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Di Maura Castiglioni, Avvocato
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, sono intervenute sulla prescrizione del diritto alla ripetizione da parte del correntista delle somme indebitamente versate dalla banca a titolo di interessi capitalizzati e non determinati, di commissioni di massimo scoperto e spese non previste in contratto.
In particolare, la sentenza richiamata ha distinto tra pagamenti solutori – ossia avvenuti in ipotesi di per scoperto di conto corrente non oggetto di affidamento, o in presenza di superamento dell’affidamento concesso – per cui la prescrizione inizia a decorrere da ogni singolo pagamento, e pagamenti ripristinatori – ossia tesi a reintegrare la provvista nei conti correnti oggetto di affidamento – per cui la prescrizione inizia a decorrere soltanto dalla chiusura definitiva del rapporto.
Al fine della prescrizione occorre pertanto distinguere se le rimesse eseguite dal correntista abbiano natura solutoria o ripristinatoria, iniziando difatti a decorrere in momenti differenti la prescrizione decennale.
Nel corso di un giudizio teso ad accertare il diritto in capo al correntista alla ripetizione di somme indebitamente versate, l’accertamento teso a verificare se le rimesse eseguite abbiano natura solutoria o ripristinatoria dovrà essere effettuato sul saldo del rapporto di conto epurato prima da tutte le competenze nulle, e precisamente delle competenze relative alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, all’addebito illegittimo di commissioni di massimo scoperto, spese e giorni di valuta non pattuiti.
Questo è evidente per i seguenti motivi.
In un giudizio per la ripetizione di importi indebitamente corrisposti alla banca la domanda è in primo luogo relativa alla nullità delle clausole contrattuali che hanno stabilito il versamento di importi sostenuti quali non dovuti, e in particolare, spesso, la nullità della capitalizzazione degli interessi, della indeterminatezza dei medesimi, delle commissioni di massimo scoperto e di ogni altra voce ritenuta nullo.
In conseguenza di tale domanda di nullità si chiede per l’appunto la ripetizione da parte della banca degli importi corrisposti in forza di tali voci contrattuali sostenute nulle.
Ma l’azione di nullità è imprescrittibile ex art. 1422 c.c.
È difatti soggetta a prescrizione ordinaria decennale la sola azione di ripetizione degli importi corrisposti.
Dalla circostanza che la prescrizione decennale è applicabile alla sola domanda di ripetizione da parte del cliente, ne consegue sempre il diritto di quest’ultimo di ottenere comunque la dichiarazione di nullità di voci applicate in rapporto contra legem.
Il cliente non ha cioè diritto alla ripetizione delle somme versate, decorsi dieci anni e se vi sia stata eccezione di prescrizione della debitrice (la banca), ma ha sempre diritto (imprescrittibile) alla dichiarazione di nullità delle voci nulle.
Nella considerazione che l’azione di nullità è imprescrittibile risulta evidente che prima di verificare quale sia il saldo disponibile per il cliente (necessario per valutare se una rimessa sia solutoria – in quanto effettuata oltre il limite dell’affidamento – oppure se sia ripristinatoria – in quanto eseguita entro i limiti dell’affidamento) dovrà epurarsi il saldo da tutte le voci nulle.
Altrimenti potrebbero essere considerate solutorie rimesse che invece avevano evidente natura ripristinatoria.
Un esempio può meglio chiarire la questione.
Si ipotizzi l’esistenza di un fido accordato pari a 100 e l’utilizzo del fido pari a 110. Si ipotizzi anche che il cliente provveda ad una qualsiasi rimessa (ipotizziamo anche di 1). Tale rimessa, prima facie, apparirebbe quale solutoria, in quanto eseguita oltre il limite del fido concesso. Tuttavia qualora nel fido utilizzato si accertino voci nulle (quali capitalizzazione, commissioni di massimo scoperto e spese), che ipotizziamo, nell’esempio, pari a 50, il reale limite del fido utilizzato diventa 60 (110 meno 50). Dunque la rimessa eseguita dal correntista pari a 1 non avrebbe più natura solutoria, come invece poteva apparire prima di epurare il saldo dalle competenze nulle, ma avrebbe evidentemente natura ripristinatoria, e la domanda di ripetizione del relativo addebito non sarebbe più prescritta.
Dalla imprescrittibilità della domanda di nullità consegue quindi che il limite da considerare quale utilizzo del fido dovrà essere variato in favore del cliente, nella nullità delle poste contabili.
Occorre aggiungere che è sempre onere della parte processuale che eccepisce la avvenuta prescrizione dimostrare che vi siano state ad opera del cliente correntista rimesse di natura solutoria.
La giurisprudenza ha difatti così ripetutamente stabilito:
“Era onere della banca, che ha eccepito la prescrizione decorrente dall’annotazione in conto, allegare e provare che i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza dei rapporti di conto corrente avessero natura solutoria, in quanto compiuti al di fuori dell’apertura di credito. E’ infatti onere della parte che eccepisce l’estinzione per prescrizione del diritto fatto valere in giudizio allegare e provare i fatti su cui l’eccezione si fonda (ex art. 2697 c.c.) e parte convenuta (la banca) si è limitata, anche successivamente alla citata pronuncia delle sezioni unite, a richiedere l’integrazione della consulenza tecnica d’ufficio, sostenendo, con una inammissibile inversione dell’onere della prova, che gravi sull’attrice l’onere di provare che si tratti di pagamenti ripristinatori della provvista” (Tribunale di Milano, ordinanza del 7 novembre 2012, G.U. Dott.ssa Antonella Cozzi; conf.: Corte d’Appello di Milano, C.R. Dott.ssa C.R. Raineri, sentenza del 20 febbraio 2013; Tribunale di Novara, sentenza del 1° ottobre 2012).
In difetto di tale prova da parte della banca, non sarebbe – nell’interpretazione giurisprudenziale richiamata – possibile verificare la natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse in conto, in quanto la parte che ne aveva interesse non ne avrebbe provato i fatti costitutivi.
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