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Di Marco Solferini
18 aprile 2005
Premessa
I recenti scandali finanziari hanno posto in lucida evidenza non solamente le scarse garanzie prestate dagli intermediari finanziari, in termini di professionalità e di informazione, nei confronti degli investitori, ma anche la fallacità e la eccessiva semplicità a distorcere la realtà, che il meccanismo dell’investimento in sé considerato, può comportare.
E’ sempre difficoltoso e spesso controproducente processare un sistema, ma è evidente a tutti che lo stesso ha in parte consentito una maggiore aleatorietà nel rapporto con il cliente ed è pertanto legittimo interrogarsi su come vengano processati gli investimenti, al di là della scrittura di un contratto, della sottoscrizione e della mediazione di uno o più soggetti che si interpongono fra la volontà, la proposta e la funzionalità che quest’ultima acquisisce quando si verifica il materiale passaggio di danaro. La riflessione non riguarda solo le obbligazioni, ma anche i fondi di investimento e i singoli titoli azionari e l’interrogativo che ci si pone è: “esistono tecniche di compravendita prodotti finanziari che più di altre espongono il cliente a un rischio di insolvenza e di eventuale perdita nel capitale investito? Se si, è lecito riproporre queste tematiche nei medesimi atti giuridici che chiedono annullamento o nullità dei contratti adducendo l’utilizzo di tecniche meno adeguate al profilo dell’investitore se non, a volte, tese a raggirarne la comune volontà?”
Nel proseguo analizzo il profilo di una tecnica denominata “mediazione al ribasso”.
Indice
Il presente lavoro si compone di due parti:
Prima parte: La mediazione al ribasso come tecnica di acquisto di prodotti finanziari.
Seconda parte: Il profilo di responsabilità dell’intermediario come tracciato dal legislatore.
Conclusioni e valutazioni.
Prima Parte: La mediazione al ribasso come tecnica di acquisto di prodotti finanziari.
La Cassazione, con sentenza 8 luglio 2004 n.12567: “Non è sufficiente un nesso occasionale fra i negozi, ma è necessario che il collegamento dipenda dalla genesi stessa del rapporto cioè che uno dei due negozi trovi la propria causa e non il semplice motivo nell’altro nonchè dell’intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi instaurandosi, tra di essi, una connessione teleologica, soltanto se la vicenda di collegamento si sia obiettivata nel contenuto dei diversi negozi potendosi ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell’altro”
Una tecnica utilizzata con discreta frequenza nell’ambito degli investimenti sui mercati regolamentati, in larga parte conosciuta agli addetti ai lavori nel merito di quelli azionari, relativamente alle quote di fondi comuni di investimento, è nota come “mediare al ribasso”.
Un esempio consente di meglio comprenderne i contenuti, laddove si tenga sempre presente che la metodologia finanziaria anticipa quasi sempre, nella pratica, la stesura dei libri di testo. Chi ha svolto in proprio l’attività di “trader” sui mercati è consapevole che spesso le tecniche di investimento nascono similarmente alle invenzioni e non a caso i più grandi trader italiani, attualmente impegnati con contratti di consulenza per alcune delle principali case d’affari italiane ed estere, raramente provengono dall’ambito economico in senso stretto.
Non è quindi inipotizzabile che un metodo oggi seguito da centinaia di istituti di credito, a livello di rendimento e di performance, sia nato qualche mese or sono in casa di un privato cittadino, dedito al trading casalingo. E’ auspicabile che presto o tardi anche nelle cause inerenti al diritto dei mercati finanziari si indaghi la storia di una tecnica di investimento con la stessa “voglia” con la quale si cercano le sentenze rappresentanti i precedenti in merito a vicende similari.
Supponiamo che Tizio, persona fisica, acquisti un determinato prodotto finanziario ad un valore X e che successivamente lo stesso scenda al di sotto di quel valore fino a raggiungere la cifra Y, orbene su suggerimento del proprio consulente finanziario, spesso il promotore, Tizio si trova di fronte ad una scelta che può sintetizzarsi in tre ipotesi di seguito esposte:
1) restare in attesa di un eventuale recupero del valore del prodotto.
2) venderlo e fare propria la minusvalenza.
3) comperare un altra quantità del medesimo prodotto al costo di Y.
Quest’ultima ipotesi trae la sua origine da un ragionamento di fondo che è il seguente: se il prodotto recupera una parte del valore perso, il secondo investimento, al prezzo Y aumenterebbe e andrebbe in guadagno, mentre il primo investimento al prezzo X recupererebbe una parte delle perdite.
Sempre attraverso un esempio dal valore semplicistico, meramente didattico, supponiamo che Tizio abbia comperato il prodotto finanziario Alfa al prezzo di 100. Tre mesi dopo esso vale 80. Tizio compera un altra quantità del prodotto Alfa al prezzo di 80. Tre mesi dopo il prodotto vale 90. Tizio ha perso 10 dal primo investimento e ha guadagnato sempre 10 dal secondo. Ha mediato le perdite c.d. average down)
La mediazione al ribasso generalmente avviene quando si compera nuovamente un prodotto già presente nel portafoglio dell’investitore e in calo rispetto al prezzo d’acquisto. Attenzione: non necessariamente è un operazione sbagliata, lo diventa nel momento in cui non sussistono presupposti causali a giustificazione della stessa. Un altro esempio è chiarificatore: supponiamo che il primo acquisto non sia andato come sperato, i corsi di valore si sono depressi, nuovi supporti e nuove resistenze sono stati tracciati per quel prodotto finanziario[1], nel caso in cui il valore reale del prodotto giustifichi un ipercomprato è altresì probabile che si verifichi un “bottom up”[2] come pure in prossimità di un “break even”[3]. Circostanze cioè che nella logica sottesa, in parte alla diversificazione e in parte alla massimizzazione del guadagno, per il cliente legittimano anche una tecnica di mediazione al ribasso, pur se costantemente assolta in piena trasparenza informativa nei confronti del cliente stesso, nel cui interesse la gestione è realizzata.
Evidenziamo alcuni profili dell’operazione di mediazione al ribasso prima di ritornare alla sentenza della Cassazione:
1) A proporre questa ipotesi di solito è il promotore finanziario che agisce in conflitto di interessi se matura un bonus, percentuale o quant’altro che per esso significhi una gratificazione reddituale o patrimoniale, aggiuntiva al suo stipendio nel momento in cui riesca a vendere più prodotti, servizi o raggiungere un determinato target.
2) Il mero andamento legato al valore di un prodotto dev’essere adeguatamente conosciuto nell’intima sostanza che legittima la proposta del nuovo acquisto, che non può trovare esclusiva ragion d’essere nel cattivo andamento del primo investimento. Ci vogliono cioè dei presupposti non solo economici, finanziari, ma anche logici, inerenti all’andamento del mercato. Nella specie è da escludersi un sentimento generalizzato che i mercati scendono da molto tempo e non possono continuare a farlo in eterno.
3) Il tempo trascorso fra il primo ed il secondo investimento necessità di un adeguata comprensione in rapporto alle reali esigenze dell’investitore.
Sintetizziamo quanto sopra in un altro esempio. Tizio ha da parte un patrimonio di 200.000 euro, in parte dovuto ad eredità di carattere familiare ed in altra misura riveniente dall’attività imprenditoriale di una piccola impresa a gestione familiare che gli ha permesso di accumulare questa disponibilità liquida. Desidera comperare un prodotto finanziario. Si rivolge al suo promotore di fiducia per il tramite della divisione “private” della propria banca referente. Il promotore o fisserà un incontro presso il proprio locale o si recherà di persona, ma il contatto avverrà quasi sempre a mezzo telefono, nel senso che sarà il promotore stesso a chiamare il cliente, quantunque la richiesta di un primo contatto del cliente sia stata effettuata a mezzo fax o email.
Questo passaggio è importante laddove si comprenda che l’avere un patrimonio, grande o piccolo, da parte e l’avere intenzione di approfondire quali siano o meno le opportunità di investimento, non significa desiderare investire. Un individuo con un portafoglio pieno di ricchi euro che entra in un negozio di abbigliamento e osserva la merce è solo potenzialmente un compratore, ma prima di diventarlo occorre un passaggio: dall’essere interessati a conoscere, all’essere potenzialmente interessati a comperare.
In questo caso il promotore con il mezzo telefono dà per scontato che si fisserà un incontro e del resto il cliente stesso non potrebbe agevolmente rifiutare opponendo un no grazie dato che l’impulso è partito da lui. Se in un negozio il cliente può allontanare il commesso e rimanere padrone delle proprie scelte, nel caso del promotore finanziario ciò non accade e il cliente è subito procacciato dal suo “Virgilio accompagnatore”.
Il distinguo fra la mera conoscenza e l’interesse a comperare è più sottile.
Riflettiamo sul fatto che per molti anni nelle filiali di banca non c’erano sedie sulle quali far sedere i clienti in fila indiana (tragicamente spesso non ci sono nemmeno negli uffici per le notifiche o in Tribunale malgrado molti avvocati siano in età avanzata e ne necessiterebbero) ed è stato generalmente ribadito come l’ambiente in filiale era apatico di comprensione e calore umano per il cliente, il quale versava in un ruolo di sudditanza sia per quanto concerne la figura del cassiere come pure per la struttura stessa, con lo sguardo di persone in fila, spesso affrettate e pronto a colpevolizzare la sua ignoranza di fronte ad una semplice quanto legittima richiesta di chiarimenti.
Riflettiamo su questo passaggio. Comunicazioni e chiamata telefonica.
Il sistema bancario è assai consapevole di questo momento genetico del distinguo, difatti da più parte si comincia a sentire parlare sopratutto di genesi del rapporto di gestione o di amministrazione e ad ulteriore prova di quanto precisato si segnala un passaggio contenuto nella direttiva 2004/39/EC (c.d. ISD II) che alla voce “considerando” n.30 precisa che “un servizio dovrebbe essere considerato come svolto ad iniziativa del cliente a meno che non sia effettuato in risposta ad una comunicazione personalizzata da parte o per conto dell’intermediario rivolta a quello specifico cliente, che contenga un invito o comunque sia indirizzata ad influenzare il cliente con riferimento ad uno specifico strumento finanziario a ad una specifica transazione. Un servizio può essere considerato ad iniziativa del cliente anche se il cliente lo richieda sulla base di una comunicazione contenente una promozione o offerta di strumenti finanziari effettuata attraverso ogni mezzo e rivolta al pubblico o ad un ampio gruppo di investitori o una determinata categoria di clienti o di potenziali clienti”. Pare abbastanza evidente come si voglia addossare maggiore responsabilità in capo all’investitore.
Ritorniamo all’esempio fin qui seguito: Tizio accetta e si presenta all’ora prestabilita presso l’ufficio del promotore si siedono, scambiano alcune battute e si passa all’illustrazione dei prodotti disponibili. Non è questa la sede per approfondire il profilo inerente all’adeguata conoscenza del prodotto poiché trattasi di materia differente. Interessa per il momento focalizzarci sul primo contatto. Si rammenti che in questa fase, sulla scia del principio enunciato nell’art. 21 del Tuf (Testo Unico della Finanza) c.d. “know your customer” la diligenza richiesta all’intermediario sarà quella professionale e non la semplice ordinaria diligenza laddove è evidente la professionalità dell’erogatore del servizio e la sua natura di impresa[4] ed è la stessa giurisprudenza ad aver elaborato (Cass. 4571/1992) il concetto di “bonus argentarius” in tema di diligenza richiesta ad un istituto di credito pari a quella di chi esercita istituzionalmente e professionalmente una determinata attività sulla scorta del quale ricollegarci ai principi inerenti alle regole di generale applicazione che trovano, fra l’altro, la loro fonte nell’art. 11 della dir. 93/22 Cee (nonché nel citato art. 21 Tuf e regolamento Consob 11522). Il momento della consultazione, attesa l’attività di promozione che svolge il promotore, è colleganza e soprattutto è certamente abbracciata da quanto sopra previsto In primissimo luogo va contestata l’idea che un interessamento a titolo di mera conoscenza circa la possibilità di investimento di una somma, possa considerarsi un mandato per la successiva esposizione dei contenuti ad opera del promotore finanziario, ivi compresa la sottoposizione da parte dello stesso di un elenco, su carta intestata o meno, nel quale figurano i relativi costi dei prodotti finanziari (ipotesi che tuttavia la Consob ha ritenuto legittima per poi correggere brevemente il tiro quando ha ritenuto non altrettanto praticabile una vendita del prodotto finanziario sul mercato secondario a breve distanza dall’acquisto da parte dell’intermediario o a prezzi e condizioni uniformi o comportamenti tipicamente sollecitatori; il che in sostanza, consentendo il “foglietto”, ma non quanto sopra crea difficoltà giacché il meccanismo del consorzio di collocamento a fermo e garanzia non si comprende come potrebbe operare a distanza di tempo e in che misura). Nel momento in cui il promotore ha posto in essere una simile attività è ovviamente chiamato in causa l’istituto per il quale si adopera, la banca stessa, eventualmente nella sua divisione “private” giusto il disposto previsto dall’art. 2049 del codice civile circa la responsabilità dei padroni e dei committenti come riproposto dal Trib. di Lecce con sentenza 6 settembre 2004: “la società di intermediazione mobiliare che abbia conferito mandato al promotore finanziario è solidalmente responsabile del danno cagionato da questi al risparmiatore” che conferma l’orientamento già emerso in precedenza in Cass. 10580/2002; 6233/1999; 4790/1999 laddove si riconosce in capo alla società di intermediazione mobiliare una responsabilità di tipo oggettivo ai sensi dell’art. 2049 anche in presenza di un comportamento doloso del promotore che anziché tutelare gli interessi del consumatore abbia agito in suo danno. E’ evidente che l’incaricato della banca non ha circoscritto il suo compito ad una mera e supina ricezione di ordini, ma si è interposto in quella che non può che essere qualificata come un attività di consulenza tesa a massimizzare il profitto e la soddisfazione del cliente, in ottemperanza al principio di “best execution”.
Seconda Parte: Il profilo di responsabilità dell’intermediario come tracciato dal legislatore.
Il tribunale di Monza è altrettanto chiaro nell’esplicitare il concetto in base al quale: “sebbene il cattivo esito di un operazione di investimento non sia di per sé indice di una responsabilità dell’intermediario finanziario, nel caso in cui il cliente agisca per chiedere il risarcimento dei danni subiti allegando una specifica negligenza dell’intermediario, spetta quest’ultimo dimostrare la insussistenza del profilo di negligenza contestato”. Orbene è indubbio che tale dimostrazione muova i passi inizialmente dal presupposto stabilito a livello di principio generale con l’art. 21 del Tuf:
“1. Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono:
a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati;
b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;
c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento;
d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi;
e) svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.
2. Nello svolgimento dei servizi le imprese di investimento, le banche e le società di gestione del risparmio possono, previo consenso scritto, agire in nome proprio e per conto del cliente”.
Nonché degli articoli 28: “1. Prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono:
a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore;
b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’Allegato n. 3.
2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento.
3. Gli intermediari autorizzati informano prontamente e per iscritto l’investitore appena le operazioni in strumenti derivati e in warrant da lui disposte per finalità diverse da quelle di copertura abbiano generato una perdita, effettiva o potenziale, pari o superiore al 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e garanzia per l’esecuzione delle operazioni. Il valore di riferimento di tali mezzi si ridetermina in occasione della comunicazione all’investitore della perdita, nonché in caso di versamenti o prelievi. Il nuovo valore di riferimento è prontamente comunicato all’investitore. In caso di versamenti o prelievi è comunque comunicato all’investitore il risultato fino ad allora conseguito.
4. Gli intermediari autorizzati informano prontamente e per iscritto l’investitore ove il patrimonio affidato nell’ambito di una gestione si sia ridotto per effetto di perdite, effettive o potenziali, in misura pari o superiore al 30% del controvalore totale del patrimonio a disposizione alla data di inizio di ciascun anno, ovvero, se successiva, a quella di inizio del rapporto, tenuto conto di eventuali conferimenti o prelievi. Analoga informativa dovrà essere effettuata in occasione di ogni ulteriore riduzione pari o superiore al 10% di tale controvalore.
5. Gli intermediari autorizzati mettono sollecitamente a disposizione dell’investitore che ne faccia richiesta i documenti e le registrazioni in loro possesso che lo riguardano, contro rimborso delle spese effettivamente sostenute”.
e art. 29 del Regolamento Consob 11522: “1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione.
2. Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’articolo 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati.
3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.
Circa il contenuto della lett. A) di cui all’art. 21 comma 1° è bene precisare quanto disposto proprio a salvaguardia della stabilità ed efficienza del mercato dal coordinamento d ell’art. 25 del Tuf[5] in coordinamento con l’art. 94[6] sempre del Tuf in tema di sollecitazione all’investimento e contestualizzando la disciplina prevista con la previsione dell’art. 129 del Tub[7] fermo restando che la stessa disciplina della sollecitazione subisce delle deroghe così come riportate dall’art. 100 del Tuf[8].
Conclusioni e valutazioni
In sostanza trattasi di emissioni, quelle inerenti alle obbligazioni ad alto tasso di rischio che venivano fatte al di fuori del territorio italiano, per il tramite di società veicolo all’uopo costituite e il cui collocamento avveniva attraverso il meccanismo dei sindacati o consorzi di collocamento, su un circuito di investitori privati, a fermo e garanzia, ovviamente quest’ultimo presupponeva che successivamente le banche rivendessero, ai propri clienti, i prodotti in parcheggio e nel farlo di solito, alle violazioni dei doveri di informazione, laddove per una contropartita diretta, non sollecitata e trasparente, si dovrebbe quantomeno avere espresso al cliente tutto quanto in precedenza riportato, si aggiunge l’agire del promotore il cui scopo sostanzialmente è vendere, vendere e vendere. Non è questa la sede per sindacare i contenuti del termine “pubblico” a livello definitorio o il fatto che gli istituti di credito fossero in possesso di documenti accompagnatori inerenti ai prodotti finanziari, c.d. “offering circular” i cui contenuti, nella più gran parte dei casi, non venivano nemmeno tradotti in italiano quando erano sottoposti all’attenzione del cliente. In sé la violazione è già stata compiuta nel momento in cui l’offerta, approdata per il tramite della collocazione privata ad una sollecitazione sul territorio italiano, non conforme ai criteri di informativa necessari e altresì in aperta violazione della direttiva 2003/71/CE del 4 novembre 2003 nota come direttiva sul prospetto, (reca i principi di armonizzazione minima applicabili nella redazione dei prospetti da pubblicare per l’offerta pubblica). È stata piazzata presso i clienti della banca.
La scarsa trasparenza nell’informazione resa al cliente, che con pedissequa analogia di forme, entra a pieno diritto nella stragrande maggioranza degli atti giuridici in tema di diritto bancario, non è che una realtà simile ad una punta di iceberg. Qualora si ponderasse in modo adeguato apparirebbe evidente come la stessa Nuova (super) Consob è la testimone più evidente della violazione dei diritti dei risparmiatori, l’intero progetto di riforma dell’istituto, la normativa europea in essere nonché in fase di realizzazione, sono una diretta conseguenza di un meccanismo fondato su di una mendacità apparente e tollerata, all’interno della quale c’è la violazione del diritto alla trasparenza informativa, ma è una componente del più grande puzzle istruito per accrescere una clientela operaia che con l’istituto bancario diventa gregge da indirizzare.
Il concetto di “controllo e di assuefazione condivisa del meccanismo” passa per il tramite di una condiscendenza a ciò che sarebbe motivo di gravame e legittimerebbe persino una richiesta di risarcimento su operazioni andate a buon fine laddove si riflettesse che le stesse non sarebbero state concluse. L’elemento del danno è certamente la causa scatenante, ma non si può dimenticare che il “sistema” di controllo sull’allocazione delle risorse è nato in un momento di vacche grasse che dovrebbe essere interrogato al fine di conoscere i come e i perchè; se lo facessimo prevederemmo i futuri scandali che già oggi sono facilmente ipotizzabili, a meno di una sostenuta ripresa dei consumi e del Pil.
Se volete conoscere quando una società quotata comincia a non andare troppo bene è sufficiente guardare al momento in cui la stessa incomincia ad adottare nuove metodologie di bilancio.
Il bilancio aziendale si basa su di una serie di componenti la cui aggregazione, con le medesime voci può dare risultati differenti, una società che per 10 anni ha adottato lo stesso metodo e che negli ultimi 2-3 lo cambia, a volte persino da una trimestrale ad una semestrale, è indice spesso di difficoltà economica. Anche il modo con il quale certune notizie sono riprese, in quanto eventi al di fuori della norma, straordinari laddove si rifletta che la eccezionalità di solito è percepita come occasionalità dal consumatore, il quale pensa che di tanto in tanto ci sono sempre i “furbi” e i terremoti sono l’ovvia conseguenza della loro finta genialità, anche questa metodologia, per quanto certamente condivisibile nel voler evitare falsi allarmismi, è tuttavia faziosa se rapportata al reale interesse di conoscere che ha il cliente.
Chi scrive è convinto che spesso il cliente non voglia conoscere la verità e processare alcuni nomi altisonanti della finanza nostrana altro non significa che assolvere, in area cesarina, il sistema stessa che li ha originati. Noi siamo bravi, come Paese, alla caccia alle streghe perchè in sostanza è un modo per non colpevolizzare nessuno e permettere alla massa ben pensante di puntare un indice e dire: “quello è un uomo cattivo” (citazione dal celebre film Scarface) così poi ciascuno può dormire sonni più o meno tranquilli. Personalmente ritengo che il cliente quando si rivolge alla banca voglia guadagnare e che per farlo, fra gli interessi che spera di percepire, c’è anche l’attendersi un pò di ipocrisia e di falsità. Non si è ancora compreso il motivo del perchè la banca dovrebbe negargli questo suo diritto. Al momento tuttavia è ininfluente perchè i risparmiatori sono molto arrabbiati e hanno il diritto, millenario, jus prima ancora che codice, dalla loro parte, quindi possono con legittimità recarsi dal proprio legale di fiducia ed avviare l’iter che porti al risarcimento, domandando, in sostanza, al sistema giudiziario italiano quello che poco tempo prima hanno chiesto al sistema bancario: guadagnare e/o recuperare.
Appare evidente che non si possa muovere, di contro, a sfavore del cliente l’ipotesi che la banca è semplice esecutrice degli ordini impartiti e che si limita a sottoporre al cliente un foglio nel quale specificare il profilo di rischio. In merito a quest’ultimo infatti è già stato chiarito che la mancata menzione dello stesso non vuol attribuire al cliente un profilo di rischio medio[9] come pure che lo stesso cliente potesse conoscere l’operazione in sé compiuta perchè già in precedenza è stato investitore, anche se a titolo speculativo. Appare da un lato evidente che niente giustifica, per la banca, il tacere informazioni che il cliente invece dovrebbe conoscere, come pure che la stessa adduca di avere eseguito l’ordine a mezzo contatto telefonico, successivamente all’incontro propositivo svoltosi con il cliente (a beneficio di quanti si trovano ad affrontare la probità della registrazione su supporto magnetico si rammenti che questa dev’essere mantenuta per due anni).
Un ringraziamento speciale al Professor Renzo Costi per essere stato il mio relatore durante la tesi di laurea in Diritto dei Mercati Finanziari con titolo: L’attività di collocamento dei prodotti finanziari.
[1] Il movimento del prezzo nel tempo permette di determinare certi valori che assumono una particolare importanza. Questi livelli di prezzo indicano le linee di supporto e di resistenza.Il supporto è quel livello di prezzo in corrispondenza del quale vi è una concentrazione di domanda tale, da opporsi alla discesa delle quotazioni per un periodo di tempo significativo. La resistenza è esattamente l’opposto.Essa è descrivibile come quel livello di prezzo al quale ci si può attendere un aumento del volume di vendita sufficiente a contrastare quelli d’acquisto, così da impedire la salita delle quotazioni per un certo intervallo di tempo. E’ importante analizzare tre elementi. Il primo è il volume: un alto quantitativo di scambi trattati in vicinanza, ad esempio, di una linea di resistenza, è composto dalle vendite di chi in precedenza a quei medesimi livelli era entrato sul mercato e che ora che il prezzo è ritornato a quel livello vuole uscire dal mercato senza subire perdite. Chiaramente maggiori sono i volumi e più significativa sarà la zona interessata.Il secondo elemento è dato dallo spazio tra la linea di supporto e quella di resistenza. L’affidabilità e l’ energia delle due zone si amplifica con l’aumentare della loro distanza, in quanto il movimento perde di vigore nello spingersi alla linea opposta a quella di partenza.Anche il tempo è un parametro importante per valutare la forza di una resistenza o di un supporto potenziale,è soprattutto il tipo di mercato che nel frattempo si è creato. (Fonte: www.performancetrading.it).
[2] Bottom (minimo). Questo termine, in una sequenza consecutiva di dati, sta ad indicare il punto minimo, come il valore minimo toccato da un indicatore di attività economica (si parla in tal caso di minimo del ciclo economico), o il prezzo minimo di un titolo in un certo intervallo di tempo.
Bottom-up. Metodo di selezione di portafoglio che privilegia titoli le cui quotazioni appaiono sottovalutate rispetto ai fondamentali societari.
[3] Break even. Nelle attività speculative e operative in genere è usato per indicare il livello di uscita da un’operazione allo stesso prezzo dell’apertura, senza conseguire ne guadagni ne perdite al netto delle commissioni.
Break even. Termine genericamente usato per designare un criterio di confronto tra due strategie d’investimento. Il break even è il valore al quale due attività finanziarie divengono ugualmente profittevoli. Se riferito a opzioni, warrants o CWs, rappresenta invece il livello del prezzo del sottostante che rende il payoff dell’investimento pari a zero.
[4] Così I Contratti. Ed. Ipsoa n.02/2005, ma anche Prof. Avv. Pres. CNF Guido Alpa in “Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”
[5] 1. Le Sim e le banche italiane autorizzate all’esercizio dei servizi di negoziazione per conto proprio e per conto terzi possono operare nei mercati regolamentati italiani, nei mercati comunitari e nei mercati extracomunitari riconosciuti dalla Consob ai sensi dell’articolo 67. Le imprese di investimento comunitarie ed extracomunitarie e le banche comunitarie ed extracomunitarie autorizzate all’esercizio dei medesimi servizi possono operare nei mercati regolamentati italiani.
2. La Consob può disciplinare con regolamento le ipotesi in cui la negoziazione degli strumenti finanziari trattati nei mercati regolamentati italiani deve essere eseguita nei mercati regolamentati; in tale eventualità, conformemente alla normativa comunitaria, stabilisce le condizioni in presenza delle quali l’obbligo non sussiste.
3. Il comma 2 non si applica alle negoziazioni aventi a oggetto titoli di Stato o garantiti dallo Stato.
[6] 1. Coloro che intendono effettuare una sollecitazione all’investimento ne danno preventiva comunicazione alla Consob, allegando il prospetto destinato alla pubblicazione.
2. Il prospetto contiene le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dei prodotti finanziari e degli emittenti, sono necessarie affinché gli investitori possano pervenire a un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sull’evoluzione dell’attività dell’emittente nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti.
3. Quando la sollecitazione riguarda prodotti finanziari non quotati né diffusi tra il pubblico ai sensi dell’articolo 116, la pubblicazione del prospetto è autorizzata dalla Consob secondo le modalità e nei termini da essa stabiliti con regolamento. Negli altri casi, la Consob, entro quindici giorni dalla comunicazione, può indicare agli offerenti informazioni integrative da inserire nel prospetto e specifiche modalità di pubblicazione dello stesso. Decorso tale termine, gli offerenti possono procedere alla pubblicazione.
4. Gli offerenti hanno facoltà di chiedere il rilascio dell’autorizzazione prevista dal comma 3, ai fini del riconoscimento all’estero del prospetto pubblicato in Italia.
5. Tenuto anche conto delle caratteristiche dei singoli mercati, la Consob, su richiesta della società di gestione del mercato, può affidarle compiti inerenti al controllo del prospetto per sollecitazioni all’investimento riguardanti strumenti finanziari quotati ovvero oggetto di domanda di ammissione alla quotazione in un mercato regolamentato.
[7] 1. Le emissioni di valori mobiliari e le offerte in Italia di valori mobiliari esteri di importo non superiore a cento miliardi di lire o al maggiore importo determinato dalla Banca d’Italia sono liberamente effettuabili ove i valori mobiliari rientrino in tipologie previste dall’ordinamento e presentino le caratteristiche individuate dalla Banca d’Italia in conformità delle deliberazioni del CICR. Nel computo degli importi concorrono tutte le operazioni relative al medesimo emittente effettuate nell’arco dei dodici mesi precedenti.
2. Le emissioni di valori mobiliari e le offerte in Italia di valori mobiliari esteri non liberamente effettuabili ai sensi del comma 1 sono comunicate alla Banca d’Italia a cura degli interessati.
3. La comunicazione indica le quantità e le caratteristiche dei valori mobiliari nonché le modalità e i tempi di svolgimento dell’operazione. Entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione la Banca d’Italia può chiedere informazioni integrative.
4. L’operazione può essere effettuata decorsi venti giorni dal ricevimento della comunicazione ovvero, se richieste, delle informazioni integrative. Al fine di assicurare la stabilità e l’efficienza del mercato dei valori mobiliari, la Banca d’Italia, entro il medesimo termine di venti giorni, può, in conformità delle deliberazioni del CICR, vietare le operazioni non liberamente effettuabili ai sensi del comma 1 ovvero differire l’esecuzione delle operazioni di importo superiore al limite determinato ai sensi del medesimo comma 1.
5. Le disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3, 4 e 6 non si applicano:
a) ai titoli di Stato o garantiti dallo Stato;
b) ai titoli azionari, sempreché non rappresentativi della partecipazione a organismi d’investimento collettivo di tipo chiuso o aperto;
c) all’emissione di quote o titoli rappresentativi della partecipazione a organismi d’investimento collettivo nazionali;
d) alla commercializzazione in Italia di quote o titoli rappresentativi della partecipazione a organismi di investimento collettivo situati in altri paesi dell’Unione Europea e conformi alle disposizioni dell’Unione.
6. La Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, può individuare, in relazione alla quantità e alle caratteristiche dei valori mobiliari, alla natura dell’emittente o alle modalità di svolgimento dell’operazione, tipologie di operazioni sottratte all’obbligo di comunicazione ovvero assoggettate a una procedura semplificata di comunicazione.
7. La Banca d’Italia può richiedere agli emittenti e agli offerenti segnalazioni consuntive riguardanti i valori mobiliari collocati in Italia o comunque emessi da soggetti italiani. Tali segnalazioni possono riguardare anche operazioni non soggette a comunicazione ai sensi dei commi 1, 5 e 6.
8. La Banca d’Italia emana disposizioni attuative del presente articolo
[8] 1. Le disposizioni del presente capo non si applicano alle sollecitazioni all’investimento:
a) rivolte ai soli investitori professionali come definiti ai sensi dell’articolo 30, comma 2;
b) rivolte a un numero di soggetti non superiore a quello indicato dalla Consob con regolamento;
c) di ammontare complessivo non superiore a quello indicato dalla Consob con regolamento;
d) aventi a oggetto strumenti finanziari emessi o garantiti dallo Stato italiano, da uno Stato membro dell’Unione Europea o emessi da organismi internazionali a carattere pubblico di cui facciano parte uno o più Stati membri dell’Unione Europea;
e) aventi a oggetto strumenti finanziari emessi dalla Banca Centrale Europea o dalle banche centrali nazionali degli Stati membri dell’Unione Europea;
f) aventi a oggetto prodotti finanziari emessi da banche, diversi dalle azioni o dagli strumenti finanziari che permettono di acquisire o sottoscrivere azioni, ovvero prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione.
2. La Consob può individuare con regolamento altri tipi di sollecitazione all’investimento ai quali le disposizioni del presente capo non si applicano in tutto o in parte
[9] I contratti. Ed. Ipsoa n.1/2005
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