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27 Luglio 2020 In Diritto bancario

Il sistema dei confidi in Italia: profili normativi, operativi e di vigilanza

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Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia

 

  1. La funzione economica dei confidi

 I confidi (consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi) sono i soggetti che, ai sensi dell’art. 13, comma 1, del D.L. 269/2003, convertito con modificazioni nella legge 326/2003, svolgono l’attività di rilascio di garanzie collettive dei fidi nei confronti di piccole e medie imprese o dei liberi professionisti associati, al fine di favorirne l’accesso al credito di banche e di altri intermediari finanziari.

I consorzi fidi ricoprono un ruolo molto importante nel processo di concessione del credito: la loro funzione è quella di permettere l’erogazione di finanziamenti anche a quei soggetti considerati troppo rischiosi dagli intermediari bancari.

La teoria dell’intermediazione finanziaria afferma che le banche talvolta non hanno convenienza economica a svolgere le funzioni di raccolta di informazioni e di valutazione del merito creditizio dei richiedenti fido. Tale situazione si manifesta tipicamente nelle relazioni tra banche e piccole e medie imprese, dove queste ultime, a causa delle loro ridotte dimensioni e/o di recente costituzione, non dispongono di una documentazione adeguata ai fini di una compiuta valutazione delle loro condizioni di affidabilità.

In questi casi, alle banche si prospetta una duplice opzione: non concedere il credito ovvero concedere il credito senza operare la valutazione del merito creditizio del cliente. Nel primo caso, la banca rinuncia al profitto derivante dall’operazione di finanziamento. Nel secondo caso, la banca realizza un profitto minimizzando i costi di istruttoria della pratica di fido, ma si assume un rischio molto alto.

In questa situazione, la prestazione di garanzie mutualistiche consente alla banca di: realizzare un profitto, ridurre al minimo i costi di istruttoria, assumere un rischio basso.

La garanzia dei confidi è rappresentata da un fondo consortile al quale contribuiscono tutti soci del consorzio, che è costituito dal capitale sociale e dal fondo di garanzia (o fondo rischi). Il capitale sociale è formato dalle quote sottoscritte dai soci e dai contributi corrisposti da enti sovventori (amministrazioni pubbliche o associazioni imprenditoriali). Il fondo di garanzia è alimentato dai contributi versati dalle imprese associate e da risorse pubbliche (contributi di regioni, delle camere di commercio, ecc.).

Il fondo di garanzia ha una duplice funzione: coprire le perdite derivanti da crediti assistiti da garanzia mutualistica e concorrere alla determinazione dell’importo di credito garantito e quindi erogabile alle imprese. Il fondo può assumere due distinte forme: i) quella di un fondo fideiussorio, costituito dalle garanzie fideiussorie rilasciate dalle imprese associate alle banche convenzionate o da altri enti promotori esterni; e ii) quella di un fondo monetario costituito presso la banca garantita, assimilabile a una garanzia reale, a cui la banca erogatrice del finanziamento può attingere in caso di inadempimento del debitore. I contributi che alimentano il fondo di garanzia monetario provengono dalle imprese socie del Consorzio ed, eventualmente, da soggetti esterni (enti locali, camere di commercio, finanze regionali, Fondo centrale di garanzia per le PMI, ecc.).

Le garanzie erogate dal confidi possono essere sussidiarie o “a prima richiesta”. Nel primo caso, al verificarsi dell’insolvenza del soggetto garantito, la banca finanziatrice avvia tutte le azioni legali necessarie al recupero del credito. Solo successivamente, in caso di mancato (o parziale) rimborso, la banca può attivare la garanzia rilasciata dal confidi, nei limiti della percentuale deliberata, a copertura della perdita effettiva subita. Nel secondo caso, il confidi risponde delle obbligazioni assunte (garanzie rilasciate) al momento del verificarsi dell’insolvenza dell’impresa, e viene escusso a semplice richiesta della banca garantita.

Le garanzie rilasciate dal confidi possono essere dirette e indirette: la co-garanzia e la riassicurazione sono garanzie dirette; la contro-garanzia è un esempio di garanzia indiretta.

Nella co-garanzia si instaura un rapporto contrattuale tra la banca finanziatrice da un lato e il confidi di primo grado (e altri intermediari) dall’altro, ognuno dei quali concede una garanzia pro-quota. In caso di insolvenza sia il confidi sia gli altri co-garanti provvedono al pagamento ognuno per la propria quota di garanzia.

Nella riassicurazione al rapporto contrattuale tra il confidi di primo grado e la banca si aggiunge un altro rapporto contrattuale tra il confidi di primo grado e il confidi di secondo grado (o altro intermediario), il quale si impegna a coprire una quota della garanzia rilasciata dal primo. Al manifestarsi dell’insolvenza, interviene il confidi di primo grado rimborsando la banca per l’intera quota garantita. Successivamente, il confidi escusso chiederà al confidi di secondo grado il rimborso della quota di rischio riassicurata.

Nella contro-garanzia si instaura un rapporto contrattuale tra il confidi di primo grado e il controgarante[1], oppure tra la banca e il controgarante. Qualora si verifichi una doppia insolvenza (sia dell’impresa garantita sia del confidi garante), il controgarante interviene come terzo soggetto effettuando il pagamento dell’obbligazione del debitore originario.

 

  1. Il quadro normativo di riferimento

  Il processo di riorganizzazione del comparto dei confidi ha inizio nel 2003 con l’emanazione del D.L. 269/2003, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326[2] che aveva delineato una triplice ripartizione degli operatori del settore: i) banche di garanzia collettiva fidi, costituite in forma di società cooperativa a responsabilità limitata[3]; ii) confidi maggiori iscritti nell’elenco speciale ex art. 107 TUB, sottoposti a un regime di vigilanza sostanzialmente “equivalente” a quello delle banche; iii) confidi minori iscritti nella sezione dell’elenco generale ex art. 155, comma 4, TUB, che svolgevano esclusivamente attività di garanzia collettiva dei fidi.

La cornice normativa delineata dalla legge-quadro del 2003 e dalle successive disposizioni di legge ha mostrato nel tempo rilevanti carenze, riconducibili principalmente alla sostanziale assenza di poteri di controllo, di intervento e sanzionatori nei confronti dei confidi minori, che aveva favorito l’infiltrazione nel comparto di operatori poco trasparenti.

Si è quindi ravvisata la necessità di un nuovo intervento del legislatore per rimuovere i limiti evidenziati dal quadro normativo. Tale intervento che si è concretizzato nell’emanazione del d.lgs. 13 agosto 2010, n.241 che, nel riformare il Titolo V del TUB, ha apportato significative innovazioni nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, allo scopo di rafforzare i requisiti di accesso al mercato, i poteri e i controlli di vigilanza, e per consentire l’esercizio delle attività riservate soltanto agli operatori che possano garantire piena affidabilità e correttezza dei comportamenti nei confronti della clientela. Per quanto riguarda i confidi, il decreto ha confermato la previsione di due distinte categorie di operatori connotati sia da una differente ampiezza dello spettro di operatività sia da regimi di controllo distinti, ma nel complesso più rigorosi rispetto al passato: i confidi minori e i confidi maggiori.

Allo scopo di alleviare le difficoltà di accesso delle PMI e dei liberi professionisti al credito bancario, attraverso la valorizzazione del ruolo dei confidi, la semplificazione degli adempimenti e il contenimento dei costi, la legge del 13 luglio 2016, n. 150 ha delegato il governo a adottare, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, uno o più decreti per la regolazione del settore, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  • accrescere il livello di patrimonio e favorire la raccolta di risorse pubbliche, private e del terzo settore, di capitale e di provvista;
  • disciplinare le modalità di contribuzione degli enti pubblici, nel rispetto delle norme comunitarie sugli aiuti di Stato, e vietare vincoli territoriali;
  • razionalizzare e valorizzare il ruolo dei confidi per accrescerne il livello di efficienza;
  • sviluppare strumenti innovativi, forme di garanzia e servizi, finanziari e non, che rispondono alle mutate esigenze delle PMI e dei liberi professionisti;
  • favorire un miglior accesso al credito per le PMI e i liberi professionisti, anche attraverso la semplificazione degli adempimenti e il contenimento dei costi,
  • rafforzare i criteri di proporzionalità e specificità, graduando il sistema dei controlli della Banca d’Italia;
  • assicurare una maggiore tutela del carattere accessorio della garanzia rilasciata dai confidi;
  • razionalizzare gli adempimenti a carico dei confidi, rispetto a quelli richiesti e svolti dalle banche e da altri intermediari finanziari;
  • individuare metodologie di valutazione degli impatti della garanzia sui sistemi economici locali, anche attraverso il patrimonio informativo di cui dispongono le camere di commercio.

Al riguardo, giova osservare che il processo di riforma non ha ancora avuto luogo, poiché è decorso il termine per l’esercizio della delega, senza che sia stata esercitata dal governo con l’emanazione dei relativi decreti attuativi.

 

  1. I confidi minori

I confidi minori, caratterizzati da un volume di attività finanziarie inferiore a 150 milioni, possono svolgere esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi ad essa connessi o strumentali, nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legge. A tali operatori è pertanto precluso l’esercizio di prestazioni di garanzie diverse da quelle sopra indicate e, in particolare, nei confronti del pubblico, nonché l’esercizio delle altre attività riservate agli intermediari finanziari.

I servizi connessi all’attività di garanzia collettiva dei fidi che possono essere svolti dai confidi minori sono, secondo il D.M. 53/2015, i servizi che consentono di sviluppare l’attività di garanzia collettiva dei fidi, svolti in via accessoria a quest’ultima e hanno finalità coerenti con essa. Rientrano in questa categoria di servizi quelli di consulenza in materia di finanza d’impresa nei confronti esclusivamente dei propri soci, purché sia strettamente orientata al rilascio della garanzia mutualistica propria o di terzi, nonché quelli relativi alla stipula di convenzioni con banche, intermediari finanziari e altri soggetti operanti nel settore finanziario finalizzate a favorire l’accesso al credito delle imprese associate.

I servizi strumentali sono i servizi ausiliari all’attività svolta, quali l’acquisto di immobili, esclusivamente funzionali all’esercizio dell’attività principale, e l’assunzione di partecipazioni esclusivamente in altri confidi o banche di garanzia collettiva fidi che in base a specifici accordi rilascino garanzie ai propri soci nonché in società costituite per la prestazione di servizi strumentali.

L’art. 112-bis del TUB, introdotto dal d.lgs. 141/2010, ha previsto l’iscrizione dei confidi minori, compresi quelli di secondo grado, in un elenco gestito da un Organismo avente personalità giuridica di diritto privato, dotato di autonomia organizzativa, statutaria e finanziaria; il suo statuto è approvato dal MEF, sentita la Banca d’Italia, il quale nomina un suo rappresentante nell’organo di controllo. L’iscrizione è subordinata al ricorrere di determinate condizioni (forma giuridica, capitale sociale o fondo consortile, oggetto sociale e assetto proprietario) e al possesso da parte di coloro che detengono partecipazioni e dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo dei requisiti di onorabilità.

La struttura, i poteri e il funzionamento del suddetto Organismo sono stati disciplinati dal D.M. 228/2015 che ha individuato anche i requisiti di onorabilità e professionalità dei componenti degli organi e relativi criteri. Esso svolge ogni attività necessaria per la gestione dell’elenco[4], determina e riscuote i contributi annui e le altre somme dovute dagli iscritti e dai richiedenti l’iscrizione[5], vigila sul rispetto, da parte degli iscritti, della relativa disciplina cui sono assoggettati, avvalendosi, se del caso, delle Federazioni di rappresentanza dei confidi, espressione delle Organizzazioni nazionali di impresa.

All’Organismo sono stati assegnati incisivi poteri di controllo sui confidi minori, che si articolano in poteri di vigilanza informativa, di vigilanza ispettiva e di cancellazione dall’elenco. L’Organismo potrà dunque:

  • richiedere agli iscritti informazioni, dati e notizie, fissando i relativi termini di invio;
  • condurre accertamenti ispettivi in site, allo scopo di verificare la conformità dell’operatività svolta con le disposizioni di legge;
  • disporre la cancellazione dall’elenco qualora vengano meno i requisiti per l’iscrizione, risultino gravi violazioni normative, non sia corrisposto il previsto contributo finanziario, si registri un’inattività protratta per non meno di un anno;
  • imporre il divieto di intraprendere nuove operazioni o disporre la riduzione delle attività per violazione delle disposizioni di legge e amministrative che ne regolano l’attività.

La Banca d’Italia è chiamata a sua volta a vigilare sull’Organismo, secondo criteri di proporzionalità ed economicità, verificando l’adeguatezza delle procedure interne adottate per lo svolgimento dell’attività. Qualora emergano gravi irregolarità nell’amministrazione ovvero gravi violazioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività dell’Organismo, la Banca d’Italia può proporre al MEF lo scioglimento degli organi di gestione e di controllo. In tali casi, la Banca d’Italia provvede agli adempimenti necessari alla ricostituzione dei suddetti organi dell’Organismo, assicurandone la continuità operativa, se del caso, anche attraverso la nomina di un commissario.

Inoltre, la Banca d’Italia può disporre la rimozione di uno o più componenti degli organi di gestione e di controllo in caso di grave inosservanza dei doveri ad essi assegnati dalla legge, dallo statuto o dalle disposizioni di vigilanza, ovvero per comprovata inadeguatezza all’esercizio delle funzioni cui sono preposti.

 

Sintesi della nuova disciplina dei confidi minori (art. 112 TUB):

  • sono caratterizzati da un volume di attività finanziaria inferiore a 150 milioni di euro;
  • possono esercitare esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi ad essa connessi o strumentali;
  • sono iscritti in un elenco tenuto dall’Organismo dei confidi minori (OCM), costituito ai sensi dell’art. 112-bis del TUB;
  • sono vigilati dall’OCM, che è a sua volta vigilato dalla Banca d’Italia;
  • possesso dei requisiti di onorabilità da parte dei soci di controllo e dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo.

 

  1. I confidi maggiori

I confidi maggiori, con volumi di attività pari o superiori a 150 milioni di euro[6], sono vigilati dalla Banca d’Italia e iscritti nell’albo unico degli intermediari finanziari di cui all’art. 106 del TUB, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla nuova normativa. La disciplina contenuta nel D.M. 53/2015 e nella Circolare della Banca d’Italia n. 288 del 3.4.2016 (Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari) consente ai confidi iscritti nell’albo una più estesa operatività rispetto ai confidi minori, in considerazione del loro assoggettamento a forme di vigilanza prudenziale.

Oltre ad esercitare l’attività di garanzia collettiva dei fidi, tali soggetti possono svolgere in misura prevalente[7], nei confronti delle imprese consorziate o socie, le attività previste dall’art. 112, comma 5, del TUB, vale a dire:

  • la prestazione di garanzie a favore dell’amministrazione finanziaria dello Stato, per l’esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie:
  • la gestione di fondi pubblici di agevolazione;
  • la stipula di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne la fruizione.

I confidi maggiori possono inoltre, in via residuale, concedere altre forme di finanziamento, anche a soggetti diversi dai soci, entro un limite pari al 20 per cento del totale dell’attivo. Entro tale limite complessivo, i confidi possono anche garantire l’emissione di strumenti di debito da parte di piccole e medie imprese socie, nel rispetto delle riserve di attività previste dalle vigenti disposizioni. Infine, i confidi vigilati possono svolgere attività connesse e strumentali prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o socie. Tali attività rappresentano attività accessorie che consentono di sviluppare l’attività esercitata (ad esempio, la prestazione del servizio di informazione commerciale) e attività che hanno carattere ausiliario a quella svolta (quali, studio, ricerca e analisi in materia economica e finanziaria). Sono ricomprese in tali attività anche quelle di informazione, di consulenza e di assistenza alle imprese consorziate o socie ovvero non associate per il reperimento e il miglior utilizzo delle fonti finanziarie, nonché le prestazioni di servizi per il miglioramento della gestione finanziarie delle stesse imprese. I confidi possono acquisire immobili di proprietà ad uso strumentale, come, ad esempio, gli immobili destinati, in tutto o in parte, all’esercizio dell’attività istituzionale[8].

I confidi maggiori sono assoggettati a un sistema di vigilanza più rigoroso rispetto ai confidi minori in termini di controlli e adempimenti regolamentari e informativi. Ai suddetti operatori si applicano le disposizioni contenute nella richiamata Circolare 288/2015, opportunamente adattate per tener conto delle loro specificità, nella quale si delineano i principi generali di organizzazione, le regole di governo societario e i presidi di controllo interno, al fine di assicurare una sana e prudente gestione dei soggetti vigilati.

  • Capitale minimo. Il capitale minimo, ai fini dell’autorizzazione, è pari a due milioni di euro.
  • Partecipazioni detenibili. Rispetto agli altri intermediari finanziari, i confidi maggiori possono assumere partecipazioni in: i) banche, società finanziarie e assicurative in misura non superiore al 20 per cento del capitale della società partecipata. E’ vietata la detenzione, anche in via indiretta, di partecipazioni di controllo in tali soggetti; ii) società strumentali; iii) PMI socie nel limite dell’1 per cento dei fondi propri del partecipante o del 3 per cento nel caso di partecipazioni in organismi di categoria.

Ai confidi è comunque preclusa l’attività di rilascio di garanzie per la copertura del rischio di impresa a favore di persone fisiche o giuridiche che assumono partecipazioni in PMI socie, nonché la stipula di contratti derivati o il possesso di strumenti finanziari che, realizzando la dissociazione tra titolarità formale e proprietà sostanziale di azioni o quote di capitale, comportino per i confidi l’assunzione del rischio economico proprio di un’interessenza partecipativa nelle PMI socie.

Infine, i confidi non possono utilizzare strumenti finanziari derivati per assumere posizioni speculative.

  • Partecipanti ed esponenti. I soci dei confidi sono costituiti da PMI industriali, commerciali, turistiche e di servizi, da imprese artigiane e agricole, come definite dalla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore delle PMI. Rientrano tra i soci dei confidi anche i soggetti iscritti in albi professionali e le associazioni professionali, nella misura in cui svolgono un’attività economica e sempre che rispettino i limiti dimensionali relativi alle PMI.

Ai confidi possono partecipare anche imprese di maggiori dimensioni rientranti nei limiti dimensionali determinati dall’UE ai fini degli interventi agevolati della BEI a favore delle PMI purché complessivamente non rappresentino più di un sesto della totalità delle imprese consorziate o socie.

La quota di partecipazione di ciascuna impresa non può essere superiore al 20 per cento del fondo consortile o del capitale sociale, né inferiore a 250 euro.

Gli enti pubblici e privati e le imprese di maggiori dimensioni che non possono far parte dei confidi possono sostenerne l’attività attraverso contributi e garanzie non finalizzati a singole operazioni; questi soggetti non diventano consorziati o soci né fruiscono delle attività sociali, ma i loro rappresentanti possono partecipare agli organi elettivi dei confidi con le modalità stabilite dagli statuti, purché la nomina della maggioranza dei componenti di ciascun organo resti riservata all’organo assembleare.

Possono altresì partecipare, anche in deroga alle disposizioni di legge che prevedono divieti o limiti di partecipazioni, imprese non finanziarie di grandi dimensioni ed enti pubblici e privati, purché le PMI socie dispongano almeno della metà più uno dei voti esercitabili nell’assemblea e la nomina dei componenti degli organi che esercitano funzioni di gestione e di supervisione strategica sia riservata all’assemblea.

  • Fondi propri. Non sono computabili nei fondi propri i fondi pubblici attribuiti ai confidi che: i) presentano vincoli di destinazione (di natura territoriale; riferiti a particolari tipologie di investimento ovvero a specifiche finalità; ecc.) tali da renderli non pienamente in quanto utilizzabili soltanto a copertura delle perdite che si manifestano su determinati portafogli di attività o a copertura di determinate tipologie di perdite; ii) sono assegnati al confidi in semplice gestione (ad esempio, fondi antiusura assegnati ai sensi della legge 10871996 e relative disposizioni attuative); iii) sono gestiti da regolamenti dell’UE (cfr. Regolamento CE/1260/1999 sui fondi strutturati) e gestiti dalle regioni sulla base di apposite convenzioni (c.d. fondi DOCUP), in quanto tali fondi presentano specifici vincoli di destinazione. Se al termine degli interventi finanziati con tali fondi vi è una quota residua, essa è disponibile per l’ente pubblico gestore e in assenza di vincoli di destinazione impressi dalla disciplina europea può essere attribuita al confidi e da questi imputata al patrimonio.

L’inclusione dei fondi pubblici tra gli elementi dei fondi propri dei confidi non viene riconosciuta in via generale, ma è valutata dalla Banca d’Italia previa verifica, caso per caso, della circostanza che detti fondi non siano assegnati in gestione nonché dell’effettiva assenza di vincoli di destinazione.

  • Requisito patrimoniale per il rischio di credito. Il requisito per il rischio di credito per le garanzie rilasciate a fronte di operazioni segmentate (tranched cover)[9], per le quali i confidi coprono la quota di “prima perdita” mediante specifici fondi monetari è – in coerenza con la disciplina prudenziale in materia di cartolarizzazioni – pari all’ammontare dei fondi monetari medesimi (al netto delle eventuali rettifiche di valore), a condizione che la convenzione con l’intermediario garantito stabilisca in modo incontrovertibile che i confidi sono tenuti a fornire pagamenti per l’attività di garanzia nei limiti del fondo monetario. In tale circostanza non va calcolato un ulteriore requisito nei confronti dell’intermediario garantito presso il quale sono depositati i fondi monetari.

Inoltre, nell’eventualità che, a fronte delle perdite fronteggiate dai fondi monetari, siano presenti nel passivo specifici fondi vincolati, ove detti fondi rispettino i requisiti di ammissibilità previsti dalla normativa prudenziale in materia di strumenti di credit risk mitigation, i medesimi possono essere trattati come un deposito in contanti a protezione delle anzidette garanzie.

Nel caso di “Grandi Esposizioni”, le operazioni per le quali i confidi coprono la quota di “prima perdita” mediante specifici fondi monetari comportano: i) un’esposizione nei confronti dei debitori del portafoglio di attività oggetto di garanzia, per un importo pari al minore tra l’esposizione garantita di ciascun debitore e l’ammontare complessivo dei fondi monetari; e ii) un’esposizione nei confronti dell’intermediario garantito presso il quale i fondi monetari sono depositati per un ammontare pari ai fondi stessi.

I confidi maggiori sono inoltre assoggettati ai poteri attribuiti alla Banca d’Italia dal Titolo VI del TUB in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e correttezza delle relazioni con i clienti.

 

Sintesi della nuova disciplina dei confidi maggiori (art. 106 TUB):

  • si caratterizzano per un volume di attività finanziaria pari o superiore a 150 milioni di euro;
  • sono contraddistinti da un’operatività maggiore rispetto ai confidi minori, in considerazione del loro assoggettamento a forme di vigilanza prudenziale;
  • sono vigilati dalla Banca d’Italia e iscritti nell’albo unico degli intermediari finanziari ex art. 106 TUB;
  • devono avere un capitale minimo, ai fini dell’autorizzazione, pari a due milioni di euro;
  • possono costituirsi anche in forma di società consortile a responsabilità limitata;
  • possesso dei requisiti di onorabilità da parte dei soci di controllo e dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo.

 

  1. Il sistema dei confidi in Italia

A dicembre 2019, il sistema italiano dei confidi era composto da 311 intermediari, di cui 35 iscritti all’albo ex art. 106 TUB (c.d. confidi maggiori), e quindi sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia, e 276 iscritti nell’elenco di cui all’art. 112 TUB (c.d. confidi minori), vigilati dall’Organismo di vigilanza ex art. 112-bis TUB. Rispetto all’anno precedente, il numero degli operatori maggiori è rimasto sostanzialmente stabile; quello dei minori è aumentato di 17 unità. Nel 2019 si è interrotto il processo di concentrazione, ininterrottamente in atto dal 2005, riconducibile a diversi fattori (interventi normativi, operazioni di aggregazione, liquidazioni volontarie, istituzione dell’Organismo di vigilanza per i confidi minori, ecc.), che ne avevano attenuato l’elevato grado di frammentazione.

La distribuzione geografica sul territorio nazionale riflette il tessuto imprenditoriale del paese: 21 confidi vigilati sono insediati prevalentemente nelle regioni settentrionali (60 per cento del totale), specie in Lombardia e Veneto. Per contro, più della metà dei confidi minori (55 per cento del totale) è insediata nelle regioni del Mezzogiorno.

A fine 2018, in base ai dati della Centrale dei rischi, la consistenza delle garanzie erogate dai confidi ammontava a 12,6 miliardi di euro, di cui 8,3 miliardi, pari al 66 per cento del totale, erano riconducibili ai confidi vigilati dalla Banca d’Italia, e 4,3 ai confidi minori. Tra il 2016 e il 2018 lo stock di garanzie si è ridotto di 5,6 miliardi (-30,9 per cento). Il calo riflette da un lato la sostanziale difficoltà di accesso al credito per le imprese di minori dimensioni e, dall’altro, l’incapacità del sistema dei confidi di contrastare con efficacia tale tendenza.

Sotto il profilo della ripartizione delle garanzie su base geografica, si osserva che mentre il portafoglio delle garanzie dei confidi vigilati è pressoché omogeneamente distribuito sull’intero territorio nazionale, quello dei confidi minori è concentrato per lo più nelle regioni meridionali.

Per conoscere l’effettivo sostegno dei confidi al sistema produttivo del Paese l’Osservatorio della Camera di commerci di Torino (cfr. infra) era solito calcolare l’indice di penetrazione, che è dato dal rapporto tra le imprese consorziate in ciascuna regione e il totale delle imprese operanti sul territorio. Alla fine del 2016, il 22,4 per cento delle imprese, pari a 960 mila unità su un totale di 4,4 milioni, fruiva di garanzie mutualistiche. Nel dettaglio, il più alto indice di penetrazione (32,0 per cento) si registrava nelle regioni del Nord-Est, seguite da quelle del Centro (22,9 per cento) e del Nord-Ovest (19,9 per cento); nel Mezzogiorno tale indicatore si attestava invece a un livello molto più basso (16 per cento), in ragione della limitata presenza e capacità associativa dei confidi vigilati.

 

  1. Lo stato di salute dei confidi maggiori

La Camera di commercio di Torino[10] conduce, annualmente, un’indagine sull’andamento del mercato italiano delle garanzie fidi e sulle condizioni di solvibilità, sulla rischiosità del credito e sulla redditività dei confidi vigilati dalla Banca d’Italia. Il campione oggetto d’indagine è costituito da 35 operatori di primo grado di dimensioni medio/grandi, suddivisi in sette macroaree geografiche[11].

Nell’edizione 2020 è stato adottato un nuovo sistema di valutazione dello stato di salute del confidi, che si basa sull’utilizzo di 11 indicatori qualitativi per misurare la solidità patrimoniale, la gestione del rischio e la sostenibilità economica. Per ciascuno dei suddetti profili tecnici è stato utilizzato, in particolare, il seguente set di indicatori:

  • solidità patrimoniale: fondi propri, variazione dei fondi propri e del patrimonio netto, total capital ratio (CIR), adeguatezza patrimoniale[12], fondi propri liberi;
  • gestione del rischio di credito: tasso annuale di decadimento, solidità prospettica, solvibilità;
  • sostenibilità economica: margine operativo Core, Cost income Ratio (CIR), Core cost income ratio (Core CIR).

Dei suddetti 11 indicatori 8 corrispondono a quelli in uso presso il Fondo centrale di garanzia per le PMI ai fini della valutazione dei garanti autorizzati, ossia: variazione dei fondi propri e patrimonio netto, adeguatezza patrimoniale, fondi propri liberi, tasso di decadimento, solidità prospettica, solvibilità, CIR e Core CIR.

 

6.1 Solidità patrimoniale

Come è noto, i fondi propri rappresentano il primo presidio a fronte dei rischi connessi con l’attività degli intermediari finanziari, nonché il principale parametro di riferimento per gli istituti prudenziali e per l’autorità di vigilanza. Secondo quanto previsto dalla Circolare della Banca d’Italia n. 288 del 2015 e dal Regolamento (UE) n. 575 del 2013 su Capital Requirements Regulation (CRR), i fondi propri sono pari alla somma del capitale di classe 1 e del capitale di classe 2.

Il capitale di classe 1, a sua volta, è dato dalla somma del capitale primario di classe 1 (CET 1) e del capitale aggiuntivo di classe 1. Il capitale di classe 1 (CET 1) è pari alla somma algebrica di elementi positivi del CET 1 – filtri prudenziali del CET 1 – detrazioni da applicare al CET 1. Il capitale di classe 2 è composto da strumenti di capitale subordinati.

Con specifico riguardo ai confidi, il capitale di classe 2 è rappresentato principalmente da elementi di patrimonio non computabili nel CET 1 in applicazione del regime transitorio previsto dalla vigente normativa prudenziale e dai fondi pubblici non computabili nel CET 1 in quanto subordinati.

Con riferimento ai fondi pubblici, la Circolare 288/2015 prevede la loro esclusione dal calcolo dei fondi propri del confidi se tali fondi (cfr. paragrafo n. 4):

  • presentano vincoli di destinazione tali da renderli non pienamente disponibili in quanto utilizzabili soltanto a copertura delle perdite che si manifestano su determinati portafogli di attività o a copertura di determinate tipologie di perdite;
  • sono assegnati al confidi in semplice gestione;
  • sono disciplinati da regolamenti dell’UE e gestiti dalle Regioni in virtù di specifiche convenzioni.

In generale, la normativa di vigilanza prevede che l’inclusione dei fondi pubblici tra gli elementi dei fondi propri non sia discrezione del confidi ma che debba essere valutata caso per caso dalla Banca d’Italia.

Coerentemente con i principi di determinazione del CET 1, agli elementi positivi che compongono il capitale di classe 2 vengono applicate delle detrazioni secondo quanto previsto dalla Circolare 288/2015 e dal Regolamento CRR.

Nel 2018 la maggior parte dei confidi ha registrato una diminuzione sia dei fondi propri sia del patrimonio netto rispetto all’anno precedente (66,0 e 71,0 per cento del totale, rispettivamente). A livello di sistema le consistenze dei fondi propri e del patrimonio netto risultano però sostanzialmente stabili nel confronto con il 2017 (2,0 e 0,3 per cento, rispettivamente).

 La Circolare 288/2015, in deroga a quanto previsto dal Regolamento CRR, stabilisce che per gli intermediari finanziari che non raccolgono risparmio presso il pubblico, come i confidi, i requisiti in materia di fondi propri da rispettare sono due:

  • un coefficiente di capitale primario di classe 1 (CET 1 capital ratio), pari al rapporto tra il CET 1 e le attività ponderate per il rischio, del 4,5 per cento;
  • un coefficiente di capitale totale (Total capital ratio), pari al rapporto tra il totale dei fondi propri e le attività ponderate per il rischio, del 6 per cento.

Nell’anno in riferimento tutti i confidi presentano un coefficiente di solvibilità totale (Total capital ratio, TCR) superiore sia al limite regolamentare (6 per cento) sia alla soglia di patrimonializzazione consigliabile (8 per cento). Inoltre, 23 operatori presentano un valore di TCR interno al range giudicato adeguato ai rischi assunti (fra il 10 e il 25 per cento). Un intermediario presenta un TCR inferiore al 10 per cento e 11 confidi presentano invece un TCR superiore al 25 per cento.

 Per l’attribuzione del giudizio relativo al profilo di adeguatezza patrimoniale sono stati utilizzati i 4 cluster in uso presso il Fondo di garanzia per le PMI:

  • adeguatezza patrimoniale 18%: livello di patrimonializzazione più che adeguato in relazione ai rischi assunti;
  • 10% adeguatezza patrimoniale 18%: livello di patrimonializzazione adeguato in relazione ai rischi assunti;
  • 8% adeguatezza patrimoniale  10%: livello di patrimonializzazione prossimo al minimo ammesso in relazione ai rischi assunti;
  • 6% adeguatezza patrimoniale 8%: livello di patrimonializzazione superiore al limite di legge ma subottimale.

I valori di adeguatezza patrimoniale dei confidi sono tutti positivi in relazione ai cluster di valutazione adottati dal Fondo di garanzia per le PMI. Nello specifico, 33 confidi (94,3 per cento del totale) presentano un valore più che adeguato in relazione ai rischi assunti. I restanti due operatori presentano invece un valore inferiore (fra il 10,0 e il 18,0 per cento) ma comunque elevato.

 

6.2 Gestione del rischio di credito

Il rilascio di garanzie determina per il confidi l’assunzione di un rischio di credito; rischio che si materializza quando l’esposizione garantita (per cassa o fuori bilancio) si deteriora in seguito al sopraggiungere di difficoltà a onorare gli impegni assunti. In tal caso, le garanzie vengono classificate come “garanzie deteriorate”.

Per la valutazione della capacità dei confidi di mantenere elevata la qualità del proprio portafoglio, vengono utilizzati tre indicatori:

  • il tasso annuale di decadimento (TAD): dato dal rapporto tra l’ammontare di credito garantito ai soggetti associati che sono entrati in sofferenza nel corso dell’anno e l’ammontare di credito (garantito dal confidi) utilizzato dagli stessi soggetti e non considerato deteriorato alla fine dell’anno precedente. Si tratta, in altri termini, di un rapporto tra il flusso delle garanzie escusse nel tempo t e lo stock delle garanzie in bonis alla fine del tempo t-1. Una percentuale elevata indica una maggiore tendenza al deterioramento delle garanzie in portafoglio e quindi una più bassa qualità del portafoglio. Per esprimere un giudizio sulla propensione al rischio del confidi occorre confrontare il TAD con un apposito valore di riferimento (benchmark) che corrisponde al TAD medio del sistema creditizio riferito all’area geografica di operatività prevalente del confidi;
  • la solidità prospettica: data dal rapporto tra il TAD del confidi e il TAD medio del sistema creditizio riferito all’area geografica di operatività prevalente del confidi. Una solidità prospettica pari al 100 per cento indica una identità tra il TAD del confidi e il TAD del sistema creditizio regionale. Per il giudizio qualitativo di solidità prospettica sono stati definiti i seguenti quattro cluster di valori:
  1. solidità prospettica 100%: TAD del confidi più elevato del TAD medio del sistema creditizio regionale. Il livello di solidità è subottimale;
  2. 90% solidità prospettica  100%: TAD del confidi pari o leggermente inferiore al TAD medio del sistema creditizio regionale. Il livello di solidità è da considerarsi come minimo ammissibile;
  3. 80% solidità prospettica  90%: TAD del confidi inferiore al TAD medio del sistema creditizio regionale. Il livello di solidità è adeguato;
  4. Solidità prospettica 80%: TAD del confidi inferiore al TAD medio del sistema creditizio regionale. Il livello di solidità è più che adeguato;
  • la solvibilità, che misura la capacità del confidi di fronteggiare gli impegni finanziari nel breve termine mediante il ricorso alla liquidità e/o ad attività prontamente liquidabili. L’indicatore di solvibilità è espresso dal rapporto tra le attività finanziarie rilasciate fino a 12 mesi e le passività finanziarie (incluse le garanzie finanziarie ricevute) fino a 12 mesi. Per l’attribuzione del giudizio qualitativo sono stati definiti i seguenti quattro cluster di valori:
  1. solvibilità 200%: il livello di solvibilità è più che adeguato;
  2. 150% solvibilità 200%: il livello di solvibilità è adeguato;
  3. 100% solvibilità  150%: il livello di solvibilità è da considerarsi come minimo ammissibile;
  4. Solvibilità 100%: il livello di solvibilità è sub-ottimale.

L’analisi del profilo relativo alla gestione del rischio di credito ha evidenziato che:

  • il sistema dei confidi mostra scarsa solidità prospettica poiché la maggioranza degli intermediari (57,0 per cento) presenta tassi annuali di decadimento superiori ai valori di riferimento;
  • la quasi totalità dei confidi (91,0 per cento) presenta un livello di solvibilità adeguato o più che adeguato in relazione alle obbligazioni assunte; inoltre, più della metà degli operatori (53,0 per cento) presenta valori di solvibilità più che doppi rispetto alla soglia del 200%, con picchi molto elevati per alcuni di essi.

 

6.3 Sostenibilità economica

L’attività di erogazione di garanzie in favore di piccole e medie imprese rappresenta la principale fonte di ricavo per i confidi. La redditività di tale attività è espressa dal margine operativo Core (MOC), che è ottenuto dalla somma algebrica di due componenti di segno opposto: i ricavi operativi (commissioni attive per il rilascio di garanzie) e i costi operativi o costi di struttura (spese del personale più altre spese amministrative).

Dalla survey è emerso che nel 2018 il MOC – già negativo nel biennio precedente – ha registrato un’ulteriore contrazione (-115,0 per cento). Inoltre, 27 confidi (77,0 per cento del totale) hanno realizzato un MOC negativo e 29 operatori (83,0 per cento del totale) hanno peggiorato la propria performance rispetto al 2017. Infine, nel triennio 2016-2018 28 intermediari (80,0 per cento del totale) hanno registrato una perdita cumulata di 32 milioni di euro. Tali risultati confermano la strutturale incapacità del sistema di produrre margini reddituali sufficienti a coprire i costi di struttura, per effetto principalmente dalle limitate opportunità di diversificazione operativa.

Per valutare il profilo in epigrafe l’Osservatorio si avvale di altri due indicatori: il cost income ratio (CIR) e il Core cost income ratio (Core CIR).

Il CIR misura il livello di efficienza operativa del confidi nell’adempiere alla propria mission al netto del costo del rischio. L’indicatore è costruito rapportando alle spese amministrative (spese del personale più altre spese amministrative) il margine d’intermediazione.

Per l’attribuzione del giudizio sono stati identificati quattro cluster di valori:

  1. CIR 80%: il livello di efficienza operativa è più che adeguato;
  2. 80% CIR 90%: il livello di efficienza operativa è adeguato;
  3. 90% CIR  110%: il livello di efficienza operativa è sufficiente;
  4. CIR 110%: il livello di efficienza operativa è subottimale.

L’analisi ha dimostrato che nel 2018 la capacità dei confidi di mantenere una adeguata efficienza operativa ha palesato un netto peggioramento rispetto ai due anni precedenti: solo il 25 per cento dei confidi (9 su 35) presenta valori di CIR adeguati o più che adeguati (  90%) e quasi la metà degli operatori presenta valori di CIR superiori al 110 per cento.

  Il Core CIR misura il livello di efficienza del core business del confidi, ossia la sua capacità di mantenere un rapporto equilibrato tra i costi operativi e la produzione di reddito riferibile all’attività di emissione di garanzie. L’indicatore è dato dal rapporto tra le spese amministrative (spese del personale più le altre spese amministrative) e le commissioni nette. Per l’attribuzione del giudizio sono adottati gli stessi quattro cluster di valori già utilizzati per il calcolo del CIR.

I risultati emersi confermano le difficoltà dei confidi a creare valore dall’attività caratteristica: nel 2018 24 intermediari (69,0 per cento del totale) presentano infatti un valore di Core CIR superiore al 110 per cento e solo 4 operatori (11,0 per cento del totale) presentano, invece, valori pienamente soddisfacenti (  90%). I dati evidenziano inoltre che 18 intermediari (51,0 per cento del totale) denotano un progressivo deterioramento dell’indicatore nell’intero periodo di riferimento della rilevazione.

  E’ interessante notare come i dati del Core CIR presentino valori mediamente superiori rispetto a quelli del CIR, il che sta a significare che gli aspetti della gestione operativa diversi da quelli concernenti l’emissione di garanzie nella grande maggioranza contribuiscono positivamente alla sostenibilità economica dei confidi. Cosicché appare più che concreta l’ipotesi che molti intermediari siano impegnati a diversificare l’offerta di mercato, con conseguenti effetti positivi sulla gestione economica complessiva.

In conclusione, lo studio camerale conferma la buona solidità patrimoniale dei confidi maggiori in relazione ai rischi assunti, considerato che nel 2018 tutti gli intermediari esaminati presentano un Total Capital Ratio superiore sia al limite regolamentare (6,0 per cento) sia alla soglia di patrimonializzazione consigliabile (8,0 per cento). Parzialmente soddisfacente è risultato, peraltro, il profilo di gestione del rischio, atteso che la maggioranza degli intermediari presenta tassi di decadimento superiori ai valori di riferimento. Pienamente insoddisfacente è risultato infine il profilo di sostenibilità economica per la strutturale incapacità del sistema di generare adeguati margini reddituali. Di qui la necessità di ricercare soluzioni innovative in grado di diversificare le fonti di ricavo, nel rispetto dei necessari presidi organizzativi, anche attraverso il superamento dei limiti imposti dall’attuale quadro normativo all’ampliamento del perimetro operativo.

In tale direzione si muove la proposta volta a modificare la disciplina vigente prevedendo l’attribuzione alla Banca d’Italia per i confidi maggiori e all’Organismo Confidi Minori per i confidi ex art. 112 TUB del compito di autorizzare tali intermediari a svolgere un più ampio spettro di attività, previa verifica della sussistenza di specifici requisiti (di governance, operativi, prudenziali e di accountability, ecc.).

 

Riferimenti bibliografici:

Camera di commercio di Torino, I confidi in Italia, 2009 e 2018.

Chessa C. e Cugia Onnis F., Il sistema di vigilanza e controllo sull’universo confidi, in Rivista di diritto bancario, n. 3/2018.

Conso A. e Varani D., La nuova disciplina degli intermediari finanziari e i confidi, in www.dirittobancario.it, novembre 2015.

D’Auria C. e Porretta P., la garanzia consortile e le regola di vigilanza prudenziale, in www.dirittobancario.it, giugno 2015.

Mieli S., Assetti e prospettive dei confidi: nuovi disegni organizzativi e nuova regolamentazione, 18.9.2010.

Pilati A., Delega al Governo per la riforma del sistema dei confidi, Audizione presso la 6^ Commissione del Senato della Repubblica, Roma, 16.7.2014.

Siclari D., Le prospettive di regolazione dei confidi dopo la legge n. 150 del 2016, in Rivista di diritto bancario, n. 3/2018.

 

Note:

[1] Un esempio di controgaranzia è quella offerta dal Fondo di garanzia per le PMI, istituito con la legge 662/1996, la cui finalità principale è consentire l’accesso ai finanziamenti per le PMI tramite la concessione di una garanzia pubblica sui prestiti bancari.

[2] La legge 326/2003, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dei conti pubblici, presenta al proprio interno l’art. 13 “Disciplina dell’attività di garanzia collettiva dei fidi”, il quale delinea per la prima volta un assetto normativo ben definito per i confidi.

[3] Tale modello organizzativo non ha peraltro trovato riscontro nella realtà.

[4]Il 12 luglio 2019 si è costituito, in forma di fondazione riconosciuta, l’Organismo Confidi minori. Dal 10 febbraio 2020 è avviata la gestione dell’elenco dei confidi minori ed è pertanto possibile presentare le domande di iscrizione nell’elenco medesimo. Qualora non abbiano presentato istanza di iscrizione al nuovo Organismo entro il 10 novembre 2020 o in caso di mancato accoglimento dell’istanza, i confidi deliberano la liquidazione della società ovvero modificano il proprio oggetto sociale, eliminando ogni riferimento all’attività di rilascio di garanzie mutualistiche.

[5] Entro il limite del cinque per mille dell’ammontare delle garanzie concesse da ciascun confidi e risultante dall’ultimo bilancio approvato.

[6] La Banca d’Italia, con proprio provvedimento, ha stabilito che concorrono a formare tale aggregato le seguenti voci contabili: cassa e disponibilità, crediti verso enti creditizi, crediti verso enti finanziari, crediti verso clientela, crediti impliciti nelle operazioni di locazione finanziaria, obbligazioni e altri titoli a reddito fisso, azioni, quote e altri titoli a reddito variabile, ratei attivi, garanzie rilasciate, altre poste dell’attivo e operazioni “fuori bilancio”.

[7] La prevalenza di tale attività è rispettata qualora dall’ultimo bilancio approvato risultino verificate entrambe le seguenti condizioni: RGCF > 50% TR e AGCF > 50% TA, dove RGCF rappresenta l’ammontare dei ricavi derivanti dall’attività di garanzia collettiva dei fidi e dalle attività connesse e strumentale; AGCF indica l’ammontare nominale delle garanzie collettive dei fidi; TR è il totale dei ricavi; TA è il totale delle attività (Circolare della Banca d’Italia n. 288/2015).

[8] Circolare della Banca d’Italia n. 288/2015, op. cit.

[9] L’operazione segmentata è un’operazione nella quale è possibile isolare nell’ambito di un portafoglio composto da una o più attività, attraverso forme di protezione del credito (di tipo reale o personale), una componente di rischio che sopporta le “prime perdite” del portafoglio stesso.

[10] La survey è curata dal Comitato Torino Finanza e dal Dipartimento di Management dell’Università di Torino.

[11] Area 1 (Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta); Area 2 (Lombardia); Area 3 (Veneto); Area 4 (Trentino A/A e Friuli V/G); Area 5 (Emilia-Romagna e Toscana); Area 6 (Lazio); Area 7 (Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna).

[12] L’indicatore in questione è dato dal rapporto tra il patrimonio netto e le garanzie in essere al netto di riassicurazioni e accantonamenti.



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