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Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 8923 del 31/3/2021
La Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 8923 del 31/3/2021, ha confermato che il solo pegno irregolare, concluso cioè nelle forme di cui all’art. 1851 del c.c. (ossia con il contestuale trasferimento della piena proprietà), esenta la banca dal dover procedere all’insinuazione al passivo fallimentare del debitore fallito, ai sensi dell’art. 53 della Legge Fallimentare, consentendo invece alla banca di procedere ad una compensazione automatica e diretta ex art. 1853 c.c. tra il proprio credito costituito dal pegno con il corrispettivo debito in capo al debitore fallito (pronunzia conforme a Cass. n. 10000 del 24/5/2004 [1]).
La Corte ha nel contempo rimesso al Primo Presidente per la valutazione della questione ritenuta di massima importanza relativa all’assoggettabilità a revocatoria fallimentare L. Fall., ex art. 67, comma 2, della rimessa in conto corrente bancario effettuata dalla banca con denaro proveniente dalla vendita del bene costituito in pegno “regolare”, ormai consolidatosi in suo favore, da valutare alla luce della connessa questione circa il trattamento in sede fallimentare del credito originariamente garantito, ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2 (“Colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto è ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito”).
Norme di riferimento:
PEGNO REGOLARE – Art. 2784 (Nozione [del pegno] c.c.:
“[I]. Il pegno è costituito a garanzia dell’obbligazione dal debitore o da un terzo per il debitore. [II]. Possono essere dati in pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti e al-tri diritti aventi per oggetto beni mobili”.
PEGNO IRREGOLARE – Art. 1851 (Pegno irregolare a garanzia di anticipazione) c.c.:
“Se, a garanzia di uno o più crediti, sono vincolati depositi di danaro, merci o titoli che non siano stati individuati o per i quali sia stata conferita alla banca la facoltà di disporre, la banca deve restituire solo la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti. L’eccedenza è determinata in relazione al valore delle merci o dei titoli al tempo della scadenza dei crediti”.
PEGNO DI CREDITI – Art. 2803 (Riscossione del credito dato in pegno) c.c.:
“Il creditore pignoratizio è tenuto a riscuotere, alla scadenza, il credito ricevuto in pegno e, se questo ha per oggetto danaro o altre cose fungibili, deve, a richiesta del debitore, effettuarne il deposito nel luogo stabilito d’accordo o altrimenti determinato dall’autorità giudiziaria. Se il credito garantito è scaduto, il creditore può ritenere del danaro ricevuto quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni e restituire il residuo al costituente o, se si tratta di cose diverse dal danaro, può farle vendere o chiederne l’assegnazione secondo le norme degli articoli 2797 e 2798”.
COMPENSAZIONE – Art. 1853 (Compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti) c.c.:
“[I]. Se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrari”.
INSINUAZIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE DI CREDITORI MUNITI DI PEGNO – Art. 53 (Creditori muniti di pegno o privilegio su mobili), R.D. n. 267 del 16/3/1942 (Legge Fallimentare):
“I crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli articoli 2756 e 2761 del codice civile possono essere realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione. Per essere autorizzato alla vendita il creditore fa istanza al giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalità a norma dell’articolo 107. Il giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, può anche autorizzare il curatore a riprendere le cose sottoposte a pegno o a privilegio, pagando il creditore, o ad eseguire la vendita nei modi stabiliti dal comma precedente”.
MASSIME ESTRATTE:
“Qualora il cliente della banca vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati e non conferisca alla banca il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall’ipotesi del pegno irregolare e si rientra invece nella disciplina del pegno regolare (artt. 1997 e 2784 c.c. e segg.) in base alla quale la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l’obbligo di riversare il relativo ammontare, ma è tenuta a restituire il titolo o il documento”, con la conseguenza che il creditore pignoratizio è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi della L. Fall., art. 53, per il soddisfacimento del proprio credito, “dovendosi escludere la compensazione che invece opera nel pegno irregolare come modalità tipica di esercizio della prelazione” (cfr. Cass. Sez. U., 4507/2004; Cass. 2818/2018)”.
“È opportuno trasmettere gli atti al Primo presidente affinchè valuti se rimettere alle sezioni unite la questione di massima di particolare importanza della revocabilità dell’incasso rinveniente dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato, cui risulta strettamente collegata l’ulteriore questione se, una volta restituita dal creditore pignoratizio la somma revocata, l’ammissione del credito al passivo ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2, in via chirografaria, possa o meno ritenersi confliggente con la stessa concezione redistributiva e anti-indennitaria della revocatoria fallimentare, che implica unicamente il ripristino della par condicio creditorum”.
MOTIVAZIONE:
4.1. Si tratta, in particolare, della questione dell’assoggettabilità a revocatoria fallimentare L. Fall., ex art. 67, comma 2, della rimessa in conto corrente bancario effettuata dalla banca con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno, ormai consolidatosi in suo favore, da valutare alla luce della connessa questione circa il trattamento in sede fallimentare del credito originariamente garantito, ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2.
4.2. Secondo la Procura generale, “la tesi preferibile è quella che, riprendendo l’orientamento giurisprudenziale più recente (Cass. 16565/2018 che conferma integralmente Cass. 4785/2010) ritiene revocabile l’operazione cui si è fatto cenno perchè vietata di per sè”, e ciò in quanto: i) la ratio sottesa alla revocatoria fallimentare è il ripristino della par condicio creditorum, attraverso la ricostituzione della massa attiva fallimentare dispersa attraverso atti dispositivi eseguiti in condizioni che consentono di presumerne la dannosità; ii) non può condividersi la tesi secondo cui la revocatoria non potrebbe essere esperita (per carenza di interesse ad agire) quando il pagamento da revocare abbia garantito anticipatamente la provvista ad un creditore privilegiato, cui può presumersi la somma sarebbe stata comunque attribuita in sede di riparto dell’attivo fallimentare; iii) non è parimenti condivisibile la tesi per cui, a fronte di un pegno non revocabile, perchè consolidato, “la revoca del pagamento produrrebbe l’effetto di una indiretta revoca della garanzia” (in tal senso, Cass. 26898/2008, 18439/2004); iv) tale effetto pregiudizievole si giustificherebbe infatti, con il “principio dell’autoresponsabilità” connesso “ad un sistema che è strutturato per compulsare i creditori, non a tutelare “anticipatamente” con scelte “strategiche” la propria posizione, ma ad assumere iniziative in danno degli operatori economici decotti onde evitare che questi ultimi proseguano nell’esercizio dell’attività di impresa quando i sintomi della crisi del debitore sono ormai noti” (in tal senso, Cass. 4785/2010).
5. Ad avviso del Collegio, una simile conclusione merita di essere quantomeno riconsiderata, per le ragioni che si vanno ad illustrare.
5.1. Occorre però subito chiarire che, nel caso di specie, l’affermazione della Corte d’appello per cui, “contrariamente a quanto sostenuto dalla Banca appellata, nella specie viene in rilievo un pegno regolare” (seguita dal rilievo che la prospettazione di un pegno “rotatorio” “non persuade”), non è oggetto di uno specifico motivo di ricorso, dovendosi perciò discorrere in questa sede di pegno regolare.
5.2. In proposito il giudice a quo osserva correttamente che, “qualora il cliente della banca vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati e non conferisca alla banca il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall’ipotesi del pegno irregolare e si rientra invece nella disciplina del pegno regolare (artt. 1997 e 2784 c.c. e segg.) in base alla quale la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l’obbligo di riversare il relativo ammontare, ma è tenuta a restituire il titolo o il documento”, con la conseguenza che il creditore pignoratizio è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi della L. Fall., art. 53, per il soddisfacimento del proprio credito, “dovendosi escludere la compensazione che invece opera nel pegno irregolare come modalità tipica di esercizio della prelazione” (cfr. Cass. Sez. U., 4507/2004; Cass. 2818/2018).
5.3. Quanto al rilievo della stessa Corte territoriale per cui “nella specie era previsto all’art. 11 delle condizioni generali del contratto costitutivo del pegno la possibilità per la Banca, in caso di inadempimento del cliente, di vendere i titoli costituiti in pegno e di soddisfarsi “su prezzo ricavato” di ogni suo credito”, va richiamata la condivisibile giurisprudenza di questa Corte in base alla quale “nella figura del pegno irregolare di titoli di credito – caratterizzata dal conferimento alla banca della facoltà di disporne, con obbligo di restituire la parte eccedente l’ammontare delle sue ragioni (di tal che il soddisfacimento della banca non abbisogna di alienazione od assegnazione dell’oggetto del pegno, ma si realizza automaticamente e direttamente mediante la conservazione di quella titolarità, con un sistema di compensazione – sostituzione del credito garantito con il credito rappresentato dai titoli, e con il dovere di restituzione dell’eccedenza) – non è riconducibile la consegna di titoli di credito accompagnata da accordi rivolti a disciplinare i poteri ed i compiti della banca al fine della cessione a terzi dei titoli stessi in caso di inadempimento del debitore, giacchè tali previsioni, indipendentemente dalla circostanza che abbiano un contento riproduttivo degli artt. 2796 e 2797 c.c., in tema di vendita della cosa ricevuta in pegno regolare, ovvero introducano legittime modifiche convenzionali alla disciplina di legge, sono radicalmente incompatibili con l’indicato passaggio della titolarità (necessariamente indicante piena disponibilità), mentre si armonizzano soltanto con i connotati del pegno regolare, nel quale il creditore non si soddisfa trattenendo il bene già a lui trasferito, ma deve custodirlo in attesa dell’adempimento, e restituirlo, se questo si verifichi, potendo altrimenti soltanto richiedere la vendita o l’assegnazione. Alla qualificazione come regolare di un pegno siffatto non osta neppure il carattere “rotativo” dello stesso (derivante dal fatto che il suo oggetto sia destinato a mutare quando i titoli inizialmente consegnati, una volta scaduti, siano sostituiti con altri titoli), atteso che i successivi atti negoziali della banca, occorrenti per tale prosecuzione della garanzia, non si collegano necessariamente al potere dispositivo proprio del pegno irregolare, potendo integrare iniziative da porsi in essere in nome e per conto del costituente, tanto più che lo stesso meccanismo del pegno “rotativo”, in assenza di diversa previsione, non è in sintonia con i connotati e con la funzione, sostanzialmente satisfattiva, del pegno irregolare” (Cass. 2120/2014, 4507/2004).
6. Orbene, come ricordato dalla stessa ricorrente, in tema di pegno regolare, ad un primo orientamento (Cass. n. 18439/2004, Cass. n. 26898/2008) che negava che, una volta consolidatasi la garanzia, fosse revocabile l’incasso rinveniente dalla vendita del bene dato in pegno, “atteso che il tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con l’azione revocatoria, e la revoca del pagamento produrrebbe l’effetto di un’indiretta revoca della garanzia”, ne ha fatto seguito un secondo di segno esattamente contrario, secondo cui “la rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno ormai consolidatosi in favore della stessa banca è revocabile, ai sensi della L. Fall., art. 67, non assumendo alcun rilievo la circostanza che il ricavato della vendita sia destinato a soddisfare un credito privilegiato, in quanto l'”eventus damni” deve considerarsi “in re ipsa”, consistendo nella lesione della “par condicio creditorum” ricollegabile all’uscita del bene dalla massa in forza dell’atto dispositivo, e non potendosi escludere “a priori” il pregiudizio delle ragioni di altri creditori privilegiati, insinuatisi in seguito al passivo” che, a partire da Cass. Sez. 1, sentenza n. 4785 del 26/02/2010, è stato più volte ribadito da questa Corte (v. Sez. 1, ordinanza n. 16565 del 22/06/2018; cfr. Cass. n. 17358 del 2016, in motivazione; Cass. n. 25571 del 2010; Cass. n. 7563 del 2011).
6.1. In particolare, l’effetto indiretto della perdita della garanzia che ne consegue, nonostante il suo consolidamento, è affrontato exspressis verbis in Cass. 4785/2010, ove si afferma: i) che il consolidamento della causa di prelazione, formatasi anteriormente al periodo sospetto, resta irrilevante, così come la destinazione del ricavato della vendita a soddisfare le ragioni del creditore privilegiato, trattandosi di evenienze che non fanno venir meno l’interesse del curatore all’esercizio dell’azione revocatoria, non potendosi escludere a priori il pregiudizio alle ragioni di altri creditori privilegiati tardivi, (Cass. 24046/2006) o in generale della massa, per il mancato concorso del creditore soddisfatto extraconcorso alle spese di procedura; ii) che la mens legis sottesa all’istituto è “attribuire efficacia deterrente all’azione revocatoria mediante un cordone sanitario attorno all’imprenditore insolvente”; iii) che altro è l’irrevocabilità della causa di prelazione per decorso del periodo sospetto, altro è la pretesa esenzione dalle regole del concorso, “tramite la potestà di escutere direttamente la garanzia – pur nella sussistenza della scientia decoctionis – che, per essere legittima forma di autotutela, presupporrebbe invece (anche se realizzata in forma concordata col debitore pignoratizio) il diritto di agire individualmente, nonostante il fallimento, proprio di talune fattispecie speciali” (Cass. 13996/2008); iv) che “il rigore della disciplina non può essere infirmato dalla considerazione dei riflessi, senza dubbio gravosi per il creditore privilegiato, conseguenti alla perdita della disponibilità del pegno (o, alla cancellazione della ipoteca immobiliare), cui è legata la permanenza della garanzia reale (art. 2787 c.c., comma 2), a seguito dell’avvenuta esazione satisfattoria, poi revocata”; v) che, sebbene “si debba ritenere, in difetto di previsione normativa, l’intrasferibilità della prelazione sulla somma retrocessa alla curatela, a titolo di surrogazione reale, resta che adducere inconveniens non est solvere argomentum”.
7. Quanto agli effetti indiretti della revocatoria di cui si discute, questa Corte ha di recente espressamente affermato, in una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, che “qualora, a seguito del positivo esperimento di un’azione revocatoria fallimentare, il creditore pignoratizio che abbia escusso la garanzia, incamerando il ricavato della vendita di titoli ottenuti in pegno, sia condannato a restituirne l’importo, lo stesso ha diritto ad insinuarsi al passivo solo in via chirografaria nella misura del pagamento revocato, senza che possa rivivere l’originaria garanzia, dal momento che il credito che può essere insinuato ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2, non è quello originario, ma un credito nuovo che nasce dall’effettiva restituzione e trova fonte direttamente nella legge” (Cass. Sez. 6-1, 05/10/2018 n. 24627).
7.1. In effetti, l’ammissione al chirografo in simili casi viene di solito fondata, per un verso, sul principio per cui la prelazione non può farsi valere se la cosa data in pegno non è rimasta in possesso del creditore (ex art. 2787 c.c., comma 2), per altro verso sulla natura “distributiva” dell’azione revocatoria fallimentare, in quanto diretta semplicemente a ripristinare la par condicio creditorum violata con atti di disposizione dei beni del fallito, quand’anche destinati a soddisfare creditori privilegiati (Cass. Sez. U., 7028/2016, con definitivo superamento della contrapposta teoria indennitaria).
7.2. In questa sede preme sottolineare come Cass. 24627/2018 abbia espressamente respinto la tesi dell’applicabilità analogica del D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 5 (sulle c.d. garanzie finanziarie) laddove, prevedendo che il creditore pignoratizio “può disporre anche mediante alienazione delle attività finanziarie”, essendo tenuto in tal caso a “ricostituire la garanzia equivalente in sostituzione di quella originaria”, dimostrerebbe l’ontologica possibilità della garanzia finanziaria di trasferirsi sul denaro ricavato dalla vendita dei titoli che ne formavano originariamente l’oggetto – rilevando la differenza strutturale tra l’ipotesi di sostituzione “rotativa” dei beni dati in pegno, di cui al D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 5 e l’ipotesi in cui si sia verificata l’escussione della garanzia, come tale incompatibile con la prosecuzione della garanzia medesima, essendo l’atto che pone termine alla sua stessa esistenza (mentre l’obbligo del creditore di ricostituire la garanzia è intimo all’ipotesi contemplata dal citato art. 5, della sostituzione “rotativa” dei beni ottenuti in garanzia).
7.3. Quella stessa pronuncia ha altresì escluso che nel nostro ordinamento possa individuarsi un principio generale di “reviviscenza della garanzia prestata dal debitore, unitamente alla reviviscenza del credito a seguito dell’esercizio della revocatoria fallimentare”, ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2, stante l’accessorietà della garanzia al credito che “rivive” nei confronti della massa dopo la restituzione del pagamento ricevuto dal creditore garantito. E’ stata infatti esclusa la stessa idea presupposta che a “rivivere” sia il credito revocato, trattandosi invece di “un credito nuovo, che ha direttamente fonte nella legge (e che, seppur successivo alla sentenza dichiarativa, per ragioni di equità distributiva viene eccezionalmente ammesso al concorso)”, come sarebbe confermato, sul piano sistematico, dal testo dell’art. 2902 c.c., comma 2, che, in materia di revocatoria ordinaria, discorre senz’altro di soggetto “che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria”. Tutto ciò viene infine giustificato, sotto il profilo funzionale, col fatto “che a ritenere diversamente – ad assegnare, cioè, la prelazione sul restituito al creditore in precedenza garantito da pegno – lo stesso esercizio dell’azione revocatoria verrebbe, in buona sostanza, a perdere quasi del tutto significato”.
8. Ritiene il Collegio che – ferma restando la funzione redistributiva (o “anti-indennitaria”) dell’azione revocatoria fallimentare (Cass. Sez. U., 7028/2006; conf. ex multis Cass. 24936/2007, 25571/2010, 23712/2012, 16565/2018 – le esposte conclusioni meritino di essere ponderate, al fine di scongiurare una possibile eterogenesi dei fini nella loro applicazione, avuto riguardo proprio al principio sotteso della par condicio creditorum.
8.1. Ciò in quanto, a fronte di una garanzia consolidata e dunque pienamente efficace nei confronti della massa, una volta ricostituito l’attivo distribuibile attraverso la revoca del “pagamento” realizzato mediante il controvalore del bene sul quale la garanzia era stata costituita (secondo un percorso assimilabile alla realizzazione coattiva del credito in sede di espropriazione forzata, in entrambi i casi l’azione revocatoria essendo rivolta non tanto nei confronti di un “pagamento” eseguito dal debitore poi fallito, quanto degli effetti di un procedimento satisfattivo attivato dal creditore), la degradazione a chirografo del credito originariamente garantito integrerebbe essa stessa – in difetto di una azione di revoca dell’atto costitutivo della garanzia – una lesione della par condicio creditorum, per giunta in chiave sanzionatoria, quando invece la ratio della revocatoria fallimentare è semplicemente attrarre la soddisfazione del credito garantito in sede concorsuale, ai fini della sua compiuta graduazione rispetto a tutti i restanti crediti, sia concorsuali che prededucibili, secondo i criteri stabiliti dalla L. Fall., gli artt. 111,111-bis, 111-ter, 111-quater e 112.
8.2. La fattispecie non appare pacificamente assimilabile a quella della revoca del pagamento di un credito astrattamente privilegiato, in cui il creditore non ha acquisito alcun diritto, opponibile alla massa, a soddisfarsi sulla somma di denaro ricevuta; al contrario, in caso di pegno costituito al di fuori del c.d. periodo sospetto, l’efficacia della garanzia nei confronti del fallimento non può più essere posta in discussione, e la revoca del pagamento proveniente dalla vendita del bene comporterebbe il sostanziale venir meno del diritto consolidato del creditore ad esercitare la prelazione sulla somma incassata.
8.3. Sotto tale profilo andrebbe allora verificata l’applicabilità al caso di specie della teoria distributiva sopra richiamata, apparendo quantomeno dubbio che la realizzazione del pegno consolidato possa pregiudicare le ragioni di altri creditori privilegiati (ma, evidentemente, non muniti del medesimo privilegio pignoratizio) che potrebbero insinuarsi anche successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria, e che pertanto la verifica dell’insussistenza di tale pregiudizio possa verificarsi solo in seguito alla ripartizione dell’attivo, secondo quanto affermato da Cass. Sez. U., n. 7028/2006.
8.4. In altri termini, occorre valutare se l’applicazione congiunta della L. Fall., art. 67, comma 2 e art. 70, comma 2 – nella lettura divisatane da Cass. 4785/2010 e 24627/2018 – non finisca per privare di efficacia una causa di prelazione costituita in forza di un atto non più suscettibile di essere ritenuto pregiudizievole per i creditori, al di là delle stesse esigenze della concorsualità.
8.5. Se infatti è vero che la possibilità di una soddisfazione in sede extra-concorsuale, in quanto eccezionale, non soffre letture estensive o analogiche oltre i casi espressamente previsti (si pensi alla compensazione L. Fall., ex art. 56, estesa come visto alla realizzazione del cd. pegno irregolare; alle c.d. “garanzie finanziarie” ex D.Lgs. n. 170 del 2004; al pegno non possessorio D.L. n. 59 del 2016, ex art. 1, comma 8), e che altrettanto deve ritenersi per le esenzioni da revocatoria ulteriori rispetto a quelle codificate nella L. Fall., art. 67, comma 3 (v. art. 39, comma 4, T.U.B., per i pagamenti relativi a crediti ipotecari fondiari), tuttavia ciò non significa che all’esercizio vittorioso dell’azione revocatoria fallimentare consegua, oltre al fine precipuo di ricondurre il pagamento nell’orbita concorsuale, anche l’effetto “sanzionatorio” – inespresso – del venir meno della causa di prelazione spettante al credito irregolarmente soddisfatto (e così estinto) in sede extraconcorsuale.
9. In conclusione, poichè il tema in disamina postula una precisa opzione ermeneutica che coinvolge i principi generali della concorsualità sottesi alle norme implicate, è opportuno trasmettere gli atti al Primo presidente affinchè valuti se rimettere alle sezioni unite la questione di massima di particolare importanza della revocabilità dell’incasso rinveniente dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato, cui risulta strettamente collegata l’ulteriore questione se, una volta restituita dal creditore pignoratizio la somma revocata, l’ammissione del credito al passivo ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2, in via chirografaria, possa o meno ritenersi confliggente con la stessa concezione redistributiva e anti-indennitaria della revocatoria fallimentare, che implica unicamente il ripristino della par condicio creditorum.
P.Q.M.
La Corte dispone rimettersi gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021
[1] Cassazione Civile, sez. III, sent. n. 10000 del 24/5/2004: “In tema d’interpretazione dell’art. 1851 cod. civ. – norma che, riferita all’anticipazione bancaria, costituisce, tuttavia, la regola generale di ogni altra ipotesi di pegno irregolare – la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass., n. 5845/2000; Cass., n. 5592/96) ha chiarito che qualora il debitore, a garanzia dell’adempimento della sua obbligazione, vincoli al suo creditore un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati e gli conferisca anche la facoltà di disporre del relativo diritto, si esula dall’ipotesi del pegno regolare (artt. 1997 e 2784 cod. civ.) e si rientra nella disciplina, delineata dal predetto art. 1851, del pegno irregolare, in base alla quale il creditore garantito acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, che dovrà restituire al momento dell’adempimento o, in caso d’inadempimento, dovrà rendere per quella parte eccedente l’ammontare del credito garantito, determinata in relazione al valore delle cose al tempo della scadenza del credito garantito. In tal caso, infatti, i titoli vengono dedotti nella loro fungibile valenza economica e, perciò, sono individuati solo nella loro appartenenza ad un genus”.
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