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22 Marzo 2019 In Diritto bancario, Diritto finanziario

Il regime di vigilanza prudenziale nel settore assicurativo

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Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia

 

  1. Il quadro normativo di riferimento

La regolamentazione prudenziale del settore assicurativo è stata oggetto di profondi cambiamenti con l’approvazione, nel novembre 2009, della Direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (c.d. Solvency II) che, dopo continui rinvii, è entrata in vigore il 1° gennaio 2016[1]. La revisione si è resa necessaria per rimuovere le criticità emerse in termini di: i) scarsa trasparenza del criterio del margine di solvibilità e sua inadeguatezza ad evidenziare i rischi assunti dalle imprese assicurative; e ii) assenza di incentivi per le imprese del settore a svolgere un’efficiente attività di gestione del rischio.

Solvency II è stata emendata dalla Direttiva 2014/51(UE (c.d. Omnibus II), la quale attribuisce poteri di controllo rafforzati a EIOPA e definisce i livelli delle riserve che le imprese di assicurazione devono possedere per la copertura dei rischi a lungo termine.

Solvency II è una direttiva quadro (framework directive) che detta principi generali e contiene poche opzioni per gli Stati membri. Tali principi sono stati integrati dal Regolamento delegato 2015/35/UE, contenente misure di secondo livello direttamente applicabili[2], e dagli Implementing Technical Standards (ITS) e dalle Linee guida emanate dall’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), che costituiscono misure di terzo livello.

La Direttiva Solvency II è stata recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs. 174/2015, che ha apportato rilevanti modifiche al d.lgs. 2009/2005 recante il Codice delle Assicurazioni Private (CAP). Il decreto è entrato in vigore il 30 giugno 2015, ma le disposizioni sono efficaci dal primo gennaio 2016.

L’autorità preposta ai controlli nel settore assicurativo italiano è l’IVASS (già ISVAP). L’Istituto persegue la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, la loro trasparenza e correttezza nei confronti della clientela e la stabilità del sistema e dei mercati finanziari (art. 3 del CAP). L’IVASS esercita le funzioni di supervisione mediante l’esercizio dei poteri di natura autorizzativa, prescrittiva, accertativa, cautelare e repressiva (art. 5 del CAP). Sono assoggettati ai suoi controlli le imprese di assicurazione e di riassicurazione, i gruppi assicurativi, i conglomerati finanziari nei quali sono incluse le imprese, i soggetti che svolgono funzioni parzialmente comprese nel ciclo operativo delle imprese e gli intermediari assicurativi e riassicurativi (art. 6 del CAP)[3].

Per il perseguimento degli obiettivi istituzionali, l’IVASS effettua controlli strutturali e di tipo prudenziale sui soggetti vigilati (vigilanza microprudenziale) e controlli sull’andamento dei fattori macroeconomici che possono avere un impatto sulle imprese e sul mercato assicurativo nel suo complesso (vigilanza macroprudenziale). In collaborazione con le altre autorità di vigilanza, l’Istituto svolge anche compiti di vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari e di controllo prudenziale sui gruppi assicurativi transfrontalieri.

 

  1. Il regime prudenziale delle imprese assicurative

La Direttiva Solvency II stabilisce un nuovo regime di adeguatezza patrimoniale e nuove regole di gestione e misurazione del rischio, con l’obiettivo di ottenere un capitale di vigilanza più aderente al profilo di rischio di ciascuna impresa. La Direttiva segue un approccio orientato al rischio (risk based) e “prospettico” (forward–looking), cioè incentrato anche sulla valutazione della capacità dell’impresa di gestire appropriatamente i rischi, oltre che sulla verifica ex post del rispetto dei requisiti. Essa, inoltre, è strutturata su tre pilastri (requisiti patrimoniali quantitativi, requisiti qualitativi e requisiti di public disclosure per gli stakeholders e di reporting per le autorità di vigilanza), in analogia a quanto previsto da Basilea II per il settore bancario, a cui si aggiunge una disciplina organica sui gruppi; rafforza la vigilanza sui gruppi assicurativi e riassicurativi, affidando alcuni compiti e responsabilità al group supervisor, che opera in stretto raccordo con le altre autorità coinvolte nella vigilanza (college of supervisors); rivede i processi di vigilanza, stimolandone la convergenza e l’omogeneizzazione a livello europeo (Supervisory Review Process, SREP); semplifica, infine, il quadro normativo europeo.

 

 Solvency II

Il primo pilastro (artt. 75-135) ha come obiettivo primario quello di assicurare che le compagnie di assicurazione siano solvibili; in relazione a ciò, detta disposizioni relative alla valutazione delle attività e delle passività[4], alle riserve tecniche[5], alla determinazione dei fondi propri e ai criteri per la loro ammissibilità ai fini della copertura dei requisiti patrimoniali, al calcolo del requisito patrimoniale di solvibilità e del requisito patrimoniale minimo, agli investimenti a copertura delle riserve tecniche e del requisito di solvibilità[6], al calcolo dei requisiti patrimoniali per i gruppi di imprese.

La dotazione patrimoniale richiesta a fini prudenziali è strutturata su due livelli: il primo livello è il Solvency Capital Requirement (SCR), che identifica il capitale economico necessario a coprire le perdite inattese su un orizzonte temporale annuale con un livello di confidenza pari al 99,5 per cento (corrispondente a una probabilità di “rovina” dello 0,5 per cento). In analogia al regime di adeguatezza patrimoniale delineato da Basilea II, la Direttiva Solvency II considera il patrimonio come lo strumento più idoneo ad assorbire le perdite impreviste, mentre le perdite attese sono coperte dalle riserve tecniche. Il secondo livello rappresenta una soglia minima (Minimum Capital Requirement, MCR), al di sotto della quale il patrimonio aziendale non deve scendere, pena l’attivazione di misure liquidative di rigore nei confronti dell’impresa.

Il SCR è calcolato in base al presupposto di continuità aziendale (going concern) dell’impresa utilizzando tecniche di valore a rischio conformemente a una formula “standard” definita dalla Direttiva. In alternativa, l’impresa può utilizzare un modello interno, parziale o completo, predisposto dall’impresa stessa e preventivamente validato dall’autorità di vigilanza[7] oppure può adottare la metodologia Undertaking Specific Parameters (USPs) utilizzando propri parametri specifici, che deve essere previamente autorizzata dal regolatore. Il SCR è dato dalla somma del requisito patrimoniale di solvibilità di base (SCRbase) e del requisito patrimoniale per il rischio operativo (SCRoperativo)[8] più un eventuale aggiustamento (ADJ).

Il SCR di base è pari alla radice quadrata della sommatoria dei prodotti ottenuti considerando il requisito patrimoniale per cinque tipi di rischio (rischio di sottoscrizione[9] per il ramo danni, rischio di sottoscrizione per il ramo vita, rischio di sottoscrizione per il ramo malattia, rischio di mercato e rischio di inadempimento della controparte) e le correlazioni tra gli stessi. In formula, avremo:

dove: i rappresenta gli assorbimenti patrimoniali per il rischio di sottoscrizione, j rappresenta gli assorbimenti patrimoniali per i rischi di mercato e di inadempimento; il fattore Corri,j indica la voce di cui alla riga i e colonna j della matrice di correlazione sotto indicata:

Al risultato che scaturisce dall’applicazione della formula “standard” vanno sommati il requisito patrimoniale per il rischio operativo e l’aggiustamento per la capacità di assorbimento delle perdite delle riserve tecniche (loss-absorbing capacity of technical provisions) e delle imposte differite (loss-absorbing capacity of deferred taxes).

Gli elementi di capitale ammissibili per la copertura del requisito di solvibilità sono: i) i fondi propri di base, costituiti dall’eccedenza delle attività rispetto alle passività, diminuita dell’importo delle azioni proprie detenute dall’impresa, e dalle passività subordinate; e ii) i fondi propri accessori (capitale sociale non ancora versato e non richiamato, lettere di credito e garanzie). Ai fini della solvibilità, i fondi propri sono classificati in tre livelli, tenendo conto delle seguenti caratteristiche: grado di subordinazione rispetto ai diritti degli assicurati, capacità di assorbire le perdite in caso di liquidazione, grado di disponibilità, perpetuità o durata protratta, assenza di costi e di obblighi di riscatto. I fondi propri di base possono essere classificati in tutti i livelli, mentre i fondi propri accessori possono essere classificati solo nei livelli II e III.

Per la copertura del requisito di solvibilità concorrono i fondi propri ammissibili di tutti i livelli, ma entro determinati limiti quantitativi. Nello specifico, la proporzione degli elementi di livello I deve essere superiore a un terzo dell’ammontare dei fondi ammissibili; la proporzione degli elementi di livello III deve essere inferiore a un terzo dell’importo totale dei fondi ammissibili.

Le compagnie assicurative calcolano il requisito di solvibilità almeno una volta all’anno e comunicano il risultato all’autorità di vigilanza. Le imprese assicurative sono tenute altresì a segnalare ai supervisors l’impossibilità di rispettare il requisito. In tal caso, nel termine di due mesi dal rilevamento dell’inosservanza, devono presentare alla Vigilanza un piano di risanamento credibile nel quale vanno indicate le misure correttive che intendono adottare per ristabilire, in un tempo non superiore a sei mesi, il livello dei fondi propri ammissibili a copertura del requisito o per ridurre il loro profilo di rischio.

La Direttiva prevede che il Minimum Capital Requirement (MCR) sia calcolato in modo verificabile, chiaro e semplice, e che sia calibrato al valore a rischio dei fondi propri dell’impresa con riferimento a un livello di confidenza dell’85 per cento su un arco temporale di un anno. Il modello per la determinazione del MCR deve prevedere inoltre una soglia minima e una massima. Il requisito, calcolato con la formula “standard”, può assumere un valore che non può scendere al di sotto del 25 per cento né superare il 45 per cento del SCR. Inoltre, non può essere inferiore a 2,5 milioni di euro per le imprese non vita, 3,7 milioni per le imprese vita e 3,6 milioni per le imprese di riassicurazione.

Per la copertura del requisito minimo di solvibilità possono concorrere solo i fondi propri di base ammissibili appartenenti al I o al II livello. Inoltre, l’ammontare dei fondi di base di livello I deve essere superiore al 50 per cento del totale dei fondi di base ammissibili.

Le imprese assicurative calcolano il requisito patrimoniale minimo almeno ogni tre mesi e ne comunicano il risultato all’autorità di supervisione. In caso di inosservanza del requisito, le imprese hanno l’obbligo – entro un mese dal rilevamento – di presentare alla Vigilanza un piano di finanziamento credibile per ricondurre, nell’arco di tre mesi, i fondi propri di base ammissibili al livello del requisito o per ridurre il loro profilo di rischio. Nell’eventualità che le condizioni di solvibilità continuino a deteriorarsi, le autorità competenti hanno il potere di assumere ogni azione necessaria a salvaguardare gli interessi degli assicurati.

Il regime Solvency II prevede misure di garanzia a lungo termine (long-term guarantees, LTG) per mitigare gli effetti pro-ciclici sugli indicatori di solvibilità derivanti dall’eccessiva volatilità dei prezzi di mercato. Tali misure comprendono l’aggiustamento per la volatilità (volatility adjustment), l’aggiustamento di congruità alla pertinente struttura per scadenza dei tassi di interesse privi di rischio (matching adjustment), le misure transitorie sui tassi di interesse (di natura discrezionale) e la procedura per l’estrapolazione dei tassi d’interesse risk free (di natura obbligatoria). Indagini condotte da EIOPA sull’applicazione di dette misure da parte delle compagnie europee mostrano che la volontary adjustment[10] è la misura più diffusa in ambito comunitario e l’unica utilizzata dalle compagnie italiane. L’applicazione del VA, calcolato sulla base di un portafoglio comune ai paesi dell’area dell’euro, ha determinato un aumento dell’indice di solvibilità medio delle assicurazioni dal 172 al 206 per cento[11].

Solvency II enuncia due distinte metodologie per il calcolo della solvibilità a livello di gruppo: il metodo del bilancio consolidato (c.d. metodo standard) e il metodo della deduzione e dell’aggregazione (c.d. metodo alternativo). Con il metodo standard il calcolo della solvibilità di gruppo dell’impresa partecipante viene effettuato in base ai valori desumibili dal bilancio consolidato ed è pari alla differenza tra i fondi propri ammissibili a copertura del requisito di solvibilità e il requisito di solvibilità a livello di gruppo, entrambi calcolati sulla base di dati consolidati. Il requisito patrimoniale di solvibilità a livello di gruppo consolidato è calcolato sulla base della formula “standard” o di un modello interno approvato dall’autorità di vigilanza. Tale requisito è quanto meno pari alla somma del requisito patrimoniale minimo dell’impresa assicurativa partecipante e la quota proporzionale del requisito patrimoniale minimo delle imprese assicurative partecipate. Il metodo alternativo viene applicato quando l’autorità di vigilanza di uno Stato membro ritiene che l’adozione del metodo standard risulti inappropriata. In tal caso, la solvibilità di gruppo di un’impresa partecipante è data dalla differenza tra i fondi propri ammissibili di gruppo aggregati (pari alla somma dei fondi propri ammissibili per il requisito di solvibilità dell’impresa partecipante e la quota proporzionale dell’impresa partecipante nei fondi propri ammissibili per il requisito di solvibilità delle imprese assicurative partecipate) e il valore della partecipazione dell’impresa partecipante nelle imprese partecipate e il requisito patrimoniale di solvibilità di gruppo aggregato. Quest’ultimo è pari alla somma del requisito patrimoniale di solvibilità dell’impresa partecipante e la quota proporzionale del requisito patrimoniale di solvibilità delle partecipate[12].

Il secondo pilastro (artt. 41-50) è costituito da norme relative a governance, risk management e controllo interno, nonché da quelle concernenti l’attività di vigilanza delle autorità competenti. La normativa Solvency II afferma la centralità del Consiglio di amministrazione nella gestione aziendale e nella supervisione del sistema dei controlli interni. Spetta all’organo amministrativo delineare il piano strategico della compagnia determinando, sulla base delle valutazioni attuali e prospettiche dei rischi: i) la propensione al rischio (risk appetite), cioè il livello di rischio che la compagnia intende assumere per il perseguimento degli obiettivi strategici; ii) il rischio effettivo (profile risk), cioè il rischio effettivamente assunto, misurato in un determinato istante temporale; la soglia di tolleranza al rischio (tolerance risk), cioè la devianza massima dal risk appetite consentita per assicurare comunque margini sufficienti per operare, anche in condizioni di stress, entro il massimo rischio assumibile; il massimo rischio assumibile (risk capacity), cioè il livello massimo di rischio che una compagnia è tecnicamente in grado di assumere senza violare i requisiti regolamentari o gli altri vincoli imposti dagli azionisti o dall’autorità di vigilanza[13].

Solvency II dispone che il sistema di governance sia correlato alla natura, alla portata e alla complessità delle operazioni svolte dall’impresa (c.d. principio di proporzionalità) e periodicamente soggetto a revisione interna. La nuova normativa richiede alle imprese del settore di: i) dotarsi di una struttura organizzativa trasparente adeguata, con una chiara ripartizione di compiti e connesse responsabilità; ii) istituire la funzione di risk management, preposta a valutare e gestire correttamente, su base continuativa, i rischi a livello individuale e aggregato cui le compagnie sono o potrebbero essere esposte; la funzione di internal audit, con il compito di monitorare e valutare l’affidabilità del sistema dei controlli interni; la funzione di compliance, con l’incarico di controllare e valutare l’adeguatezza e l’efficacia delle procedure e dei processi aziendali; la funzione attuariale per lo svolgimento dei compiti di coordinamento, gestione e controllo in materia di riserve tecniche, nonché di valutazione delle politiche di sottoscrizione degli accordi di riassicurazione; iii) avvalersi di un adeguato e appropriato management, composto da persone in possesso di requisiti di onorabilità, esperienza e professionalità; iv) formalizzare per iscritto le politiche relative alla gestione del rischio, al controllo interno e alla esternalizzazione di funzioni o attività operative sostanziali o importanti; v) implementare un efficace sistema di trasmissione delle informazioni e reporting.

La Direttiva stabilisce inoltre che le compagnie devono condurre, nell’ambito del proprio sistema di gestione dei rischi, l’autovalutazione del rischio e della solvibilità (Own Risk and Solving Assessment, ORSA), al fine di accertare il proprio fabbisogno di solvibilità globale[14], tenendo conto del profilo di rischio specifico, dei limiti di tolleranza al rischio approvati dal consiglio di amministrazione e della strategia di mitigazione dei rischi adottata. L’ORSA non è solo una procedura di valutazione interna all’impresa, ma è anche uno strumento a disposizione delle autorità di vigilanza per conoscere le valutazioni delle compagnie sui rischi più rilevanti cui sono esposte e sulle strategie operative.

In conformità a quanto previsto dalla Direttiva Solvency II, dal Regolamento delegato 2015/35 e dalle linee guida EIOPA, le imprese di assicurazione e di riassicurazione sono chiamate a valutare i rischi cui sono esposte in un’ottica attuale e prospettica, almeno con cadenza annuale, ovvero ogni volta che si presentano circostanze tali da modificare il proprio profilo di rischio. Ai fini della valutazione, le imprese elaborano processi e procedure adeguate, commisurate alla struttura organizzativa e al sistema di gestione dei rischi tenendo conto della natura, della portata e della complessità dei rischi inerenti all’attività svolta. Inoltre, esse sono tenute, ai sensi dell’art. 312, comma 1, lett. b), del Regolamento delegato sopra indicato a trasmettere all’autorità di vigilanza, annualmente, la relazione ORSA (ORSA supervisory report), entro le due settimane successive alla conclusione del processo di valutazione.

Nell’ambito della procedura di riesame dell’assetto organizzativo e del sistema dei controlli interni, l’autorità di vigilanza competente ha il potere di richiedere all’impresa maggiorazioni di capitale (capital add–on) rispetto al requisito di solvibilità, specificandone le ragioni. L’imposizione di una maggiorazione di capitale ha natura eccezionale, nel senso che l’autorità di supervisione dovrebbe ricorrervi unicamente come misura di ultima istanza, qualora le altre misure risultino inefficaci o inadatte. La richiesta può essere avanzata quando: i) il profilo di rischio dell’impresa si discosta significativamente dalle ipotesi sottese al requisito patrimoniale di solvibilità calcolato con la formula “standard” e l’applicazione di un modello interno risulta inadeguata o inappropriata; ii) il profilo di rischio si discosta in misura significativa dalle ipotesi sottese al requisito patrimoniale calcolato con un modello interno poiché alcuni rischi quantificabili non sono stati sufficientemente considerati o misurati entro un periodo di tempo predefinito; iii) il profilo di rischio è tale per il cui il sistema di governance non è in grado di intercettare, misurare, monitorare, gestire e segnalare correttamente i rischi cui l’impresa è esposta e ogni altra misura diversa dalla maggiorazione di capitale non avrebbe effetto alcuno.

Il terzo pilastro (art. 35 e artt. 51-56) detta disposizioni sulla trasparenza sia nei confronti dell’autorità di vigilanza sia verso il mercato. Sono previsti due distinti documenti: la Relazione sulla solvibilità e la condizione finanziaria (Solvency and Financial Condition Report, SFCR) e la Relazione da fornire a fini di vigilanza (Regular Supervisory Report, RTS). La prima relazione, approvata dall’organo amministrativo, direttivo o di vigilanza dell’impresa, contiene dettagliati e puntuali riferimenti su: l’attività e i risultati conseguiti nell’anno trascorso; il sistema di governo societario; l’esposizione al rischio, le concentrazioni di rischio, l’attenuazione al rischio e la sensibilità al rischio; le basi e i metodi utilizzati per la valutazione delle attività, delle riserve tecniche e delle altre passività; la gestione del capitale. Il reporting di vigilanza deve essere fornito all’autorità di supervisione per consentirle di acquisire circostanziati elementi conoscitivi sull’attività svolta dall’impresa, sul sistema di governance adottato, sui rischi cui è esposta e i relativi sistemi di gestione, sui criteri di valutazione delle attività e passività applicati a fini di solvibilità, sulla struttura patrimoniale, il fabbisogno di capitale e la gestione del capitale. Come prescritto, tale relazione va presentata in periodi predefiniti, in caso di eventi predefiniti o in caso di indagini in merito alla situazione di un’impresa.

 

  1. Il livello di patrimonializzazione delle imprese assicurative italiane

EIOPA ha avviato a maggio 2018 un nuovo stress test per valutare la resilienza del settore assicurativo europeo a situazioni avverse. L’esercizio, condotto in stretto raccordo con le autorità di vigilanza nazionali, ha assunto come data di riferimento il 31 dicembre 2017 e ha coinvolto 42 gruppi assicurativi che rappresentano circa il 75 per cento del mercato europeo. Per il nostro Paese hanno partecipato alla prova di stress: Assicurazioni Generali, Unipol Gruppo, Intesa Sanpaolo Vita e Poste Vita.

Gli scenari considerati sono tre:

  • Yield curve up, che prevede un rialzo improvviso e significativo dei premi al rischio di tutti gli investimenti, accompagnato da una crescita dell’inflazione;
  • Yield curve down, caratterizzato da una prolungata fase di bassi tassi d’interesse in combinazione con un aumento delle aspettative di vita;
  • Nat cat, che ipotizza il verificarsi di eventi catastrofali naturali che colpiscono simultaneamente l’Europa.

 

I risultati indicano che sia il settore assicurativo europeo sia quello italiano sono nel complesso adeguatamente capitalizzati e quindi in grado di assorbire shock severi. A livello domestico è emerso in particolare che:

  • nello scenario di base l’indice di solvibilità (c.d. SCR ratio Solvency Capital Requirement Ratio)[15] è risultato inferiore (213 per cento), in media, a quello del campione europeo (202 per cento);
  • nessuno dei quattro gruppi italiani fa registrare indici di solvibilità post-stress inferiori al 100 per cento in nessuno dei tre scenari avversi;
  • nello scenario “yield curve up” l’indice di solvibilità dei gruppi italiani (122 per cento) rimane positivo ma inferiore, mediamente, a quello del campione europeo (145 per cento);
  • nello scenario “yield curve down” l’indice di solvibilità dei gruppi italiani è superiore (157 per cento), in media, a quello del campione europeo (137 per cento);
  • nello scenario “nat cat l’indice di solvibilità dei gruppi italiani rimane pressoché invariato.

Il soddisfacente livello di patrimonializzazione raggiunto dai gruppi assicurativi italiani emerge anche dal confronto con i maggiori competitor europei. ANIA, l’associazione nazionale di categoria, ha condotto un’analisi di tutti i bilanci pubblicati in Italia e di un campione significativo composto dai principali 40 gruppi europei (di cui 5 italiani)[16]. L’indagine ha evidenziato che il Solvency ratio delle imprese assicurative italiane si è attestato, a fine 2016, al 217 per cento risultando maggiore, in media, per le imprese miste (227 per cento), rispetto alle imprese vita (206 per cento) e danni (165 per cento). Le performance delle compagnie italiane sono risultate migliori di quelle, in media, palesate dalle compagnie inglesi (151 per cento), olandesi (177 per cento), belghe (176 per cento) e sostanzialmente simili a quelle di Francia e Spagna, ma inferiori a quelle di Germania (323 per cento).

 

Appendice: la redditività delle imprese assicurative italiane[17]

 

L’indicatore più comunemente utilizzato per calcolare la redditività di un’impresa è il Return On Equity (ROE), che si ottiene rapportando il risultato d’esercizio (utile o perdita) al patrimonio netto.

 

Nelle imprese assicurative il ROE è dato dalla sommatoria di tre elementi principali: la gestione ordinaria, la gestione assicurativa (o gestione straordinaria) e la componente relativa alla tassazione. In formula, avremo:

dove: GA è il risultato della gestione assicurativa; RTn è sono le riserve tecniche nette; ROI è il tasso di rendimento degli attivi; L è la leva finanziaria-assicurativa, che si ottiene dal rapporto tra le riserve tecniche nette (mezzi di terzi) e il patrimonio netto (mezzi propri); GS è la gestione straordinaria; PN è il patrimonio netto; T è la tassazione.

 

La redditività della gestione ordinaria è data dalla somma della redditività della gestione assicurativa e della redditività finanziaria ordinaria (ossia del tasso di rendimento degli attivi). La leva, che è in genere maggiore dell’unità nell’impresa di assicurazione in considerazione della sua particolare natura, ha un effetto moltiplicativo sul risultato della gestione ordinaria, nel senso che essa enfatizza negativamente o positivamente il risultato della gestione ordinaria a seconda che esso sia negativo o positivo. La gestione straordinaria indica il rendimento della gestione non assicurativa. La tassazione è data dal rapporto tra ammontare dei tributi pagati dall’impresa e l’utile d’esercizio.

Nel periodo 2006-2015 il ROE relativo alle imprese del settore danni ha registrato un andamento ondivago: in crescita nei primi due anni (da 11,5 a 14,5 per cento), in forte calo negli anni 2008-2011 (da -0,9 a -4,6 per cento) in conseguenza della crisi finanziaria globale e della crisi dei debiti sovrani, in costante crescita negli anni 2012-2014 (da 3,1 a 10,2 per cento), di nuovo in discesa nel 2015 (7,9 per cento). Il peggioramento nell’ultimo anno appare riconducibile all’effetto combinato di tre fattori: la diminuzione del rendimento della componente finanziaria (da 2,8 a 2,6 per cento), la flessione della componente straordinaria (da 1,9 a 03 per cento) e l’aumento dell’impatto fiscale sugli utili (da 32,4 a 39,5 per cento). Ininfluente il contributo della leva alla formazione del risultato d’esercizio, essendo rimasta pressoché invariata (intorno al 2,4-2,3 per cento).

Nell’analogo periodo il ROE delle imprese del settore vita ha avuto un andamento parimenti variabile, con punte massime nel 2012 (17,3 per cento) e minime nel 2011 (-8,8 per cento). Nel 2015 si è attestato al 10,9 per cento, con un aumento di 0,8 punti percentuali rispetto al 2014. Tale risultato è imputabile, in presenza di una diminuzione del rendimento degli attivi (da 4,4 a 3,1 per cento), al miglioramento del rendimento della gestione assicurativa (da -3,9 a 2,6 per cento), alla riduzione dell’impatto fiscale sugli utili (da 26 a 23 per cento), all’aumento della leva finanziaria (da 14,1 a 15,8 per cento) e all’accresciuto rendimento della gestione straordinaria (da 1,5 a 2,7 per cento).

 

NOTE:

[1] L’applicazione del regime di Solvency II è stata preceduta da uno stress test condotto da EIOPA nel 2014 volto ad individuare gli elementi di forza e di vulnerabilità delle compagnie e dei gruppi assicurativi europei. Dalla prova di stress è emerso che il settore assicurativo europeo era sufficientemente capitalizzato e, in situazioni normali, l’86 per cento delle imprese era in grado di coprire almeno il requisito patrimoniale di solvibilità.

[2] Il Regolamento delegato si articola in tre Titoli dedicati, rispettivamente, ai tre pilastri su cui è strutturata la Direttiva Solvency II, ai gruppi assicurativi e all’equivalenza dei paesi terzi e disposizioni finali. Con riferimento al Titolo I, il Regolamento fornisce i dettagli per la valutazione delle attività e passività, per l’ammissibilità degli elementi dei fondi propri idonei a coprire i requisiti di capitale e per il calcolo del requisito in base alla formula “standard”. Detta, inoltre, i principi in tema di sistemi di governance, nonché quelle relative alle funzioni di risk management, compliance, internal audit e attuariale. Infine, definisce la struttura e il contenuto della relazione sulla solvibilità e la condizione finanziaria e della relazione alle autorità di vigilanza.

[3] A fine 2017 le imprese autorizzate a esercitare l’attività assicurativa e riassicurativa in Italia, sottoposte alla vigilanza dell’IVASS, erano 103, di cui 100 nazionali e 3 rappresentanze di operatori esteri con sede legale in paesi non appartenenti allo Spazio Economico europeo (SEE). Rispetto al 2008 il numero di imprese nazionali si è ridotto di 63 unità (-39 per cento), per effetto soprattutto di fusioni per incorporazione. Inoltre, sono autorizzate ad operare sul territorio italiano imprese con sede legale in un altro Stato del SEE, vigilate dalle autorità di supervisione dei rispettivi paesi d’origine. Tra queste, sono autorizzate in regime di stabilimento 103 rappresentanze e sono ammesse a operare in Italia in regime di libera prestazione di servizi 984 imprese.

[4] La Direttiva prevede che le attività siano valutate al fair value, ossia al valore al quale potrebbero essere scambiate tra parti consapevoli e consenzienti in un’operazione svolta alle normali condizioni di mercato. Anche le passività sono valutate al fair value, ossia al valore al quale potrebbero essere trasferite, o regolate, tra parti consapevoli e consenzienti in un’operazione svolta alle normali condizioni di mercato.

[5] La Direttiva prescrive l’obbligo per le compagnie di costituire riserve tecniche a fronte di tutte le obbligazioni assunte nei confronti dei contraenti e dei beneficiari dei contratti sottoscritti. La valutazione delle riserve tecniche deve essere effettuata in modo prudente, affidabile e obiettivo e il loro valore deve essere pari alla somma della migliore stima degli impegni (best estimate) e del margine di rischio (risk margin). La best estimate corrisponde al valore attuale atteso dei flussi di cassa futuri relativi ai contratti sottoscritti; il risk margin, invece, è pari al costo necessario per mantenere libere da altri impieghi le risorse dell’impresa assicurativa.

[6] La nuova Direttiva, a differenza del previgente impianto normativo, che prevedeva espressamente le categorie di investimenti ammissibili e limiti massimi agli investimenti, riconosce alle compagnie assicurative una maggiore autonomia nella scelta degli investimenti. Oggi, infatti, le imprese effettuano gli investimenti in asset e strumenti finanziari in base al “principio della persona prudente” (prudent person principle), secondo cui l’attività di investimento deve essere svolta nel rispetto dei criteri di sicurezza, liquidità, redditività e diversificazione. È quindi importante che l’impresa abbia la capacità di identificare, monitorare, gestire e controllare i rischi adeguatamente, al fine di garantire sicurezza, liquidità e redditività del portafoglio nel suo complesso. Va soggiunto che la Direttiva prescrive che le attività detenute a copertura delle riserve tecniche siano adeguate alla natura e alla durata delle passività e siano in grado altresì di realizzare il miglior interesse dei contraenti e dei beneficiari, tenendo conto degli obiettivi strategici resi noti dall’impresa.

[7] L’autorizzazione all’uso di modelli interni viene concessa previa verifica del rispetto di alcune condizioni, tra cui: i) largo impiego del modello nel sistema di gestione dei rischi e nei processi di allocazione del capitale economico; ii) requisiti minimi di qualità statistica; iii) predisposizione, da parte dell’impresa, di una procedura di convalida del modello interno; iv) calibrazione del modello in coerenza con il livello di protezione degli assicurati che il SCR vuole garantire; v) adeguata documentazione in ordine alla struttura e ai dettagli operativi del modello.

[8] Il rischio operativo è il rischio di perdite derivanti dall’inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure interne, risorse umane o sistemi, oppure da eventi esogeni. Esso include i rischi legali ma non i rischi derivanti da decisioni strategiche e i rischi di reputazione.

[9] Il rischio di sottoscrizione è il rischio di perdita o di variazione sfavorevole del valore delle passività assicurative dovuto ad ipotesi inadeguate in materia di fissazione di prezzi e di costituzione di riserve.

[10] Il VA consiste in un innalzamento parallelo della curva dei tassi di interesse utilizzata per valutare le passività di bilancio a fronte di una variazione degli spread sui titoli obbligazionari. Tale aggiustamento provoca una diminuzione del valore delle passività di bilancio che compensa la riduzione dell’attivo dovuta all’incremento degli spread sui titoli in portafoglio. Cfr. Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, n. 1/2017.

[11] Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, op. cit.

[12] Per maggiori ragguagli cfr. Cappiello A., L’impresa di assicurazione, Franco Angeli.

[13] IVASS, Solvency II, Novembre 2016.

[14] Il fabbisogno di solvibilità globale indica il complesso delle misure di gestione dei rischi (inclusi i presidi patrimoniali) che la compagnia ritiene necessarie.

[15] Il SCR ratio è dato dal rapporto tra i fondi propri ammissibili e il Solvency Capital Requirement.

[16] ANIA, Relazione annuale 2017-2018.

[17] L’analisi è stata condotta dall’ANIA su tutte le imprese italiane e le rappresentanze stabilite in Italia di imprese extra-europee. Cfr. ANIA, Trends, Focus Return On Equity, 27.7.2016.

 



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