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11 Luglio 2018 In Diritto bancario

Il recesso della banca dall’apertura di credito

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Di Maurizio Tidona, Avvocato

 

In tema di recesso della banca dal rapporto di apertura di credito si devono distinguere le ipotesi del rapporto a tempo determinato da quello a tempo indeterminato.

Nel primo caso – apertura di credito a tempo determinato – la banca non può recedere prima della scadenza del termine concordato con l’affidato, se non in caso di una giusta causa (art. 1845 c.c.). [1]

 

L’art. 1845, comma 1, c.c. consente però che le parti concordino un patto contrario, che consenta alla banca di recedere prima del tempo o in mancanza di una giusta causa. [2] [3]

L’art. 1845, comma 1, c.c. è stato ritenuto costituzionalmente legittimo. [4] [5]

Il diritto di recesso della banca, anche quando sia esercitabile in difetto di una giusta causa, perché così stabilito tra le parti, deve essere comunque esercitato in rispetto del principio di buona fede. [6] [7]

In caso di recesso della banca dal rapporto di credito a tempo determinato – anche in presenza di una giusta causa tipizzata dalle parti -, se l’affidato contesti il comportamento della banca, il giudice ha il dovere di verificare che il recesso non sia stato comunque esercitato dalla banca con modalità impreviste ed arbitrarie  – a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa -, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista creditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate. [8]

 

L’affidato che affermi che il recesso sia stato illegittimamente esercitato dalla banca (ad esempio, per arbitrarietà o contrarietà al principio di buona fede oppure per mancanza di una giusta causa) ha l’onere di enunciarne le ragioni alla banca, e successivamente al giudice, e di fornirne la relativa prova in concreto.

Se la banca non abbia previsto in contratto l’esenzione dalla “giusta causa”, per procedere al recesso in un contratto di apertura di credito a tempo determinato, deve richiamare nel proprio recesso la sussistenza di una “giusta causa”, a pena di illegittimità del recesso.

Nel recesso per giusta causa, la ragione giustificatrice deve essere pertanto specificatamente indicata nella comunicazione inviata al cliente, in rispetto del principio di buona fede, alle regole di trasparenza nonché ai doveri di efficienza dell’impresa bancaria. [9]

 

Se l’apertura di credito sia a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può invece recedere dal contratto mediante un preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di 15 giorni (art. 1845 c. 3 c.c.).

Il preavviso, per essere efficace, deve contenere inoltre la chiara indicazione della volontà di recedere.

 

L’Arbitro Bancario e Finanziario ha osservato sul punto che non costituisce idoneo preavviso il messaggio di posta elettronica inviato dalla banca al correntista, nel quale la banca manifestava l’urgenza di un “contatto” con il cliente, senza esplicitare la volontà di porre fine al rapporto, che è quindi indispensabile. [10]

L’art. 1845 comma 3 c.c. contiene un esplicito rinvio alla volontà delle parti in ordine alla durata del preavviso, lasciato quindi alla privata autonomia (o meglio, alla banca, che predispone il contratto per adesione).

 

La necessità del preavviso può essere pertanto convenzionalmente derogata dalle parti. [11] [12]

La Cassazione ha ritenuto – proprio relativamente ad una apertura di credito bancario a tempo indeterminato -, che il termine previsto per il preavviso di recesso dall’art. 1845 c.c. possa essere fissato anche in un solo giorno, salvo il rispetto della buona fede nell’esecuzione dello stesso, dovendosi valutare in concreto la situazione di buona fede della parte recedente (la banca, nella specie). [13] [14]

Nei contratti a tempo indeterminato, il mancato rispetto del termine di preavviso, contrattualmente o legislativamente previsto,  costituendo comunque l’esercizio del recesso un diritto della parte, può dar luogo esclusivamente ad una responsabilità risarcitoria della banca, ma mai rendere privo di efficacia lo scioglimento del contratto, che si realizza in ogni caso al momento della ricezione del recesso da parte dell’affidato. [15]

È quindi inammissibile, ad esempio, un provvedimento d’urgenza volto ad ottenere il ripristino di linee di credito sospese o revocate in modo asseritamente illegittimo, attesa l’infungibilità e quindi l’incoercibilità di un simile obbligo contrattuale, come tale sanzionabile soltanto mediante il risarcimento del danno patito. [16]

 

La dichiarazione di recesso ex art. 1845 comma 3 c.c. da parte della banca, è soggetta alla forma scritta ad substantiam, e cioè a pena di invalidità. [17]

Il recesso dal contratto di apertura di credito bancario comunicato dalla banca al cliente è inoltre atto recettizio e pertanto – in caso di contestazione da parte dell’affidato – incombe alla banca, che voglia avvalersi degli effetti dell’atto, l’onere di provare l’invio e la ricezione della dichiarazione di recesso da parte del debitore. [18]

 

In merito alla situazione di debordo dal fido concesso, e questo vale sia in caso di apertura di credito a tempo determinato che indeterminato, la Cassazione ha osservato che non costituisce ragionevole aspettativa di credito per il correntista (affidato o meno) il comportamento della banca che abbia talvolta consentito il superamento del limite del fido (o lo scoperto). [19]

Così come, la giurisprudenza ha ritenuto che dal reiterato pagamento da parte della banca di assegni emessi in assenza di fondi sul conto corrente non può ricavarsi alcuna tutela dell’aspettativa del cliente ad un futuro ulteriore pagamento di assegni privi di copertura. [20]

La saltuaria concessione di credito non formalizzata contrattualmente dalla banca non integra difatti una manifestazione di volontà idonea a sostituire le clausole (non) pattuite fra le parti, con pretese “clausole d’uso”, costituendo mera espressione di tolleranza da parte della banca dello sforamento del conto ed esplicazione di una facoltà discrezionale di volta in volta esercitata dalla banca secondo le circostanze del caso concreto, senza alcun diritto in capo al correntista.

 

Il recesso della banca dall’apertura di credito (anche se le operazioni siano connesse ad un contratto di conto corrente), in base ad una clausola contrattuale che consenta il recesso anche in difetto di giusta causa, non implica necessariamente il recesso dal contratto di conto corrente bancario sottostante.

La banca, dopo avere risolto o receduto dal contratto di affidamento bancario, può quindi rifiutarsi di provvedere al pagamento di qualsiasi addebito successivo alla revoca dell’affidamento (ad esempio, per assegni emessi dal correntista), ma non può in generale rifiutare al correntista di effettuare il deposito della provvista occorrente per il pagamento di essi, se non abbia risolto o receduto anche dal sottostante contratto di conto corrente bancario.

Quest’ultimo comportamento – se posteriore al recesso dall’apertura di credito – va pertanto valutato distintamente, alla luce del principio di buona fede, al fine di stabilire se, nel bilanciamento dei contrapposti interessi contrattuali, vi fossero validi motivi per giustificare il recesso della banca anche dal contratto di conto corrente senza quel preavviso che avrebbe consentito al correntista di limitare i danni alla sua reputazione commerciale, al tempo stesso garantendo la banca – con l’offerta della provvista – da qualsiasi rischio. [21]

 

NOTE:

[1] Art. 1845 c.c. (Recesso dal contratto): “[I]. Salvo patto contrario, la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa. [II]. Il recesso sospende immediatamente l’utilizzazione del credito, ma la banca deve concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi accessori. [III]. Se l’apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni”.

[2] Tribunale Roma sez. X, sent. n. 3012 del 14 febbraio 2011: “È legittimo il recesso “ad nutum” ed immediato esercitato dalla Banca ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 delle Norme Bancarie Uniformi nell’ambito di un rapporto di apertura di credito giacché è consentito alle parti stabilire convenzionalmente le modalità di esercizio del diritto di recesso in quanto l’art. 1845 c.c. fa espressamente salvi i patti contrari stipulati dalle parti nella loro autonomia contrattuale”.

[3] Tribunale Milano, sent. del 23 maggio 2003.

[4] Cassazione civile, sez. I, sent. n. 3291 del 7 aprile 1997: “È manifestamente infondata la questione d’illegittimità costituzionale dell’art. 1845 c.c. – secondo cui la banca non può recedere dal contratto di apertura di credito se non per giusta causa, salvo patto contrario -, in relazione all’art. 77 cost., sotto il profilo dell’eccesso di delega, per avere il governo apportato una non autorizzata variazione al corrispondente art. 685 del libro delle obbligazioni aggiungendovi la locuzione “salvo patto contrario”, perché il governo del Re, a seguito dell’amplissima delega conferitagli con le leggi n. 2814 del 1923 e 2260 del 1925, ben poteva, con il decreto di approvazione del codice civile, apportare modifiche ai precedenti decreti di pubblicazione dei singoli libri dello stesso codice, per coordinare le specifiche discipline non solo con i principi fondamentali dei vari libri, ma anche con quelli desumibili all’interno di un medesimo libro, non potendosi dubitare, nell’ipotesi, che la previsione del “patto contrario” rappresenta il coordinamento tra la tutela dell’accreditato ed i principi della libertà contrattuale e della specifica approvazione delle condizioni generali del contratto. Né l’eccesso di delega è configurabile sul presupposto che il r.d. di emanazione del codice (n. 262 del 1942) non fu sottoposto al parere della commissione parlamentare, in quanto, in riferimenti ai principi costituzionali accolti anche nell’ordinamento anteriore alla costituzione repubblicana, l’indicato eccesso può porsi con riguardo alla rispondenza della legge delegata alle materie oggetto della delega ed al termine eventualmente prefissato, restando irrilevante il mancato rispetto di ulteriori modalità di esercizio del potere delegato (Corte cost. n. 164 del 1973 e n. 3981 e 3982)”.

[5] Cassazione civile, sez. I, sent. n. 6186 del 7 marzo 2008.

[6] Tribunale Salerno, sent. n. 2468 del 25 novembre 2009.

[7] La dottrina distingue tra due categorie autonome di buona fede: a) buona fede soggettiva: è l’ignoranza di ledere una situazione giuridica altrui; b) buona fede oggettiva (o correttezza): è il generale dovere di correttezza e di reciproca lealtà di condotta nei rapporti tra i soggetti e consiste nello sforzo che ogni contraente deve compiere, senza che ciò non comporti un apprezzabile sacrificio, affinché l’altro contraente possa adempiere correttamente.

[8] Cassazione civile, sez. I, sent. n. 9321 del 14 luglio 2000.

[9] A. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Zanichelli, Bologna, 2013, p. 61.

[10] ABF, Collegio di Roma, Decisione n. 5680/2013.

[11] Cassazione civile, sez. I, sent. n. 9307 del 9 novembre 1994.

[12] Cassazione civile, sez. I, sent. n. 11566 del 23 novembre 1993.

[13] Cassazione civile sez. I, sent. n. 2642 del 21 febbraio 2003.

[14] Corte appello Roma, sez. II, 24 settembre 2002: “Nei contratti conclusi dalla banca col consumatore non hanno carattere abusivo, ai sensi degli art. 1469 bis ss. c.c., le clausole che: (a) consentono sia alla banca che al correntista, nel rapporto di conto corrente senza apertura di credito, di recedere unilateralmente con un solo giorno di preavviso; (b) consentono alla banca, in assenza di istruzioni da parte del cliente, di decidere unilateralmente se ed in che modo dare seguito al mandato conferitole; (c) consentono alla banca, nel quadro di un più ampio rapporto di mandato, di rifiutare l’esecuzione di singoli ordini; (d) prevedono che l’operazione di finanziamento avverrà “secondo le norme modalità in vigore presso la banca”, in quanto clausola di mero stile; (e) consentono alla banca di sostituire altri a sé nell’esecuzione del mandato ricevuto dal cliente; (f) rendono incontestabili le operazioni della banca se non reclamate nel termine “ordinariamente occorrente””.

[15] Tribunale Roma, sent. del 24 febbraio 1997 (in Banca borsa tit. cred. 1999, II, 253).

[16] Tribunale Catania, sent. del 19 gennaio 2004 (in Banca borsa tit. cred. 2005, II, 57).

[17] Tribunale Napoli, sent. del 16 gennaio 2001 (in Banca borsa tit. cred. 2002, II, 769).

[18] Cassazione civile, sez. I, sent. n. 15066 del 22 novembre 2000.

[19] Cassazione civile, sez. I, sent. n. 3487 del 4 aprile 1998.

[20] Tribunale Padova, 19 maggio 2009.

[21] Cass. n. 8711/2006.



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