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Di Maura Castiglioni, Avvocato
novembre 1999
Il segreto bancario, inteso quale obbligo della banca alla riservatezza e reso vincolante da una pratica costantemente seguita nei rapporti con i clienti, nell’ambito del processo penale non è di regola opponibile al magistrato inquirente in quanto l’interesse alla repressione della criminalità, determinando l’attribuzione di ampi poteri istruttori all’autorità giudiziaria, ne legittima un limitato riconoscimento.
Per quanto attiene all’obbligo di deporre, dal quale nessuno può sottrarsi eccettuati i casi espressamente indicati dalla legge, l’art. 200 c.p.p. ne dispone un temperamento laddove sancisce la facoltà di astensione invocando il segreto professionale, solo per le categorie di soggetti tassativamente elencati tra i quali comunque non risultano i funzionari di banche: ne discende l’impossibilità di considerare il segreto bancario quale segreto professionale. Né tantomeno lo stesso risulta essere incluso nel dovere di astenersi dal testimoniare su notizie coperte dal segreto d’ufficio di cui all’art. 201 c.p.p.
L’art. 255 c.p.p. concretizza probabilmente l’unica fattispecie codificata del limite al segreto bancario attribuendo all’autorità giudiziaria la facoltà di procedere al sequestro di titoli, valori, somme depositate in conto corrente e di ogni altra cosa depositata, anche se contenuta in cassette di sicurezza, presso banche, quando la stessa autorità ritenga che siano pertinenti al reato, quantunque non appartengano all’imputato o non siano iscritti a suo nome. Tale limite all’obbligo di riservatezza imposto alle banche risulta particolarmente pregnante in quanto discende unicamente da una mera valutazione dell’autorità giudiziaria circa la pertinenza al reato del materiale oggetto di sequestro.
La libertà di giudizio così attribuita al magistrato è giustificata in ogni caso dal fine dell’interesse alla repressione dei fatti criminosi.
Nell’ambito delle leggi speciali una prima limitazione al segreto bancario in campo penale deriva dalla cosiddetta legge antimafia (legge 13 settembre 1982, n. 646 e legge 19 marzo 1990, n. 55) in base alla quale il procuratore della Repubblica e il questore, a mezzo della polizia tributaria, possono richiedere ad ogni istituto di credito le informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti di soggetti indiziati di appartenenza ad associazioni di stampo mafioso.
La facoltà di sequestro della documentazione è riservata, invece, ex art. 1, comma 6 L.55/90, esclusivamente agli ufficiali di polizia tributaria, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica.
La nuova formulazione del delitto di riciclaggio (art. 648 bis c.p.) ed il delitto di impegno di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648 ter c.p.) così come innovati dalla legge n. 55/90 rendono necessaria una particolare attenzione nell’acquisizione di informazioni relative a qualsiasi movimento finanziario, per verificare l’eventuale provenienza del denaro dai delitti richiamati dalle citate norme.
E’ pertanto a tal proposito che la legge 5 luglio 1991, n 197, impone all’art. 2, comma 1 l’obbligo di identificazione di soggetti che compiano qualunque operazione relativa a movimentazioni di mezzi di pagamento superiori a venti milioni di lire, nonché in genere l’obbligo di identificazione e registrazione delle operazioni relative a qualsiasi movimento finanziario, e ancora all’art. 3 l’obbligo di segnalazione di tutte le operazioni che possano indurre a ritenere un qualunque collegamento con i reati di cui all’art. 648 bis c.p.
Scopo di tali disposizioni è garantire una maggiore consapevolezza dell’operatore finanziario in ordine alla provenienza del denaro e rendere più efficace la difficile lotta al riciclaggio.
Nell’ambito del processo civile il segreto bancario non è sottoposto a particolari limiti, in quanto la tutela d’interessi individuali, a cui il giudice sembra essere preordinato, è ritenuta prioritaria rispetto all’onere di riservatezza che incombe sugli istituti di credito.
Tuttavia per quanto riguarda la deposizione in qualità di teste, l’art. 249 c.p.c. opera un diretto rimando alle disposizioni di cui al codice di procedura penale: è da escludersi dunque per gli stessi motivi sopra esposti una identificazione del segreto bancario con il segreto d’ufficio o con il segreto professionale.
Fanno eccezione solo i funzionari della Banca d’Italia e dell’Ufficio Cambi, che, ai sensi dell’art. 7 T.U., sono pubblici ufficiali tenuti al segreto di ufficio.
Solo un orientamento minoritario ha ritenuto di poter includere il segreto bancario tra quei giustificati motivi di astensione che ex art. 256 c.p.c. legittimerebbero il rifiuto di deporre. In realtà la codificazione dell’art. 256 c.p.c. appare oltre modo generica per poterla ritenere indubbiamente comprensiva del segreto bancario.
Gli artt. 118 e 210 c.p.c. prevedono rispettivamente un ordine di ispezione ed un ordine di esibizione che sembrano imporre dei limiti al segreto bancario, tuttavia non con la stessa facilità che si applica nell’ambito penalistico, nel quale il sequestro ad esempio, come risulta dalle osservazioni di cui sopra, è soggetto ad una valutazione del giudice circa la pertinenza al reato del materiale da sequestrare.
Nell’ambito civilistico invece l’ispezione di cui all’art. 118 c.p.c. può essere ordinata alla banca solo se appaia assolutamente indispensabile per conoscere i fatti della causa.
E ancora, l’ordine d’ispezione è subordinato a quattro requisiti: l’istanza di parte; che l’ispezione sia indispensabile per conoscere i fatti della causa; che possa compiersi senza danno grave per chi deve sentirla; che chi deve consentire l’ispezione non sia costretto a violare uno dei segreti previsti dagli artt. 200 e 201 c.p.p.
Agli stessi requisiti è subordinato l’ordine di esibizione di cui all’art. 210, primo comma, c.p.c. che in ogni caso si ritiene non violi né il diritto di difesa della banca, né quello del cliente, titolare quest’ultimo di un interesse di mero fatto verso l’ordine di esibizione (Corte Appello Milano, 22 luglio 1997).
Un ultimo considerevole limite al segreto bancario è ravvisabile nell’ambito del procedimento di sequestro e pignoramento presso istituti di credito a carico di clienti, laddove si reputa che la banca non possa esimersi dal rendere la dichiarazione ai sensi dell’art. 547 c.p.c. Tuttavia si ritiene che la banca nel rendere la dichiarazione, possa limitarsi a dichiarare se le somme in suo possesso siano sufficienti a soddisfare il credito per cui si procede a pignoramento o sequestro, senza precisare l’ammontare complessivo delle somme di cui è debitrice verso il cliente.
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