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10 Novembre 2003 In Diritto bancario

Il recesso della banca dal contratto di apertura di credito bancario

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Di Maura Castiglioni, Avvocato

 

Con il contratto di apertura di credito la banca si obbliga, ai sensi dell’art. 1842 c.c., a tenere a disposizione dell’accreditato una somma di denaro per un dato periodo di tempo, o a tempo indeterminato. Il cliente può utilizzare in più volte il credito ottenuto e può con successivi prelevamenti ripristinare la sua disponibilità. L’art. 1845, comma 3 c.c. attribuisce ai contraenti il diritto di recedere dal rapporto a tempo indeterminato, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi, o in mancanza, in quello di quindici giorni.

E’ dunque consentito alle parti stabilire convenzionalmente le modalità di esercizio del diritto di recesso. Tuttavia, spesso accade che le clausole contrattuali siano già prestampate sul modulo che il cliente si limita a sottoscrivere, aderendo a condizioni che possono a volte risultare svantaggiose all’accreditato. Tale è certamente la disposizione contrattuale che attribuisce alla banca il diritto di esercitare il recesso ad nutum, cioè senza giusta causa ed immediato, così negando la facoltà di accedere alle linee di credito concesse.

Difatti l’art. 6 delle Norme Bancarie Uniformi – spesso trasfuso nel testo del contratto predisposto dall’Istituto di credito – dispone che la banca ha la facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con comunicazione verbale, dall’apertura di credito ancorché concessa a tempo determinato, nonché di ridurla o di sospenderla. E’ inoltre consentito stabilire liberamente il preavviso per il pagamento di quanto dovuto dal cliente, potendosi persino ridurre il medesimo ad un solo giorno.

Orbene è evidente che il contenuto di tale disposizione determina certamente uno squilibrio contrattuale in danno del cliente, senza poi distinguere in alcun modo tra contratto a tempo indeterminato e determinato, e consentendo anche in questo ultimo caso un preavviso estremamente ridotto per il rientro dell’esposizione debitoria, laddove l’art. 1845, comma 2 c.c. prevede invece un obbligo di preavviso non inferiore a quindici giorni.

Il recesso immediato e la concessione di un termine di rientro praticamente inesistente, possono evidenziare una condotta arbitraria della Banca, qualora non esegua il contratto in essere secondo la buona fede impostale dagli artt. 1175 e 1375 c.c., impedendo ai clienti l’accesso alle linee bancarie, reso presumibilmente meno difficoltoso con l’assegnazione del diverso e maggiore termine di legge di quindici giorni. Alla stregua del principio in forza del quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 c.c.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benché pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi ingiusto ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari. Tali connotati devono cioè contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed alla assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali un’apertura di credito è normalmente convenuta (Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 9321 14/07/2000; Cass. civ. sent. n. 4538 del 21/05/1997).

Qualora quindi il recesso sia stato esercitato in contrasto con il principio generale della buona fede nell’esecuzione del contratto e con connotati del tutto arbitrari, ci si trova in assenza di una giusta causa, con conseguente diritto in capo al cliente accreditato ad ottenere il risarcimento dei danni patiti, non solo patrimoniali ma anche alla propria reputazione economica, trovandosi questi nella probabile impossibilità di restituire in un solo giorno le somme utilizzate.

Anche la giurisprudenza di merito, dopo avere costantemente sancito in diverse pronunce la legittimità del recesso esercitato immotivatamente dalla banca nei contratti di apertura di credito, in quanto manifestato in forza delle condizioni di contratto espressamente approvate dal correntista (Tribunale di Napoli, sent. del 18/07/1992; Tribunale di Napoli, sent. dell’8/07/1988; Tribunale di Roma sent. del 20/02/1997), ha successivamente – con una pronuncia innovativa – modificato tale orientamento (Tribunale di Roma, sent. del 20/01/2000) ritenendo vessatorie, ai sensi degli articoli 1469 bis e seguenti del codice civile, le clausole che attribuiscono alla banca il diritto di recedere, in mancanza di un giustificato motivo e senza un ragionevole preavviso, dai contratti bancari stipulati con il consumatore a tempo indeterminato: il preavviso secondo quanto disposto dall’art. 1845 comma 3 c.c. non può essere inferiore a quindici giorni e non vi è alcuna contrattazione individuale che possa giustificare la riduzione di tale termine.

E ancora, nell’ipotesi in cui la banca receda dall’apertura di credito in conto corrente senza attendere lo spirare del previsto termine di preavviso per il rientro in relazione all’esposizione debitoria del cliente, e richieda altresì l’emissione di decreto ingiuntivo nei suoi confronti, e, una volta ottenutolo, iscriva ipoteca giudiziale sui beni del fideiussore, la giurisprudenza (Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 15066 del 22/11/2000) ha stabilito che è razionalmente riferibile alla descritta condotta, in base al principio “causa causae est causa causati”, l’idoneità probabilisticamente dannosa di detto provvedimento, con la conseguenza che correttamente viene, in tale ipotesi, ritenuta ammissibile la richiesta dell’ingiunto di condanna generica al risarcimento del danno.

Il termine minimo di quindici giorni per l’operatività del recesso dell’istituto di credito ex art. 1845, secondo comma, c.c., è previsto dalla legge a favore del debitore accreditato, onde metterlo in condizione di reperire la somma necessaria per ripianare la propria esposizione verso l’istituto stesso, con la conseguenza che prima della scadenza di detto termine il credito della banca non è esigibile (Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 14859 16/11/2000).

Anche in relazione al diverso contratto di apertura di credito a tempo determinato, non si ritiene giustificabile un recesso ad nutum ed immediato da parte della banca, previsto invece dall’art. 6 delle Norme Bancarie Uniformi, in quanto il cliente confida nella disponibilità della provvista per tutto il periodo di tempo pattuito in contratto e sarebbe ingiusto, e certamente contrario a buona fede, privare il cliente di tale aspettativa. Difatti proprio a tutela di questo interesse dell’accreditato l’art. 1845 c.c. al primo comma prevede che la banca, salvo patto contrario, non possa recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa.

Il recesso immediato da parte dell’Istituto di credito è invece giustificato – e si ritiene quindi configurabile il requisito della giusta causa – nell’ipotesi di costante inadempimento, che non si risolva in una semplice difficoltà economica, del soggetto accreditato.

 



Rivista di Diritto Bancario Tidona - Il contenuto di questo documento potrebbe non essere aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito a concrete fattispecie.

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