore; l’espansione e l’internazionalizzazione dei mercati hanno determinato, invece, l’esportazione, dagli ordinamenti occidentali in tutti gli ordinamenti giuridici “colonizzati”, degli schemi contrattuali nazionali confacenti agli interessi dei primi e modellati sulle specifiche esigenze poste dal carattere internazionale del contratto; l’espansione dei mercati ha, inoltre, aumentato esponenzialmente i costi di negoziazione (transaction costs), influenzando la forma redazionale dello strumento contrattuale e creando, così, contratti sempre più complessi; infine, l’affermarsi della net economy, nell’ultima decade del secolo trascorso, ha visto il modello di stipulazione del contratto conformarsi alla “virtualizzazione” dei rapporti generata dal nuovo strumento tecnologico e il sorgere di nuove modalità di formazione dell’accordo raggiunto mediante internet. Tutte queste linee di tendenza derivano dallo stretto rapporto tra il sistema economico e gli strumenti contrattuali utilizzati in esso.
[106] Le precisazioni già esposte supra, 29, nota 79, servono ad escludere ogni abuso o utilizzo superficiale della formula: anche nell’ambito della rule of law vi sono differenze importanti attinenti al ruolo dei formanti nella disciplina degli istituti.
[107] Si ricordi che, a tale riguardo, che il contesto giuridico-economico europeo, entro il quale merci e persone circolano liberamente, deve comprendere, oggi a pieno titolo, i paesi dell’Europa centro-orientale, che, spinti dai vantaggi di una piena integrazione economica, hanno abbandonato l’opzione socialista per scegliere il mercato comune, imperniato sulla libera circolazione di merci e persone accompagnata alla garanzia delle libertà fondamentali. Il cammino verso l’integrazione si snoda soprattutto attraverso l’utilizzo di strumenti giuridici quali accordi di associazione e partenariati di adesione. Per una descrizione efficace e sintetica v. B. Pasa, Gli accordi di associazione ed i partenariati di adesione con i paesi dell’Europa centro–orientale, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. Cendon, I, Introduzione, Torino, 2005, 225 ss.
[108] Il riferimento è alla classificazione, presente, tra l’altro, in Manifesto dell’opera, cit., nota 105, e, con riferimento più analitici, in U. Mattei, P. G. Monateri, Introduzione breve, cit., 79.
[109] V. infra, 211 ss.
[110] G. Gorla, Il diritto comparato in Italia e nel mondo occidentale e una introduzione al dialogo civil law – common law, cit.
[111] G. Gorla, Op. ult. cit., 529 ss. L’Autore ricostruisce, nell’ambito di un excursus storico sull’utilizzo della comparazione, il dialogo tra giuristi continentali e common lawyers ed afferma, riferendosi allo studio del diritto comparato nei secoli XVI-XIX: “I giuristi inglesi sentivano di appartenere, con i continentali, ad una comunità giuridica “europea”, ad un orbis civilis communicationis, una communicatio cui per vero i continentali si sottrassero; .il tramite di questa communicatio furono specialmente i civilians inglesi dei secoli XVI-XIX”. V. anche 533: “Anche oggi, il dialogo tra civil law – common law è di importanza fondamentale per il diritto comparato di tutti il mondo (…) ogni contributo al diritto comparato delle concordanze può ridimensionare la distinzione fra le due cosiddette grandi “Famiglie”; e così ovviare ad una “divisione” o separazione.
[112] G. Gorla, Op. ult. cit., 591 e 592.
[113] J. Gordley, “Common law v. civil law”. Una distinzione che va scomparendo?, in Scritti in onore di Rodolfo Sacco, La comparazione giuridica alle soglie del terzo millennio, a cura di P. Cendon, Milano, 1994, 561 ss. Durante l’ottocento, la struttura del diritto angloamericano cambia radicalmente: esso non è più organizzato secondo le forms of action, ma alla stregua delle categorie continentali del diritto contrattuale, dell’illecito civile, e della proprietà. Esse sono state carpite mediante lo studio delle opere di civilans quali Grozio, Pufendorf, Pothier e Domat. Quelle che il Maitland ritiene illusoriamente “grandi elementari concezioni del common law”, sono in realtà categorie mutuate dal civil law per ristrutturare un sistema non più ritenuto soddisfacente. Nel novecento, poi, soprattutto negli Stati Uniti, vengono eliminate le parti residuali dell’antico common law, determinando la sopravvivenza di un sistema dalla fisionomia sempre più continentale. Per quanto riguarda il diritto contrattuale, fino alla fine del settecento i common lawyers non ragionavano in termini di contratto, ma di forms of action, di covenant e di assumpsit. Un primo passo verso un diritto dei contratti “convergente” giunge attraverso l’idea di civil law che i contratti hanno, o una causa onerosa, se le parti vogliono uno scambio, o una causa gratuita, se una parte vuole conferire all’altra un beneficio gratuito. A partire da Blackstone, gli scrittori anglo-americani sono giunti ad identificare la “consideration” con la causa di scambio, molto spesso aggiungendo la citazione di una autorità continentale. Sembra che tali autori identifichino la consideration alla stregua di una versione locale della dottrina della causa; inoltre, la differenza tra covenant e assumsit è paragonata alla differenza tra contratti con causa gratuita e contratti con causa onerosa, presente appunto nel diritto continentale: le sole promesse di fare gratuite (donazione) esigono, nel common law di allora, la formalità del sigillo per essere vincolanti. Il contratto veniva configurato così come promessa bilaterale, implicante un’offerta ed un’accettazione: stessa conclusione cui erano giunti i civilans. Si esaminavano, inoltre, anche i vizi del consenso, errore, dolo e violenza, valutandone gli effetti alla stregua di riflessioni di stampo civilan. Venne stabilita, inoltre, la regola, elaborata dal Pothier, per la quale l’attore può recuperare il suo guadagno perso. Al contrario di quanto prevedeva il civil law, l’esecuzione in forma specifica era possibile solo quando non fosse adeguato il risarcimento dei danni. Tale differenza però non risulta rilevante. Senza dubbio sarebbe sbagliato eguagliare la consideration alla causa del contratto a titolo oneroso. Consideration è innanzitutto un rimedio utilizzato dalle corti per limitare le circostanze in cui una promessa avrebbe potuto essere vincolante. Non era quindi un concetto definibile. Gli scrittori però, contrariamente alle corti, continuavano ad identificare la consideration con lo scambio: bargained for detriment: una parte aveva rinunciato ad un diritto soggettivo, e l’altra aveva fatto la promessa per indurlo a rinunciarvi. Il problema era che, nell’ottocento come precedentemente, le corti adottavano molte soluzioni diverse da quelle dottrinali. In America, la formulazione più recente ed autorevole del diritto americano dei contratti è il Second Restatement of Contracts, che tratta direttamente e separatamente i diversi problemi di giustizia contrattuale che la dottrina della consideration tentava di risolvere. Si suggerisce pertanto di non parlare più di consideration ma di promesse che sono o non sono vincolanti. Anche P. G. Monateri, Ripensare il contratto: verso una visione antagonista del contratto, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. Cendon, I, Introduzione, 51 ss., seppure incidentalmente, sintetizza: “L’attenzione dei comparatisti si era attardata a contrapporre il contratto di Civil Law a quello di Common Law, in particolare, in virtù della divergenza fra elemento della causa, ed elemento della consideration, senza peraltro considerare appieno, nella sua versione ortodossa, il filone sotterraneo della derivazione continentale della consideration…”.
[114] Il riferimento è ovviamente ad uno dei massimi contributi alla scienza del diritto comparato: R. David, I grandi sistemi del diritto contemporaneo, tradotto da O. Calliano ed altri, sotto la direzione di R. Sacco, 1978, Padova, il quale suddivide i sistemi giuridici esistenti nelle famiglie di common law, civil law e Paesi socialisti. Una correzione di tale impostazione appartiene al Sacco R., Introduzione…, cit.,187 ss.
[115] Anche in questo caso si preferisce incentrare la dissertazione sul leasing finanziario di beni mobili.
[116] G. De Nova, La recezione del leasing finanziario in Germania, in Francia, in Italia, alla luce della qualificazione, Milano, 1978. 118.
[117] V. Legge n. 66/455 del 2 luglio 1966, l’ordinanza 67/837 del 28 settembre 1977 (relative alle imprese che esercitano il crédit- bail) ed il decreto n. 72/665 del 4 luglio 1972 sulla registrazione.
[118] V. arrèté ministeriel del 23 febbraio 1968, una legge del 30 ottobre 1976, completata da un arreté royal del 24 dicembre 1976.
[119] V. decreto legge n. 15/1977 del 25 febbraio 1977, seguito poi da un regolamento.
[120] Legge n. 171/1979 del 6 giugno del 1979, preceduta da una legge sulle società di leasing, la n. 135/70 del 18 maggio 1970.
[121] V. Legge n. 1665 del 1986.
[122] V. Legge n. 3226 del 10 giugno 1985 e successivi regolamenti.
[123] V. Legge 140 del 13 novembre 1985.
[124] G. De Nova, Leasing…, cit., 493.
[125] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, in Riv. it. leasing, 1998, 20, il quale, riferendosi al nostro Paese, afferma: “Ha sviluppato un importante formante giurisprudenziale”.
[126] Si ricordi che in Germania, da tempi risalenti vi è una disciplina sul leasing, anche se riguarda un preciso settore merceologico entro il quale viene di frequente stipulato, quello navale, con riferimento ai contratti di utilizzazione di navi, regolamentati nella legge del 5 febbraio 1976 sulla navigazione commerciale.
[127] La Commissione era guidata dall’allora Presidente della Corte Suprema, Prof. Jacubowski.
[128] In tal senso, A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 23.
[129] Non sfugge, sul punto, la critica di un eminente studioso, il Frignani A., op. ult. cit., il quale spiega la suddetta discrasia “con un ritardo storico culturale nel comprendere le esigenze economiche per l’esercizio delle professioni liberali (non recuperato dal fuggevole cenno del primo comma dell’art. 2238 c.c.)”.
[130] Infra, Discorso più complesso si farà per le molteplici applicazioni del contratto riguardo all’oggetto, tra le quali spiccano per importanza il leasing al consumo e quello immobiliare.
[131] La dottrina a tal proposito si è chiesta le ragioni di tale distinzione visto che la nozione comprende di sicuro anche gli autocarri.
[132] È il caso dell’Italia: la legge n. 696, art 1, 9° comma, nonché la legge 17 febbraio 1985, n. 17, fanno riferimento ad un periodo non inferiore alla metà del periodo necessario per l’ammortamento fiscale ordinario; anche il D.M. del 23 luglio, 1980, impone analogamente una durata minima di 5 anni, e massima di 15 per il Mezzogiorno, 10 anni nel resto del Paese.
[133] Tale parametro è invece sicuramente escluso quando la legge fissa in una cifra il tempo minimo di durata del rapporto.
[134] Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 21.
[135] Qualche conferma di tale affermazione è rinvenibile nell’ordinamento italiano, ex art. 1 della legge n. 1329, che parla di “locazione con patto di opzione”, e nel d.l. 5 dicembre 1986, n. 818, laddove si fa riferimento alla “locazione con facoltà di compera”.
[136] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 27.
[137] G. Ferrarini, Esperienze straniere…, cit., 203.
[138] Appare chiaro nell’art. 17 della citata legge italiana e nell’art. 20 della legge portoghese.
[139] L’opinione è maggioritaria nella dottrina italiana. Per tutti v. G. De Nova, Leasing, cit., 475.
[140] Lo si vedrà più diffusamente nel prossimo capitolo.
[141] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di comman law, cit., 28.
[142] V. per tutti l’art. 25 della legge portoghese ed il § 219 dello U.C.C. americano.
[143] A. Frignani, op. ult. cit., 28. Spicca a tal proposito la legge portoghese, che prevede che qualsiasi inadempimento dell’utilizzatore offre al concedente la facoltà di risolvere il contratto, aggiungendo “contrariamente alle norme sulla locazione”. È dunque chiaro che per il diritto portoghese nella locazione non ogni inadempimento è idoneo a provocare la risoluzione (e v., per il diritto italiano, l’art. 1618 c.c.), ma nel leasing si. Nella legge turca l’unico temperamento lo troviamo nell’art. 23, che ritiene motivo idoneo alla risoluzione il ritardo nel pagamento, anche di un solo canone, ma solo dopo che siano trascorsi 30 giorni dalla scadenza, oppure 60 giorni, se era previsto il passaggio della proprietà al termine del leasing. Il temperamento che taluno ha proposto nel diritto italiano (e cioè l’applicazione della norma sul mancato pagamento di una rata inferiore all’ottavo: ex art. 1525 c.c.), presuppone l’applicazione al leasing di tutte le norme sulla vendita con riserva di proprietà, o almeno il riconoscimento che l’art. 1525 del c.c. è espressione di un principio generale: esercizio troppo difficile per avere successo, secondo l’autorevole parere di A. Frignani, op. ult. cit., 30.
[144] A. Frignani, op. ult. cit., 30.
[145] G. Ferrarini, Esperienze straniere in tema di leasing, in V. Buonocore, A. Fantozzi, M. Alderighi, G. Ferrarini, Il leasing. Profili privatistici e tributari, Milano, 1975, 198.
[146] Le ultime barriere sono state superate probabilmente con l’importazione dello staff leasing e del leasing azionario (sui quali v. cap. V), in un ordinamento non propriamente “elastico”, come quello italiano.
[147] Supra, 10, in part. nota 23.
[148] A. Cremonese, Il leasing in Francia, in Contr. e impr./Europa, 2004, I, 144. Alla locuzione location financière non tutti gli autori francesi attribuiscono il medesimo significato: alcuni, designano con esso una categoria che accoglie in sé tre figure contrattuali: il crédit bail (leasing di beni strumentali disciplinato dalla legge n. 66-455), la location avec option d’achat (locazione con opzione d’acquisto, che riguarda beni destinati ad uso personale o familiare) e la location de lounge durée (locazione di lunga durata, che, pur presentando un’importante componente finanziaria, non prevede l’opzione finale d’acquisto). Altri studiosi utilizzano la suddetta espressione solo per indicare le operazioni di leasing che non prevedono l’opzione finale. È preferibile seguire il primo orientamento, in quanto più vicino al significato attribuito in Italia alla locuzione e più aderente alla scelta operata nella Convenzione di Ottawa, che non considera rilevante, ai fini della qualificazione, la presenza o meno dell’opzione d’acquisto.
Per quanto attiene poi al termine inglese leasing, esso viene generalmente utilizzato per indicare, quale categoria generale e residuale, tutti quei contratti che non rientrano nell’alveo applicativo della legge n. 66-455 e che, quindi, non integrano la definizione di crédit-bail per la mancanza di uno o più requisiti essenziali; si tratta evidentemente di una categoria ricavata per sottrazione, che rende preferibile parlare di leasing stricto sensu al fine di richiamare immediatamente la peculiarità del contesto disciplinare francese utilizzando, per altro, un’espressione diffusa nella prassi francese ed usata, seppure con minore frequenza, dalla dottrina d’oltralpe, nonostante la legge n. 75-1349 del 31 dicembre 1975 vieti l’utilizzo del termine inglese (in tal senso A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 21). Un autorevole studioso francese, il Goyet, ha tracciato una suddivisione ulteriore all’interno della categoria del crédit bail, separando dalla fattispecie di contratto espressamente prevista e disciplinata dalla legge francese del 1966, il crédit bail lato sensu, che designa le operazioni sottoposte alla legge del 1966 pur non rientrando esattamente nella definizione legale presente nel 1° articolo della stessa. In particolare, si fa riferimento all’obbligo di dare pubblicità ai contratti di crédit bail, che investe anche le operazioni non realizzate da enterprises: l’art. 1 della legge francese, infatti, stabilisce chiaramente che le sole enterprises possono stipulare contratti assumendo la veste di concedente, ma l’esigenza di tutelare i terzi porta ad applicare il regime pubblicitario in questione anche alle operazioni poste in essere da un simple particulier (persona fisica) che eserciti tale attività in maniera occasionale. Si tratta quindi di operazioni che pur non soddisfacendo il requisito soggettivo richiesto dal legislatore francese sono comunque sottoposte alla sua severa disciplina, quantomeno in materia di pubblicità, e possono qualificarsi come crédit-bail lato sensu. Altra dottrina infine, di cui non si intende seguire l’impostazione, usa il termine crédit-bail come categoria omnicomprensiva, comprendente tutte le tipologie di leasing. Da questo punto di vista la legge si riferirebbe solo ad alcune operazioni di crédit-bail (denominate crédit-bail stricto sensu), mentre il crédit-bail lato sensu si configurerebbe contemporaneamente come contratto nominato ed innominato, disciplinato solo parzialmente. Si preferisce, coerentemente con la scelta operata da chi in Italia si è occupato recentemente della materia (A. Cremonese, Il leasing in Francia, cit., 147), parlare di crédit-bail stricto sensu per designare il contratto che vincola concedente ed utilizzatore, ove occorra distinguerlo dal contratto di fornitura (con quale concorre alla formazione dell’operazione complessiva di crédit-bail).
[149] Si tratta della prima società di leasing francese, creata sotto l’egida della Banque d’Indochine, con la partecipazione inoltre, di alcuni grandi istituti finanziari e compagnie d’assicurazione.
[150] È interessante riassumere la vicenda che, prima dell’introduzione di una legge ad hoc, ha visto opporsi in Francia, operatori e giudici. I venditori a credito, infatti, desiderosi di evitare il concorso con i creditori degli acquirenti in caso di procedura fallimentare, hanno sempre trovato l’ostacolo di una giurisprudenza decisa a difendere il principio della par condicio. Essendo sempre vigente in Francia il principio dell’inopponibilità della riserva di proprietà, i venditori hanno fatto ricorso dapprima alla location vente: un contratto in cui si conviene che durante il periodo del pagamento dei canoni l’acquirente sarà considerato come conduttore, e diverrà proprietario solo al momento del pagamento dell’ultimo canone. Di fronte a questo tentativo, la giurisprudenza ha risposto qualificando il contratto come “vente déguisée”, traendo argomento dall’automaticità del trasferimento della proprietà. I venditori hanno allora fatto ricorso alla location avec promesse unilaterale de vente, un contratto in cui il conduttore diventa proprietario esercitando la facoltà riconosciutagli e pagando “une soulte”. La giurisprudenza ha rispettato questa costruzione, e l’ha ritenuta produttiva di effetti anche nei confronti dei creditori fallimentari del conduttore-acquirente: sempre che, però, l’esiguità della somma pattuita per l’esercizio dell’opzione d’acquisto non facesse ritenere che si trattasse in realtà di una vendita mascherata! In questa situazione di incertezza, l’apparizione del leasing viene salutata come la soluzione forse definitiva: esso si presenta, infatti, come una locazione, e quindi appare idoneo a garantire la qualità di proprietario al concedente. Anche il leasing, però, deve sottoporsi all’esame della giurisprudenza. La domanda che si pone il Tribunale di La Rochelle, nella sentenza 26 giugno 1964, è quella consueta: il contratto in esame è una vente déguisée? Il Tribunale risponde di no, e riconosce l’essenza locatizia del contratto, e quindi la qualità di proprietario del concedetne non opponibile al fallimento. Nel caso di specie, mancava una promessa di vendita, ma le argomentazioni del Tribunale consentono di ritenere che non avrebbe deciso diversamente se tale promessa fosse stata contenuta nel contratto. La dottrina approva sostanzialmente questa decisione, e la soluzione trova consacrazione definitiva nella legge 2 luglio 1966 che fa espresso riferimento alla permanenza della proprietà in capo al concedente. V. G. De Nova, La recezione…, cit., 131 ss.
[151] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, Milano, 1977, 30; L. De Leyssac, La giurisprudenza sul leasing in Francia, in La giurisprudenza sul leasing in Europa, a cura di G. Sbisà e D. Velo, Milano, 1984, 76; A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 21. Del resto, è molto difficile trovare una legislazione ad hoc dell’istituto che non si accompagni ad alcuna disciplina dei soggetti, in genere enti societari, che esercitano tale attività finanziaria. Forse un’eccezione può essere rilevata nell’ordinamento tedesco, fermo restante il carattere settoriale della disciplina ivi vigente, e in quello di S. Marino.
[152] La francesizzazione del termine obbedisce al dettato della loi n. 75-1349 del 31 dicembre 1975, ribadita dall’arretè dell’11 gennaio 1990, che contiene l’espresso divieto di utilizzare i vocaboli inglesi quali leasing e lease back. V. O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario commentato di contrattualistica commerciale. Francia – Italia, Milano, 1996, 709.
[153] V. supra, nota 148.
[154] Solo cinque anni dopo, con il décret n. 72-665, del 4 luglio 1972, vengono specificate le concrete modalità attuative del provvedimento.
[155] A. Cremonese, Il leasing in Francia, cit., 149. Vi sono poi altri testi di legge che incidono profondamente sulla disciplina dell’istituto. Si pensi alla legge n. 75-597, che ha modificato gli artt. 1152 e 1153 c.c. relativi alle clausole penali; la legge n. 78-23 oggi integrata nel Code de la consommation, relativa alla protezione dei consumatori dalle clausole abusive; la legge bancaria n. 84-46, riguardante le attività e il controllo cui sono sottoposti gli istituti di credito, che interessa il leasing nella misura in cui attribuisce alle banche un sostanziale monopolio relativo all’esercizio abituale del crédit-bail; la legge n. 86-12, che estende l’applicazione della legge del ‘66 alle acquisizioni di aziende commerciali; la legge n. 89-1008, che mediante un’ulteriore estensione, abbraccia anche le operazioni aventi ad oggetto elementi immateriali d’azienda; le leggi n. 85-98 e 94-475 di riforma delle procedure collettive; gli interventi legislativi sul crédit-bail immobiliare, che hanno sensibilmente ridotto i vantaggi fiscali inizialmente concessi alle SICOMI (loi de finances n. 90-1168 e n. 95-115. Non si dimentichi, inoltre, che la Convenzione di Ottawa del 1988 sul leasing finanziario internazionale è stata ratificata dalla Francia con legge 91-636, pubblicata con décret n. 95-870 del 1995, ed entrata in vigore il 1° maggio 1995.
[156] Ciò in origine rappresentava un elemento di distinzione del crédit-bail rispetto al leasing stricto sensu, imponendo un particolare statuto solo alle imprese di crédit-bail. Tale diversità è venuta meno nel 1984, con l’entrata in vigore della legge n. 84-46 che ha assimilato tutte le operazioni di location assortie d’une option d’achat ad operazioni di credito, la cui pratica abituale è riservata agli istituti bancari.
[157] O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 713.
[158] In altri ordinamenti le leggi sul leasing non offrono una definizione dell’istituto, ma enumerano gli elementi caratterizzanti l’operazione: si tratta di una tecnica nuova e diversa che fa leva sulla descrizione della fattispecie piuttosto che sulla definizione della stessa. Si pensi alla legge belga che, nell’art. 1 fa riferimento: alla natura strumentale dei beni; all’acquisto da parte del concedente, ma dietro specifiche dell’utilizzatore; alla durata corrispondente all’utilizzazione economica del bene; al corrispettivo pari all’ammortamento del valore del bene e all’opzione. V. A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 21.
[159] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 21, nota 26, afferma opportunamente che l’influenza delle definizioni legislative sulla giurisprudenza e sulla dottrina dei diversi ordinamenti nei quali il leasing è stato appositamente disciplinato è considerevole, sicché l’analisi della sola nozione legislativa offre già un quadro meno parziale di quanto, ad un primo approccio, potrebbe ritenersi. Un esempio calzante in tal senso è rinvenibile anche nel nostro ordinamento:la legge italiana sul Mezzogiorno afferma che il bene è acquistato “su scelta ed indicazione del conduttore, che ne assume tutti i rischi”. In tal senso, il legislatore italiano intende risolvere anticipatamente una serie di questioni annose relative alla disciplina del contratto.
[160] Appare chiara l’intenzione legislativa di imperniare l’operazione sulla figura del concedente, In tal senso G. Ferrarini, op. ult. cit., 32. La legge belga pone un requisito analogo: perché si abbia location-financement è necessario che il bene sia stato acquistato dal concedente en vue de sa location et sur les spécifications du futur locatarie (art. 1). Secondo i primi commentatori della legge, si tratterebbe in ogni caso di una circostanza qualificante della locazione finanziaria e il legislatore avrebbe giustamente recepito questa opinione. Sicchè, ove ricorressero tutti gli elementi abitualmente ritenuti tipici, ma mancasse il requisito considerato, non potrebbe parlarsi di location-financement: sarebbe infatti esclusa la natura di opération de crédit.
[161] La definizione della legge francese è anche riportata, evidenziandone gli elementi essenziali, da G. De Nova, La recezione…, cit., 133. Nel 2° comma segue la definizione del crédit-bail immobiliare, che comprende le operazioni con cui un’impresa dà in locazione ad uso professionale dei beni immobili che ha acquistato o fatto costruire per conto suo, nell’ipotesi in cui tali operazioni permettono ai conduttori di diventare proprietari in tutto o in parte dei beni locati, al più tardi alla scadenza della locazione, sia mediante cessione in adempimento di una promessa unilaterale di vendita, sia mediante acquisto diretto o indiretto della proprietà del terreno sul quale sono stati edificati l’immobile o gli immobili locati, sia mediante trasferimento di pieno diritto della proprietà delle costruzioni edificate sul terreno appartenente al suddetto conduttore. Per entrambe le definizioni, quella riportata è una sintesi della traduzione di C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza sul leasing in Francia, in La giurisprudenza sul leasing in Europa, a cura di G. Sbisà e D. Velo, Milano, 1984, 77 ss. Analoga traduzione in G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 31, il quale rileva che la definizione, evidentemente, riflette la peculiarità della prassi della locazione finanziaria immobiliare. Su quest’ultima si ritornerà più analiticamente nell’ultimo capitolo. In origine ci si è chiesti se potessero essere realizzate operazioni di leasing sottratte all’applicazione di tale disciplina. La legge, di certo, non lo esclude (“les opérations de crédit-bail visées par cette loi”), ed una parte della dottrina, desiderosa di confinare il raggio d’azione di una legge ritenuta limitativa della libertà economica, si è impegnata ad individuare operazioni di leasing non catturate dal rigoroso legislatore francese, tra le quali spiccherebbero quelle realizzate occasionalmente e quelle aventi ad oggetto beni non strumentali; ma la giurisprudenza, opponendosi a tale ricostruzione fin dai primi anni settanta, ha ritenuto applicabile a tutte le operazioni il rigido regime pubblicitario previsto dalla disciplina del 1972, escludendo pertanto ogni possibilità elusiva.[161] Inoltre, tale sorta di “leasing residuale”, coltivato dalla prassi oltre i confini della legge n. 455, corre il rischio di ricadere entro i tipi contrattuali già noti e disciplinati, essendo di conseguenza sottoposto al principio della par condicio creditorum ed alla disciplina imperativa della vente à crédit. Come afferma G. De Nova, La recezione…, cit., 136, “l’area coperta dal crédit-bail appare una zona protetta; al di fuori della quale il leasing non ha molte possibilità di sopravvivenza”
[162] Lo stesso riferimento alla natura strumentale dei beni oggetto del contratto è rinvenibile nelle definizioni legislative delle discipline vigenti in Belgio, Spagna, Grecia e Brasile. V. A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 21. Per quanto attiene al caso francese, il Ferrarini G., La locazione finanziaria, cit., 31, ritiene che tale disposizione deriva con ogni probabilità dallo scopo particolare che il legislatore si era prefisso di assoggettare a disciplina le imprese che esercitano abitualmente il crédit-bail.
[163]O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 713. Si comprende pertanto che solo le imprese hanno la possibilità di stipulare contratti di crédit-bail. Un privato, al di fuori di un ambito professionale, non può assumere la veste di utilizzatore. Quest’ultimo potrà essere solo parte in un contratto di locations avec option d’achat o “locazione-vendita”, come superficialmente potrebbe essere definita in italiano. Per affrontare più consapevolmente ed in chiave comparatistica tale istituto, si sceglie di rinviare al capitolo V, ove verrà considerato il contenuto delle leggi Scrivener e Scrivener II (rispettivamente n. 78-22 e 75-596), con qualche integrazione confluite entrambe nel Code de la consommation, che rappresentano il primo corpo di norme ideato in Francia appositamente per la tutela del consumatore,[163] e disciplinano tale importante forma di location financière: la locations avec option d’achat.
[164] G. Ferrarini, Esperienze straniere…, cit., 206.
[165] C. Champaud, La loi du 2 juliet 1966 sur le crédit-bail, in JCP,1970, I, doctr. 2294.
[166] Riportata più diffusamente in A. Cremonese, Il leasing in Francia, cit., 151; Nello stesso senso, O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 711, i quali precisano che, in genere, l’impresa utilizzatrice deve versare una “cauzione”: probabilmente gli autori fanno riferimento al maxi-canone imposto generalmente al lesee.
[167] O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 715. Solitamente la durata della locazione coincide con la durata della vita economica del bene, vale a dire con il periodo dell’ammortamento. La Corte di Cass. (Cass. com. 8 dicembre 1987, in Bull. Civ., 129, n. 265), ha ricordato che le parti sono libere di fissare la data od il termine alla scadenza del quale l’utilizzatore può esercitare il diritto d’opzione.
[168] O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 711 Si ricordi che la sublocazione di attrezzature è solitamente vietata, ma clausole di tal tipo non impediscono l’affitto d’azienda.
[169] V. per esempio Cass. com. 30 novembre 1999, in RJDA 2/2000, n.49.
[170] Un riferimento espresso all’opzione di acquisto è riscontrabile oltre che nella citata legge italiana, anche nel decreto che regola l’istituto in Colombia, e nella legge spagnola. L’analoga disciplina legislativa belga fa dell’opzione di acquisto un elemento qualificante della locazione finanziaria: tale opzione deve poter essere esercitata mediante pagamento di un corrispettivo fissato nel contratto e corrispondente al presunto valore residuo della cosa (art. 1). V. G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 33, nota 31.
[171] Cass. comm. 15 dicembre 1975, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 80.
[172] Cass. comm. 21 maggio 1979, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 80.
[173] Trib. Rennes, 30 novembre 1976, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 80.
[174] Un’esposizione chiara delle argomentazioni critiche si trova in C. De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 80.
[175] C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…,cit., 82.
[176] È quanto auspicato da C. Lucas De Leyssac, op. ult. cit., 82.
[177] C. Lucas De Leyssac, op. ult. cit., 82.
[178] In Francia gli autori sono tutti pacificamente orientati per questa ricostruzione dommatica del fenomeno giuridico. In Italia, come meglio si vedrà, esiste un orientamento dottrinale minoritario, che qualifica il leasing come contratto trilaterale. Il maggior sostenitore dello stesso è senza dubbio D. Purcaro, La locazione finanziaria – leasing, Padova, 1998, 24 ss.
[179] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 26. Analogamente la legge italiana (art. 17 più volte citato) e quella spagnola. Nel primo caso si stabilisce espressamente che l’utilizzatore assume i rischi della cosa, mentre nel secondo caso il rapporto triangolare è chiarissimo (art. 19 legge spagnola). Altre normative, come quella belga e greca, considerano solamente due soggetti, disinteressandosi del terzo (chiamato indifferentemente produttore o fornitore). È questa anche, come meglio si vedrà, la soluzione del diritto inglese. La pura bilateralità emergente da tali discipline rende il discorso delle azioni più complesso.
[180] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 27. Anche la legge portoghese assimila il leasing ad una locazione con caratteristiche specifiche; stesso dicasi del progetto polacco, mentre la legge del Sud Africa enfatizza l’analogia con la vendita. In Giappone invece, ci si avvale tout court delle norme sulla locazione.
[181] O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 734 ss. Si vedano, in particolare, le clausole tipo su “Usage et entretien du Material: Le Locataire utilisera le Matériel avec la compétence requise et le concours d’un personnel spécialisé, et en suivant les instructions de fonctionnement données par le Fournisseur. Le Locatarie devra à tous moments conserver le Materiel en bon état de conservation et de réparation, lui assurer la maintenance appropriée et remplacer à ses frais les pièces usées ou endommagées…”; Perte ou dommage; Principes: Le Locataire sera seul responsable et devra indemniser le Propriétaire de toute perte ou tout dommage du Matériel (déduction faite du montant de l’indemnité d’assurance que le Praopriétaire aura éventuellement percue) quelle qu’en soit la cause, suervant à un moment queiconque antérieur à la reprime du Matériel par le Proprétaire, exception faite pour l’usure normale dudit Matériel. Le Propriétaire, exception faite pour l’usure normale dudit en justice ou autrement le paiment d’une indemnité quelconque de la part d’un tiers pour la perte ou le dommage causé au Matériel, ou pour la privation totale ou partielle de son usage infligée au Locataire; Nello stesso assetto di interessi si collocano anche le clausole relative a danni riparabili e non, responsabilità nei confronti dei terzi ecc. Le clausole riportate e quelle cui si rinvia sono quelle dei modelli predisposti dalla società parigina Concorde Finance.
[182] La presenza delle clausole descritte però, deve essere subordinata ad una giustificazione sostanziale ed al rinvenimento di mezzi tecnici che consentano di instaurare un collegamento tra il fornitore e l’utilizzatore. La giustificazione sostanziale viene individuata nel fatto che chi dà il bene in leasing è un finanziatore più che un locatore, e soprattutto nella circostanza che è l’utilizzatore ad avere scelto il bene. La volontà di individuare inoltre un mezzo tecnico adeguato per consentire all’utilizzatore di tutelarsi sufficientemente nei confronti del concedente, spinge la dottrina a qualificazioni diverse: si parla di mandato conferito dal finanziatore all’utilizzatore (Champaud), di stipulazione a favore dei terzi (Leloup), da sola o integrata da un mandat d’ester, di delegazione, di stipulazione a favore dei terzi e di mandato. Le due qualificazioni che si fronteggiano con maggiore autorità sono quella della stipulazione a favore di terzi e del mandato. La scelta fra l’una e l’altra è di grande importanza, perché solo parlando di mandato si può riconoscere all’utilizzatore il diritto di chiedere la risoluzione della vendita intercorsa fra il fornitore e il finanziatore, e quindi la risoluzione del rapporto intercorrente fra il finanziatore e l’utilizzatore. In un primo tempo la giurisprudenza ha negato all’utilizzatore la facoltà di chiedere la risoluzione, poi, ha adottato la tesi del mandato, ed ha riconosciuto tale facoltà, ma non senza pentimenti. Il riconoscimento in capo all’utilizzatore di un potere di chiedere la risoluzione della vendita, e di conseguenza del contratto di leasing, comporta dei rischi per le imprese di leasing. Ad esempio, quello di un’azione in risoluzione intempestiva, nei confronti di un fornitore che è solito indicare ai propri potenziali clienti quella impresa di leasing; o quello di una mancata restituzione del prezzo da parte del fornitore . Di fronte a questi rischi, la prassi contrattuale corre ai ripari: per limitare il primo, si prevede ad esempio che l’utilizzatore non possa esercitare l’azione di risoluzione senza aver prima tempestivamente informato il finanziatore; per evitare il secondo, si condiziona l’esercizio dell’azione al preventivo versamento, dall’utilizzatore al finanziatore, del prezzo che questi ha pagato per l’acquisto del bene, ovvero al preventivo acquisto del credito che il finanziatore vanta verso il fornitore. V. G. De Nova, La recezione…, cit., 142.
[183] Cass. comm. 25 gennaio 1977; Cass. comm. 26 gennaio 1977; entrambe in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 86, nota 13.
[184] È questa l’efficace espressione adottata da C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 86
[185] Su questo punto la dottrina è unanime, mentre la giurisprudenza è giunta solo in modo implicito a tale conclusione. V. C. Lucas De Leyssac, op. ult. cit., 86.
[186] Tale tesi è stata molto criticata dalla dottrina, soprattutto in riferimento all’idea di causa, mentre ha trovato soddisfatte le imprese finanziarie, interessante comprensibilmente a tenere indenne il contratto di credito dalle vicende della vendita, cui si ritengono estranee. V. C. Lucas De Leyssac, op. ult. cit., 86.
[187] Per tutte, v. Cass. 1° civ. , 3 marzo 1982, in C. Lucas De Leyssac, op. ult. cit., 86.
[188] C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 88.
[189] Cass. comm. 11 maggio 1981, in C. Lucas De Leyssac, op. ult .cit., 87.
[190] C. Lucas De Leyssac, op. ult .cit., 88.
[191] Cass. comm. 10 maggio 1982, in C. Lucas De Leyssac, op. ult .cit., 88.
[192] C. Lucas De Leyssac, op. ult .cit., 88. L’Autore, che scrive nel 1984, osserva :“Se questa giurisprudenza dovesse consolidarsi, il regime giuridico dei rapporti trilaterali di un’operazione di crédit-bail sarebbe molto vicino a quello di un’operazione di vendita a credito. La giurisprudenza avrebbe così fatto prevalere il dato economico sul dato giuridico, posto che l’operazione di crédit-bail è in realtà un’operazione di finanziamento, quali che siano le qualificazioni adottate dalla legge. Alla giurisprudenza rimarrebbe da adottare questo stesso approccio economico nella lettura dei testi relativi alla nozione di crédit-bail (perché difficilmente si potrebbe accettare che l’interpretazione economica prevalga in un caso mentre ci si limiti per il resto ad una sterile esegesi di un testo di cattiva qualità). Se così facesse, si potrebbe allora una volta di più plaudire senza riserve all’opera costruttiva della giurisprudenza”.
[193] Cass. com. 15 marzo 1983, in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 88.
[194] 23 novembre 1990, in C. Lucas De Leyssac, op. ult. cit., 88.
[195] A. Cremonese, Il leasing in Francia, cit., 179. Tali clausole mirano a porre rimedio al pregiudizio subito dal concedente: con la risoluzione della vendita egli recupera solo il prezzo fissato dal fornitore, ma non anche l’utile che avrebbe realizzato se l’operazione fosse andata a buon fine: dunque è sovente prevista una clausola che pone a carico dell’utilizzatore gli interessi sulla somma finanziata, che assicurano comunque una redditività sull’operazione. È frequente anche una clausola che impone all’utilizzatore di garantire la restituzione effettiva ove il fornitore risulti insolvente.
[196] A. Cremonese, op.ult.cit., 179.
[197] G. De Nova, La recezione…, cit., 136.
[198] Si è provato a fare ricorso all’art. 1321 c.c., che prevede la possibilità di riduzione giudiziale della penale in caso di esecuzione parziale, ma la stessa possibilità di parlare, per il leasing, di esecuzione parziale viene revocata in dubbio; ed in ogni caso l’art. 1321 viene ritenuto inapplicabile non solo quando le parti ne escludono espressamente l’applicazione (cosa che le società di leasing si affrettano a fare), ma anche quando la penale viene proporzionata alla durata dell’esecuzione o dell’inesecuzione del contratto; il che è regola per le clausole penali dei contratti di leasing. Si tenta allora la strada del contratto usurario, ma il leasing non è un contratto di mutuo, e la via appare poco percorribile; si prospetta il riferimento al carattere leonino, ma appare difficile individuare una sproporzione flagrante tra le prestazioni; si parla di arricchimento senza causa, ma senza fortuna. Si parla nel caso in cui la penale sia fissata nell’intero ammontare dei canoni pattuiti, di nullità della penale per assenza di causa e violazione del divieto di cumulo fra risoluzione ed esecuzione. Ma anche questa costruzione è respinta dalla corte di Cassazione e non appare comunque proponibile se la penale è fissata ad un ammontare inferiore, anche se di poco, al totale dei canoni non ancora scaduti: come pure avviene spesso.
[199] G. De Nova, La recezione…, cit., 139; A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 32.
[200] G. De Nova, Op. ult. cit., 139 afferma che se la clausola penale venisse ridotta in modo tale da perdere capacità deterrente, il finanziatore potrà trovarsi gravemente esposto, soprattutto se il bene non è standardizzato. Un secondo problema sarà quello di determinate in che misura una esecuzione parziale del contratto di leasing possa dirsi nell’intreresse del finanziatore . Nell’affrontare questi problemi la giurisprudenza francese avrà però il vantaggio di potersi giovare della preziosa esperienza accumulata negli anni del controllo clandestino. Chi aveva paura di affidare tale potere ai giudici ha con le prime due sentenze in materia ricevuto una conferma ed una smentita. Il trib. Lyon con una decisione del 5 febbraio 1976 di fronte ad una penale fissata nella somma forfettaria prevista nel contratto per l’acquisto, dopo un anno di utilizzazione, dell’autoveicolo che ne è oggetto, la riduce alla metà, senza dare rilievo all’evidente malafede dell’utilizzatore ( che aveva pagato con un assegno scoperto, non aveva restituito l’autoveicolo ed aveva continuato ad usarlo). Al contrario L’App. Amiens, con una decisione del 23 novembre dello stesso anno, di fronte ad una penale fissata neio 4/5 dei canoni non ancora scaduti, nega che l’esecuzione parziale risponda all’interesse del finanziatore, e , esercitando il potere di revisione dell’ammontare della penale, non la riduce perché manifestamente eccessiva, ma anzi l’aumenta, ritenendola, in conformità alla tesi del finanziatore, manifestamente “dérisoire”.
[201] A proposito di clausole penali v. modello in O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 749 e 750: a prescindendo da altri effetti dell’inadempimento quali per es. l’immediata risoluzione del rapporto e il divieto di compensazioni (sic!), il formulario prevede una penale non proprio magnanima nei confronti dell’utilizzatore: “…une indemnitè correspondant à la totalité des loyers TTC et autres sommes TTC restant à échoir jusqu’à la fin de la durée de location indiquée aux conditions particulières”.
[202] La natura locativa ha assunto un ruolo di primo piano nella recezione giuridica del leasing da parte dell’ordinamento francese, tanto che durante il dibattito svoltosi nella conferenza diplomatica di Ottawa, la delegazione francese ha posto come requisito imprescindibile il riconoscimento della garanzia di pacifico godimento (art. 8 della Convenzione sul leasing internazionale) ed ha ottenuto l’inserimento di una riserva ex art. 17 che preserva ulteriormente il diritto nazionale francese sotto questo profilo. V. anche G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 32.
[203] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 22, sottolinea che in Francia secondo la Cass. com. 25 gennaio 1977, il trasferimento all’utilizzatore di diritti ed azioni è un effetto naturale del crédit bail. Su questa linea del resto è anche la Convenzione Unidroit.
[204] A. Cremonese, Il leasing in Francia, cit., 174. Una dottrina minoritaria (Cayron) ritiene che gli argomenti solitamente addotti siano inidonei a superare la qualificazione legale del contratto. L’obsolescenza del bene è ritenuta irrilevante a tal fine,[204] così si argomenta che il minore carico di obblighi in capo al locatore sarebbe compensato dall’estensione di alcune garanzie ad esso spettanti, quale compratore, in capo all’utilizzatore; ancora, la traslazione convenzionale dei rischi sarebbe giustificabile alla stregua della natura professionale dell’utilizzatore.
[205] Les groupes de contrats, LGDJ, Paris, 1975, 128 ss.
[206] La ricostruzione del Teyssie è spiegata, anche mediante l’ausilio di schemi, da A. Cremonese, Il leasing in Francia, cit., 178.
[207] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 21.
[208] O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 715. Analogamente in Grecia ex art. 4, e a S. Marino ex art. 6.
[209] È obbligatoria l’iscrizione dell’acquisto operato dal concedente, mentre l’iscrizione della concessione dell’immobile in crédit-bail lo è solo se ha durata superiore a dodici anni, come previsto per la locazione ordinaria; la pubblicità della promessa di vendita è invece sempre facoltativa
[210] O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 715. L’iscrizione deve permettere di identificare i beni oggetto del leasing. Si deve trattare di una descrizione sommaria e devono essere riportate le informazioni sulla natura dei beni. La Corte di Cassazione ha, più volte, ricordato che, contemporaneamente all’adempimento di tale formalità essenziale, deve essere fornita una descrizione sufficientemente precisa dei beni locati.
[211] A. Cremonese, Il leasing in Francia, cit., 156, afferma :”Tale conseguenza discende dal fatto che la pubblicità attuata dal décret del 1972 ha carattere sostanzialmente personale, poiché poggia sull’identità dell’utilizzatore e si sottrae, in tal modo, alla conoscenza del subacquirente; è necessario che quest’ultimo sia immune dagli effetti di una rivendica che non poteva in alcun modo sospettare. L’acquisto tramite possesso del subacquirente incontra comunque il limite della malafede, della quale però è difficile fornire la prova (la buona fede, in Francia, come in Italia, si presume fino a prova contraria)”. Una contestata sentenza della Cassazione (Cass. com., 5 marzo 1996, in JCP, G., 1996, i, 3960, n.12) ha inoltre ritenuto sufficiente, per vincere la descritta presunzione di buona fede, la qualità di istituto di credito di una società di leasing che aveva subacquistato un bene da un utilizzatore per riconcederglielo in cession-bail: la dottrina ha criticato tale impostazione, ritenendola palesemente discriminatoria. O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 711, ricordano che l’eventuale vendita del bene da parte dell’utilizzatore costituisce un illecito penale:“abuso di fiducia”, punito dall’art. 314, 1° comma del NCP.
[212] Il décret, ex art. 12 -14, impone all’utilizzatore l’adempimento di un onere pubblicitario di tipo contabile: i canoni corrisposti devono figurare nel conto economico, e l’ammontare totale delle spese che derivano dal contratto deve essere valutato nell’annesso al bilancio.
[213] Cass. com., 15 dicembre 1975, in Bull. Civ. IV, n. 301, 248.
[214] O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 717.
[215] Cass. com. 15 ottobre 1991, in Bull. Civ. IV, n. 291.
[216] R. Dolce, G. Corradini, B. Romani, Formulario commentato di contrattualistica commerciale Germania-Italia, 389. Anche in Germania, la prassi contrattuale dei primi anni dalla importazione dell’istituto ha fatto si che venissero propagandati come leasing contratti non identificabili con esso: è ben noto il caso della cessione del diritto d’uso su alberi di Natale con rimborso del valore residuale al momento della restituzione dell’albero. Pure diffuso in Germania è il leasing del produttore, che alcuni autori distinguono in diretto, laddove lo stesso produttore (in genere di autoveicoli) concede i propri veicoli, e indiretto, laddove la concessione in leasing avviene per mezzo di un’impresa controllata. V. H. J. Sonnenberger, Il leasing in Germania, in La giurisprudenza sul leasing in Europa, a cura di G. Sbisà e D. Velo, Milano, 1984.
[217] G. De Nova, La recezione…, cit., 119.
[218] G. Ferrarini, Esperienze straniere…, cit., 210; G. De Nova, La recezione…, 120.
[219] G. De Nova, op. ult. cit., 120.
[220] G. De Nova, La recezione…, 121.
[221] R. Dolce, G. Corradini, B. Romani, Formulario…, cit., 393.
[222] G. De Nova, op. ult. cit., 121.
[223] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 27.
[224] R. Dolce, G. Corradini, B. Romani, Formulario…, cit., 389; G. De Nova, La recezione…, cit., 125.
[225] G. De Nova, La recezione…, cit., 121
[226] Nonostante la giurisprudenza abbia accolto favorevolmente la tesi del leasing come Miete, non sono mancate critiche in dottrina, con ovvie proposte alternative d’inquadramento giuridico del contratto. Vi è chi (P.Plathe), riconduce la fattispecie alla vendita, ritenendo che si tratti di cessione di un diritto (Uberlassung eines Rechtes) ex §433 BGB. Altri (P. Koch e J. Haag), ritengono che il leasing si inquadri nella gestione d’affari, e non manca chi, come G. Stoppok, parla di contratto sui generis. Non mancano, inoltre, opinioni minoritarie che fanno riferimento al contratto di utilizzazione, ai contratto di credito, o semplicemente ad un contratto sui generis, talvolta misto (il Canaris parla di contratto contenente elementi propri della gestione e del credito). V. A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 27
[227] G. Ferrarini, op. ult. cit., 211.
[228] V. supra, 70.
[229] A. Frignani, op. ult. cit., 27.
[230] La legge sulle condizioni generali di contratto si è dimostrata molto influente sui contratti di leasing, dal momento che essi sono conclusi quasi esclusivamente sulla base di modelli contrattuali predisposti. V. H. J. Sonnenberger, op, ult. cit., 12.
[231] H. J. Sonnenberger, op, ult. cit., 12.
[232] G. De Nova, La recezione…, cit., 129. La mente corre facilmente agli indici utilizzati dai giudici continentali per ravvisare nei canoni versati dall’utilizzatore delle rate di prezzo piuttosto che il mero corrispettivo per il godimento del bene!
[233] In questo senso, . H. J. Sonnenberger, La giurisprudenza sul leasing in Germania, cit., 12.
[234] Sent. del 24 maggio 1982, cit. in H. J. Sonnenberger, op. ult. cit., 17.
[235] G. De Nova, La recezione…, cit., 122. Tali indicazioni, per la verità, non vengono quasi mai fornite nei modelli di leasing; pertanto, applicare siffatto tipo di tutela ad essi, significherebbe decretarne l’invalidità, censurando un grande numero di condizioni generali, tra le quali quelle che disciplinano l’ inadempimento del lessee e impongono, oltre alla riconsegna della cosa, il pagamento dei canoni residui, soluzione vietata dal § 2
[236] È legittimo chiedersi: perché tanto da farsi per limitare l’alveo applicativo della tutela in questione? Il limite posto dal § 8 dell’ AGBG (l’acquirente non deve essere un commerciante iscritto) si è rivelato presto inadeguato, visto che si è giunti alla tutela di soggetti come piccoli e medi commercianti che di certo non ne avevano bisogno (Jung). Si è auspicato, perciò, un intervento del legislatore che rivedesse i criteri individuativi dei soggetti che, in quando acquirenti a rate, fossero da considerarsi meritevoli della suddetta tutela.
[237] In base ad esso, in seguito al perimento della cosa locata, il conduttore è liberato dall’obbligo di pagare i canoni (§§ 323. 536, 537, 548 BGB).
[238] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 28.
[239] G. De Nova, La recezione…, cit., 126.
[240] L’espressione è di Pardolesi.R., Leasing finanziario: si ricomincia da due: Nota a Cass. civ., 13 dicembre 1989, n. 5573, e Cass., 13 dicembre 1989, n. 5572, in Foro It., 1990, I, 471.
[241] H. J. Sonnenberger, La giurisprudenza sul leasing in Germania, cit., 24. Altro esempio, che mette in luce il trasferimento di garanzie nei confronti del fornitore : “L’utilizzatore può pretendere la cessione delle pretese che ha il concedente contro il fornitore, pur tuttavia solo contestualmente al pagamento di tutti i canoni anche futuri nonché degli ulteriori costi connessi con la consegna del bene”.
[242] H. J. Sonnenberger, La giurisprudenza sul leasing in Germania, cit., 19. Addirittura, nel caso di ritardo, si arriva a prevedere il mero spostamento dell’inizio del contratto.
[243] Nello specifico, la giurisprudenza (v. BGH 23 febbraio 1977) consente che l’utilizzatore possa ritenersi cessionario dell’azione di risoluzione del contratto di vendita, sulla base di una specifica autorizzazione ad agire in nome del concedente, senza la quale sarebbe difficilmente giustificabile tale estremo risultato, in origine negato dalla dottrina.
[244] G. De Nova, La recezione…, cit., 127.
[245] Si omettono riferimenti alla evizione del bene. Su questo punto i formulari non prevedono nulla: semplicemente si applica la medesima disciplina degli altri contratti sinallagmatici nel diritto tedesco: se vi sono esoneri in tal senso, essi devono sottostare a particolari limitazioni contenute nella legge sulle condizioni generali di contratto (§ 11 n. 7 e 8).
[246] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 28. In Sud Africa la Sez. 11 del Credit Agreement Act impedisce alla società di leasing di risolvere il contratto se prima non ha mandato un avvertimento, una diffida, concedendo all’utilizzatore un ragionevole termine per sanare l’inadempimento. Si tratta dunque di una chiara trasmigrazione in Sud Africa del modello tedesco.
[247] Del resto, come si vedrà, il problema in Italia non è meno complicato, visto che il potere del giudice di ridurre la penale ad equità (art 1384), si affianca l’art. 1526, che offre lo strumento per una riduzione addirittura delle rate già scadute al momento della risoluzione. Il fatto è che da noi la giurisprudenza è ancora restia ad adottare delle basi economiche (oggettive) per calcolare i danni subiti dall’inadempimento contrattuale, che vengono sempre liquidati in misura indecentemente inferiore ai danni reali. Un primo modo per evitare quei problemi consisterebbe nell’individuare la funzione di questo obbligo come “risarcimento forfetario dei danni” e di costruire la relativa clausola in conformità. Ma ciò, comunque, non basterebbe in quegli ordinamenti che, come l’Italia, hanno una disciplina della vendita con riserva di proprietà con la quale si consente l’intervento del giudice per ridurre l’indennità (art. 1526 c.c. it.), sempre che la giurisprudenza ritenesse di disciplinare il leasing con il ricorso (diretto o in analogia) a tali norme (sarebbe infatti facile sospettare che le parti si servano dell’espressione “risarcimento forfetario del danno “ per simulare in realtà l’indennità). Il problema deve necessariamente essere scisso in due: rate già scadute ce rate a scadere dalla risoluzione alla fine del contratto. Nel primo caso la ritenzione totale delle stesse da parte del concedente, essendo prevista a fronte di un uso effettivo da parte dell’utilizzatore e di una perdita di valore del bene, toglie fiato alle critiche di locupletazione del primo (Cass Civ., 6 maggio 1986). Nell’altra ipotesi basta evitare che il concedente tragga dall’inadempimento un vantaggio maggiore di quello che avrebbe ricavato se il contratto fosse stato regolarmente eseguito. È questa la soluzione che si fa strada anche in Germania (§ 10.7 A e § 11.5 AGBG). A. Frignani, op. ult. cit., 31.V. anche V. H. J. Sonnenberger, La giurisprudenza sul leasing in Germania, in La giurisprudenza sul leasing in Europa, cit., 40.
[248] G. De Nova, La recezione…, cit., 131.
[249] G. De Nova, op- ult. cit., 131.
[250] H. J. Sonnenberger, La giurisprudenza sul leasing in Germania, cit., 43.
[251] M. Giovanoli, Il contratto di leasing in Svizzera sotto il profilo giuridico, in La giurisprudenza sul leasing in europa, a cura di G. Sbisà e D. Velo, Milano, 1984, 45. Il leasing è citato dalla legge svizzera, ma non riceve da essa una disciplina organica. Si pensi alla citazione nell’Ordinanza concernente le operazioni di piccolo credito e la vendita a pagamento rateale del 10 gennaio 1973, che non comprende il leasing finanziario di beni strumentali. Per questo l’Autore rileva che la traduzione con il termine francese crédit-bail non è corretta. Solo la circolare dell’Amministrazione federale della contribuzioni, emessa nel 1980 e riguardante il trattamento fiscale del leasing immobiliare, riguarda effettivamente l’istituto in oggetto.
[252] M. Giovanoli, Il contratto di leasing in Svizzera, cit., 46.
[253] M. Giovanoli, op. ult. cit., 47.
[254] M. Giovanoli, op. ult. cit., 47.
[255] La considerazione è di M. Giovanoli, op. ult. cit., 47.
[256] Come si vedrà infra, 102 ss., tale profilo del regolamento di interessi è riscontrabile, con bel altra rilevanza, anche nella prassi di common law.
[257] Non appare decisiva la distinzione tra le due tipologie di leasing, pure operata da un autorevolissimo conoscitore della materia come M. Giovanoli, La giurisprudenza sul leasing in Svizzera, 49 ss.
[258] Non è casuale che la stessa questione sia stata sollevata in Germania ed anche in Italia, visto che la dottrina maggioritaria ritiene che dall’art. 17 della legge sul Mezzogiorno più volte citata non derivi la validazione dell’istituto. Un senso contrario riguardo al esso A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 26.
[259] Ancora fondamentale sul punto la sentenza del Tribunale del Commercio di Zurigo del 1° giugno 1977.
La soluzione del problema, inoltre, riguarda anche i sottotipi del leasing, ad es. il lease back, che ha suscitato un lungo dibattito forse ancora non terminato solo nel nostro Paese.
[260] M. Giovanoli, Le crédit-bail en Europe, cit., 345 ss.
[261] Ben maggiore è la rilevanza del problema con riguardo al leasing al consumo ed operativo.
[262] Francia: Trib. comm. La Rochelle, 26 giugno 1964; Belgio: Gent, 27 giugno 1966; Italia: Trib. Vigevano, 14 dicembre 1972; Svizzera: Tribunale di commercio di Zurigo del 1 giugno 1977.
[263] M. Giovanoli, Il contratto di leasing in Svizzera, cit., 58.
[264] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 27; Giovanoli, Il contratto di leasing in Svizzera, cit., 59, Il primo sintetizza riducendo gli orientamenti a tre soluzioni: contratto con cessione d’uso (Gebrauchueberlassung), contratto di credito, contratto di vendita rateale. Egli precisa che per ogni figura si tratterebbe di un contratto sui generis. Si ricordi inoltre che anche in Belgio il leasing viene considerato contratto atipico tout court, del tutto autonomo dalle altre figure contrattuali, e gli si riconosce scopo di finanziamento. Di contratto atipico parla anche la Corte di Cassazione del Venezuela nel caso Arrendeguipos c. S.A.C.C.O. del 28 febbraio 1985.
[265] M. Giovanoli, Il contratto di leasing in Svizzera, cit., 62..
[266] M. Giovanoli, Il contratto di leasing in Svizzera, cit., 63.
[267] Questa circostanza non si realizza sempre nella sofisticata prassi dei Pesi di Common Law. V. soprattutto l’esperienza inglese, infra 103 ss.
[268] Naturalmente l’istituto in questione ha una fisionomia diversa rispetto all’antico istituto del lease, affermatosi in common law nel settore immobiliare; su quest’ultimo, già citato incidentalmente supra, 7 e 8, v. il notissimo ed apprezzato contributo di M. L.upoi, Trusts, Milano, 2001.
[269] In questi termini, G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 22; Id, Esperienze straniere…, cit., 211. Il lease disciplinato dall’art. 9 del Codice ha necessariamente ad oggetto beni mobili (“all things wich are movable…”), in particolare consumer goods ed equipment, questi ultimi definiti “used or bought for use primarily in business”.
[270] G. Ferrarini, op. ult. cit., 212.
[271] Del security interest il Codice dava una definizione pressoché tautologica, descrivendolo come “an interest in personal property or fixtures wich secures payment or performance of an obligation” [sect. 1-207 (37)]. V. G. Ferrarini, op. ult. cit., 212, che ritiene la nozione pregevole perché elastica ed in grado di adattarsi a numerose fattispecie.
[272] Sect. 1-207 (37). Evidentemente è la reservatrion of title a costituire, in certe ipotesi, un security interest.
[273] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 24 e 25.
[274] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 25; Id., Esperienze …, cit., 215.
[275] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 24; Id, Esperienze…, cit., 213.
[276] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 26; Id., Esperienze…, cit., 215.
[277] G. Ferrarini, Esperienze…, cit., 216 e nota 44: La giurisprudenza americana afferma che quando il lessee acquista una equty o un pecuniary interest sui beni , il lease è intended as security. L’impiego della nozione di equità nel senso indicato risale alla esperienza della vendita con riservato dominio; già rispetto ad essa si usava parlare di una buyer’s equity in the goods.
[278] I giudici americani hanno ritenuto che il corrispettivo per l’esercizio dell’opzione fosse nominal non solo in casi in cui la somma da versare era irrisoria, ma anche quando essa non era substantial rispetto al valore residuo della cosa. V. G. Ferrarini, Esperienze…, cit., 217, nota 47.
[279] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 27.
[280] Si tratta di un profilo del regolamento di interessi che emerge chiaramente anche nella prassi inglese. V. infra,
[281] G. Ferrarini, op. ult. cit., 28. L’originaria disciplina americana presente nell’art. 9 dello U.C.C. è stata praticamente riportata nel Personal Property Act adottato nel 1967 nella provincia canadese dell’Ontario. Si tratta di una legge volta a regolare i security agreements (accordi diretti a creare la garanzia di un credito) che abbiano ad oggetto personal property. Senza dubbio vi sono delle modifiche e degli adattamenti conformi al differente contesto ordinamentale, ma sono identici i criteri che il legislatore canadese adotta per l’individuazione dei contratti di lease, anche se non vi è, però, la lunga serie di criteri specifici che l’U.C.C. fissa per l’individuazione del tipo. La maggiore sinteticità delle norme contenuta nella legge dell’Ontario rende la disciplina più semplice ed organica rispetto a quella statunitense. Il modello americano ha anche influenzato il Crowther Committee che nel 1971 ha proposto in Inghilterra l’adozione di un Lending and Security Act, contenente una radicale riforma delle garanzie mobiliari delle obbligazioni secondo il modello allora vigente negli States ed adottato in Canada.
[282] A. Frignani, Leasing finanziario internazionale: analisi comparata, in Contratti, 2000, 3, 294.
[283] A. Frignani, Leasing finanziario internazionale: analisi comparata, cit., 294.
[284] Per un’analisi sintetica della riforma che ha investito lo U.C.C., allora ancora allo stadio di progetto, v. P. H. Shur, Equipment lease or securuty agreement: determining the parties’ intent, in Riv. it. leasing, 1998, 79, e in The Banking Law Journal, 1987.
[285] In tal senso esistevano già i precedenti della legge dell’Ontario e di altre province canadesi.
[286] Commento ufficiale all’art. 2° – 101.
[287] A. Frignani, Il leasing finanziario internazionale: analisi comparata., cit., 294;V. supra, 3 e 4, e infra, cap. IV.
[288] Come del resto la legge greca, e quella portoghese, che, all’art. 8 impone addirittura l’atto pubblico.
[289] A. Frignani, op. ult. cit., 295.
[290] A. Frignani, op. ult. cit., 295.
[291] A. Frignani, Leasing finanziario internazionale: analisi comparata, cit., 294.
[292] A. Frignani, op. ult. cit., 294.
[293] A. Frignani, op. ult. cit., 294.
[294] A. Frignani, Il leasing finanziaio internazionale: analisi comparata, 295.
[295] A. Frignani, op. cit., 295.
[296] A. Frignani, op. cit., 295, nota 90,fa riferimento alla Suprema Corte del Pennsylvania nel caso Nath v. National Equipment Leasing Corp., 497 Pa. 126, 439 A.2d 633 (1981) :”We agree that the finance lease is sui generis and that the policy considerations justifying an extencion of the concepì of strict liability to the true lease are not present when the lessor is not marketing of supplying the product, but is, in fact, merely a secured party, or financier, whose collaterali s the product”. La stessa affermazione si legge nel caso Abco Metals Corp. v. Equino Lessors Inc., 721 F. 2d 583, 585 (7th Circ. 1983).
[297] A. Frignani, Il leasing finanziario internazionale: analisi comparata, cit., 294..
[298] Si ricordi ce in molti altri paesi esistono restrizioni della libertà del concedente di alienare il bene: secondo l’art. 18 della legge turca il concedente non può alienare e, qualora tale facoltà fosse prevista in contratto, il terzo subentrerebbe in tutti i diritti e doveri derivanti dal contratto di leasing. V. A Frignani, op. ult. cit., 295.
[299] R. Goode, Commercial law, Oxford, 2004, 721, il quale rileva che l’industria del leasing è diventata incredibilmente sofisticata nel corso degli anni , determinando la nascita di molteplici applicazioni dello schema negoziale, tese a soddisfare i diversi bisogni delle imprese che operano nei diversi settori. Anche in Inghilterra, del resto, la tecnica contrattuale si è diffusa per l’utilizzo di grandi apparecchiature strumentali come fotocopiatrici, computers, fino a riscontrare un certo successo nel settore pubblico, specie relativamente agli enti locali.
[300] V. la definizione di financial lease riportata supra, ; R. Goode, Commercial law, Oxford, 2004, 721; l’Autore, pur rilevando la presenza di diversi schemi negoziali diversamente appellati e riconducibili tutti alla medesima tecnica contrattuale, non vi attribuisce particolare importanza, limitandosi ad evidenziare la differenza tra financial ed operating lease, sulla quale v. infra,
[301] Si tratta dell’incipit della clausola tipo riportata in G. Corradini, op. ult. cit., 259.
[302] G. Corradini, Formulario commentato di contrattualistica commerciale Inghilterra-Italia, Milano, 2000, 235: “Il canone di locazione viene determinato con la consapevolezza che le detrazioni per l’ammortamento del costo delle attrezzature spettino al concedente, pertanto è necessario che le attrezzature, nelle quali ha investito il suo capitale, gli appartengano”. Nella prassi in genere si impongono al lessee determinati obblighi di informazione nei confronti del lessor e di eventuali ispettori del fisco. In questi termini v. clausola tipo, Id., ivi, 251: “The lessee shall keep the Lessor informed a sto the financial position of the Lessee’s business, the Goods and their use and shall upon request of the Lessor or any inspector of taxes of furnish any information or document concernine the leasing of the Goods or their use”.
[303] R. Godde, Commercial law, cit., 721.
[304] Tra le sofisticazioni della prassi inglese si ricordano: Purchase by intending lessee as disclosed agent (acquisto da parte del lessee che si propone quale agente presunto): la società di leasing può autorizzare il lessee a comprare l’attrezzatura come disclosed agent del lessor. Il titolo passa direttamente al lessor, essendo il lessee un mero intermediario. Se il lessee viola le sue indicazioni nel fare un acquisto, il lessor può essere costretto ad adempiere in base al principio di apparente autorità descritto. Purchase by inending lessee as apparent principal (acquisto da parte del lessee che si propone come apparente legittimato). Dove, per ragioni commerciali, le parti non vogliono far sapere al fornitore che la società di leasing è coinvolta, il lessor può autorizzare il lessee a comprare in nome proprio. Ciò è ancora più rischioso per il lessor, poiché non c’è alcun apparente limite al potere negoziale del lessee. Tuttavia, il titolo legale sul bene è trasferito in prima istanza al lessee che, perciò, avrà il potere (sebbene non il diritto) di disporre di esso. Il titolo viene assegnato al lessor come risultato di un successivo atto di disposizione da parte del lessee. La conclusione del contratto di leasing che identifica l’attrezzatura sembrerebbe essere sufficiente a tale scopo. Qualche volta l’intending lessee conclude l’acquisto prima di metter in pratical’accordo. Così che, le parti possono decidere di realizzare la transazione mediante una novazione: il fornitore conviene con il lessor ed il lessee che la vendita al lessee sarà annullata (almeno per quanto riguarda il trasferimento del titolo e le clausole di pagamento) e sostituita da una vendita al lessor che poi concede in leasing l’attrezzatura.
[305] V. clausola tipo in G. Corradini, op. ult. cit., 251: “Upon the expiration or earlier termination of the Lease Term or the leasing under it at such address in Great Britain as the Lessor shall notify to the Lesee the Lesee shall return the Goods to the Lessor in good repair, condition and working orde ras provided in clause 3.3, ordinary wear and tear resulting from proper use thereof alone excepted”.
[306] R. Goode, Commercial law, Oxford, 2004, 721. V. anche M. R. La Torre, Manuale…, cit., 115, nota 3, che mette in luce le possibilità generalmente prospettate al lessee nella prassi di common law: “l’utilizzatore ha al termine del contratto tre opzioni: restituire il bene al concedente, venderlo per suo conto incassando una parte del ricavato, oppure prorogarne l’utilizzo ad un canone molto ridotto, generalmente si tratta di un canone annuale anticipato pari all’1% del costo iniziale di acquisto”.
[307] F. De Franchis, Dizionario giuridico, cit.; Hire purchase agreement è il contratto con il quale il proprietario cede il possesso di un bene mobile al locatario (hirer) che si obbliga a pagare un canone periodico con l’opzione di acquistarlo.
[308] Anche nella legge del Sud Africa, si dice chiaramente (Sez. I, sub X) che se c’è l’opzione siamo fuori dalla nozione di leasing e dall’applicazione della relativa normativa.
[309] In merito alla responsabilità del lesee ed alla sua diversa graduazione, v. clausola tipo in G. Corradini, op. ult. cit., 247: “The Lesee solely libale for and shall to indemnity the Lessor in respect of all loss or damage to the Goods (in so far the Lessor shall not be reimbursed by the proceeds of insurance in respect thereof) however caused occurring at any time or trimes bifore physical possession of them is retaken by the Lessor”. Per quanto attiene alla perdita totale del bene il formulario precede: “In the event of Total Loss of the Godds on the expiry of […] days […] after the occurence giving rise to such Total Loss (or on such later date as the Lessor may agree) the Lesee agrees to pay to the Lessor an amount equal to the sum calculated under the provisions of clause 7 below as if the Lessor had lawfully terminated the lease of the Goods under clause 6 below on the insurance money (if any) that prior to the expiry of the said […] days has been received by the Lessor under the policy or policies maintained in compliance with clause 3.4.1”. In caso di perdita non totale o danno si prevede invece che: “the Lesee shall immediately notify the Lessor and of apply all insurance money payable in making good such damage and upon deing requested by the Lessor so to do and the Lesee’s expense immediately assign to the Lessor all the Lessees rights, benefits and claims under any relevant policy of insurance”.
[310] V. una clausola tipo in G. Corradini, op. ult. cit., 243: “The lesee agrees to censure that he himself, his personnel ar any other person using and handling the Goods shall use and handle them with due care and in accordance with any operatine instructions issued for them. The Lesee shall keep the Goods at its own expense and at all times in an orderly and operational condition and shall furnish any and all parts mechanism and devices required for such purposes at its own cost and expense…”
[311] V. clausola tipo in G. Corradini, op. ult. cit.: “The Lesee shall take out all insurance appropriate to the Goods for their full replacement value against all risks on a comprehensive policy without restriction or excess. The Lesee shall further insubre the Lessor and itself (as joint assureds) against all liability to third persons for death, personal injury and damage to or loss of property arising directly or indirectly out of the use possession or operation of the Goods(…)”.
[312] In questo senso la clausola tipo “…if any part of the Goods are destroyed, damaged or lost at the Lesee’s cost and expense repair and replace them with replacements in such condition a sto comply in all respects with the terms of this agreement”, in G. Corradini, op. ult. cit., 243.
[313] R. Goode, op. ult. cit., 721; G. Corradini, op. ult. cit., 237. In genere nei modelli contrattuali vi è una clausola riguardante il controllo del beni, spettante all’utilizzatore: v. per es. G. Corradini, op. ult. cit., 243:”The lesee shall inspect the Goods upon delivery and shall notify the Lessor immediately of any defect in the Goods. Such notification must be in writing. In case the Lesee does not notify any defect, will be presumed that the Goods are in every way satisfactory to the Lesee and fit for the purpose. The Lesee agrees to allow the Lessor or its duly authorised agent or representative upon reasonable notice to inspect the Goods at any time”. È davvero evidente l’abilità raggiunta dai lessors nel limitare il proprio carico di responsabilità!
[314] In tal senso v. clausola tipo in G. Corradini, op. ult. cit., 253: “The Lessor agrees upon request and at the cost and expense of the Lessee to assign to the lessee the benefit of all express warranties granted in favour of the Lessor by the supplire of the Goods or the manufacturer of them or any third party”.
[315] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 28.
[316] R. Goode, op. ult. cit., 721.
[317] G. Corradini, op. ult. cit., 237; R. Goode, Commercial law, Oxford, 2004
[318] R. Goode, Commercial law, Oxford, 2004, 722.
[319] G. Corradini, op. ult. cit., 237.
[320] Se il lessor ed il lesee intendono ripetere tra loro altre operazioni di leasing in futuro, firmano di solito una convenzione, che gli inglesi definiscono “Master Agreement”. Essa conterrà tutti i termini generali e le condizioni che saranno valide ogni volta che verranno noleggiate altre attrezzature.
[321] R. Goode, op. ult. cit., 722.
[322] SSAP 21 1984, Accounting for Leases and Hire Purchase Contracts, in R. Goode, op. ult. cit., 722, nota 7.
[323] R. Goode, Commercial law, cit., 723.
[324] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 26.
[325] R. Goode, Commercial law, cit., 723
[326] La legge spagnola esclude esplicitamente la vendita a rate dalla nozione di leasing, ex art. 21. Si ricordi però che lo stesso testo normativo definisce il contratto come negozio misto, nel quale si fondono la concessione in uso con l’opzione d’acquisto, legate insieme da un’unica causa. Secondo la sentenza della Corte Suprema del 25 febbraio 1977 si tratta di un contratto che persegue uno scopo di finanziamento.
[327] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 27
[328] Per Net Proceeds si intende: 1) proventi derivanti dalla vendita dei beni o2) se i beni vengono concessi nuovamente in locazione, il valore degli stessi stimato da un affidabile Dealer , in base a prodotti della stessa natura o 3) qualora i beni non vengano venduti né concessi nuovamente in locazione il corrispondente valore di realizzo immediato con pagamento in contanti stimato dal Dealer escluse, in ogni caso, tutte le spese del lessor connesse alla vendita, alla cessione in locazione o alla valutazione dei beni (tenendo sempre conto di tutte le commissioni dovute) e sostenute per riprendere il possesso o per il deposito dei beni stessi.
[329] R. Goode, Commercial law, cit., 726.
[330] È opportuna una consultazione di L. Moccia, La proprietà nel diritto inglese, in Diritto privato comparato, A.A. V.V., Roma-Bari, 2004.
[331] R. Goode, Commercial law, cit., 723, sottolinea lo scarso rilievo che il concetto legale di ownership ha per il lessee, visto che a quest’ultimo importa la sostanza, e non la forma. Praticamente l’utilizzatore può essere definito “owner” con la differenza che egli, pur sopportando dei costi, gode di vantaggi fiscali e contabili che non conseguirebbe mediante un contratto di hire-purchase o di conditional sale.
[332] R. Clarizia, I contratti nuovi…, cit., 93.
[333] R. Clarizia, op. ult. cit., 93.
[334] Una considerazione, de iure condendo, riguardo al nostro Paese, viene espressa da A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 35: “Benché io sia assai restio ad invocare l’intervento del legislatore (italiano) in materia economica, mi rendo conto che, in materia di leasing, le incertezze della giurisprudenza sui punti nodali dell’istituto (si pensi solo al contrasto tra Cassazione e giudici di merito sull’applicabilità dell’art. 1526), sono ancora tanto marcate che un intervento legislativo, che tenga conto della realtà economica (e deploro qui l’insuccesso dei progetti di P. Schlesinger e e G. Visentitni ) potrebbe essere utile”. Si valutino anche la perplessità manifestata, quasi come avvertimento per i legislatori degli altri ordinamenti, da L. De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 76. Egli dimostra che non sempre un intervento legislativo risolve problemi e contrasti sollevati da dottrina e giurisprudenza e (a pag. 77) aggiunge: “Basta che cambi la situazione economica e sociale in vista della quale la norma è stata elaborata ed ecco che la norma stessa risulta nella migliore delle ipotesi inutile, fors’anche inadeguata o addirittura nefasta”.
[335] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 35. L’Autore ritiene inoltre che negli ordinamenti di common law e soprattutto negli Stati Uniti vi sia una prassi applicativa più estesa ed aperta a nuove applicazioni dell’istituto, rispondente anche ad un sistema di rapporti economici più avanzato. Senza dubbio si tratta di una valutazione opportuna nel 1977, non oggi!
[336] G. De Nova, La recezione…, cit., 158.
[337] Affermazioni lungimiranti ed efficaci sulla necessità che il diritto contrattuale si evolva verso una tipizzazione delle clausole, piuttosto che dei contratti, appartengono, non a caso, ad uno dei più autorevoli studiosi del diritto civile italiano e comparato: R. Sacco, Diritto commerciale e diritto comparato, a cura di M. Santaroni, in Che cos’è il diritto comparato, a cura di P. Cendon, Milano, 1992, 224. Il celebre studioso osserva che, se la storia ha spinto in genere verso la tipicità dei contratti, la ragione spingerebbe verso la diversa direzione della tipicità delle clausole: “Io parlerei meno di contratto di vendita, e parlerei piuttosto dell’alienazione onerosa. Parlerei meno di deposito, e parlerei piuttosto dell’affidamento della cosa, e dell’obbligo di custodia. Lo stesso discorso vale in materia societaria. Nello stesso contributo, il celebre studioso fornisce un esempio efficace dell’utilità del prospettato cambiamento di prospettiva, riferendosi alla sentenza n. 4032/1991 della Cassazione: “Due litiganti hanno scomodato la Corte di Cassazione per farsi dire che la clausola di esclusione per adempimento (clausola tipica) può essere adottata anche fuori dei contratti societari nominati.” Un recentissimo contributo in argomento è fornito da P. G. Monateri, Ripensare il contratto…, cit., 53, che rileva: “Nella prassi si vedono allungare i testi contrattuali, onde prevenire integrazioni diverse da quelle volute (…); si vede recepire un lessico ed una terminologia, che non si ritrovano quasi mai nei discorsi della dottrina, e si assiste al ragionare sempre meno per tipi di contratti, e sempre più per tipi di clausole e di termini contrattuali, una prassi, dicevano, che ha anche visto i giudici stessi alquanto sospettosi verso le strade della buona fede, che la dottrina veniva loro additando”. Sulla base di tali osservazioni il giurista italiano giunge ad una contrapposizione tra nature del contratto: “un contratto rugiadoso (buona fede, obblighi di renseignements, cooperazione, giustizia) ma roccioso (causa, tipi, blocchi); ed un diverso contratto più rude (importanza estrema dei testi, e quindi loro lunghezza, con pochi obblighi e poche responsabilità fuori dal testo) ma fluido (autonomo, atipico, sfuggente alle qualificazioni)”.
[338] Nei primi anni dall’introduzione dell’istituto nel nostro Paese, quasi tutti i contributi della dottrina si esauriscono nella ricerca di una definizione giuridica del contratto. Successivamente giungono nuovi contributi, pure significativi e di grande pregio, ma anch’essi quasi sempre limitati ad una trattazione di questioni dogmatico – classificatorie con l’aggiunta, eventuale e sempre successiva, della elencazione sintetica delle principali decisioni giurisprudenziali sull’istituto. Il primo studioso ad affrontare il contratto secondo un approccio comparatistico, teso all’ individuazione delle regole operative prima che alla risoluzione di questioni dommatiche è G. Ferrarini, La locazione finanziaria, Milano, 1977, il quale, servendosi di molteplici materiali empirici, parte dal contenuto del contratto, per poi valutare la soluzione delle diverse vicende negoziali ipotizzabili in relazione ad esso. Un approccio di tal genere, scevro però da riflessioni comparatistiche, è rinvenibile nel recente contributo di M. Bussani, Contratti moderni…, loc.cit.
[339] Il rischio è avvertito anche da A.Procida Mirabelli di Lauro, La civilistica italiana e il metodo comparativo, loc.cit.
[340] M. R. La Torre, Manuale della locazione finanziaria, Milano, 2002, 116. L’Autore arguisce che anche la più volte citata definizione contenuta della legge per il Mezzogiorno fa riferimento alla “operazione” e non al contratto.
[341] Anche M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 261, afferma che “Dal punto di vista economico, l’operazione contempla la presenza attiva di tre soggetti”. Nello stesso senso G. De Nova, Leasing…, cit., 473; A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e common law…, cit., 25, invece aggiunge a proporre l’immagine del triangolo, come assai efficace, visto che all’interno di essa non c’è più spazio per chiedersi se l’azione (di un soggetto contro un altro) è diretta o indiretta, in quanto ciascun soggetto ha rapporti con altri due.
[342] Analoga scelta è presente in quasi tutti i contributi. Per tutti v. M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 260.
[343] G. De Nova, Leasing…, cit., 465; M. R. La Torre, Manuale…, cit., 114, che sostiene la medesima posizione, pur attribuendo alla definizione legislativa specifica rilevanza.Di contraria opinione è R. Clarizia, La tipizzazione legislativa del contratto di locazione finanziaria, in Riv. it. leasing, 1993, 257, che concorda in questa valutazione generale, ma ritiene che il leasing sia contratto tipico perché, seppure con interventi sparsi e talvolta occasionali, ha ricevuto una disciplina completa in ordine ai principali aspetti strutturali e funzionali.
[344] V. supra, 1 ss.
[345] La considerazione è di G. De Nova, op. ult. cit., 465. Sul leasing agevolato v. infra, Capitolo quinto.
[346] G. De Nova, Leasing.., cit., 465.
[347] G. De Nova, Leasing…, cit., 465;
[348] G. De Nova, op. ult. cit., 465.
[349] L’auspicio, pacificamente condivisibile, è di G. De Nova, op. ult. cit., 465.
[350] V. supra, 153 ss.
[351] Pubblicata in Riv. it leasing, 1987, 415.
[352] V. supra, Cap. V.
[353] M. R. La Torre, Manuale della locazione finanziaria, cit., 130.
[354] La nozione di attività finanziaria contenuta nel T.u.b. rappresenta il punto d’arrivo di un lungo percorso. L’art. 106, che ricalca il contenuto della l. 197/1991, art. 6, individua quale attività finanziaria: “la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, compresa la locazione finanziaria; assunzione di partecipazioni, intermediazione di cambi; servizi di incasso, pagamento e trasferimento di fondi anche mediante emissione e gestione di carte di credito”.
[355] R. Clarizia, I contratti nuovi…, cit., 100, il quale saluta l’introduzione, auspicata da tempo, dalla figura generale dell’intermediario finanziario non bancario, che si affianca senza contrapporsi alla banca. La norma va letta congiuntamente all’art. 10 co. 3, che fa riferimento all’esercizio del credito; all’art. 106 co. 4 lett. A), che consente al Ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e L’U.I.C., di specificare il contenuto delle attività di cui al co. 1°, cioè di prevedere, nell’ambito delle operazioni che qualificano la nozione di attività finanziaria di cui al 1° co., nuove fattispecie che potranno emergere nell’ambito della pratica operativa; all’art. 1 lett f), che, nel definire le attività ammesse al beneficio del mutuo riconoscimento, vi comprende in ultimo “tutte le altre attività che ampliano l’elenco allegato alla seconda direttiva in materia creditizia”, legittimando, dunque, una definizione aperta e suscettibile di successive integrazioni.
[356] Il comma 1 dell’art. 13 recita: “La Banca d’Italia iscrive in un apposito albo le banche autorizzate in Italia e le succursali delle banche comunitarie stabilite nel territorio della Repubblica”.
[357] Il primo comma dell’art. 64 recita:”Il gruppo bancario è iscritto in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia”.
[358] In verità il 1° comma dell’art. 106 contiene un novero di attività abbastanza ampio:oltre all’ “assunzione di partecipazioni”, alla “prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi” si fa riferimento alla “concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma”, entro la quale rientra, secondo quanto stabilito dal decreto ministeriale integrativo di tale disposizione, l’attività svolta dalle società di leasing.
[359] Tali requisiti sono contemplati dal decreto del Ministero del Tesoro del 17 novembre 1993 che per altro ha sostanzialmente confermato quelli già contenuti nel decreto del Ministero del Tesoro del 27 agosto 1993. Essi riguardano, come stabilito dal 1° comma, art. 107, l’attività svolta e la dimensione e il rapporto tra indebitamento e patrimonio. Senza dimenticare che il 2° comma dello stesso articolo prevede che sia la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, a dettare agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale “disposizioni aventi ad oggetto l’adeguatezza patrimoniale e il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni nonché l’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni”.
[360] Si ricordi che, ai sensi dell’art. 107, 5° comma, “gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale restano iscritti anche nell’elenco generale”.
[361] A svolgere la suddetta attività finanziaria possono essere anche le società che hanno sede legale in uno stato comunitario ai sensi dell’art. 18 del T.u.b., purché ricorrano le condizioni poste da quest’ultimo.
[362] Ai sensi dell’art. 113, 1° comma, seconda parte, “Il ministero del tesoro emana disposizioni attuative del presente comma”.Il 2° comma aggiunge: “Si applicano l’art. 108 e, con esclusivo riferimento ai requisiti d onorabilità, l’art. 109”.
[363] R. Clarizia, I contratti nuovi…, cit., 107.
[364] In forza delle norme contenute in tale capo, sono imposti alle banche e agli intermediari operanti nel territorio della repubblica particolari oneri pubblicitari e formali, quali l’obbligo di rendere pubblici, in ciascun locale, “i tassi di interesse, i prezzi, le spese per le comunicazioni alla clientela ed ogni altra condizione economica relativa alle operazioni ed ai servizi offerti” (art. 116); la previsione della forma scritta ad substantiam per i contratti da essa conclusi (art. 117), l’obbligo di comunicare al cliente ogni variazione unilaterale dei tassi, prezzi e di ogni altra condizione, a pena di inefficacia delle stesse (art. 118); l’obbligo di inviare, nei contratti di durata informazioni periodiche alla clientela (art. 119).
[365] V. supra, 28 ss.
[366] R. Clarizia, Contratti di leasing, in I contratti del mercato finanziario a cura di E. Gabrielli e R. Lener, II, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Torino, 2004, 317. Appare chiaro che tale osservazione è rilevante non solo sul piano esclusivamente soggettivo, ai fini della corretta collocazione delle società di leasing tra gli intermediari finanziari, ma anche sul piano oggettivo, ai fini della corretta qualificazione giuridica dell’operazione di leasing e della sua causa.
[367] Sul quale, v. infra,
[368] Nemmeno l’art. 17 co. 2 della legge 183/1976, che contiene una definizione del leasing, richiede un requisito soggettivo di tal genere
[369] Naturalmente si prescinde da considerazioni specifiche riferite al leasing agevolato, visto che per la stipulazione dello stesso la legge nazionale e regionale richiede che l’utilizzatore soddisfi determinati requisiti ai fini dell’ottenimento dei benefici e delle agevolazioni o in termini dimensionali o in ragione della ubicazione territoriale dell’azienda o a seconda del settore merceologico di appartenenza.
[370] Solo la disciplina fiscale richiede, per ottenere la deducibilità dei canoni, la natura strumentale all’attività imprenditoriale o professionale dell’utilizzatore dei beni oggetto del contratto implicando ciò che egli sia un imprenditore
[371] R. Clarizia, I contratti…, cit., 318.
[372] Il riferimento è soprattutto a R. Clarizia, I contratti…, cit., 318. Non solleva alcun problema in merito M. R. La Torre, Manuale…, cit., 140.
[373] R. Clarizia, I contratti…, cit., 318 e 319. Come si è visto, il leasing nasce nella prassi d’affari nord americana quale tecnica di finanziamento delle imprese. Per questo l’Autore arriva a definire “spurio” il modello italiano che contempla anche la stipulazione con il lavoratore autonomo e l’ente pubblico. Ad ogni modo la giurisprudenza italiana ha comunque attribuito rilevanza alle caratteristiche dell’utilizzatore ai fini della corretta qualificazione dell’operazione come leasing . Si pensi al caso Mammoletto ( Trib. Milano, 15 maggio 1978), e a quanto stabilito dalla Cass. 28 ottobre 1983 n. 6390, due decisioni importanti che hanno influenzato il corso della giurisprudenza sul leasing; M. R. La Torre, Manuale della locazione finanziaria, Milano, 2002, 140.
[374] Il fornitore infatti, non è parte del contratto di leasing, visto che si limita alla stipula del contratto di fornitura con la concedente, ed in base a tale contratto vende o costruisce il bene che sarà dedotto come oggetto nel contratto di leasing. Il contratto di fornitura può sostanziarsi in un appalto oppure in una vendita. Nel primo caso il fornitore deve essere un’impresa di costruzioni che, ex art. 1665 c.c., “con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio” assume l’obbligo del compimento dell’opera verso un corrispettivo in danaro. Se si tratta di beni mobili o immobili già costruiti, egli potrà essere produttore o semplicemente venditore degli stessi, se non addirittura una persona fisica o giuridica che non svolge alcuna attività economica legata alla commercializzazione o distribuzione dei suddetti beni. Si pensi agli immobili già costruiti, quando questi appartengono a semplici persone fisiche. Negli altri casi il fornitore è sempre imprenditore. Obbligazione principale a carico del fornitore è rappresentata dalla consegna del bene acquistato o commissionato dalla concedente su indicazione dell’utilizzatore. Normalmente il fornitore estende all’utilizzatore molte garanzie che sarebbero spettanti solo al concedente, in quanto proprietario formale del bene: il lesee sarà di conseguenza legittimato ad agire autonomamente nei confronti del fornitore per vizi, difetti, mancanza di qualità del bene stesso, ovvero per contestargli i danni connessi con la ritardata o mancata consegna. Di fronte a siffatto regolamento contrattuale una parte minoritaria della dottrina (G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 37 ss.), trovando per altro accoglimento in un’ isolata sentenza della Corte di Cassazione (21 giugno 1003, n. 6862, in Foro it., 1993, I, 2144), ha ritenuto qualificabile il fornitore come ausiliario dell’utilizzatore e non della società concedente, visto che il primo sceglie, oltre al bene, il soggetto che dovrà fornirglielo; mentre la concedente ha solo l’obbligo di acquistare il bene e farglielo consegnare dal fornitore. Siffatta soluzione, secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, rischia di banalizzare il nesso funzionale rilevato tra i due contratti, così da marginalizzare il ruolo svolto dal fornitore quale parte contraente del contratto di fornitura. Anche se l’utilizzatore indica il fornitore e ne garantisce l’adempimento alla concedente, il rapporto contrattuale di fornitura si instaura comunque tra concedente e fornitore, escludendo qualsiasi coinvolgimento diretto dell’utilizzatore. Inoltre, in alcuni casi, il ruolo della concedente implica altri obblighi associati alla sua natura di intermediario finanziario che vanno ben oltre l’emissione dell’ordine di acquisto o la stipula del contratto di appalto, comprendendo ad esempio una maggiore collaborazione nell’esecuzione del contratto o addirittura impegni particolare quali il riacquisto del bene.
Da non sottovalutare come abbiano inciso in tal senso le norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e di sicurezza dei prodotti che, contenute in direttive comunitarie oggi recepite, che hanno imposto nuovi adempimenti anche alle società di leasing, così da cambiare i rapporti con i fornitori. V. M. R. La Torre, Manuale…, cit., 132 ss.
[375] G. De Nova, Leasing…, cit., 474.
[376] M. Bussani, Contratti moderni, in i singoli contratti, IV, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2004, 263 ss; In termini analoghi G. De Nova, Leasing…, cit., 474..
[377] M. R. La Torre, Manuale…, cit., 117. Una variazione dello schema descritto è rappresentata dal leasing convenzionato, per il quale si rimanda infra, cap.
[378] Riguardo a tali possibilità si rinvia, per ovvie ragioni di spazio che richiederebbero una trattazione monografica dell’argomento, a quanto scritto da R. Clarizia, L’attività di leasing ed internet, in Dir. della banca e del mercato finanziario, 2000, 1, 393.
[379] M. R. La Torre, Manuale…, cit., 195 ss.
[380] Da ultimo, Cass. civ., 1 dicembre 2000, n. 15385, in Mass., 2000.
[381] G. De Nova., Leasing, cit., 474. Per una trattazione più approfondita delle norme in oggetto v. Bianca C. M., Diritto civile, il contratto, Milano, 2000, 359 ss.
[382] La Cass. civ., 14 aprile 1999, n. 3669, in Giust. Civ., 2000, I, 1789, ha stabilito che : “non osta all’applicabilità dell’art. 1341 c.c. il fatto che dal testo predisposto dalla parte dominante sia stata espunta una clausola: detta norma non esclude infatti che su singole clausole possa anche svolgersi una trattativa, non di meno rimanendo imposte da un lato e soltanto accettate dall’altrole restanti clausole”.
[383] Bianca C. M., Diritto civile, il contratto, cit., 359.
[384] A tali effetti, è sufficiente che la sottoscrizione delle clausole onerose sia apposta dopo un’indicazione idonea a suscitare attenzione, quale quella che richiama il numero o il contenuto delle clausole, anche se individuate con riferimento al numero d’ordine o lettera ed all’oggetto di ciascuna di essa. Cfr. Cass. civ., 6 novembre 1999, n. 14454, in Mass., 2000; Cass., civ., 14 aprile 2000, n. 4843, in Mass., 2000. Non integra il requisito della specifica approvazione per iscritto il richiamo cumulativo alle condizioni generali di contratto non tutte costituenti clausole vessatorie, nonostante la distinta sottoscrizione del contraente per adesione. V. Cass. civ., 10 gennaio 1996, n. 166, in Vita notar., 1999, 1189. Le clausole vessatorie inserite in un contratto stipulato per atto pubblico, ancorché si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non possono considerarsi come predisposte dal contraente medesimo ai sensi dell’art. 1341 c.c. e, pertanto, non necessitano di specifica approvazione, poiché le modalità di stipula sono tali da richiamare l’attenzione di entrambi sul contenuto di opgni singola disposizione. Sul punto, in relazione al contratto di leasing, v. Cass. civ., 21 gennaio 2000, n. 675, in Foro it., 2000, I, 1153; Trib Mondovì, 13 luglio 1992, in Riv. it. leasing, 1993, 261.
[385] L’opinione, maggioritaria in dottrina, è sostenuta tra gli altri da Bianca C. M., Diritto civile, il contratto, cit., 352. Il problema è molto delicato, in quanto anche le clausole non espressamente previste nell’elenco, ma gravose per l’aderente devono essere specificamente approvate per iscritto. In base a questo criterio una vasta serie di clausole possono essere qualificate in via estensiva come vessatorie ed essere dichiarate inefficaci se prive del requisito formale della specifica approvazione.
[386] G. De Nova, Leasing…, cit., 474.
[387] Campobasso G., Diritto commerciale…, cit., 146; Luminoso A., Il leasing finanziario…, cit., 714. In termini analoghi M. Bussani, I contratti moderni…, cit., 267.
[388] M. Bussani, op. ult. cit., 267.
[389] Campobasso G., Diritto commerciale…, cit., 146; Luminoso A., Il leasing finanziario…, cit., 714.
[390] G. Campobasso, Diritto commerciale…, cit., 146.
[391] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 267.
[392] M. Bussani, op. ult. cit., 267.
[393] G. De Nova, Il contratto di leasing, Milano, 1985, 398, ed in Banca, borsa, tit. cred., 1973, II, 287
[394] In G. De Nova, op. ult. cit., 389.
[395] In G. De Nova, op. ult. cit., 292
[396] In G. De Nova, op. ult. cit., 504
[397] In G. De Nova, op. ult. cit., 228
[398] In G. De Nova, op. ult. cit., 464
[399] Sul punto, infra, Capitolo quinto.
[400] A. Luminoso, Il leasing finanziario…, cit., 756; G. De Nova, Leasing…, cit., 465.
[401] G. De Nova, Leasing…, cit., 466:“la qualificazione consente di decidere dell’applicazione di quelle norme sparse nell’ordinamento (ad es., le norme sul fallimento, sulla responsabilità civile, sulla contabilizzazione) che fanno riferimento diretto o indiretto ai tipi legali”.
[402] A. Luminoso, Il leasing finanziario…, cit., 716; M. R. La .Torre, Manuale…, cit., 141; G. De Nova, Il contratto di leasing…, cit., 118; Id., Leasing…, cit., 466: “La qualificazione consente di selezionare le condizioni generali che traducono la peculiarità del contratto, e che sono perciò valide, dalle condizioni generali che sono invece mero frutto della posizione di supremazia del predisponente, e che sono perciò nulle, per contrasto con l’ordine pubblico economico ”.
[403] R. Clarizia, Contratti…, cit., 311 ss.
[404] G. Ferri, Manuale…, cit., 860.
[405] Il primo contributo in tal senso è quello di A. Tabet, La locazione dei beni strumentali (leasing), in Banca, borsa, tit. cred., 1973, II, 287.
[406] G. Mirabelli, Il leasing e il diritto italiano, in Banca, borsa, tit. cred., 1974, I, 228 ss. Si tenga presente che il celebre civilista italiano ha poi mutato la sua posizione. Cfr. Id, Relazione di chiusura, in Atti del convegno su Leasing ed altre forme di finanziamento nel settore degli autoveicoli, in Riv. it. leasing, 1986, 581. G. De Nova, Contratto di leasing e controllo delle condizioni generali di contratto, in Riv. dir. comm., 1973, II, I, 335 ss
[407] R. Clarizia, Alcune considerazioni sul contratto di locazione finanziaria, in Banca, borsa, tit. cred., 1976, II, 471. Anche l’Autore, uno dei maggiori esperti italiani in materia, ha ceduto originariamente alla tentazione di inquadrare il contratto in una fattispecie legalmente tipica come il mutuo. Egli successivamente, nell’ambito di una produzione molto vasta, ha mutato parere qualificando il leasing come un contratto atipico con causa di finanziamento, pertanto non riconducibile al tipo del mutuo.Cfr………..
[408] M. Spinelli, G. Gentile, Diritto bancario…, cit., 470.
[409] Luminoso A., Il leasing finanziario…cit., 716.
[410] Tra i primi autori a sostenere tale inquadramento, nel commentare la prima sentenza italiana in materia di leasing, A. Tabet, nota a Trib Vigevano, 14 dicembre 1972, in Banca, borsa, tit. cred., 1973, II, 287. Naturalmente vi sono diverse sfumature nell’ambito di tale opzione. V. V. Buonocore, La locazione finanziaria,…, cit., 85 che parla di “qualificazione prevalentemente locatizia del nucleo centrale del rapporto”.
[411] G. De Nova, Leasing…, cit., 467. La stessa compatibilità è stata rinvenuta nei rispettivi contenuti negoziali, evidenziabile soprattutto nella possibilità di rinnovo a canone ridotto, come pure nell’addebito al conduttore delle spese per la conservazione, la manutenzione e le riparazioni ordinarie del bene, coincidente con la disciplina del contratto di locazione, ex art. 1576 c.c.. Le deroghe alla disciplina del contratto di locazione non sono state giudicate tanto decisive da escludere il prospettato inquadramento: si fa riferimento alla non essenzialità dell’obbligo di restituzione nel leasing, che va di pari passo al diritto di opzione sull’acquisto del bene, e al patto in base al quale le spese per le riparazioni straordinarie gravano sull’utilizzatore, visto anche che le norme di legge in materia di locazione hanno natura dispositiva, e che le suddette deroghe sono giustificate dalla differente natura del bene, che per es. renderebbe difficile una distinzione tra riparazioni ordinarie e straordinarie. Tale dottrina puntualizza, inoltre, l’assenza di norme legislative vincolanti in ordine all’addebito delle spese di installazione, senza dimenticare che il c.c., agli artt. 1579 e 1580, prevede la possibilità di tenere il locatore esente dai rischi inerenti il bene, e che il patto di delegazione all’esercizio dei diritti in favore dell’utilizzatore presenta evidenti analogie con l’azione esperita in proprio dal conduttore contro i terzi che arrechino molestie ex art. 1585 c.c. Deve poi essere considerato il conferimento al conduttore di ogni potere e di ogni facoltà ad esperire reclami ed azioni di carattere giudiziale e stragiudiziale nei confronti del fornitore (venditore) del bene; Si pensi, poi, alle clausole del leasing che trasferiscono i rischi in capo all’utilizzatore: esse, secondo la citata dottrina, pur non ricalcando fedelmente l’art. 1588 c.c., per la parte relativa alla responsabilità del conduttore per causa a lui non imputabile, pone, se mai, solo problemi di validità e non di compatibilità strutturale; ancora, la clausola che nel leasing obbliga il conduttore a provvedere ad ogni riparazione che si rendesse necessaria, dandone comunicazione scritta al locatore, si pone nello spirito dell’art. 1577. Il Tabet, primo sostenitore della riconduvibilità alla locazione, giunge ad affermare che le clausole tipiche del leasing evidenziano solo un’accentuata traslazione dei rischi e delle spese relative alla cosa locata dal lessor al lessee, peculiarità attribuibile dalla particolare natura della cosa locata (beni mobili strumentali) e non certo alla natura del contratto. L’assetto di interessi manifesta cioè una diversità che si ferma al piano squisitamente economico. v. A. Tabet, La locazione dei beni strumentali (leasing), cit., 287.
[412] Nella locazione locatore può essere chiunque, mentre nel leasing è sempre una società che esercita professionalmente tale attività. S. Gargiullo 44.
[413] M. R. La Torre, Manuale…, cit., 141.
[414] Si tenga presente che nella locazione prevista dal c.c. il locatore deve mantenere la cosa idonea all’uso convenuto, provvedere alle riparazioni straordinarie, garantirla per vizi, consentire alla risoluzione del contratto o all’equa riduzione del canone per inidoneità della cosa all’uso, ecc., mentre nel leasing l’utilizzatore assume a proprio carico la manutenzione del bene, si assume ogni responsabilità per vizi, difetti di funzionamento, anche se sopravvenuti, per deterioramento, danneggiamento o perimento del bene, anche se per causa a lui non imputabile, ecc.
[415] M. Spinelli, G. Gentile, Diritto bancario…, cit., 471.
[416] Luminoso A., Il leasing finanziario…cit., 716; M. R. La Torre, Manuale…, cit., 141.
[417] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Torino, 1984, 10.
[418] In tal senso si sono pronunziati autorevolmente, nei primi anni ’70, G. De Nova, Contratto di leasing e controllo delle condizioni generali di contratto, in Riv. dir. comm., 1973, II, I, 335 ss. G. Mirabelli, Il leasing e il diritto italiano, in Banca, borsa, tit. cred., 1974, I, 228 ss.
[419] G. De Nova, Contratto di leasing e controllo delle condizioni generali di contratto, cit., 335 ss. In questa prospettiva l’Autore italiano sceglie l’inquadramento nella vendita con patto di riservato dominio, non ritiene che sia ostativa l’assenza nel leasing dell’effetto traslativo automatico, riscontrabile invece nella vendita rateale; Però, focalizzando la propria attenzione su un nodo centrale del regolamento di interessi poi utilizzato dalla Cassazione a sostegno del proprio orientamento, non omette che i canoni nel leasing possono rappresentare tanto frazioni di prezzo quanto canoni locatizi e che solo nel primo caso ricorre un regolamento d’interessi assimilabile alla vendita rateale, nel secondo entrando in gioco la logica della locazione e le rate non sono ripetibili. Indice rilevatore decisivo è rappresentato in questo senso dal valore residuo del bene alla scadenza del contratto: se esso è irrilevante allora ricorre la prima ipotesi. Diversamente entra in gioco, secondo tale dottrina, la logica della locazione e non più quella affermata della vendita rateale. Il De Nova giunge ad affermare che, essendo tradizionalmente previsto, nel leasing, un valore irrilevante per l’opzione d’acquisto è opportuno ascrivere la fattispecie alla logica della vendita rateale, applicando il 1526 c.c., pur non ritenendo allo stesso modo applicabili al contratto tutte le norme del tipo prescelto, come ad es. l’art. 1525 c.c., visto che del resto l’Autore esclude una completa identificazione, ritenendo opportuna una ricerca delle norme disciplinanti l’istituto nell’uno e nell’altro contratto tipico. In quest’ottica, si invoca l’applicazione al leasing di talune norme della locazione, come l’art. 1585, in base al quale la società di leasing, in quanto proprietaria, è tenuta a tutelare l’utilizzatore, che ha diritto al pacifico godimento del bene. Contro le molestie arrecate da terzi che pretendano di avere diritti sulla cosa. Più radicale, e per certi versi supercifiale, appare la soluzione prospettata dal G. Mirabelli, Il leasing e il diritto italiano…, cit., 229. che ha più ottusamente rifiutato di considerare le prospettive di utilizzo che il contratto già aveva mostrato ed ha preferito evidenziare le analogie funzionali tra il leasing e la vendita che, nonostante la diversità inerente l’effetto traslativo automatico, cui viene attribuita scarsa rilevanza vista anche l’opzione d’acquisto prevista dal leasing, hanno in comune l’obbligo di consegna, il passaggio del rischio, l’obbligo del pagamento del prezzo. Il Mirabelli è giunto così ad affermare che il trapianto del leasing, sorto in esperienze giuridiche lontane dalla nostra, avrebbe potuto anche non andare a buon fine in Italia, determinandone il rigetto. Diversamente, sarebbe stata necessaria l’adozione di misure antirigetto!
[420] G. Ferrarini, La locazione finanziaria…, cit., 10: l’Autore, pur sottolineando la non riconducibilità del leasing alla vendita a rate, afferma che “entrambi rappresentano strumenti creditizi”.
[421] G. Ferrarini, La locazione finanziaria…, cit., 10.
[422] G.Ferri, Manuale…, cit., 860.
[423] Tale argomento critico, ritenuto determinante da molti autori, viene riportato, tra gli altri, da G. Campobasso, Diritto commerciale…, cit.,146; A. Luminoso, Il leasing. finanziario…, cit., 717; M. Spinelli, G. Gentile, Diritto bancario…, cit., 471.
[424] M. Spinelli, G. Gentile, Diritto bancario…, cit., 473.
[425] In tal senso, Ferri G., Manuale…, cit., 861. È possibile, secondo tale tesi, prospettare l’inapplicabilità a tale contratto di alcune norme codicistiche. Un esempio rappresentativo, in tal senso, riguarda la norma di cui all’art. 1526 c.c.: in dottrina se ne esclude l’applicabilità al leasing ed anzi, si precisa che la norma deve ritenersi inapplicabile a qualsivoglia ipotesi di leasing, a differenza di quanto, come si vedrà meglio, è stato affermato dalla Cassazione, la quale, attraverso una soluzione più articolata, ne ha affermato l’applicabilità nell’ipotesi in cui vi sia una rilevante differenza tra il valore residuo del bene e il prezzo d’opzione Altra tesi da escludere attiene all’inquadramento del leasing quale contratto atipico collocabile idealmente tra la locazione e la vendita a rate con patto di riservato dominio. La tesi non soddisfa in quanto conduce ad una figura contrattuale unitaria, rigida e troppo ampia, caratterizzata da una disciplina uniforme che dovrebbe valere per tutte le applicazioni concrete dell’arcipelago leasing. Essa, in realtà, solo fino ad un certo punto sarebbe in grado di soddisfare le differenti esigenze che si pongono nelle singole ipotesi applicative di tale sistema di finanziamento.
[426] Al mutuo ed ai contratti di credito in generale fanno riferimento R. Clarizia, Alcune considerazioni sul contratto di locazione finanziaria, in Banca Borsa Tit. di Cred, 1976, II, 465; F. Chiomenti, Il leasing, il Tribunale di Milano e donna Prassede, in Riv.Dir. Comm, II, 271. Inutile pure parlare di comodato, visto che il leasing è un contratto oneroso.
[427] Tali argomentazioni vengono riportate da molti autori, tra i quali v. M. Spinelli, G. Gentile, Diritto bancario…, cit., 473.
[428] G. Ferrarini, La locazione finanziaria…, cit., 10, Nello stesso senso, in uno dei contributi più risalenti sulla qualificazione del leasing, S. Gargiullo, Aspetti giuridici del contratto di leasing, in Foro it., 1971, V, 44, afferma che , pur essendo il leasing sul piano teleologico, un vero e proprio finanziamento, manca l’obbligo di restituire al mutuante le cose fungibili passate in proprietà del mutuatario.
[429] Leo, L’esseza del credito e il leasing finanziario, in Le operazioni bancarie, a cura di G. B. Portale, Milano, 1978, II, 833 ss.
[430] In questo senso G. De Nova, Leasing…, cit., 468. L’impostazione viene quindi ritenuta errata, argomentando che mancherebbero nel leasing i tratti caratterizzanti dei contratti di credito: il trasferimento della proprietà di una determinata somma di denaro in favore del sovvenuto e il contestuale sorgere dell’obbligo per costui di restituire il tantundem. L’eterogeneità del leasing rispetto alla causa creditizia troverebbe inoltre riscontro nella circostanza che nessuna disposizione che la legge detta per il mutuo (o per altri contratti di credito) sembra utilmente potersi richiamare per la disciplina del leasing. In tal senso l’efficace crittica di A.Luminoso, Il leasing finanziario…, cit., 717. Analogamente G. De Nova, Leasing…, cit., 468, il quale rileva che, se pure è possibile individuare la restituzione del tantumdem nel pagamento dei canoni, risulta difficile individuare nell’istituto la concessione di un credito. Se, come ha fatto R. Clarizia (Alcune considerazioni sul contratto di locazione finanziaria, in Banca Borsa Tit. Cred., 1976, II, 465), si ritiene che con l’acquisto del bene e la concessione in godimento il lessor è come se prestasse il danaro al conduttore, si utilizza un parlare fugurato! La concessione del credito, infatti, potrebbe anche essere rinvenuta nel trasferimento di una somma di denaro dal concedente al fornitore, ma in questo caso l’utilizzatore non è debitore del fornitore visto che non acquista il bene da quest’ultimo.
[431] A tale orientamento aderiscono M. Spinelli, G. Gentile, Diritto bancario…, cit., 470.
[432] Altri esempi cui si suole fare riferimento sono i c.d. crediti speciali (credito fondiario, alberghiero, edilizio, navale, ecc.).
[433] M. Spinelli, G. Gentile, Diritto bancario…, cit., 470.
[434] Tra i primi in tal senso Gargiullo S., Aspetti giuridici del contratto di leasing, in Foro it., 1971, V, 38 ss; si ricordi inoltre, che anche la mitica sentenza del tribunale di vigevano parla di contratto atipico.
[435] Così G. Vailati, Aspetti giuridici del leasing finanziario, in Dir. ec., 1969, 594 ss.
[436] In tal senso tra gli altri V. Buonocore, La locazione finanziaria in V. Buonocore, A. Fantozzi, M. Alderighi, G. Ferrarini, Il leasing. Profili privatistici e tributari, Milano, 1975, 10.
[437] S. Gargiullo, op. ult. cit, 44 s.
[438] Si tratta della sentenza forse più pubblicata e commentata. Nella vasta congerie di commenti, v. in Banca, borsa, tit. cred., 1973, II, 287
[439] Si ricordi che i produttori di beni standardizzati auspicavano la diffusione del nuovo strumento contrattuale volendo per l’appunto sottrarsi all’applicazione dell’art. 1526 c.c.V. V. Buonocore, Il leasing, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, diretto da F. Galgano, tomo I, Torino, 1995, 606.
[440] Una prima sentenza del 21 gennaio 1982, n. 397 riguardava un contratto di compravendita in cui si prevedeva il pagamento a mezzo leasing da parte dell’acquirente. Già in tale sentenza è però considerata adeguatamente la trilateralità della complessiva operazione. Una seconda decisione, emessa il 9 marzo 1982 n. 2198, stabiliva che in caso di cessione d’azienda si ha successione ipso iure dell’acquirente nel contratto di leasing, cosi che il leasing va considerato contratto stipulato per l’azienda, privo del carattere personale cui fa riferimento il 2558 del c.c. V. G. De Nova, Leasing, cit., 470 ss.
[441] In G. De Nova, Il contratto di leasing…, Milano, 1985, 84 ss; in Foro It., 1983 I, 2997 s.; Giur. It, 1985, I,1, 1144 s.; Giur. Comm., 1984, II, 253s.
[442] G. De Nova, Leasing, cit., 496.Gli economisti rifiutano siffatta terminologia tecnicamente utilizzata dai giuristi. Obsolescenza ed utilità economica del bene non sono fenomeni finanziari, ma economico –reali: l’utilità economica del bene dipende da molteplici fattori, tra i quali vanno distinti il logorio fisico e l’obsolescenza, che è una conseguenza del progresso tecnico; ergo l’utilità economica è inversamente proporzionale all’obsolescenza. V. a tal proposito D. Velo, Prima sentenza della Cassazione sul leasing, in Nuovi Investimenti, febbraio 1984, 49.
[443] App. Milano, 16 novembre 1979, in G. De Nova, Il contratto di leasing, cit., 81.
[444] In questo senso il parere autorevole di F. Santoro Passarelli, Variazioni civilistiche sul leasing, in RTPC, 1984, 676, il quale condivide le principali critiche dottrinali alla pronuncia citata, osservando che, nel caso del leasing automobilistico, al termine del rapporto il bene conserva un valore apprezzabile che mette in evidenza l’irrisorietà del prezzo d’opzione. Tutto ciò induce a ravvisare nel contratto un assetto d’interessi corrispondente a quello determinato con la stipulazione della vendita a rate con riserva della proprietà.
[445] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 291.
[446] In Foro it., 1986, I, 1819, con nota di R. Pardolesi.
[447] Ad es. v. Trib. Milano, 11 novembre 1985, in Riv. It. Leasing, 1986, 211ss; Trib. Milano, 19 settembre 1985, ivi, 1986, 198 ss.
[448] Mirabelli, Chiusura al Convegno di Lucca, in Riv. it. leasing, 1986, 583.
[449] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 292.
[450] In Foro it., 1987, I, 2329, con nota di V. Zeno Zencovich, e in Giur. It., 1988, I, 1, 555, con nota di G. De Nova.
[451] In verità la sentenza in questione anticipa per certi versi la summa divisio in seguito effettuata dalla S. C. Il leasing finanziario sottratto all’operatività del 1526 è leasing puro, e la Corte rileva che comunque viene assicurata all’utilizzatore adeguata tutela ex art. 1384 c.c. visto che, in difetto di impugnazione, esula anche dall’ambito del sindacato in concreto demandato alla Corte.
[452] Emblematico è un passaggio della motivazione nel quale: “come la qualificazione giuridica del contratto va operata alla stregua dell’intero contenuto dell’operazione, così la disciplina normativa cui occorre attenersi deve unitariamente essere quella risultante da tale qualificazione, senza che sia possibile scomporre il contenuto del contratto innominato e individuare discipline diverse in relazione a singole prestazionei o a determinate vicende ed effetti, contraddicendo la specifica identità strutturale e funzionale del negozio medesimo”. Un assunto del genere è criticato efficacemente dal G. De Nova, nota cit. in Giur. It., 1988, I, 1, 555.
[453] V. Zeno Zencovich, Nota alla Cass. Cit., NGCC, 1988, I, 323.
[454] G. De Nova, Nota cit. in Giur. It., 1988, I, 1, 555.
[455] Siffatta riflessione è senza dubbio più comprensibile se si apprendono i fondamenti del metodo tipologico utilizzato dal celebre civilista italiano. V. G. De Nova, Il tipo contrattuale, Padova, 1974
[456] Nulla aggiunge al dibattito la sentenza della III sezione del 15 ottobre 1988, n. 5623, che riproduce i precedenti della Corte suprema senza tenere in alcun conto il dibattito dottrinale sempre più vivo e scatenato dalle decioni di merito che rifiutavano spesso di adeguarsi a quanto stabilito dalla Cassazione, ottenendo severi ammonimenti dalla più autorevole dottrina.V. il contributo critico di N. Lipari, Leasing e vendita con patto di riservato dominioalla luce di recenti orientamenti giurisprudenziali, in Sviluppi e nuove prospettive della disciplina del leasing e del factoring in Italia, Milano, 1988, 77.
[457] In Foro It., 1990, I, c. 472 con note di R. Pardolesi e di G. De Nova.
[458] La sintesi efficace è di V. Buonocore, Il leasing, in Contratti del commercio…, cit., 908.
[459] Incidenter tantum la Corte afferma che solo per quanto attiene ai canoni a scadere dovrà ammettersi, al fine di riequilibrare le posizioni delle parti, la possibile riduzione della penale all’uopo prevista ex 1384 c.c., tenuto conto dell’interesse del concedente all’esatto adempimento nella concreta situazione contrattuale.
[460] L’osservazione è comune in dottrina. V., tra gli altri, G. De Nova, Nuovi contratti, 1990, Milano, 267; R. Clarizia., I contratti nuovi, cit., 181 ss. Quest’ultimo, assumendo una posizione non maggioritaria in dottrina, allarga tale considerazione anche al leasing immobiliare.
[461] Per tutti, R. Clarizia., I contratti nuovi, cit., 181 ss.
[462] R. Clarizia., op. ult. cit., 193; G. De Nova, Leasing., cit., 479.
[463] G. De Nova, Nuovi contratti, cit., 278. R. Clarizia, I contratti di locazione finanziaria…, cit., 329.
[464] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 311.
[465] G. De Nova, Nuovi contratti, cit., 278 e 279. V. Buonocore, Il leasing…, cit., 625.
[466] D. Purcaro, La locazione finanziaria., Padova, 1998, 195 ss.
[467]R. Clarizia., I contratti nuovi, cit., 199 ss. Id, nel più recente I contratti di locazione finanziaria…, cit., 331.
[468] In Riv. it. leasing, 1992, 162 ss.
[469] In Giur. It., 1992, I,1, 1425 ss. ed in Riv. it. leasing, 1992, 162 ss.
[470] In Riv. it. leasing, 1993, 207 ss e in Foro. It., 1994, I 177.
[471] V. Buonocore, Il leasing, in Contratti del commercio…, cit., 608.
[472] Così, una delle ultime decisioni sul tema: Cass. civ., 12 luglio 2001 n. 9417, in Giur. Civ.-Mass, 2001, 1377; Stesso punto di vista in Cass. civ., 16 dicembre 1993, n. 12422, in Riv. it. leasing, 1994, 637.
[473] V. tra le decisioni più recenti, Trib. Asti, 24 febbraio 2003, in Vita not., 1708; Trib. Torino, 11 dicembre 2002, in Giur. Merito, 2003, 1427; Trib. Padova, 2 ottobre 2002, Giur. Merito, 2003, 917; Trib. Como, 2 novembre 2000, in Giur. Merito, 2001, 624; Trib.Napoli, 30 giugno 2000, in Banca Borsa e Tit. cred., 2001, 352. Trib. Venezia, 10 agosto 1993, in G. De Nova, Il contratto di leasing con sentenze ed altri materiali, cit., 247.
[474] V. Trib. Cagliari, 9 gennaio 1995, Riv. giur. Sarda, 1996, 395. Trib. Napoli, 22 gennaio 1992, in G. De Nova, op. ult. cit., 342
[475] in Riv. it. leasing, 1991, 462 ss.
[476] in Banca Borsa Tit. cred., 1992, II, 381 ss.
[477] v. Trib. Milano, 7 settembre 1992, in G. De Nova, op. ult. cit., 359; Trib. Monza, 19 settembre 2002, in Contr., 2003, 595; Trib. Milano, 22 giugno 1992, in G. De Nova, op. ult. cit., 133; Cass. civ., 2 agosto 1995, n. 8464, in Foro it., 1996, I, 164; Trib. Milano, 6 dicembre 1990, in Riv. it. leasing, 1991, 462 ss. Nell’utlima decisione citata, viene difesa l’unità della fattispecie, e si afferma, inoltre, la natura plurilaterale dell’operazione: nonostante il concedente avesse chiesto solo i canoni scaduti prima della risoluzione, la pretesa del lessor verrà consistentemente decurtata in virtù della considerazione per il valore del bene (un’autovettura) già restituita allo stesso concedente.
[478] G. De Nova, Leasing…, cit., 480.
[479] Cass., 11 maggio 1954, n. 1493, in Riv. Dir. Comm., 1955, II, 236; Cass., 24 novembre 1962, n. 3178, in Foro It., 1963, I, 41.
[480] Cass., 18 giugno 1956, n. 2165, Dir. e giur., 1956, 621; Cass. , 24 novembre 1962, n. 3178, Foro it., 1963, I, 41, in obiter dicta.
[481] Per quanto attiene poi al pagamento dei canoni a scadere, in genere si ritiene che debbano essere attualizzati. Nel caso non venisse pattuita l’attualizzazione, il pagamento attuale dei canoni nella misura prevista dal contratto comporterebbe una penale per l’inadempimento, come tale riducibile. Conferma si ottiene valutando che se il concedente invoca la clausola di manutenzione del contratto si perviene allo stesso risultato per volontà del concedente a cui si perviene in caso di esercizio anticipato dell’opzione da parte dell’utilizzatore per volontà di quest’ultimo.V. G. De Nova, Leasing, cit., 481.
[482] Si tratta di un profilo del regolamento di interessi che emerge chiaramente anche nella prassi inglese. V. infra,
[483] G. Ferrarini, op. ult. cit., 28. L’originaria disciplina americana presente nell’art. 9 dello U.C.C. è stata praticamente riportata nel Personal Property Act adottato nel 1967 nella provincia canadese dell’Ontario. Si tratta di una legge volta a regolare i security agreements (accordi diretti a creare la garanzia di un credito) che abbiano ad oggetto personal property. Senza dubbio vi sono delle modifiche e degli adattamenti conformi al differente contesto ordinamentale, ma sono identici i criteri che il legislatore canadese adotta per l’individuazione dei contratti di lease, anche se non vi è, però, la lunga serie di criteri specifici che l’U.C.C. fissa per l’individuazione del tipo. La maggiore sinteticità delle norme contenuta nella legge dell’Ontario rende la disciplina più semplice ed organica rispetto a quella statunitense. Il modello americano ha anche influenzato il Crowther Committee che nel 1971 ha proposto in Inghilterra l’adozione di un Lending and Security Act, contenente una radicale riforma delle garanzie mobiliari delle obbligazioni secondo il modello allora vigente negli States ed adottato in Canada.
[484] G. Ferrarini, Problemi della locazione finanziaria: esperienze giurisprudenziali e prassi contrattuale in Italia e all’estero, in Nuovi tipi contrattuali e tecnica di redazione nella pratica commerciale. Profili comparatistici, Milano, 1978,179.
[485] G. Ferrarini, op. ult. cit., 180. Per una conferma delle considerazioni fatte sulla prassi tedesca, v. R. Dolce, G. Corradini, B. Romani, Formulario…, cit., 389.
[486] G. Ferrarini, Problemi…, cit., 181.
[487] In questo senso M. Spinelli, G. Gentile, Diritto bancario…, cit., 474.
[488] G. De Nova, Il contratto di leasing, cit., 42. L’Autore critica siffatta prassi, visto che “le condizioni generali rappresentano l’intero regolamento pattizio del leasing, e dunque è opportuno che contemplino non solo le obbligazioni dell’utilizzatore, ma anche le obbligazioni del concedente”.
[489] G. De Nova, Il contratto di leasing…cit., 38.
[490] F. Vassallo Paleologo, op. ult. cit., 81, fa notare che solo in casi particolari, e si pensi al leasing di autoveicoli, l’intensità dell’uso può incidere direttamente sull’ammontare dei canoni, ed i contratti possono avere durata particolarmente breve. In tali caso, per altro, appaiono davvero sfumati i confini con il leasing operativo.
[491] G. De Nova, Il contratto di leasing con sentenze ed altri materiali, Milano, 1995, 38.
[492] F. Vassallo Paleologo, I contratti…, cit., 81.
[493] F. Vassallo Paleologo, op. ult. cit., 83.
[494] In termini molto chiari il De Nova G., Leasing…, cit., 475: “Il concedente non assume l’obbligo di consegna: né, per la sua natura di finanziatore, intende accollarsi il rischio della mancata consegna da parte del fornitore”.
[495] F. Vassallo Paleologo, op. ult. cit., 83; De Nova G., Il contratto…, cit., 38.
[496] Da non dimenticare che, specie nella prassi italiana, le spese accessorie al contratto possono raggiungere il 15 % del costo complessivo dell’operazione, comprensivo del prezzo d’acquisto del bene, degli interessi su tale somma e del profitto d’impresa della finanziaria concedente. F. Vassallo Paleologo, I contratti…, cit., 84. Si preferisce parlare di spese accessorie accogliendo in tale categoria una serie di obblighi cui dottrina autorevolissima ha attribuito autonoma rilevanza. Il riferimento è soprattutto a G. De Nova, Leasing…, cit., 427, che parla di obbligazione di “assicurare il bene”.
[497] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 287.
[498] Spesso i formulari sintetizzano con l’espressione “buon uso”. V. in tal senso G. De Nova, Il contratto di leasing…, cit., 43. Come si vedrà supra, il c.d. buon uso comprende anche il rispetto delle norme relative all’impiego del bene, e quindi, in primis, le norme antinfortunistiche.
[499] Anche se tutte o alcune di queste potranno essere coperte dalla stipulazione di un contratto di assicurazione.
[500] F. Vassallo Paleologo, I contratti…, cit., 87.
[501] M. Giovanoli, La giurisprudenza sul leasing in Svizzera, cit., La prassi descritta appare analoga a quella inglese, per la quale v. infra, 102 ss.
[502] G. Ferrarini, Esperienze…, cit., 216 e nota 44: La giurisprudenza americana afferma che quando il lessee acquista una equty o un pecuniary interest sui beni , il lease è intended as security. L’impiego della nozione di equità nel senso indicato risale alla esperienza della vendita con riservato dominio; già rispetto ad essa si usava parlare di una buyer’s equity in the goods.
[503] L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa, vol II, Milano, 2005, 229.
[504] L’efficace espressione è di G. De Nova, Leasing, in Digesto, Disc. Priv.,Sez civile, 1995, 477.
[505] L. Ghia,op. ult. cit., 229. e 27 1997L’Autore definisce “rarissime” le specifiche pattuizioni contrattuali in senso contrario. G. Ferrarini La locazione finanziaria, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 11, Obbligazioni e contratti, Tomo 3, Torino, 11. L’Autore rileva che proprio il configurarsi del leasing come contratto di adesione, con la predisposizione di clausole in genere favorevoli all’impresa finanziaria predisponente “pone problemi delicati dal punto di vista del controllo pubblico della libertà contrattuale”. M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 335.
[506] L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa, Milano, 1997, 27.V. Id., 2005 pag 230 .
[507] In tal senso Ferrarini G., La locazione finanziaria…cit., 36ss. e 52 ss. Bussani M e Cendon P, I contratti nuovi …, cit., 107 ss.; Nella giurisprudenza si segnalano le seguenti decisioni: Cassazione, 17.5.1991,n. 5571, in Banca e borsa, 1992, II, 535; Cass., 2.8.1995, n. 8464, in Foro it., 1996, I, 164; Cassazione, 30.6.1998, n.6412, ivi, 1998, I, per quella di cui al puto b): Trib. Parma, 24.6.1991, in Riv. it. leasing, 1992, 191; trib. Monza, 26.11.1991, ivi, 1993, 511\; e per quella di cui al punto c) Cassazione, 11.2.1997, n.1266, in Giur. It., 1998, 656.
Regole analoghe, come vedremo più diffusamente nel capitolo 4 sono dettate dalla Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale (artt. 8, 10 e 12).
[508] G. A. Rescio, La traslazione del rischio contrattuale nel leasing, Milano, 1989, 276.
[509] M. R. La Torre, Manuale…, cit., 209. L’Autore rileva che il concedente non estende all’utilizzatore le azioni di risoluzione o di riduzione della compravendita, ai sensi dell’art. 1492 c.c., o la facoltà di recedere unilateralmente dall’appalto, ai sensi dell’art. 1671 c.c.: trattandosi di azioni o facoltà che comportano lo scioglimento del rapporto di fornitura, dal quale secondo alcuni studiosi dipende il contratto di leasing, esse producono effetti solutori anche su quest’ultimo, comportando conseguenze nell’ambito patrimoniale della concedente medesima, la quale per questi motivi, si riserva l’esercizio di tali azioni o facoltà dietro espressa e motivata richiesta dell’utilizzatore.
[510] R. Clarizia, Contratti…, cit., L’Autore segnala l’opportunità di sceverare le clausole da ritenersi essenziali per l’inquadramento del contratto nella fattispecie socialmente tipica (naturalia negotii), in quanto trovando la propria giustificazione nella causa di finanziamento dell’operazione e nel collegamento contrattuale tra il contratto di leasing e quello di compravendita o appalto, da quelle che solo accidentalmente possono rientrare nel regolamento di interessi (accidentalia negotii) derivando da autonome convenzioni del indifferenti all’impianto strutturale ed alla caratterizzazione funzionale dell’operazione, da quelle che, infine, debbono ritenersi censurabili in punto di liceità, e quindi nulle in quanto contrarie alla norma imperativa ex art. 1229 c.c.; Nello stesso senso v. M. R. La Torre, Manuale…, cit.,210.
[511] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 336.
[512] Il 2° comma dell’art. 1256 aggiunge che nel caso di impossibilità temporanea, “il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione, o alla natura dell’oggetto il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.
[513] La presenza delle clausole descritte però, deve essere subordinata ad una giustificazione sostanziale ed al rinvenimento di mezzi tecnici che consentano di instaurare un collegamento tra il fornitore e l’utilizzatore. La giustificazione sostanziale viene individuata nel fatto che chi dà il bene in leasing è un finanziatore più che un locatore, e soprattutto nella circostanza che è l’utilizzatore ad avere scelto il bene. La volontà di individuare inoltre un mezzo tecnico adeguato per consentire all’utilizzatore di tutelarsi sufficientemente nei confronti del concedente, spinge la dottrina a qualificazioni diverse: si parla di mandato conferito dal finanziatore all’utilizzatore (Champaud), di stipulazione a favore dei terzi (Leloup), da sola o integrata da un mandat d’ester, di delegazione, di stipulazione a favore dei terzi e di mandato. Le due qualificazioni che si fronteggiano con maggiore autorità sono quella della stipulazione a favore di terzi e del mandato. La scelta fra l’una e l’altra è di grande importanza, perché solo parlando di mandato si può riconoscere all’utilizzatore il diritto di chiedere la risoluzione della vendita intercorsa fra il fornitore e il finanziatore, e quindi la risoluzione del rapporto intercorrente fra il finanziatore e l’utilizzatore. In un primo tempo la giurisprudenza ha negato all’utilizzatore la facoltà di chiedere la risoluzione, poi, ha adottato la tesi del mandato, ed ha riconosciuto tale facoltà, ma non senza pentimenti. Il riconoscimento in capo all’utilizzatore di un potere di chiedere la risoluzione della vendita, e di conseguenza del contratto di leasing, comporta dei rischi per le imprese di leasing. Ad esempio, quello di un’azione in risoluzione intempestiva, nei confronti di un fornitore che è solito indicare ai propri potenziali clienti quella impresa di leasing; o quello di una mancata restituzione del prezzo da parte del fornitore . Di fronte a questi rischi, la prassi contrattuale corre ai ripari: per limitare il primo, si prevede ad esempio che l’utilizzatore non possa esercitare l’azione di risoluzione senza aver prima tempestivamente informato il finanziatore; per evitare il secondo, si condiziona l’esercizio dell’azione al preventivo versamento, dall’utilizzatore al finanziatore, del prezzo che questi ha pagato per l’acquisto del bene, ovvero al preventivo acquisto del credito che il finanziatore vanta verso il fornitore. V. G. De Nova, La recezione…, cit., 142.
[514] Cass. comm. 25 gennaio 1977; Cass. comm. 26 gennaio 1977; entrambe in C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 86, nota 13.
[515] È questa l’efficace espressione adottata da C. Lucas De Leyssac, La giurisprudenza…, cit., 86
[516] Su questo punto la dottrina è unanime, mentre la giurisprudenza è giunta solo in modo implicito a tale conclusione. V. C. Lucas De Leyssac, op. ult. cit., 86.
[517] V. supra, 37 ss.
[518] A. Frignani, op. ult. cit., 294.
[519] Così, G. De Nova, Il contratto di leasing…, cit., 38 e 39; Id. Leasing…, cit., 475.
[520] G. De Nova, Il contratto di leasing…, cit., 39; Id., Leasing…, cit., 475.
[521] In Foro it., 1993, I, 2144 ss., con note di A. Mastrolilli e R. Caso.
[522] G. Ferrarini, La locazione finanziaria, cit., 37 ss.
[523] M. R. La Torre, Manuale…, cit., 211.
[524] In Foro It., 1996, I, 164 ss., con nota di G. Lener.
[525] Nonostante la sintesi sia forse eccessiva, particolarmente efficace sul punto il De Nova G., Il contratto di leasing…, cit., 36 e Id. Leasing…, cit., 475:: “La soluzione prevista dai formulari può essere considerata valida, ma ad un patto: che l’utilizzatore sia messo in condizione di reagire nei confronti del fornitore alla mancata (o ritardata ) consegna”.
[526] In Mass. , 1996, 342 ss.
[527] M. R. La Torre, Manuale…, cit., 213. Si ricordi che con sentenza del 30 giugno 1998, n. 6412, in Giur. it., 1997, I, 444 ss., con nota di Ronco, la Cassazione aveva attribuito valore di confessione stragiudiziale ai sensi dell’art. 2735 c.c. alla dichiarazione contenuta nel verbale di consegna di un’autovettura redatto tra il venditore del veicolo ed il conduttore che lo aveva ricevuto in esecuzione di un contratto di leasing.
[528] In Foro it., 1998, I, 3082 ss.
[529] Tra i più autorevoli giuristi che adoperano tale schema, R. Clarizia Contratti…, cit.328. L. Ghia, Contratti di finanziamento, 27 ss. Ma v. contra, M. Bussani, Contratti moderni, 283 ss.
[530] D. Purcaro, La locazione finanziaria…, cit., 3 ss.
[531] L. Ghia, I contratti…,cit., 1997, 27.
[532] Art. 10, comma 1°.
[533] In Foro it., 1998, I, 3082, con nota di G. Lener. Sentenza poi confermata da Cass. Civ., 19 novembre 1998, n. 11669, in Mass., 1998, 334.
[534] Molto spesso la giurisprudenza di merito ha recepito tale orientamento: Integralmente nella sent App. Milano 21 dicembre 1999 in Ngcc, 2000, I, 322: “La clausola di inversione del rischio inserita nel contratto di leasing che pone a carico dell’utilizzatore tout cortu il rischiodella mncatra consegnadel ene da parte del fornitore , non realizza interessi meritevoli di tutela edè invalida . Tale rischio può essere evitato con altra clausola che subordini il pagamento del prezzo da parte del concedetne alla sottoscrizione del verbale di consegna del bene, idonea a realizzare computamente gli interessi sia del concedetne che del fornitore “ e con altra sentenza 30 marzo 1999 in Banca borsa e tit. cred., 2001, I, 78 ss. di pari contenuto della quale la Corte ha pero’ precisato che :” se l’utilizzatore ha accettato di sottoscrivere il verbale di consegna, egli pone il concedente nella condizione di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore e non può, poi, opporre al concedene una diversa situazione effettiva”.
[535] M. La Torre, La locazione finanziaria, cit., 238 ss.
[536] Per tutti, R. Clarizia, I contratti di leasing, cit., 322 ss.
[537] M. R. La Torre, Manuale…, cit., 217.
[538] M. R. La Torre, Manuale…, cit., 217 e 218.
[539] G. Ferrarini, Problemi…, cit., 164 ss.
[540] V. in tal senso il formulario contenuto in R. Dolce, G. Corradini, B. Romani, Formulario…, cit., 389
[541] DelGrange O., Corradini G., Cirone R., Formulario…, cit., 247 ss.
[542] La sentenza viene tata diffusamente da G. Ferrarini, Problemi…, cit., 164 ss.
[543] V. a tal proposito quanto si è detto supra, 45 ss.
[544] Il formulario consultato è presente in DELGRANGE O., CORRADINI G., CIRONE R., Formulario…, cit., 247 ss.
[545] G. De Nova, Leasing…, cit., 377; Id., Il contratto di leasing…, cit., 45.
[546] Pretore Milano 8 febbraio 1980, in G. De Nova, Leasing…, cit., 477
[547] Pretore Schio, 7 Maggio 1983, in G. De Nova, Leasing…, cit., 477.
[548] Il quale vieta “la costruzione, vendita, il noleggio, la concessione in uso di macchine, parti di macchine, attrezzature, utensili e apparecchi in genere, destinati al mercato interno, nonché la installazione di impianti, che non siano rispondenti alle norme del decreto stesso”.
[549] Riguardo alla legittimità costituzionale dell’articolo unico citato, con riferimento agli artt. 2,3,32, e 41, 2° co., della Costituzione,la Corte Costituzionale si è pronunciata dichiarando infondata l’eccezione di incostituzionalità sollevata.
[550] È questa una possibilità pacificamente ammessa nella prassi negoziale italiana e straniera. V. per esempio il modello di clausola redatto sulla base di quello che veniva utilizzato dalla società Concorde Finance (Paris), riportato in O. Delgrange, G. Corradini, R. Cirone, Formulario…, cit., 732: “Le présent contrat et tous les droits qui en découlent pour le Propriétaire pourront etre cédés par celui-ci sans l’accord du Locatarie, à qui cette cession ne sera toutefois opposable qu’après notification écrite…”
[551] G. De Nova, Leasing…, cit., 483.
[552] G. De Nova, Leasing…, cit., 483. In linea teorica, si potrebbe pensare anche ad una cessione del contratto senza cessione del bene: chi è locatore non necessariamente è anche proprietario del bene; pertanto si potrebbe ipotizzare di estendere tale possibilità al concedente, che potrebbe del resto garantire egualmente l’esercizio del diritto di opzione promettendo il fatto del terzo (art. 1381). Una soluzione siffatta non risulta nella pratica convincente: primo perché il diritto di opzione fa parte integrante secondo del contratto di leasing e una cessione come quella descritta altererebbe le modalità di esercizio del diritto di opzione, comportando difficoltà operative e costituendo soprattutto una modificazione oggettiva del rapporto, che la giurisprudenza considera inammissibile in caso di cessione del contratto (v. Cass. 23 marzo 1980 n. 2674, in MFI 1980 ,538; Cass. 20 dicembre 1988, n. 6963, N. G. C. C,. , 1989, I, 759). Inoltre, mancherebbe l’acquisto del bene da parte del concedente al fine di darlo in leasing, il che renderebbe dubitabile che si tratti ancora di contratto di leasing. Inoltre, il mancato trasferimento della propeità al cessionario priverebbe quest’ultimo della garanzia caratteristica del leasing., con ripercussioni importanti nell’ipotesi del fallimento dell’utilizzatore.
[553] G. De Nova, Leasing…, cit., 484.
[554] G. De Nova, Leasing…, cit., 484, parla di gemellaggio tra forme contrattuali atipiche, quale fenomeno frequente nella prassi attuale dei contratti d’impresa.
[555] Il discorso vale per i formulari italiani (v. R. Macrì, M. Bruno, P. Macrì, Formulario dei contratti di uso corrente in materia civile, commerciale, internazionale, Milano 2000, 407 ss.), e per quelli stranieri (riguardo ai quali v. Dolce R., Corradini G., Romani B., Formulario commentato di contrattualistica commerciale Germania – Italia, Milano, 1995. DELGRANGE O., CORRADINI G., CIRONE R., Formulario commentato di contrattualistica commerciale Francia- Italia, Milano, 1996).
[556] Tali contratti, sono quelli che hanno ad oggetto beni aziendali, e che si individuano genericamente nei contratti necessari a funzionamento dell’impresa, quali i contratti con i fornitori, clienti, finanziatori, rappresentanti ecc.
[557] Essi hanno ad oggetto beni aziendali di proprietà dell’imprenditore
[558] trib. Milano, 39 gennaio 1978, in De Nova, 479. C. App. Milano, 19 ottobre 1979, ivi, 483; Cass. 9 marzo 1982, ivi, 487, tutte nella medesima causa.
[559] G. De Nova, Leasing…, cit., 485.
[560] G. De Nova, Leasing…, cit., 484.
[561] D. Purcaro, La locazione finanziaria…, cit., 24 ss.
[562] A conferma di tale assunto, L’Autore della monografia citata, richiama quanto deciso dal trib. Milano, 9 maggio 1988, in Riv. it. leasing, 1988, 716. Si fa notare che difficilmente il Tribunale di Milano avrebbe potuto decidere in contrasto alle tesi che il suo presidente, quasi in solitudine, propugna!
[563] V. M. R. La Torre, Validità del leasing pubblico secondo la Corte dei Conti ed il Consiglio di Stato, in Riv. it. leasing, 1992, 473 ss.
[564] In Foro. it., 2000I, 2269 ss.
[565] Tra gli altri, G. Ferrarini, La locazione finanziaria, in Tratt. Dir. priv. diretto da P. Rescigno, vol II, Torino, 2000, 27 ss.; A. Luminoso, I Contratti tipici e atipici, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1995, 374 ss.
[566] V., tra le più recenti decisioni in argomento, Cass. civ., 2 novembre 1998, n. 10926, in Giust. Civ., 1999, I, 3385 ss; Cass. civ., 16 maggio 1997, n. 4367 in Mass. Giust. civ. , 1997, 772.
[567] Tra gli altri v. G. De Nova, Nuovi contratti, cit., 280; V. Calandra Bonaura, Orientamenti della dottrina italiana in tema di locazione finanziaria, in Riv. dir. civ., 1978, II, 187 ss.
[568] G. De Nova, Leasing, cit., 473.
[569] N. Vassalli, La problematica del leasing finanziario come tipo contrattuale, in Riv. dir. civ., 2000, II, 650 ss.
[570] R. Clarizia, La locazione finanziaria…, cit., 204 ss.; A. Luminoso, op. ult. cit., 374 ss.; G. Lener, Leasing, collegamento negoziale e azione diretta dell’utilizzaotore, in Foro it., 1998, 3083 ss.; F. Vassallo Paleologo, I contratti di locazione finanziaria, cit., 105 ss. M. Bussani, Contratti moderni, cit., 289.Per la giurisprudenza v. Cass. 27 luglio 1999, n. 7740 e Cass. 17 novembre 1983, n. 6864, in Foro it., I, 1984, 1460, ove si rileva che il collegamento negoziale può incidere sulla qualificazione dei contratti collegati.
[571] G. Lener, op. ult. cit., 3085.
[572] R. Clarizia, Contratti…, cit., 336. Lo studioso italiano il disinteresse del legislatore speciale e della giurisprudenza per tale circostanza. Egli si riferisce alla normativa antiinforunistica ex art. 6, 2° co. D.L.gs. n. 626/1994……….segue
[573] R. Clarizia, Contratti…, cit., 337. L’ Autore richiama il concetto romano di utilitas, termine idoneo a sintetizzare “tutta quella serie di poteri riconosciuti a colui che ha il dominium utile sul bene e limitativi di chi ha il dominium directum”.
[574] R. Clarizia, Contratti…, cit., 338.
[575] V. supra, 140ss .
[576] Sui rapporti tra il leasing e la procedura fallimentare novellata recentemente, G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, XVIII ed.,Torino, 2006, 859 e ss.; B. Inzitari, Il leasing nella disciplina dei rapporti pendenti della novella fallimentare, consultabile sul sito www.ilcaso.it; M. Bussani, I contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing. in I singoli contratti, IV, in Trattato, cit., 314 e ss.; A. Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di Paolo Cendon, XII, Finanziamento alle imprese, Torino, 2005, 635 e ss.; L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa, cit., 42 e ss.
[577] La norma in commento è decisamente innovativa sia per il fatto che la locazione finanziaria è un contratto innominato e mai sfiorato dalla legge, sia perché essa è nello stesso tempo sia contratto di durato che strumento al quale l’ordinamento imputa una vicenda traslativa del bene. Sul punto, B. Inzitari, op.ult.loc.cit
[578] M. Bussani, I contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing, cit., 326 e ss.; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, loc. cit.
[579] Si fa l’ipotesi della cartolarizzazione dei crediti della società di leasing.
[580] G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, loc. cit.
[581] È stata anche la soluzione accolta prima della riforma. Sul punto, L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa, cit., 42 e ss.
[582] Caso piuttosto raro nella prassi in quanto presenta dei profili di alto rischio per i creditori, tanto che, per la legge ante riforma, quello della continuazione dell’attività d’impresa è il solo caso in cui il comitato dei creditori è chiamato ad esprimere parere vincolante.
[583] Se non vi è esercizio provvisorio dell’impresa il subentro del curatore nel contratto di leasing deve essere autorizzato dall’organo di controllo, non essendo certamente uniforme alle esigenza del fallimento. Per la disciplina ante riforma v. A. Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, cit., 636 e ss.
[584] G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, loc cit.
[585] La giurisprudenza ha sempre applicato il c.d. sistema binario. Sul punto, Cass. Civ., 13 dicembre 1989, n. 5573, in Foro It., 1990, I, 460
[586] La distinzione è già stata trattata. Sinteticamente può dirsi che solo il leasing traslativo ha ad oggetto un bene con valore intrinseco, non soggetto ad obsolescenza per cui il pagamento del canone all’utilizzatore unito al prezzo di riscatto finale si profila come vero corrispettivo del bene. Sul punto per tutti, A. Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, cit., 636 e ss.; M. Bussani, I contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing, cit., 320 e ss.
[587] Il legislatore usa il termine di collocazione o di allocazione del bene intendendo catturare e legittimare modalità di liquidazione diverse come la concessione del bene in leasing ad altro utilizzatore in bonis.
[588] B. Inzitari, op.ult.loc.cit.
[589] L’eccedenza potrà anche non verificarsi e il valore realizzato del bene allocato non essere sufficiente a coprire la somma spettante al concedente. In questo caso, la società di leasing avrà facoltà di iscriversi al passivo fallimentare per la somma pari alla differenza tra la somma realizzata e il credito vantato.
[590] La figura assomiglia ad un privilegio speciale. Sul punto, B. Inzitari, op.ult.loc.cit.
[591] B. Inzitari, op.ult.loc.cit.
[592] Il legislatore in questo caso non ha fatto altro che recepire un orientamento dottrinale, A. Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, cit., 636 e ss.; L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa, cit., 49.
[593] L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa, cit., 45 e ss.; A. Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, cit., 636 e ss.; G. De Nova, Il contratto di leasing, cit., 482 e ss.
[594] Per un quadro dei problemi posti dal leasing nel caso delle altre procedure concorsuali, M. Bussani, I contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing, cit., 330 e ss.
[595] R. Goode, Il diritto commerciale del terzo millennio, ed. it. a cura di B. Cassandro Sulpasso, Milano, 2003, 12 ss. e 119 ss. Il celebre A. inglese svolge un’indagine diacronica sulla formazione del diritto commerciale e successivamente individua le principali prospettive delle regole del commercio nel contesto internazionale.
[596] Buoocore V., Manuale…cit., 36.
[597] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 352; nello stesso senso G. De Nova, Leasing…, cit., 493, il quale però tiene a precisare che, “a maggior ragione è internazionale il leasing che vede appartenere tutti e tre i soggetti a Paesi diversi”, per poi aggiungere con estrema chiarezza : “non è internazionale il leasing in cui il concedente e l’utilizzatore sono conterranei, e ciò anche se il fornitore è di un Paese diverso”.
[598] Si tenga sempre presente che il primo problema è proprio derivante dalle risposte molto differenziate che i diversi ordinamenti hanno dato alla emersione del leasing nella prassi d’affari. In taluni Peasi, come Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, Grecia e Turchia, si è giunti ad una disciplina legislativa dell’istituto, mentre in altri ordinamenti, non essendo stata introdotta una disciplina legislativa ad hoc dell’istituto, i giudici hanno fatto ricordo all’applicazione delle norme che, presenti nei codici civili e commerciali, disciplinano altri contratti. In questi ultimi casi talvolta si è fatto ricorso alle regole della locazione tal’altre a quelle proprie della vendita con riserva di proprietà. Vanno inoltre richiamate le profonde diversità riscontrabili nei diversi ordinamenti a proposito della disciplina generale dei contratti. Il De Nova (Leasing…, cit., 493), propone un l’esempio nel quale il contratto standard di leasing viene stipulato tra un concedente italiano ed un consumatore tedesco: in caso di controversia le condizioni generali saranno sottoposte dal giudice tedesco al controllo previsto dalla legge del 1976 sui contratti standard (AGBGesetz, entrata in vigore il 1° marzo 1977), controllo molto più severo di quello previsto dalla legge italiana agli artt. 1341 e 1342 c.c. Si noti che l’esempio è probabilmente meno efficace oggi, vista l’importante politica normativa comunitaria sui contratti stipulati con il consumatore, che ha determinato una discreta uniformizzazione negli ordinamenti dell’U. E. riguardo a tali profili disciplinari del contratto. Il leasing internazionale però interesse anche altri aspetti disciplinari altrettanto disomogenei nei diversi ordinamenti. Il riferimento è al diritto societario e concorsuale, ai diritti reali di garanzia, alla proprietà di beni dei non residenti, alla responsabilità civile per danni a terzi. Altra difficoltà per gli operatori italiani era riguardante i finanziamenti agevolati erogabili per le operazioni di leasing all’esportazione, in virtù della legge 24 maggio 1977, n. 277, e rimasti per lungo tempo “bloccati”.
[599] Nello stesso senso M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 352, e G. De Nova, Leasing…, cit., 493.
[600] Ai termini dell’art. 16.1 la Convenzione è entrata in vigore dopo il decorso di sei mesi dal deposito del terzo strumento di ratifica.
[601] G. De Nova, Leasing, cit., 493.
[602] G. De Nova, Leasing, cit., 493; A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, afferma che anche se solo il secondo contratto è leasing agreement, tuttavia l’articolazione in due contratti separati rende poi necessaria una più precisa disciplina del collegamento tra i due (che non sembra essere del tutto presente: ad es. cosa avviene del contratto fra concedente e utilizzatore se il contratto di acquisto è nullo o viene successivamente annullato o risolto? ), e contemporaneamente accentua l’ottica “locatizia” del secondo contratto, sfumando la funzione di intermediario finanziario del concedente (come afferma il Clarizia, Unidroit e progetti di convenzione sul leasing finanziario internazionale, in Riv. it. leasing, 1985, 406) . In realtà la visione trilaterale del rapporto traspare da altre norme come l’artt. 7, 9, 10, 12. Sempre Frignani rileva che non si è data una definizione del leasing ma una definizione dell’operazione. ( G. De Nova, )
[603] G. De Nova, Leasing, cit., 494.
[604] G. De Nova, Leasing, cit., 494.
[605] Sulle caratteristiche del leasing avente ad oggetto beni immobili v. infra Capitolo V
[606] G. Ferrarini, Il leasing internazionale nel progetto Unidroit, in Riv. it. leasing, 1988, 5 ss. Id., Dal progetto alla Convenzione Unidroit sul leasing internazionale, ivi, 237 ss. Tale osservazione è ampiamente condivisa in dottrina. V. per tutti G. De Nova, Il leasing…, cit., 495; A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, cit., 33, si dice dubbioso riguardo all’opportunità del declassamento dell’opzione ad elemento solo eventuale, la sua mancanza potendo costituire un argomento in più per quanti vogliono ricondurre il leasing alla locazione.
[607] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 352 ss.
[608] G. Ferrarini, Dal progetto alla Convenzione…, cit., 242, individua la ratio della disposizione nella valutazione che il concedente dovrà fare tra costi (disapplicazione delle norme a sé favorevoli) e benefici (disapplicazione delle disposizioni cogenti favorevoli all’utilizzatore) di una esclusione globale della Convenzione.
[609] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, 33, segnala che “sulle condizioni per l’opponibilità ai terzi dei diritti del concedente sul bene oggetto del leasing le resistenze nazionali sono state vigorose”.
[610] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law, 34.
[611] Sul punto v. infra.
[612] Quella inerente la garanzia del pacifico godimento è questione molto discussa, e risolta solo con la Convenzione, per altro con la precisione della possibilità di una riserva ex art. 20. V. G. De Nova, Leasing…, cit., 494.
[613] È evidente il richiamo all’istituto del Nachfrist tedesco, accolto asnch’esso nella CVIM.
[614] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 353; G. De Nova, Leasing…, cit., 494.
[615] Una certa influenza l’hanno avuta progetti precedenti sulle recenti leggi della Grecia Turchia e S. Marino.
[616] Se una categoria di prodotti è immune da difetti, il produttore è oggettivamente responsabile per i danni arrecati dall’esemplare che invece li presenta. Nel caso di difetto di progettazione che investe tutta la serie, il prodotto deve essere considerato comunque difettoso quando non offre la sicurezza che si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui: il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; l’uso al quale il prodotto può essere destinato ed le caratteristiche che si possono ragionevolmente prevedere in relazione allo stesso; il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione (art. 5.1). Si noti che un prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che sia stato in qualunque tempo messo in commercio un prodotto più perfezionato. Il legislatore italiano ha inteso poi non includere nel novero delle responsabilità del produttore i c.d. rischi di sviluppo, relativi all’ipotesi in cui prodotti non difettosi al momento della loro fabbricazione, vengano ritenuti tali in seguito del progresso delle conoscenze scientifiche e tecniche (art. 15, b) della direttiva e 6, d) del decreto). Rimanendo al testo del decreto si ricordino le ipotesi di escludione della responsabilità. Il danneggiato deve provare danno, difetto e nesso causale ex art. 8.1. Il produttore, per liberarsi, deve poi provare i fatti che possono escludere la sua responsabilità ex art. 6. Se il danneggiato è stato consapevole del difetto e del derivante pericolo esponendovisi volontariamente non è dovuto alcun risarcimento del danno (10.2). L’art. 11 pone un limite molto rilevante alla normativa in esame. Mentre la direttiva nel primo dei considerando e dell’art. 16.2 fa espresso riferimento alla protezione dei consumatori, il decreto non fa alcun riferimento al consumatore ed alla sua protezione. L’art. 11 relativamente al danno risarcibile dispone che è risarcibile in base al decreto: il danno cagionato da morte o lesioni personali, la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso, purchè normalmente destinata all’uso o al consumo privato.Il danno a cosa è risarcibile se supera la soglia di £ 750.000 (non è stato introdotto nel decreto un limite massimo, pur essendo il legislatore italiano facultizzato in tal senso dalla direttiva art 16.1). Nessun risarcimento sarebbe dovuto per i mezzi di produzione industriale, stando alla comune interpretazione dell’art. 11.[616] Al De Nova siffatta interpretazione del decreto sembra troppo restrittiva visto che l’art. non non distingue i prodotti industriali da quelli di consumo. L’art. 11 secondo il De Nova va interpretato nel senso che in caso di danno alla persona il produttore è comunque responsabile a prescindere dalla persona danneggiata. Se il danno è cagionato ad una cosa diversa dal prodotto il risarcimento è dovuto solo quando le suddette cose sono di uso o consumo privato e utilizzate principalmente dal danneggiato. Per quanto attiene alle clausole di esonero, l’art. 12 del decreto in deroga al 1229 c.c., prevede la nullità di qualsiasi patto che eluda o limiti la responsabilità del produttore nei confronti del danneggiato. Non sono comprese le clausole che limitino o escludano la responsabilità nei confronti produttore, importatore, fornitore che rimangono consentite nei limiti dell’art. 1229 c.c.[616] La prescrizione è di tre anni dalla conoscenza del danno, del difetto e dell’identità del responsabile ex art. 13, la decadenza è di 10 anni dalla messa in circolazione del prodotto.
[617] L’attività commerciale ex art. 3.4 secondo il De Nova, significa attività d’impresa nella quale rientra certamente quela di leasing e comunque perché vi è una disposizione espressa in tal senso nell’art. 3.4.
[618] Mariani P., Il leasing finanziario internazionale tra diritto uniforme e diritto internazionale privato, Milano, 2004, 173 e ss.
[619] I problemi che accompagnano l’esperimento di questa azione diretta nei confronti del fornitore sono comunque molteplici e di non agile soluzioni specialmente in tema di competenza territoriale. Sul punto è puntuale l’indagine di Mariani P., Il leasing finanziario internazionale, cit., 175 e ss.
[620] G. Campobasso, Diritto commerciale…, III, cit., 145.
[621] Tra gli altri, G. De Nova, Leasing…, cit., 463.
[622] La dottrina maggioritaria esclude che il leasing diretto possa rientrare nel descritto tipo sociale (v. per tutti De Nova op. ult. cit., 463), ma credo si renda necessario, anche per scopi meramente classificatori, inserire la fattispecie nell’ambito delle variazioni del contratto in termini di struttura dell’operazione. Tale scelta espositiva viene effettuata, tra gli altri da G. Campobasso, Diritto commerciale…, III, cit., 145.
[623] A. Luminoso, Il leasing finanziario: struttura dell’operazione e caratteri del contratto, in Manuale di diritto commerciale, a cura di V. Buonocore, Torino, 2003, 712 e ss.
[624] L’utilizzazione di quest’inciso non è condivisa da tutti (in particolare da M.R.La Torre, Manuale, cit., 583 e ss.) in quanto potrebbe creare confusione per il mancato riferimento alla funzione finanziaria dell’operazione, ma in realtà questa preoccupazione sembra alimentata da zelo eccessivo.
[625] Il concetto di Amministrazione Pubblica (per il quale è possibile rinviare ad A. Romano, I soggetti e le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo, in Diritto Amministrativo, a cura di L. Mazzarolli ed altri, Bologna, 2001, 269 e ss.) è complesso e tracima dall’ambito del presente elaborato. È solo il caso di osservare che attenendosi ad una definizione legislativa del concetto di P.A. come da D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (art.1, 2°comma) dovrebbe intendersi per pubblica amministrazione “…tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende e le amministrazioni dello stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, i loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, , le camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura e le loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e di enti del Servizio Sanitario nazionale”. Sulla base di tale definizione la dottrina (G. De Nova, Leasing, in Dig. Disc. Privat., cit, 492 e ss.) ha concluso, sostenendo che la presenza del c.d. leasing pubblico si riscontra nelle ipotesi in cui l’operazione interessi un ente pubblico non economico con esclusione di quelli economici che operano nella dinamica degli affari secondo criteri di mercato. Su tale limitazione, tuttavia non mancano dubbi, se si riflette che alcuni enti pubblici economici, ormai falcidiati dalle recenti liberalizzazioni, operanti in particolari settori (telecomunicazioni, energia, acqua…) sono vincolati dalla disciplina in materia di pubblici appalti. Tali considerazioni hanno convinto un osservatore (M.R.La Torre, Manuale, cit., 584 e ss.) a dilatare la sfera del leasing pubblico fino a farvi rientrare anche i contratti stipulati da concessionari di lavori o pubblici servizi.
L’opinione, tuttavia, non persuade perché non tiene in nessun conto la strumentalità dei beni impiegati rispetto all’interesse di carattere pubblicistico e il fatto che la P.A. perviene alla stipulazione di un regolamento privatistico nell’ambito della sua attività istituzionale che dall’interesse pubblico non traligna.
[626] In passato sono stati sollevati dubbi, ora fugati, sulla ammissibilità della stipulazione di un tale contratto da parte della P.A., ma ormai sono superati per l’invalere del leasing nella dinamica delle relazioni economiche e per il suo recepimento nella disciplina nazionale e comunitaria. Sul punto, M.R.La Torre, op.ult.cit., 586; Id., Validità del “leasing pubblico” secondo la Corte dei Conti ed il Consiglio di Stato, in Riv. it. leasing, 1992, II, 473 e ss..
[627] Sul tema, A. Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di Paolo Cendon, XII, Finanziamento alle imprese, Torino, 2005, 662 e ss.; R. Clarizia, Contratti di leasing, in I contratti del mercato finanziario, cit., 354 e ss.; S. Bandini Zanigni, Il leasing pubblico: regime giuridico e scelta del contraente, in Il diritto dell’economia, I, 2000, 91 e ss.; M.R.La Torre, op.ult.cit., cit., 583 e ss.; M. Bussani, P. Cedon, I contratti nuovi, cit., 163 e ss.; G. De Nova, op.ult. cit, 492 e ss.; L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa. Leasing e factoring, Milano, 1997, 65 e ss..
[628] M. Bussani, P. Cedon, I contratti nuovi, cit., 163 e ss.; L. Ghia, op.ult.loc.cit.
[629] L. Ghia, I contratti, cit., 67; G. De Nova, op.ult. cit, 492.
[630] L. Ghia, I contratti, cit., 67; M.R.La Torre, Riflessioni, cit., 587.
[631]A. Tencati, M. Liace, op.ult.loc.cit; S. Bandini Zanigni, op.ult.cit., 92 e ss. M.R.La Torre, op.ult.cit., 588 e ss.; G. De Nova, op.ult. cit., 492.
[632] Sul punto è intervenuto il T.A.R Lazio, sez. II, 10 luglio 1996, n. 1394
[633] Oltre ai citati principi della imparzialità e dell’efficienza della P.A. non bisogna dimenticare quello della economicità che imporrebbe di considerare le varie alternative possibili per ottenere la disponibilità dello stesso bene e motivare la soluzione del leasing come quella meno onerose per il bilancio in relazione alle opzioni di finanziamento possibili. Sul punto, S. Bandini Zanigni, op. ult. cit., 95 e ss.
[634] M.R.La Torre, Manuale, cit., 571 e ss. La possibilità di prospettare un’autonoma species è seriamente in discussione, posto che lo stesso autore afferma a pag. 573 che il contratto di leasing rimane “autonomo e distinto da quello agevolatorio”. La presenza di uno stimolo pubblico al massimo potrebbe integrare dal punto di vista civilistico un motivo che incidendo nella dinamica motivazionale e psicologica dell’utilizzatore lo incoraggia a stipulare.
[635] Sul punto, per tutti G. Campobasso, Diritto commerciale…, III, cit., 161 e ss.
[636] G. Campobasso, Diritto commerciale…, III, cit., 147 e ss.; G. De Nova, op.ult. cit, 492 e ss.; M.R.La Torre, Manuale, cit., 571 e ss.
[637] È necessaria una preliminare analisi della nozione di consumatore per superare alcune difficoltà relative all’alveo applicativo della disciplina in questione, dedicata ai soli contratti stipulati tra professionista e consumatore. Consumatore era, secondo il vecchio 1469 bis 2° comma, oggi art. 2 Codice Consumo, una persona fisica che agisce per scopi extraprofessionali: si tratta di una nozione problematica imperniata su una qualità di tipo relazionale, cioè da relazionare all’altro contraente, professionista che agisce nell’ambito della propria attività. Come è stato scritto (Scannicchio, Consumatori e conclusione dei contratti a distanza tra ordinamenti nazionali, direttive comunitarie e diritto comparato, in Riv. crit. dir. priv., 1994, 19.), è l’atto di consumo a fare il consumatore e non viceversa. Pur escludendo la categoria dei soggetti giuridici non persone fisiche (con non pochi dubbi di legittimità costituzionale!), per il resto essa è determinata dal tipo d’attività posta in essere, lungi dal rappresentare una nozione basata su caratteristiche ontologiche del contraente. La ratio della disciplina veniva ravvisata pertanto non solo nella presunzione che il contraente debole fosse anche più sprovveduto, ma che vi fosse una diversa valutazione in punto di meritevolezza degli interessi perseguiti da uno dei contraenti. Tale valutazione, in armonia con i valori costituzionali ex 3 2° co e 41, sovraordina l’interesse al consumo al perseguimento del profitto imprenditoriale. Se si contrappongono due interessi omologhi viene meno la ragione della deroga al principio della libertà. L’art. 33 del C. del Consumo parla di “contratto concluso tra il consumatore ed il professionista”, escludendo icto oculi tutti i contratti bilateralmente d’impresa, vale a dire stipulati tra imprenditori nell’esercizio delle proprie attività economiche.
[638] Cass. 13 dicembre 1989, n.5570, in Riv. It. leasing, 1989, 597.
[639] L’autonomia dei contratti d’impresa, quale categoria a sé stante è oggetto di dibattito. Alcuni studiosi ritengono che si tratti di categoria autonoma retta da propri principi nonostante l’unificazione dei codici altri che si tratti di mera espressione descrittiva volta ad individuare un novero di contratti tra i quali, per es. il leasing. Così, alcuni ritengono che l’elemento individuativo di tali contratti sia rappresentato dalla partecipazione almeno di un imprenditore alla loro stipulazione, mentre altri ritengono necessario che il contratto venga stipulato nell’ambito dell’esercizio di un’attività imprenditoriale. Sul problema v. V. Buonocore, I contratti d’impresa…, cit.
[640] M. Palazzi, Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, a cura di G. Alpa e S. Patti, II, Milano, 1997, 1207.
[641] M. Palazzi, Le clausole…, cit., 1210.
[642] Pretura di Bologna, cit.,
[643] G. De Nova, op.ult. cit, 492 e ss.
[644] Nell’ipotesi che la locazione finanziaria sia stipulata a distanza ovvero fuori dai locali commerciali, l’utilizzatore-consumatore potrà giovarsi del diritto ad una preventiva e dettagliata informazione ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 22 maggio 1999, n. 185 e potrà recedere dal contratto ai sensi dell’art. 5 dello stesso decreto con l’invio di una raccomandata A.R. entro 10 giorni lavorativi dalla sottoscrizione o dalla ricezione delle informazioni scritte. In mancanza di informazioni il diritto di recesso è esercitatile entro tre mesi dalla conclusione del contratto
[645] Riconosciuta la configurabilità di un contratto di leasing stipulato da un utilizzatore che sia “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” (definizione contemplata dal codice del consumo) non vi sono difficoltà ad ammettere la piena operatività della disciplina contemplata per i contratti del consumatore.
[646] R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 353. L’autorevole A. considerando che anche le clausole che configurano l’assunzione del rischio di perimento del bene in capo al consumatore anche nell’ipotesi in cui il deterioramento e la distruzione non siano a lui soggettivamente imputabili o la anticipata recedibilità senza indennizzo da parte del concedente, sostiene l’impossibilitò di prospettare il leasing di consumo come autonoma operazione con profilo funzionale di finanziamento.
[647] La disciplina del credito al consumo è stata introdotta nel Testo unico delle leggi bancarie e creditizie dalla legge 19 dicembre 1992, 114, emanata in attuazione della direttiva Cee n. 87\102.
[648] M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 277.
[649] L’art. 121, circoscrivendo l’ambito applicativo della disciplina dal punto di vista soggettivo ed oggettivo, recita: “Per credito al consumo si intende la concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (consumatore). 2. L’esercizio del credito al consumo è riservato: a) alle banche; b) agli intermediari finanziari; c) ai soggetti autorizzati alla vendita di beni o di servizi nel territorio della Repubblica, nella sola forma della dilazione del pagamento del prezzo. 3. Le disposizioni del presente capo e del capo III si applicano, in quanto compatibili, ai soggetti che si interpongono nell’attività di credito al consumo. 4. Le norme contenute nel presente capo non si applicano: a) ai finanziamenti di importo rispettivamente inferiore e superiore ai limiti stabiliti dal CICR con delibera avente effetto dal trentesimo giorno successivo alla relativa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana; b) ai contratti di somministrazione previsti dagli articoli 1559 e seguenti del codice civile, purché stipulati preventivamente in forma scritta e consegnati contestualmente in copia al consumatore; c) ai finanziamenti rimborsabili in un’unica soluzione entro diciotto mesi, con il solo eventuale addebito di oneri non calcolati in forma di interesse, purché previsti contrattualmente nel loro ammontare; d) ai finanziamenti privi, direttamente o indirettamente, di corrispettivo di interessi o di altri oneri, fatta eccezione per il rimborso delle spese vive sostenute e documentate; e) ai finanziamenti destinati all’acquisto o alla conservazione di un diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o da edificare, ovvero all’esecuzione di opere di restauro o di miglioramento; f) ai contratti di locazione, a condizione che in essi sia prevista l’espressa clausola che in nessun momento la proprietà della cosa locata possa trasferirsi, con o senza corrispettivo, al locatario”.
[650] M.R.La Torre, Manuale, cit., 620.
[651] L’art. 123 del T.u.b. stabilisce: “1. Alle operazioni di credito al consumo si applica l’art. 116. La pubblicità è, in ogni caso, integrata con l’indicazione del TAEG e del relativo periodo di validità. 2. Gli annunci pubblicitari e le offerte, effettuati con qualsiasi mezzo, con cui un soggetto dichiara il tasso d’interesse o altre cifre concernenti il costo del credito, indicano il TAEG e il relativo periodo di validità. Il CICR individua i casi in cui, per motivate ragioni tecniche, il TAEG può essere indicato mediante un esempio tipico”.
[652] Secondo la giurisprudenza di merito: “La mancata consegna di una copia compilata del contratto, conseguente alla sottoscrizione di un contratto di finanziamento privo del suo contenuto essenziale, rende tale vincolo negoziale radicalmente invalido ai sensi dell’articolo 117, commi 1 e 3, del D.Lgs. 385 del 1993 richiamato per i contratti di credito al consumo dall’articolo 124, comma 1 e ai sensi del comma 3 di tale ultima disposizione. La nullità derivante dall’articolo 117, commi 1 e 3, si fonda sull’obbligo della forma scritta a pena di nullità che ovviamente deve avere a oggetto l’intero contenuto negoziale e in particolare quelle condizioni richieste a pena d’invalidità dal soprarichiamato comma 3 dell’articolo 124. Tale invalidità si fonda sulla necessità che il contratto contenga la descrizione analitica del bene e l’ammontare del prezzo dello stesso allo scopo di consentire al consumatore un efficace controllo sul costo effettivo del finanziamento”. Trib. Bologna, 18 gennaio 2005
[653] Secondo l’art. 124 del T.u.b.: “1. Ai contratti di credito al consumo si applica l’art. 117, commi 1 e 3. 2. I contratti di credito al consumo indicano: a) l’ammontare e le modalità del finanziamento; b) il numero, gli importi e la scadenza delle singole rate; c) il TAEG; d) il dettaglio delle condizioni analitiche secondo cui il TAEG può essere eventualmente modificato; e) l’importo e la causale degli oneri che sono esclusi dal calcolo del TAEG. Nei casi in cui non sia possibile indicare esattamente tali oneri, deve esserne fornita una stima realistica; oltre essi, nulla è dovuto dal consumatore; f) le eventuali garanzie richieste; g) le eventuali coperture assicurative richieste al consumatore e non incluse nel calcolo del TAEG. 3. Oltre a quanto indicato nel comma 2, i contratti di credito al consumo che abbiano a oggetto l’acquisto di determinati beni o servizi contengono, a pena di nullità: a) la descrizione analitica dei beni e dei servizi; b) il prezzo di acquisto in contanti, il prezzo stabilito dal contratto e l’ammontare dell’eventuale acconto; c) le condizioni per il trasferimento del diritto di proprietà, nei casi in cui il passaggio della proprietà non sia immediato. 4. Nessuna somma può essere richiesta o addebitata al consumatore se non sulla base di espresse previsioni contrattuali. Le clausole di rinvio agli usi per la determinazione delle condizioni economiche applicate sono nulle e si considerano non apposte. 5. Nei casi di assenza o nullità delle clausole contrattuali, queste ultime sono sostituite di diritto secondo i seguenti criteri: a) il TAEG equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto; b) la scadenza del credito è a trenta mesi; c) nessuna garanzia o copertura assicurativa viene costituita in favore del finanziatore”.
[654] L’art. 122 del T.u.b. recita: “1. Il tasso annuo effettivo globale (TAEG) è il costo totale del credito a carico del consumatore espresso in percentuale annua del credito concesso. Il TAEG comprende gli interessi e tutti gli oneri da sostenere per utilizzare il credito. 2. Il CICR stabilisce le modalità di calcolo del TAEG, individuando in particolare gli elementi da computare e la formula di calcolo. 3. Nei casi in cui il finanziamento può essere ottenuto solo attraverso l’interposizione di un terzo, il costo di tale interposizione deve essere incluso nel TAEG”.
[655] L’art.125 del T.u.b., recante “Disposizioni varie a tutela dei consumatori” stabilisce: “1. Le norme dettate dall’art. 1525 del codice civile si applicano anche a tutti i contratti di credito al consumo a fronte dei quali sia stato concesso un diritto reale di garanzia sul bene acquistato con il denaro ricevuto in prestito. 2. Le facoltà di adempiere in via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità spettano unicamente al consumatore senza possibilità di patto contrario. Se il consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato, ha diritto a un’equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR. 3. In caso di cessione dei crediti nascenti da un contratto di credito al consumo, il consumatore può sempre opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del cedente, ivi compresa la compensazione, anche in deroga al disposto dell’art. 1248 del codice civile”.
[656] M.R.La Torre, Manuale, cit., 620 e ss.; G. De Nova, op.ult. cit, 493 e ss.
[657] L’art. 1525 c.c. recita: “nonostante patto contrario, il mancato adempimento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, e il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive”.
[658] M.R.La Torre, Manuale, cit., 621.
[659]Il quarto comma dell’art. 125 del T.u.b. (ora abrogato), che tuttavia sembrerebbe inapplicabile anche alla giurisprudenza di merito (“La disciplina del credito al consumo, ed in particolare l’art. 125, comma 4 (ora abrogato), d.lg. 1 settembre 1993 n. 385 che attribuisce al consumatore, in caso di inadempimento del fornitore di beni, il diritto di agire contro il finanziatore, non si applica al contratto di leasing, attesa la diversità strutturale tra credito al consumo e leasing” Trib. Milano, 22 gennaio 2001), sanciva la possibile responsabilità sussidiaria del finanziatore per il caso di inadempimento del fornitore e l’ultimo comma estendeva tale responsabilità al terzo cessionario, laddove a questi siano stati trasferiti i diritti derivanti dal contratto di concessione del credito (sul punto, M. Bussani, Contratti moderni…, cit., 277 ss.).
[660] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civile e di common law…, cit., 23.
[661] Le leggi Scrivener e Scrivener II, n. 78-22 e 75-596, con qualche integrazione confluite entrambe nel Code de la consommation, rappresentano il primo corpo di norme ideato in Francia appositamente per la tutela del consumatore.[661] Sotto la loro disciplina ricade un’importante forma di location financière: la locations avec option d’achat. Si ritiene di approfondire la prima legge, visto che la seconda attiene più specificamente al leasing immobiliare. Essa mira al raggiungimento di un sufficiente equilibrio contrattuale, minacciato, nei contratti con il consumatore, dal potere economico del professionista e, pertanto, tutelato da precise norme imperative, inderogabili dall’ autonomia contrattuale delle parti. Anche il legislatore francese individua il consumatore attraverso una definizione negativa, e rinviando alla qualità professionale della controparte contrattuale, utilizzando in questo modo la stessa tecnica anomala, e per certi versi criticabile, adoperata dal legislatore italiano e comunitario. Nello specifico, l’art. 1 della legge definisce préteur “ogni soggetto che accorda mutui (prets), contratti o crediti di cui all’art. 2”: sono tali le “operazioni di credito concesse a titolo abituale da persone fisiche o giuridiche”. Si comprende che perché possa trovare applicazione tale disciplina è necessario che il professionnel svolga abitualmente la propria attività finanziaria. Di conseguenza, l’individuazione dell’ambito applicativo del provvedimento è imperniato sulla destinazione del finanziamento: se il credito deve soddisfare interessi connessi all’esercizio di un’attività professionale, allora si esce dall’alveo applicativo della loi Scrivener. La Cassazione, con una nota sentenza emessa il 25 maggio del 1992, francese ha però determinato un radicale mutamento nell’interpretazione di tale aspetto della disciplina, passando sostanzialmente dal binomio professionnel-consumatore, a quello, per la verità un po’ più vago, di competente-profano. Nell’occasione ha accordato la tutela prevista per il consumatore ad un commerciante che aveva preso in leasing un sistema d’allarme, dato che questi viene a trovarsi “nello stesso stato di ignoranza di un qualunque consumatore”.
Ratione materiae l’art. 2 prevede che la legge si applichi a tutte le operazioni di credito, concluse in maniera abituale da persone fisiche o giuridiche, sia a titolo oneroso che gratuito. La norma inoltre precisa che sono assimilate ad opérations de crédit le locations avec option d’achat..Nello stesso tempo la legge esclude l’applicazione le operazioni di credito concluse in forma autentica, quelle che superano la soglia massima di valore, o non raggiungono la durata minima di tre mesi (rispettivamente art. L. 311-3 1° comma e 2° comma c. consom.). Allo stesso modo vengono eluse le persone giuridiche di diritto pubblico (art. L. 311-3 c. consom.) e le operazioni su beni immobili, disciplinate dalla loi Scrivener II. In ogni caso nulla vieta alle parti di rende operanti anche in tali casi le tutele predisposte dalla loi Scrivener.
Analizzando a questo punto nello specifico la tutela predisposta dal provvedimento in oggetto, esso impone alla parte c.d. fortel’adempimento di determinati obblighi, formali e sostanziali, cui corrispondono, a favore della controparte debole, altrettanti diritti., il tutto al fine di garantire al consumatore una corretta e completa informazione attraverso una serie di norme che lo proteggono durante l’intero arco della vicenda contrattuale.
Innanzitutto ogni forma di pubblicità deve informare completamente ed oggettivamente il consumatore. La completezza e correttezza dell’informazione so0no assicurate mediante norme che riguardano sia la fase preliminare dell’offerta (da consegnare i duplice copia deve indicare l’identità di chi concede il credito, la natura, la durata, l’oggetto e il costo complessivo dell’operazione; deve essere tenuta valida almeno per quindici giorni e deve essere conforme al modello di offerta tipo, fissato dal Comité de la réglementation bancarie su indicazione del Conseil national de la consommation), sia la fase della formazione del contratto, che si conclude, salvo diversamente previsto, mediante adesione del consumatore, cui viene riconosciuto diritto di recesso esercitatile entro sette giorni mediante apposito modulo staccabile che deve essere allegato all’offerta. In ordine agli effetti del contratto la legge crea un forte nesso di cindivisibilità ed interdipendenza tra il contratto principale (di compravendita) e quello accessorio (di finanziamento, nel caso d’interesse di che è la LOA, il bail, cioè la locazione).Il concedente non può validamente contrarre con il venditore se l’utilizzatore non accetta l’offerta preliminare; le obbligazioni del mutuatario – consumatore sono sospese fino alla consegna del bene; se il concedente non adempie i propri obblighi, il consumatore può astenersi dall’eseguire i propri; il venditore non può eseguire la consegna se non è scaduto il termine previsto per il recesso del consumatore a meno che quest0’ultimo non richieda espressamente la consegna anticipata.; la risoluzione o l’annullamento del contratto di vendita per vizi della cosa comportano la nullità del secondo contratto e, se ciò avviene per colpa del venditore, egli deve tenere indenne il consumatore da ogni condanna a pagare i danni subiti dal concedente; l’utilizzatore ha diritto di azione diretta contro il venditore; se sorgono controversie riguardanti l’esecuzione del contratto di vendita il giudice può sospendere l’esecuizione del bail fino alla conclusione del processo; il contratto di vendita, specularmene, è risolto se l’utilizzatore esercita il diritto di recesso o se, per qualsiasi motivo, il finanziamento non viene concesso. Si prevede infine che tutte le controversie nate dall’applicazione della legge n. 78-22 (e da leggi successive che la riguardano) siano di competenza del tribunale più prossimo al consumatore (art. 27 , loi cit.).Per quanto attiene infine alle clausole penali: la legge n. 78-22 fissa un tetto massimo , previsto specificamente per le locations avec promesse de vente. Tale plafond è pari aslla differenza tra, da un lato, i canoni non scaduti e il valore residuale del bene e , dall’altro lato, il valore venale del bene.
La legge n. 78-23 anch’essa del 10 gennaio 1978 completa il quadro legislativo della tutela del consumatore nell’ambito della location financière, proteggendo dalle clausole abusive i consumatori e gli utilizzatori non professionels. In tal caso la legge, deroga al generale principio dell’autonomia contrattuale delle parti, e per ristabilire l’equilibrio contrattuale, elimina alcune clausole e determina imperativamente il contenuto di certe altre. Il campo di applicazione della legge è molto ampio e comprende i contratti di ogni forma giuridica conclusi tra professionel e non professionel.[661] Essa interessa la trattazione perché comprende la location acev option d’achat.
La legge presume la redazione unilaterale del contratto, disponendo che possono essere vietate, limitate o regolamentate (con decreti del Consiglio di Stato, emessi su parere di una Commissione appositamente istituita) le clausole abusive, ossia quelle che determinano uno squilibrio significativo tra diritti ed obblighi della parti, a danno del consumatore. V. A. Cremonese, Il leasing in Francia, cit., 187.
[662] La riflessione è di A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law…, cit., 24.
[663] Per quanto attiene al segmento immobiliare. Crescita significativa nella seconda metà degli anni 90. Si tratta di un settore in cui l’operazione ha tuttora una fondamentale finalità di trasferimento della proprietà e che è stato spinto da due fattori principali. 1) Una riduzione del differenziale assoluto tra operazioni di leasing e operazioni di mutuo su immobili , supportato dal generale e drastico calo dei tassi conseguente alle politiche macroeconomiche finalizzata all’entrata dell’Italia nella rea dell’Euro. Questo fenomeno ha consentito di recuperare il tradizionale gap di prezzo tra le due tipologie di operazioni consentendo un migliore apprezzamento da parte del mercato della componente di servizio implicita in un contratto di leasing (in particolare per gli immobiliari da costruire (o costruendi). 2) Un vantaggio fiscale rispetto al mutuo dovuto alla possibilità di portare in deduzione dal reddito imponibile l’intero ammontare del canone di leasing Questa possibilità, unita alla prassi delle società erogatrici (consentita da un’apposita disposizione normativa della Banca d’Italia) di effettuare l’ammortamento del bene in locazione secondo una logica “finanziaria” ha permesso de facto alle aziende locatarie di effettuare un ammortamento accelerato rispetto alla situazione alternativa di acquisto con mutuo; in quest’ultimo caso, infatti, il bene viene ammortizzato in coerenza con la normativa civilistica e fiscale.
[664] Su punto, M. Bussani, I contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing. in I singoli contratti, IV, in Trattato, cit., 363 e ss.; M.R.La Torre, Manuale, cit., 620 e ss.; R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 359 e ss.; G. De Nova, op.ult. cit, 492 e ss.
[665] R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 359 e ss.
[666] M.R.La Torre, Manuale, cit., 620.
[667] R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 360.
[668] G.B. Ferri, Causa e tipo nella teoria dei contratti, Milano, 1966, 345 e ss.
[669] M.R.La Torre, Manuale, cit., 620 e ss.; G. De Nova, op.ult. cit, 493 e ss.
[670] Qualora ciò non fosse, la locazione finanziaria trasfigurerebbe in una vendita con patto di riservato dominio, configurandosi il pagamento finale come versamento dell’ultima rata di prezzo e non come corrispettivo del riscatto. Così, M. Bussani, I contratti moderni, cit., 365 e ss.
[671] R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 361. Si fa notare da parte di altri (M. Bussani, I contratti moderni, cit., 366) che qualora il canone dovesse essere commisurato in base alla utilità tratta dal locatario-utilizzatore per il godimento del bene la locazione finanziaria trasmuterebbe in una semplice locazione con applicazione della relativa disciplina.
[672] R. Clarizia, op.loc.ult.cit.
[673] Sul punto, M. Bussani, I contratti moderni, cit., 368 e ss.; M.R.La Torre, Manuale, cit., 470 e ss.
[674] Cass. Civ. 30 marzo 2001, n. 4737.
[675] L’art. 2053 c.c. recita: “Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione”.
[676] M. Bussani, I contratti moderni, cit., 370 e ss.
[677] In questo caso si ricorda che l’art. 1669 c.c. configura una responsabilità decennale per l’appaltatore d’opera.
[678] Interessante sul punto un modulo contrattuale di locazione finanziaria di immobili in costruendo riportato da G. De Nova, Il contratto di leasing con sentenze ed altri materiali, Milano, 1995, 528 e ss
[679] Si tratta del già citato modulo in G. De Nova, op.ult.loc.cit. Per alcune considerazioni sull’equilibrio raggiunto attraverso la combinazione di queste clausole, M.R.La Torre, Manuale, cit., 460 e ss.
[680] A.Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law…, cit., 24.
[681] Il segmento auto ha registrato nel 2003 una flessione inferiore alla media. Evidenziamo le principali tendenze. Crescente rilevanza delle operazioni di leasing “ad alto valore residuo” sul totale del comparto autovetture. Lo sviluppo delle operazioni di noleggio a lungo termine realizzate da operatori ad hoc costituiti sotto forma di società commerciali e spesso emanazioni di società di leasing captive di gruppi industriali o appartenenti a gruppi bancari.
Per quanto riguarda la prima tendenza ci troviamo di fronte ad operazione che sono classificabili come leasing finanziari alla luce della presenza dell’opzione finale di acquisto , ma si avvicinano come struttura e finalità dell’operazione al leasing operativo.
Per quanto riguarda il secondo fenomeno questa tipologia di prodotti assimilabili al leasing operativo va ad integrare la più tradizionale offerta di leasing operativo a breve termine tipico delle società specializzate di autonoleggio. Dall’analisi congiunta dei due fenomeni appena descritti emerge come il comparto delle autovetture sia sempre più caratterizzato dalla crescita di dalla crescita di prodotti che pur classificabili come leasing finanziari secondo la vigente normativa giuridico contabile., sono costituiti da un unico package in cui è presente una significativa quota di servizi non finanziati (tipicamente legati alla manutenzione dell’auto, oltre a quelli di tipo assicurativo già presenti nel leasing finanziario tradizionale ). E’ questo il caso ad esempio del full leasing in cui l’offerta di servizi si riflette anche nella strutturazione della rata di leasing tra componente puramente finanziaria e componente di servizi. L’incremento del valore dell’opzione finale diventa quindi una risposta competitiva quasi scontata qualora si voglia mantenere la tata di leasing su livelli assoluti compatibili con le richieste e le possibilità della clientela , riducendo la componente finanziaria per far spazio alla componente di servizi . Questo fenomeno potrà essere incentivato dai mutamenti previsti nella normativa fiscale portando alla strutturazione di prodotti che privilegiano sempre più l’anima di locazione del contratto di leasing rispetto a quella di acquisto a rate e aprendo la possibilità all’utilizzo del valore residuo come leva di competizione tra forme contrattuali che tendono sempre più ad enfatizzare la finalità economica di utilizzo del bene rispetto a quello di acquisto. Questa dinamica è confermata
[682] Il segmento aeronavale rappresenta l’unico segmento del leasing che ha sperimentato nel 2003 una crescita rispetto al 2002 . Crescita rilevante in termini percentuali che sconta però il basso volume assoluto del segmento stesso. Va rilevato che la componente aeronavale più classica costituisce una quota marginale. Bisogna comunque considerare i numerosi provvedimenti normativi e fiscali intrapresi nel settore della nautica., che ne hanno favorito lo sviluppo negli ultimi anni.
[683] Sul punto, interessante l’approfondimento di L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa, cit., 69 e ss.; Cortis L., Il leasing di aeromobile come odierna tecnica di finanziamento dell’aviazione civile, in Riv, It. Leasing, 1991, I-II, 63 e ss.; v. anche R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 371 e ss.
[684] Sul punto, per maggiori particolari, L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa, cit., 69 e ss.
[685] R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 371 e ss.
[686] A. Addis, A. Fiori,M. Salis., Il leasing dei vigneti. Una buona opportunità con alcuni ostacoli, in I quaderni di ASSILEA, consultabile sul sito www.assilea.it
[687] R. Clarizia, I contratti per il finanziamento dell’impresa. Mutuo di scopo, leasing, factoring, Torino, 2002, 189; M. Colangelo, Il leasing di beni immateriali, in I Quaderni di ASSILEA, 2005, consultabile sul sito www.assilea.it
[688] R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 339.
[689] Parte della dottrina qualifica la situazione di appartenenza del bene immateriale in termini di diritto di proprietà. Altra dottrina, pure autorevolissima rimane dubbiosa riguardo a tale operazione ravvisando una certa incompatibilità tra l’esclusività del dominio diretto sul bene, tipico del contenuto del diritto di proprietà di cui all’art. 832, ed il godimento plurimo generale dei beni immateriali . Essi infatti, venendo prodotti in serie possono essere goduti contestualmente da più soggetti. La soddisfazione dell’interesse del loro titolare si realizza mediante lo svolgimento di un’attività economica con i terzi (tra gli altri Messinetti D., voce Beni immateriali (Diritto privato), in Enc. Giur. Treccani, vol. V., 1 e ss.).
[690] Facciamo un esempio: nel caso del software, è necessario per parlare di leasing che la concedente acquisti direttamente dal titolare la proprietà del programma informatico, ovvero il diritto assoluto di esclusiva del suo utilizzo (Clarizia R., La locazione finanziaria….cit., 298; Zeno Zencovich V., Il leasing di programmi per elaboratore elettronico, in Riv. it. leasing, 1987, 49.). Naturalmente nulla esclude la configurabilità di un leasing che abbia ad oggetto software standardizzati offerti in vendita da negozi specializzati, per i quali non si concede la proprietà intellettuale dell’opera ma solo la semplice licenza d’uso. In questi casi però dobbiamo ritenere sussistente un leasing di mobili . Il bene mobile sarà rappresentato dal supporto magnetico arricchito del programma informatico ossia dal corpus mechanicum ( come libri, dischi, autoveicoli ecc.) che racchiude l’opera intellettuale(Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., 58). Esso è configurabile come bene mobile a se stante suscettibile di autonoma valutazione economica ed acquisizione in proprietà. E’ diverso e distinto dal bene immateriale che racchiude e dal semplice supporto magnetico che incorpora il software. Così come una risma di fogli di carte è diversa da un libro che contiene lo stesso numero di fogli.
[691] L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa, cit., 69 e ss.; R. Clarizia, I contratti per il finanziamento, cit., 404 e ss.; V. Zeno Zencovich, Il leasing di programmi per elaboratore elettronico, cit., 49 e ss.
[692] R. Clarizia, op. ult.cit. 405.
[693] L. Ghia, I contratti di finanziamento, cit., 69 e ss.
[694] R. Clarizia, op. ult.cit. 406
[695] L. Ghia, I contratti di finanziamento, cit., 58.
[696] M. Colangelo, op. loc. cit.; tendenzialmente su questa posizione anche, sebbene con sfumature originali, L. Ghia, I contratti di finanziamento, cit., 58.
[697] Non dovrebbe avere seria utilità tale operazione ove non vi sia un apprezzabile interesse a forme di finanziamento, come nei casi in cui l’operazione economica sia modesta (ad es., per i programmi standardizzati), oppure la caratteristica dell’immaterialità sia notevolmente attenuata (ad es., nel firmware)
[698] A. Cremonese, Il leasing in Francia, in Contr. e Impr. / Europa, Padova, 2004, I, 144 e ss.
[699] Requisito assente in quanto difetta la volontà da parte del produttore del software di trasferirne la proprietà alla società di leasing
[700] M. Colangelo, op. loc. cit.
[701] Il marchio è regolato dagli artt. 2569 – 2572 c.c. e dal c.d. Codice della Proprietà Industriale che ha sostituito la precedente legislazione in materia (legge speciale, R.D. 21 giugno 1942, n. 929, profondamente modificata dalla riforma intervenuta con il D. Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, in attuazione della Dir. CEE n. 89/104. Nel considerare le fonti regolatrici della materia, bisogna ricordare inoltre le modifiche introdotte con il d. lgs. 19 marzo 1996, n. 198, che ha adeguato la legislazione italiana all’accordo TRIPs).
[702] R. Clarizia, I contratti per il finanziamento, loc. cit.; nella stessa prospettiva M. Liace, La locazione finanziaria del marchio, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. Cedon, Torino, 2005, 681 e ss.
[703] In passato difatti tale situazione risultava inattuabile, in quanto il testo previdente dell’art. 22 della legge sui marchi prevedeva che fosse legittimato a chiedere la registrazione del marchio solo chi lo utilizzasse o si proponesse di utilizzarlo nella sua industria o nel suo commercio. Non solo. Si stabiliva che il marchio non potesse essere trasferito se non con l’azienda o con il ramo particolare di essa, rilevante ai fini della qualificazione del prodotto contraddistinto.
[704] Così dispone l’art. 15 legge marchi: “1. Il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato. 2. Il marchio può essere oggetto di licenza anche non esclusiva per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato, a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari. 3. Il titolare del marchio di impresa può fare valere il diritto all’uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario che violi le disposizioni del contratto di licenza relativamente alla durata, al modo di utilizzazione del marchio, alla natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è concessa, al territorio in cui il marchio può essere usato o alla qualità dei prodotti fabbricati e dei servizi prestati dal licenziatario. 4. In ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico”. E’utile ricordare l’art. 2573 c.c.: “ Il marchi l’inganno al pubblico derivi dalla modalità di utilizzazione del marchio ceduto”. La norma di cui discutiamo si limita ad affermare che l’inganno non deve derivare dal trasferimento, che e’ il caso che ci interessa.
[705] Per fare un esempio dell’insussistenza della fattispecie di un inganno al pubblico, possiamo considerare il caso di una operazione di sale and lease back, ovvero quello di una cessione del marchio ad una società di leasing accompagnata dalla contestuale locazione finanziaria allo stesso titolare originario: ivi la stipula dei due contratti collegati determina unicamente il mutamento del titolo in capo al lessee, ma non fa venir meno né modifica il suo diritto all’uso del marchio (salvo il caso di risoluzione o mancato esercizio del riscatto).
[706] R. Clarizia, I contratti per il finanziamento, loc. cit.
[707] G.F. Campobasso, Diritto Commerciale, I, cit., 172.
[708] G.F. Campobasso, Diritto Commerciale, I, cit.,171.
[709] M. Colangelo, op. loc. cit.; M. Liace, La locazione finanziaria del marchio, cit., 683.
[710] M. Liace, La locazione finanziaria del marchio, cit., 682
[711] M. Colangelo, op. loc. cit.; M. Liace, La locazione finanziaria del marchio, cit., 683.
[712] R. Clarizia, I contratti per il finanziamento, loc. cit.
[713]D’altra parte la dottrina è tuttora divisa sul tema, anche se sembra prevalere la tesi della applicabilità dello schema della locazione finanziaria a tutta una serie di beni fino a poco tempo fa non considerati, tra cui il software.
[714] P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli azionari, in Le società, Milano, XII, 1995, 1531 ss.; Id., Ancora sul leasing dei titoli azionari, in Le società, Milano, XI, 2000, 1312 ss.; M. Liace, La locazione finanziaria del marchio, cit., 673 e ss.; A. Caprara, Il leasing finanziario di azioni e la disciplina delle azioni proprie, in Le società, Milano, V, 2003, 687 ss.;
[715] A. Caprara, Il leasing finanziario di azioni, cit., 687.
[716] P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Ancora sul leasing dei titoli azionari, cit., 1312.
[717] G.F. Campobasso, Diritto Commerciale, II, cit.,191.
[718] È tra le ragioni per cui si è deciso di collocare topograficamente la trattazione del leasing azionario nell’ambito della locazione finanziaria di beni immateriali. Contra, P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli, 1532.
[719] G.F. Campobasso, Diritto Commerciale, II, cit.,191 e ss.
[720] G.F. Campobasso, op.ult. cit.,191 e ss.
[721] Nel caso i cui siano richiesti versamenti sulle azioni non ancora liberate è chiamato a provvedervi sempre il socio-debitore e, in caso di sua inattività, il creditore pignoratizio è legittimato a vendere le azioni.
[722] G.F. Campobasso, op.ult. cit.,192 e ss.
[723] Nell’ipotesi di richiesta di versamenti su azioni non integralmente liberate, vi provvede l’usufruttuario che ha però diritto al rimborso delle somme entro la conclusione dell’usufrutto.
[724] G.F. Campobasso, op.ult. cit.,194 e ss.
[725] P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli, 1533.
[726] P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli, cit., 1532.
[727] P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Ancora sul leasing dei titoli azionari, cit., 1313.
[728] È l’impostazione del problema suggerita da A. Frignani, Leasing, qualche passo in avanti e qualche battuta d’arresto nel 1983 e nel 1984, in Giur. It, 1985, IV, 245 e ss.
[729] A. Caprara, Il leasing finanziario di azioni, cit., 688.
[730] A. Caprara, op.ult.cit., 688.
[731] P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli, cit., 1532.
[732] Critica condivisa da A. Frignani, op.loc.ult.cit.; P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli, cit., 1532.
[733] La disciplina patrizia di materie rimesse alla disponibilità delle parti e alla luce della meritevolezza degli interessi perseguiti non dovrebbe incontrare ostacoli insormontabili. Di quest’opinione, P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Ancora sul leasing dei titoli azionari, cit., 1314.
[734] Il discorso potrebbe cambiare nel caso della partecipazione alle assemblee in seduta straordinaria per la delicatezza del possibile ordine del giorno (art. 2365 c.c. che riserva all’assemblea straordinaria la competenza a deliberare sulle modificazioni dello statuto, nomina sostituzione e revoca dei liquidatori…). Probabilmente le parti potrebbero riservare il diritto di partecipazione e di voto alla società concedente. Sul punto, P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli, cit., 1534. Le preoccupazioni, al riguardo, potrebbero essere motivate in base al fatto che delle radicali sterzate comporterebbero l’oscillazione del valore delle azioni che fanno capo in ultima analisi alla concedente.
[735] Il riferimento è chiaramente al fenomeno della dematerializzazione dei titoli citato in precedenza.
[736] P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli, cit., 1534.
[737] Si impone al socio che intende cedere la propria partecipazione azionaria di offrirla preventivamente agli altri azionisti e di preferirli a parità di condizione rispetto ai terzi. Sul punto, G.F. Campobasso, op.ult. cit., 200 e ss.
[738] Si subordina l’ammissione di un nuovo socio alla ricorrenza di peculiari qualità che lo rendano compatibile con la compagine originaria. Sul punto, anche per una panoramica sulla ammissibilità delle c.d. clausole di mero gradimento, per tutti, G.F. Campobasso, op.ult. cit., 200 e ss.
[739] P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Ancora sul leasing dei titoli azionari, cit., 1313.
[740] A. Caprara, Il leasing finanziario di azioni, cit., 687; G.F. Campobasso, op. cit., 201 e ss.
[741] Il requisito non pone particolari difficoltà di attuazione nel leasing. Sul punto, A. Caprara, Il leasing finanziario di azioni, cit., 689.
[742] L’assemblea autorizzando fissa le modalità, la durata, non superiore a diciotto mesi, per la quale l’autorizzazione vale, il corrispettivo minimo e massimo delle azioni.
[743] A. Caprara, Il leasing finanziario di azioni, cit., 689. L’A. sostiene che devono essere considerati ai fini del calcolo del costo dell’operazione il prezzo di riscatto, il valore complessivo dei canoni. Inoltre, per evitare lo sforamento di cui nel testo le riserve disponibili devono coprire l’intero costo e si devono conservare integre senza mai flettere raggiungere livelli inferiori dell’onere economico che la società sostiene, anche se (punto debole di quest’opinione) esso è diluito nel tempo.
[744] È il probabile punto debole di quest’opinione.
[745] P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Ancora sul leasing dei titoli azionari, cit., 1313.
[746] Questa è anche l’opinione di A. Caprara, Il leasing finanziario di azioni, cit., 688.
[747] A. Caprara, Il leasing finanziario di azioni, cit., 689.
[748] Per altri esempi estremi, P. Anello, S. Rizzino Bisinelli, Il leasing di titoli, cit., 1536.
[749] M. Bussani, P. Cendon, I contratti nuovi…, cit., 160; F. Vassallo Paleologo, I contratti…, cit., 79.
[750] F. Vassallo Paleologo, I contratti…, cit., 79.
[751] A. Porro, La disciplina del leasing operativo alla luce delle norme codicistiche sulla locazione ordinaria, in Riv.It.del Leasing, 1989, I, 83 e ss.; R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 346 e ss.; G. De Nova, Leasing, cit., 463. F. Astone, La classificazione…, cit., 369 e ss.
[752] Per una definizione, Trib. Milano, 15 maggio 1978, in G. De Nova, Il contratto di leasing, cit., 77.
[753] Non tutti gli autori condividono questa posizione. Per un opinione contraria v. A. Porro, La disciplina del leasing operativo, cit., 83 e ss.
[754] G. De Nova, Leasing, cit., 463. F. Astone, La classificazione…, cit., 369; Per la giurisprudenza, v. Cass. civ., 6390/1983.
[755] A. Porro, La disciplina del leasing operativo, cit., 85.
[756] Su questo punto la dottrina è pacifica: F. Astone, op.ult.loc.cit., 369; G. De Nova, op.ult.loc.cit., 463; A. Porro, op.ult.loc.cit., 84 e ss. Per la giurisprudenza v. Trib. Firenze, 19 luglio 1980, in Foro Pad., 1981, I, 349.
[757] Ciò significa che una clausola che spostasse l’ago della responsabilità per il perimento della cosa per causa non imputabile al conduttore a carico di quest’ultimo finirebbe per porsi in contrasto con la norma inderogabile dell’art. 1588 c.c. e sarebbe nulla ai sensi dell’art. 1418 c.c.
[758] L’opinione è condivisa da tutta la dottrina. Per tutti, R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 348 e s.
[759] Nel 1945 la Allied Storse Corporation vendette i suoi immobili ad una fondazione universitaria. Per maggiori dettagli, L. Fanan, Lease-back, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, cit., 780.
[760] L’operazione interessò la SIL sorretta da una cordata di banche internazionali e la STANDA.
[761] A. Cremonese, Il leasing in Francia, cit., 194. La cession-bail francese (termine evidentemente autoctono) è considerata nell’ordinamento francese una semplice variante del crédit-bail del quale, pertanto, condivide la disciplina. Tranne poche perplessità, i giuristi francesi ritengono che una riduzione del numero di soggetti coinvolti non possa e non debba comportare mutamenti disciplinari. Di la da dubbi e perplessità superate, il legislatore francese con l’ordonnance n. 67/837 del 28 settembre 1967, all’art. 6 definisce l’operazione, sottraendola ad ogni censura, specie laddove si ravvisi in essa una simulazione, consistente nel sostanziale annullamento negli effetti dei due negozi posti in essere tra le stesse parti contraenti.
[762] A. Frignani, Il leasing negli ordinamenti di civil e di common law…, cit., 24.
[763] A. Frignani, op.ult.cit, 26.
[764] Se vi è un’operazione contrattuale che può essere assunta ad esempio paradigmatico del fenomeno che costituisce l’oggetto della presente riflessione è il lease back. Un contratto che nasce dall’esperienza di altri sistemi e vive in essi senza incontrare difficoltà “esistenziali “ e che ,invece, non appena trapiantato nella nostra realtà ordinamentale e penetrato nella nostra prassi negoziale, ha ingenerato immediatamente gravi dubbi sulla sua validità. A. Luminoso ., Contratti tipici e atipici, cit., 2000, 489.
[765] La definizione citata, tra le più chiare, è di Campobasso G., Diritto commerciale, cit., 150. Altre brillanti definizioni si possono trovare, oltre che nella giurisprudenza (Trib. Milano, 13 giugno 1985, in Riv. It. Leasing, 1986, 172), nella dottrina consultata: L. Fanan, Lease-back, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, in Trattato diretto da F. Galgano, cit., 779 e ss.; M. Bussani, I contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing. in I singoli contratti, cit., 372 e ss.; R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 362 e ss.; M.R.La Torre, Manuale, cit., 553 e ss.; G. De Nova, Nuovi contratti, cit., 301 e ss.; Id., Il lease back, in Riv. It. Leasing, 1987, 521 e ss.; Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, cit., 645 e ss.; L. Ghia, I contratti di finanziamento, cit., 62 e ss.
[766] M. Bussani, I contratti, cit., 372 e ss.
[767] L. Fanan, Lease-back, cit., 780 e ss.
[768] L’Amministrazione finanziaria ha contestato agli operatori che il corrispettivo pagato dal concedente all’utilizzatore per l’acquisto del bene dovesse qualificarsi come mutuo la cui restituzione sarebbe avvenuta nel tempo col pagamento dei canoni e che il trasferimento del diritto di proprietà avvenisse solo fiduciariamente a scopo di garanzia. Sul punto, R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 362 e ss.
[769] Per tutte, Cass. Civ., 10 marzo 1979, n. 1493, in Giur. It. Mass., 1979, 404.
[770] Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, in I nuovi contratti, cit., 654 e ss.
[771] Cass. Civ., 3 giugno 1983, n. 3800, in Giust. Civ., 1983, I, 2953 con nota di Azzariti.
[772] Cass. SS.UU., 3 aprile 1989, n. 1611, in Foro.It, 1989, I, 1428 e ss.
[773] G.B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, loc.cit.
[774] Trib. Roma, 19 giugno 1986, in Riv. It. Leasing, 1986, 786. I profili di confliggenza con l’ordinamento sarebbero sostanzialmente tre: 1) contrasto con il principio di tipicità delle garanzie reali; 2) violazione del divieto di patto commissorio; 3) grave squilibrio contrattuale.
[775] Trib. Milano, 13 giugno 1985, in Riv. It. Leasing, 1986, 172.
[776] L’espressione è di L. Fanan, Lease-back, cit., 797.
[777] M. Bussani, I contratti, cit., 372 e ss; R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 366 e ss.; M.R.La Torre, Manuale, cit., 558 e ss.;L. Fanan, Lease-back, cit., 780 e ss.; Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, in I nuovi contratti, cit., 645 e ss.; G. De Nova, Nuovi contratti, cit., 301; Id., Il lease back, in Riv. It. Leasing, 1987, 521.
[778] M. Bussani, I contratti, cit., 372 e ss; L. Fanan, Lease-back, cit., 780 e ss.
[779] G. De Nova, Nuovi contratti, cit., 301; Id., Il lease back, in Riv. It. Leasing, 1987, 521.
[780] M. Bussani, I contratti, cit., 372 e ss; Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, in I nuovi contratti, cit., 664 e ss.; A. Frignani, Leasing, cit., 251. Non deve sfuggire anche un fattore pratico di estrema importanza quale dello dei soggetti coinvolti nell’operazione. L’impresa di leasing tende a sottrarsi da controparti insolventi o in difficili situazioni perché, in caso d’inadempimento, difficilmente riuscirebbe a ricollocare il bene sul mercato.
[781] Cass. Civ., sez. III, 16 ottobre 1995, n. 10805, in Giur.It., I, 1, 1996, 1382 e ss.
[782] Cass. Civ., 15 aprile 1998, n. 4095, in Foro. It., 1997, I, 3586.
[783] M. Bussani, I contratti, cit., 388.
[784] Trib. Monza, 24 maggio 1988, in Foro It.,1989, I, 1271
[785] Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, in I nuovi contratti, cit., 666.
[786] R. Clarizia, Contratti di leasing, cit., 367.
[787] Sul punto, v. supra capitolo III
[788] M.R.La Torre, Manuale, cit., 561 e ss;G. De Nova, Il contratto di leasing, cit., 79; M. Bussani, I contratti, cit., 372, nota n.331; Tencati, M. Liace, La locazione finanziaria, in I nuovi contratti, cit., 669.
[789] M.R.La Torre, Manuale, cit., 562.
[790] Si è preferito escludere dalla dissertazione lo staff leasing, vista la natura strettamente giuslavoristica della tematica. Basti ricordare che esso, espressione evidente della forza dirompente del modello statunitense, ha imposto al legislatore italiano una deroga del divieto di appalto di manodopera, ritenuto un tempo fondamentale ed invalicabile. Per una sintetica descrizione dell’istituto italiano, che ne evidenzia anche analogie e differenze rispetto a quello americano, v. C. Ageno, Forme atipiche di lavoro nelle società commerciali e nelle cooperative, in Trattato di diritto italiano diretto da Paolo Cendon, Milano, 2004, 11 ss.
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