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Di Fabio Giovagnoli
9 maggio 2005
La pronuncia in oggetto prende in considerazione le diversità esistenti tra due figure contrattuali, quali la cessione del credito e il mandato irrevocabile all’incasso, conferito anche nell’interesse del mandatario (c.d. mandato in rem propriam) ed in secondo luogo conferma lo stabile orientamento del giudice di legittimità, in tema di interpretazione del contratto, precisando che l’individuazione della volontà dei contraenti, consiste in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito ed il cui risultato è sindacabile in sede di legittimità, solo per i vizi di motivazione e in rapporto ai criteri legali di interpretazione contrattuale[1].
La controversia giudiziaria trae origine dal conferimento di un mandato irrevocabile all’incasso, con il quale una società creditrice aveva attribuito ad una banca, l’incarico di riscuotere i crediti riferiti ad un determinato lotto di fatture, nei confronti di un proprio debitore.
Tali crediti, come emerge dal testo di una lettera spedita al debitore ceduto, dalla banca incaricata alla riscossione e prodotta in giudizio, sarebbero stati poi trattenuti dall’istituto mandatario, a fronte di proprie ragioni creditorie nei confronti del mandante.
Tuttavia la società creditrice, dopo aver conferito alla banca il mandato ad esigere ed incassare le proprie spettanze nei confronti del Consorzio, provvedeva successivamente a mettere in atto una cessione dei medesimi crediti, a favore di altra e diversa società cessionaria specializzata.
Il debitore ceduto da parte sua, disponeva il pagamento delle predette fatture a favore della banca mandataria, pur avendo ricevuto notizia, in data antecedente al pagamento, della cessione a favore di altra società specializzata.
Il tema affrontato nella pronuncia in epigrafe coinvolge la valutazione comparativa delle figure contrattuali della cessione del credito (art. 1260 e seguenti del c.c.) e del mandato all’incasso e dispiega la propria importanza pratica in relazione al trasferimento della titolarità del credito[2].
Nel respingere il ricorso del debitore ceduto, il Supremo Collegio ha aderito alla ricostruzione dei rapporti tra le parti operata dalla Corte d’Appello, riaffermando che la “differente struttura e funzione giuridica ed economica, del mandato irrevocabile all’incasso e della cessione del credito, fa sì inevitabilmente, che il creditore cedente sia rimasto, dopo il conferimento del mandato, l’unico titolare del credito vantato nei confronti del Consorzio, con la piena facoltà di trasferirlo validamente ad altro soggetto”[3].
Questa sua facoltà sarebbe stata impedita solamente, osserva il giudice di legittimità, se prima della cessione, la banca avesse incassato dal debitore ceduto i crediti riferiti alle forniture, relative alle tre fatture in contestazione[4].
In particolare, la Corte ha valorizzato l’osservazione in base alla quale: “dai documenti prodotti, che contrassegnano l’operazione, non si evince alcuna volontà di provocare un effetto traslativo, oltre che solutorio, e cioè di trasferire al mandatario la titolarità del credito, ponendo in essere, sia pure in via indiretta, una sostanziale cessione del credito”.
In definitiva quindi, nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna a sostenere che il mandato all’incasso in rem propriam e la cessione del credito, se anche entrambi utilizzabili per conseguire le stesse finalità, a scopo d’adempimento o di garanzia, “restano sostanzialmente differenti e sono incompatibili”[5].
Inoltre, in merito ad ulteriori aspetti più strettamente procedurali, la Corte ha riconfermato che il sindacato di legittimità può essere utilmente sollecitato sui criteri astratti, generali e tecnici, applicati dal giudice del merito ai fini della qualificazione giuridica del contratto[6].
Infatti, secondo il Supremo Collegio, la ricerca e l’individuazione della comune volontà dei contraenti, è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice del merito, il cui risultato è sindacabile in sede di legittimità, solo per vizi di motivazione ed in relazione ai canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e seguenti del codice civile.
La pronuncia in commento rafforza l’orientamento in base al quale, l’attribuzione di un effetto traslativo del credito risulta estranea allo schema legislativamente previsto per il mandato[7].
La struttura causale propria dell’istituto giuridico, delineato agli artt. 1703 e seguenti del nostro codice civile, sarebbe essenzialmente diretta al compimento di un’attività gestoria nell’interesse del mandante e argomentando diversamente, verrebbe illegittimamente frainteso lo stesso elemento fondamentale del mandato, rappresentato dall’agire per conto altrui.
Secondo l’orientamento sostenuto dal Supremo Collegio, le due figure contrattuali del mandato all’incasso e della cessione del credito sono distinte ed incompatibili e non possono essere entrambe volute dalle parti, a pena del superamento dei limiti tipologici del mandato[8].
Fino a quando un credito rimane nel patrimonio del debitore, allora può ritenersi accettabile che questi conferisca ad altri l’incarico di riscuoterlo, poiché l’altruità del diritto è il presupposto perché si possa individuare una gestione di affari altrui.
Ma quando il credito fuoriesce dal patrimonio del debitore originario, allora questi perde la possibilità di conferire il mandato all’incasso in relazione ad un diritto che non gli appartiene più, ad un preteso mandatario-cessionario, che si troverebbe ad agire esclusivamente nel proprio interesse[9].
Tanto chiarito, la Corte ha ribadito che il solo rilievo attribuito dalla legge al mandato in rem propriam è quello della inestinguibilità per revoca, per morte o incapacità del mandante: caratteristica che può agevolmente ritrovarsi anche nell’ipotesi in parola, ma che non può in alcun modo elidere la considerazione che: “..il mandato non è idoneo a produrre l’effetto traslativo del credito, atteggiandosi come semplice negozio mezzo, per l’attuazione di uno scopo ulteriore, senza perderne le caratteristiche che ne qualificano la tipicità giuridica”[10].
La figura contrattuale in esame, secondo la Cassazione, persegue la finalità dell’estinzione dei debiti verso il mandatario, non attraverso il trasferimento della titolarità dei medesimi diritti, realizzata con la loro cessione, ma solamente in maniera indiretta, attraverso il meccanismo di compensazione col debito del mandatario avente ad oggetto il versamento delle somme incassate[11].
In conseguenza di quanto sopra affermato, il mero conferimento del mandato all’incasso, privo di una procura o di delegazione, risulta sostanzialmente privo delle caratteristiche sufficienti affinchè il mandatario possa assolvere l’incarico affidatogli[12].
In proposito la Corte ha sostenuto che: “…quanto al rapporto tra mandante creditore e terzo debitore, è necessario che il mandatario venga investito nei confronti del secondo, di una posizione giuridica, che lo legittimi a pretendere l’adempimento in nome e per conto del primo, risultato che normalmente si ottiene attraverso una procura irrevocabile alla riscossione, per cui il pagamento eseguito dal debitore al mandatario, deve intendersi fatto nelle mani del medesimo creditore (art. 1188 c.c.)”[13].
Anche in tale frangente tuttavia, la titolarità del credito continua ad appartenere al mandante e in generale dove si possa escludere la cessione di credito e in presenza del solo conferimento di rappresentanza al mandatario, se è vero che il debitore paga bene, con efficacia liberatoria, al rappresentante del creditore è pure altrettanto vero che paga altrettanto bene, se effettua il pagamento direttamente al creditore rappresentato (anche in pendenza del mandato)[14].
In effetti l’interesse proprio che il mandatario vanta nel mandato in rem propriam è da porre in diretta attinenza, con quell’ambito di rapporti interni che lo collegano al mandante e rispetto ai quali, il debitore del mandante, come ogni altro terzo, rimane del tutto estraneo (a meno che egli non abbia assunto una specifica obbligazione nei confronti del mandatario).
E dunque soltanto nell’ambito di tali rapporti, il mandante rappresentato che abbia ricevuto il pagamento ed il mandatario in rem propriam che sia stato scavalcato, potranno risolvere ogni eventuale controversia, ferma restando l’efficacia estintiva del versamento fatto dal debitore direttamente al mandante.
Alcuni autori giuridici hanno tentato di contestare, con varie argomentazioni, quelle tesi dottrinali e giurisprudenziali che, come nel caso in esame, sostenevano l’impossibilità del mandato in rem propriam di compenetrarsi con la cessione del credito, determinando effetti traslativi della titolarità del credito, oppure producendo un vincolo di destinazione con effetti reali sui crediti oggetto del mandato.
Per quanto attiene al primo punto, autorevole autore ha proposto di distinguere tra il trasferimento della titolarità del credito e la rinuncia al ritrasferimento del risultato utile del mandato[15].
Secondo questa ricostruzione si configurerebbe una sequenza contrattuale, i cui elementi fondamentali sono rappresentati da un mandato irrevocabile a ricevere e da una convenzione riguardante le modalità d’adempimento dell’obbligo da parte del mandante, per la restituzione delle somme ricevute in base ad un connesso negozio di credito. La suddetta convenzione si risolverebbe nella rinuncia da parte del mandante, al ritrasferimento del risultato utile del mandato.
A tale proposito, si è espressa la convinzione che: “l’attribuzione della facoltà di soddisfazione del credito nei confronti del debitore mandante, correlata a un mandato irrevocabile a ricevere e destinata quindi a realizzare l’effetto estintivo dell’obbligazione del mandante senza ulteriore attività di questo, rappresenta, con riferimento al mandato, null’altro che la rinuncia, da parte del mandante, al ritrasferimento del risultato utile del mandato”.
Una diversa opinione è stata sostenuta da quegli autori che ritengono che il mandato a riscuotere, conferito al mandatario, configuri al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti, un contratto avente causa solutoria ed efficacia traslativa[16].
Per tale orientamento, l’aspetto relativo alla cessione del credito in luogo del pagamento deve essere valutato con riferimento alla effettiva volontà delle parti.
Se l’accordo raggiunto tra i contraenti prevede che il mandatario, dopo aver riscosso il credito, possa eccepire la compensazione allora non vi è necessariamente una prestazione in luogo dell’adempimento, che viceversa deve considerarsi esistente solo se si accerta con sicurezza che le parti hanno voluto una cessione del credito a scopo solutorio.
L’autore tende a distinguere tra mandato cd. “debole” e mandato “forte” ovverosia, si riferisce nel primo caso, ad un mandato che non contempla effetti traslativi della titolarità del credito e ad un mandato avente effetti opposti nel secondo caso.
In quest’ultima ipotesi convergerebbero in tale ampia convenzione, intercorsa tra mandante e mandatario, sia le regole del mandato sia quelle della cessione del credito[17].
Un più recente sforzo ricostruttivo della fattispecie ha negato che l’effetto traslativo del credito non sia compatibile con la struttura e la funzione del mandato, per il solo motivo in base al quale, il mandante che cede il credito, opera anche una dismissione dell’interesse di cui quindi non potrebbe più pretendere la gestione da parte del mandatario[18].
Tale affermazione, seppure apparentemente ineccepibile, per l’Autore non tiene conto della possibile coesistenza tra la funzione gestoria e la funzione traslativa che può risultare dal contenuto di un mandato in rem propriam. Infatti con la cessione di credito realizzata con il mandato, il mandante pur spogliandosi del credito a favore del mandario, rimane questi legato da un rapporto di cooperazione gestoria, che obbliga il mandatario ad esigere il credito nei tempi e nei modi stabiliti da tale contratto.
In buona sostanza, l’Autore ha sostenuto che: “la permeabilità della struttura contrattuale all’interesse del mandatario, che si verifica nel mandato in rem propriam, può in concreto comportare una vicenda traslativa del credito, senza che ciò possa necessariamente tradursi in chiave di atipicità, in quanto il mandato in rem propriam si caratterizza proprio per essere un contratto in cui la regolamentazione degli interessi del mandante e del mandatario non può essere stabilita a priori, ma deve essere ricercata di volta in volta nella lex contractus”.[19]
Sotto un diverso punto di vista, una ulteriore tesi, fondata sulla capacità riconosciuta al mandato di determinare un vincolo di destinazione sul credito avente effetti reali, non rilevante nei rapporti interni tra creditore e debitore, ma opponibile ai terzi non appena sia stato notificato o accettato, è stata proposta da ulteriore dottrina[20].
L’Autore parte dalla premessa che la convenzione complessa che trova riscontro nella pratica ospita in particolare una clausola in funzione della quale figura l’espressa rinuncia del mandante alla riscossione diretta del credito e l’attribuzione alla banca di una legittimazione esclusiva all’incasso.
Da qui l’ulteriore considerazione che l’attribuzione al mandatario del potere esclusivo ed irrevocabile di riscuotere somme dal terzo, nonostante il nomen iuris, possa far pensare ad un effetto reale derivante da un vincolo di destinazione.
D’altra parte, l’autore osserva che un vincolo di destinazione può essere attuato su base pattizia, ai sensi dell’art. 1379 del c.c. e che per la cessione del credito, l’art. 1260 del c.c., introduce un carattere di realità alla pattuizione (con esclusione del cessionario in buona fede).
Se, quindi, la notifica consente di far conoscere agli eventuali acquirenti il vincolo di destinazione cui è sottoposta la pretesa, non si vede per quale motivo si dovrebbe precludere alle parti di realizzare un assetto d’interessi che altrove lo stesso legislatore ha consentito.
Conclusioni.
La Corte di Cassazione ha aderito alla ricostruzione dei rapporti operata dal precedente giudice di merito e nel caso in questione ha sottolineato il suo attuale orientamento, secondo cui il mandato e la cessione dei crediti sono due ipotesi distinte ed incompatibili.
Se infatti il titolare non dispone del proprio diritto di credito, allora potrà incaricare un mandatario di esercitarlo ed esso rimarrà nel patrimonio originario ; ma se invece egli sceglie di disporre del diritto, allora non vi sarà più possibilità che esso costituisca oggetto di un mandato all’incasso poiché, il perfezionarsi del consenso alla cessione del credito, tra cedente e cessionario, determina la fuoriuscita del diritto dal patrimonio del disponente.
L’effetto tipico del mandato rimane dunque quello di far assumere al mandatario l’obbligo di compiere atti giuridici per conto del mandante e l’ulteriore vicenda in base alla quale, lo stesso trattiene quanto riscosso, trova il suo titolo in un meccanismo compensativo, sottostante e collegato al mandato, che quindi non assume mai una portata traslativa del credito che ne costituisce l’oggetto.
La riscossione avviene nell’interesse del mandatario, ma in nome e per conto e nella sfera giuridica del mandante, che all’atto della riscossione risulta essere l’unico titolare del credito.
Di qui l’ulteriore considerazione, particolarmente rilevante nel caso di specie, che l’attribuzione al mandatario di un potere esclusivo ed irrevocabile di riscuotere somme dal terzo debitore, non determina un effetto reale, derivante da un vincolo di destinazione sul credito oggetto del mandato.
In altri termini, le disposizioni in tema di mandato seppure in rem propriam, non prevedono l’ipotesi che a fronte dell’interesse del mandatario, il mandante non possa cedere il credito a terzi.
In tal caso, il debitore ceduto che abbia accettato l’operata cessione o a cui sia stata notificata, sarà tenuto ad effettuare il pagamento al cessionario del credito, divenuto titolare di un diritto già uscito dal patrimonio del cedente, sin dal momento della cessione.
Il contratto come sopra concluso, per quanto adatto a far conseguire al mandatario la somma oggetto del credito da riscuotere, non determina dunque, l’acquisto immediato della somma stessa da parte del mandatario, che resta titolare di una aspettativa ad un acquisto che si verificherà automaticamente solo a riscossione avvenuta.
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[1] Cassazione Civile, Sez. III, 26 marzo 2003, n. 19054. Pres. Duva V. – Rel Perconte Licatese R. – P.M. Golia A. – Consorzio Trasporti Pubblici Lazio (Avv. Venchi) c. Locat S.p.a. (Avv.ti Lener – Castellani)
“La cessione di credito e il mandato irrevocabile all’incasso, conferito anche nell’interesse del mandatario (art. 1723, 2° comma del c.c.) hanno natura essenzialmente diversa.
L’una e l’altro invero, sebbene utilizzabili per finalità solutorie o di garanzia improria, restano figure ontologicamente distinte, dato che la prima produce l’immediato trasferimento della posizione attiva del rapporto obbligatorio ad un altro soggetto, che diviene l’unico legittimato a pretendere la prestazione dal debitore ceduto, mentre con il mandato del tipo indicato viene conferita al mandatario, solo la legittimazione alla riscossione del credito, di cui resta titolare il mandante.
L’interpretazione del contratto, concretandosi nell’accertamento della volontà dei contraenti e in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, può essere censurata in Cassazione solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, con la conseguenza che dev’essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito, che si traduca solo nella prospettazione di una diversa valutazione degli elementi di fatto dal medesimo vagliati”.
[2] L’opinione prevalente in dottina e giurisprudenza tende ad affermare la sostanziale differenza esistente tra il mandato all’incasso e la cessione di credito. In proposito, si vedano, tra le altre più recenti pronuncie: Cass., 30 gennaio 2003, n. 1391, in Fall., 2003, 796; Cass. 20 settembre 2002 n. 13779, I contratti, 2003, 288; Cass. 3 dicembre 2002, n. 17162, I contratti, 2003, 593 ; Cass., 5 aprile 2001, n. 5061, in Rep. Foro it., 2001, voce Fall., n. 463 ; tra le sentenze di merito: Trib. Foggia, 2 aprile 1998, in Fallimento, 1998, 857 ; App. L’Aquila, 7 maggio 1996, in Dir. fall., 1997, II, 336 ; Trib. Pordenone, 31 gennaio 1996, in Fallimento, 1996, 702; App. Milano, 6 aprile 1993, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, 691. E’ tuttavia necessiario ricordare che un consitente orientamento giudiziale ritiene il mandato irrevocabile all’incasso idoneo ad integrare una cessione di credito. In questo senso si veda: Cass., 20 dicembre 2002, n. 18148, in Fallimento, 2003, 5, 580; Cass., 5 ottobre 2000, n. 13278, in Rep. Foro it., 2000, voce Fallimento, n. 437; Cass., 13 aprile 2000, n. 4754, in Fallimento, 2001, 306; Cass., 4 novembre 1992, n. 11966, in Riv. dir. comm., 1995, II, 41; Cass., 19 novembre 1987, n. 8505, in Fallimento, 1988, 203.
[3] Sul tema si esprime chiaramente anche: Cass., Sez. II, 25 marzo 1993, n. 3602, Fondazione De Beaumont Bonelli c. Fornari, in Contratti, 1993, 445. “Nel caso di conferimento del mandato, anche nell’interesse del mandatario, il mandante conserva la disponibilità del rapporto sostanziale affidato solo in gestione al mandatario, il quale non acquista la titolarità della situazione sostanziale e svolge quindi, pur sempre, la propria attività per conto altrui” ;
App. l’Aquila, 7 maggio 1996, BNL Com. Pratola Peligna, in Dir. Fall., 1997, II, 317. “Il mandato in rem propriam all’incasso, non configurando cessione del credito, non attribuisce al mandatario la titolarità del credito, bensì la mera legittimazione a riscuoterlo: pertanto il debitore benchè a conoscenza del mandato, può pagare con effetto liberatorio sia al mandatario che al mandante”.
[4] Che la posizione giuridica del cessionario del credito e del mandatario all’incasso siano poi sostanzialmente differenti lo conferma pure: Cass. 16 maggio 1962 n. 1096 in Giust. Civ. 1962, I, 1667. Infatti nella sentenza si afferma che: “sul piano strettamente giuridico, mentre il procuratore, nello stesso tempo creditore del mandante, non assume alcun rischio circa l’esistenza del credito e la solvenza del debitore, con la cessione di credito invece, che può essere anche pro soluto, il cessionario può subire le conseguenze di tale insolvenza.
[5] L’orientamento in questione è ribadito in: Cass., sez. I, 30 gennaio 2003, n. 1391. “Il mandato irrevocabile all’incasso, a differenza della cessione di credito, non trasferisce la titolarità del credito, che resta in capo al mandante, ma solo la legittimazione a riscuoterlo e la garanzia si realizza in forma empirica e di fatto, come conseguenza della disponibilità del credito verso il terzo e della prevista possibilità che, al momento dell’incasso, il mandatario trattenga le somme riscosse, soddisfacendo così il suo credito. Ne consegue che, non integrando il mandato stesso una cessione di credito con funzione di garanzia, gli atti solutori sono autonomamente revocabili, ai sensi dell’art. 67 l. fall., indipendentemente dalla revocabilità del mandato. La situazione non muta nel caso in cui il mandatario non sia il creditore che viene poi soddisfatto attraverso l’esecuzione del mandato, in quanto in questa ipotesi il mandato è irrevocabile nell’interesse del terzo creditore e la sua esecuzione integra gli estremi di un pagamento che viene effettuato dal mandatario (terzo) con provvista del mandante debitore e realizza pur sempre una indiscutibile funzione solutoria”.
[6] Sul punto si veda : Cass., Sez III, 20 novembre 2002, n. 16342, De Cles c. Soc. Dicomi, in Mass. Foro it., 2002. “Nel procedimento di qualificazione del contratto, il giudice di merito non è vincolato dal nomen iuris che ad esso hanno attribuito le parti, pur dovendo tener conto anche di questo dato, ma deve ricercare ed interpretare la concreta volontà dei contraenti stessi, avuto riguardo all’effettivo contenuto del rapporto e facendo applicazione delle regole ermeneutiche dettate dagli artt. 1362 e ss. del c.c.”.
[7] Ginevra, Il c.d. “mandato irrevocabile all’incasso” della prassi bancaria, in Banca borsa e titoli di credito, 2000, pag. 199. “L’affermazione dell’astratta idoneità del mandato (all’incasso) a determinare una cessione del credito si basa essenzialmente sull’esaltazione dell’autonomia negoziale nella costruzione del contenuto dei tipi contrattuali adottati…Detta impostazione si scontra tuttavia con un’obiezione che appare decisiva e cioè quella del superamento nell’ipotesi concreta dei limiti tipologici del mandato: mentre infatti il tipo legale in discorso ha come momento essenziale un agire per conto altrui è chiaro invece che, là dove si ipotizza una cessione del credito, il soggetto cessionario compie, con l’esercizio del diritto di credito acquisito, un atto individuato da computarsi in conto, non già del cedente, bensì proprio”. In senso sostanzialmente conforme si sono anche espressi: D’Alessandro, I mandati in rem propriam all’incasso, in Dir. fall., 1989, I, 208 ; Oppo, Mandato irrevocabile e vincoli di gestione nell’amministrazione controllata, in Scritti giuridici, I, Diritto dell’impresa, 1992, 446.
[8] A fini di completezza si può ricordare che la giurisprudenza di Cassazione meno recente e ormai minoritaria, in passato affermava sovente il principio secondo cui, il mandato irrevocabile conferito alla banca ad esigere un credito, allo scopo di conseguire una parziale estinzione del debito, si risolve, nonostante il riferimento che le parti abbiano fatto al contratto di mandato, in una vera e propria cessione (Cass., 30 giugno 1961, n. 1576, in Riv. dir. comm., 1961, 439).
[9] Il fatto che il mandatario possa agire anche nel proprio interesse è perfettamente compatibile con il fenomeno gestorio, come ha rilevato la stessa Corte di Cassazione (Cass., 13 marzo 1964, n. 550, in Foro it., 1965, I, 866), nella cui motivazione si legge: “non è di ostacolo alla negotiorum gestio, il fatto che il gestore abbia agito per un interesse proprio, quando l’affare sia stato obiettivamente, almeno in prevalenza altrui”; Non è ammesso invece, che l’interesse possa essere esclusivo del mandatario o di un terzo, dovendo essere anche del mandante; “occorre cioè il concorso di un interesse del mandatario, giuridicamente rilevante, perché correlato ad una autonoma obbligazione del mandante (Cass., 25 marzo 1976, n. 1070, in Giust. Civ., 1976, I, 1300).
[10] La qualifica di “negozio-mezzo” è allo scopo riconosciuta al mandato anche nella sentenza: Cass., 1 febbraio 1983, n. 857, in Giur. it., 1984, I, 1, 352. “Il mandato conferito anche nell’interesse del mandatario, costituisce il negozio-mezzo per l’attuazione di uno scopo ulteriore, rispetto a quello tipico del mandato, connesso alla realizzazione di un altro rapporto o di un altro negozio intercorso tra le parti e sottostante al mandato” ; “L’interesse all’esecuzione del mandato presuppone il soddisfacimento di un altro interesse che fa corpo con il conseguimento del corrispettivo e che consiste nella possibilità per il mandatario di veder realizzato un negozio fiduciario, ovvero uno sinallagmatico, intercorso tra le parti e sottostante al mandato”.
[11] Il meccanismo compensativo collegato alla fattispecie in oggetto è pure ricordato in: Cass. Sez. I, 13 aprile 2000, n. 4754, in Fall. 2001, p. 307. “L’attribuzione di un mandato in rem propriam all’incasso di crediti, nei confronti di un terzo, con il conferimento della facoltà di utilizzare le somme incassate, per l’estinzione totale o parziale, di un debito verso il mandatario, benchè non ancora sorto, anche attraverso la compensazione delle rispettive ragioni creditorie, producendo effetti sostanzialmente analoghi alla cessione di crediti, ha oltre ad uno scopo di garanzia, soprattutto funzione solutoria, risolvendosi nella precostituzione di un sicuro mezzo di pagamento per il mandatario, in ordine ai finanziamenti da effettuare a favore del mandante. Ne consegue, che trattandosi di un mezzo satisfattorio diverso dal denaro ed estraneo alle comuni relazioni commerciali, risulta suscettibile, di revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67, primo comma, n. 2, legge fallimentare, se pattuito nel biennio (sospetto), a nulla rilevando che tale che tale pattuizione sia coeva al sorgere del rapporto”.
[12] D’Alessandro, I mandati in rem propriam all’incasso, in Dir. fall., 1989, I, 208. “In altri termini, occorre riconoscere che il mandatario all’incasso è nell’impossibilità di assolvere il suo incarico, perché il mandato in sé e per sé è inidoneo a conferirgli, per esprimersi in termini cartolari, sia la legittimazione attiva nei confronti del debitore, sia anche soltanto la legittimazione passiva”.
[13] Una disamina comparativa degli effetti giuridici delle rispettive due strutture contrattuali è svolta in: Cass., Sez. III, 10 dicembre 2000, n. 14637, Mass. Foro it. 2000, 1519. “Procura e contratto di mandato senza rappresentanza, producono effetti negoziali diversi: la prima conferisce ad un soggetto, il potere di agire nel nome e in vece del rappresentante; il secondo obbliga il mandatario al compimento di attività giuridiche nell’interesse del mandante, senza spendere il suo nome. Poiché però entrambi i negozi, assolvono il ruolo di manifestazione della volontà, rispettivamente del rappresentato, o del mandante, di ottenere il compimento dell’attività da parte del rappresentante o del mandatario, condizione di validità dell’uno o dell’altro è che tale manifestazione abbia la medesima forma prescritta per l’attività (che può o deve essere compiuta), possa produrre gli effetti voluti. Qualora invece il mandante, conferisca la rappresentanza al mandatario, la forma per la validità del contratto di mandato è libera, con conseguente costituzione dei rispettivi diritti e obblighi, mentre per la forma necessaria alla validità della procura si applicano i principi predetti”.
[14] Cass. 20 giugno 1991 n.6972, in Resp. civ. e prev., 1991, 832: “E’ opinione quasi incontroversa della dottrina più autorevole e costante in giurisprudenza che l’irrevocabilità del mandato in rem propriam, ex art. 1723 secondo comma c.c., non ha incidenza sul principio generale secondo cui il mandato non priva il mandante dei poteri per il compimento degli atti che ne formano oggetto; anche privato del potere di revocare il mandato, il mandante tuttavia conserva la legittimazione a compiere da se’ (o a mezzo di altro mandatario) gli atti gestori suddetti (Cass. n. 4432-77; Cass. n. 2193-75, in ipotesi di mandato con rappresentanza). In particolare, per quanto attiene al mandato in rem propriam ad esigere un credito del mandante, non e’ esclusa la efficacia della richiesta di pagamento da parte del creditore-mandante e l’efficacia liberatoria del pagamento effettuato dal terzo a costui (Cass. n. 1405 del 1964; Cass. n. 3157 del 1976). E’ salvo il risarcimento del danno subito dal mandatario-procuratore, da farsi valore contro il mandante (per l’illegittima revoca) o anche contro il terzo debitore, la cui responsabilità sarà extracontrattuale (lesione del credito ex art. 2043 c.c.) in quanto non legato da alcun rapporto con il mandatario; ovvero contrattuale ex art. 1218 c.c., se ha pattuito un impegno con il medesimo.”.
[15] Gambino, Il mandato per la soddisfazione dei crediti del mandatario o di terzi nel fallimento e nella procedura di concordato preventivo, in Riv.dir.comm., 1975, I, 161.
[16] Vigo, La revoca del mandato “in rem propriam” all’ incasso nell’ amministrazione straordinaria, in Banca borsa e titoli di credito, 1989, pag. 575. “In secondo luogo, va tenuto conto che, ai sensi dell’art. 1198 c.c., il debitore si libera nei confronti del cessionario, non al momento della cessione, ma soltanto quando il cessionario riscuoterà il credito ceduto. Di qui l’interesse del cedente, alla effettiva riscossione di un credito del quale, egli non è più titolare. Di qui anche la compatibilità, in questa fattispecie, di mandato e cessione del credito. Il debitore assume la qualifica di cedente, in quanto trasferisce il suo credito solutionis causa, assume la qualifica di mandante, in quanto la riscossione avviene anche nel suo interesse, pur non essendo più egli titolare del credito”.
[17] In senso contrario, si esprime: Bussoletti, La sorte del mandato all’incasso in rem propriam nell’amministrazione straordinaria, in Riv. dir. civ., 1993, I, 263. “Da un lato infatti nell’alternativa mandato-cessione non sembra residuare spazio per mutazioni genetiche che si traducano in un tertium genus: o le pattuizioni sono di portata tale da non determinare l’uscita del credito dal patrimonio del mandante e allora non si ha cessione ; ovvero è il contrario e in tal caso il contratto va riqualificato in termini di cessione”.
[18] Lordi, Mandato in rem propriam e cessione dei crediti, Nota a Cass., Sez. I, 25 luglio 1996, n. 6726, in Rivista del notariato, 1998, pag. 314-321, ma del medesimo orientamento è pure: Bongiorno, Il mandato in rem propriam con effetto traslativo della titolarità del credito, in Dir. fall., 1989, I, 386. Secondo quest’ultimo autore: “ Il mandato in rem propriam e la cessione dl credito pro solvendo non costituiscono tipi contrattuali autonomi, ma forme negoziali neutre, utilizzabili per l’attuazione di più svariati negozi causali.” Nulla pertanto impedisce che allo schema tipico del mandato si faccia ricorso, non per affidare al mandatario la cura della gestione dell’interesse del mandante, ma per provocare un effetto traslativo della titolarità del credito con funzione solutoria
[19] Lordi, Mandato in rem propriam e cessione dei crediti, Nota a Cass., Sez. I, 25 luglio 1996, n. 6726, in Rivista del notariato, 1998, pag. 314-321. “…il contratto di mandato in rem propriam, in relazione all’interesse in concreto perseguito dalle parti, meriterà una disciplina personalizzata congrua rispetto alla sua specificità. Così dalla verifica del contenuto contrattuale, potrebbe risultare che il mandato in rem propriam (formalmente individuato dalla compresenza dell’interesse alieno), esprima anche una vicenda traslativa del diritto, relativamente al quale dovrà svolgersi l’attività esecutiva del mandato”.
[20] Terranova, Garanzie bancarie e Fallimento: la sorte del mandato irrevocabile all’incasso, in Banca e borsa, 1989, I, 504 e ss. “Se quanto precede è vero, l’unico modo per riconoscere al mandato irrevocabile all’incasso un effetto reale, è di ritenere che esso imponga sul credito un vincolo di destinazione, ininfluente nei rapporti interni tra creditori e debitore, ma opponibile ai terzi, non appena sia stato notificato o accettato a norma degli artt. 1265, 2914, 2915 c.c.”.
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