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Cassazione Civile, sez. III, sent. n. 9320 del 4 aprile 2019
Massima:
“Il negozio istitutivo di un trust, per considerarsi a titolo oneroso, deve essere posto in adempimento di un obbligo e dietro pagamento di un corrispettivo. Tanto si verifica, ad es., nei c.d. trust di garanzia, che sono istituiti da un debitore in seguito ad un accordo con i propri creditori. Al contrario, se il trust viene posto in essere in virtù di una spontanea determinazione volitiva del disponente e in mancanza di un vantaggio patrimoniale, l’atto costitutivo del trust deve essere considerato a titolo gratuito, come per l’appunto si verifica nel caso di trust familiare. In ogni caso l’onerosità dell’atto di disposizione patrimoniale non può essere posta in relazione all’eventuale compenso stabilito per l’opera del trustee, in quanto l’onerosità dell’incarico affidato a quest’ultimo attiene (non al rapporto di trust, ma) all’eventuale remunerazione per il mandato conferito. Onerosità e gratuità vanno poste in relazione all’interesse che qualifica il rapporto di trust (che è quello del beneficiario)”.
Motivazione:
2.1. L’istituto del trust familiare: non ha attualmente nel nostro ordinamento una sua legge regolatrice (limitandosi la L. 22 giugno 2016, n. 112, a stabilire un regime fiscale di favore al fine di promuovere la stipula del c.d. trust di protezione a beneficio di persone con gravi disabilità); pur non essendo una figura tipica, è comunque espressione di autonomia negoziale ed è quindi legittimo nel nostro ordinamento ogni qual volta la causa, che lo sorregge, sia lecita e meritevole di tutela, giusto il disposto generale di cui all’art. 1322 c.c., comma 2; è da intendersi attualmente disciplinato dalla Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985 (ratificata nel nostro ordinamento dalla L. 16 ottobre 1989, n. 364, ed entrata in vigore il 1 gennaio 1992), riguardante per l’appunto “la determinazione della legge ed il riconoscimento del trust negli stati contraenti”: si tratta cioè di istituto riconosciuto dal nostro ordinamento, ma non regolamentato dalla legge italiana.
Il nostro Paese, con la menzionata legge di ratifica, non si è obbligata al riconoscimento di qualsiasi tipologia di trust, ma, esclusivamente, di quelli “istituiti volontariamente e provati per iscritto” (art. 3) e regolati dalla legge (art. 6) scelta dal soggetto disponente ovvero da quella avente il collegamento più stretto con il trust (art. 7). Al momento della istituzione del trust, il soggetto disponente sottoscrive un atto istitutivo di trust e un atto di conferimento di beni o di diritti; ma l’atto di conferimento, come per l’appunto è avvenuto nel caso di specie, può essere effettuato anche in un momento successivo. Il negozio è disciplinato dalla legge straniera richiamata, ma, in virtù delle norme di salvaguardia di cui agli artt. 13, 15, 16 e 18 della Convenzione, è sempre possibile per il giudice nazionale compiere un giudizio di compatibilità con i “principi fondamentali” del nostro ordinamento.
La peculiarità dell’istituto risiede nello “sdoppiamento del concetto di proprietà”, tipico dei Paesi di common law: la proprietà legale del trust, attribuita al trustee, ne rende quest’ultimo unico titolare dei relativi diritti (sia pure nell’interesse dei beneficiari e per il perseguimento dello scopo definito), ma i beni restano segregati nel patrimonio del trust e, quindi, diventano estranei non soltanto al patrimonio del disponente, ma anche a quello personale del trustee (che deve amministrarli e disporne secondo il programma del trust).
2.2. Ciò premesso, l’istituto in esame è stato correttamente ricostruito dalla Corte territoriale laddove la stessa:
– dapprima, ha tratteggiato l’caratteri distintivi del trust quale strumento di pianificazione patrimoniale, osservando che: a) è la stessa Convenzione dell’Aja, che fornisce la definizione di trust, stabilendo che con tale termine debbano intendersi i rapporti giuridici istituiti da una persona con atto tra vivi (caso in esame) o “mortis causa”, qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un “trustee” nell’interesse di un “Beneficiano” o per un fine specifico; b) pertanto, il Trust realizza una netta separazione tra il patrimonio del disponente (di colui, cioè, che dà vita al Trust stesso) e quello dell’effettivo beneficiano e del trustee; c) quindi, alla costituzione ed alla gestione del Trust, generalmente, intervengono tre soggetti: il disponente (cioè il proprietario dei beni), il trustee (cioè il gestore fiduciario dei beni) ed il beneficiano (cioè il soggetto nell’interesse del quale i beni vengono conferiti nel Trust e gestiti dal trustee);
– poi, ha ricordato che, secondo lo schema contrattuale tipico del trust: il disponente trasferisce i propri beni e istituisce il trust attribuendo la proprietà degli stessi al trustee (gestore), che è la figura chiave di tutto lo strumento e che, oltre a divenire l’effettivo proprietario, assume funzioni di gestione; il trustee, a sua volta, dispone dei beni secondo l’atto di trust, ma è comunque obbligato a gestirli nell’interesse dei beneficiari od allo scopo determinato dal disponente;
– quindi, ha individuato quali caratteri fondamentali di ogni trust: a) la piena separazione ed il totale distacco del patrimonio conferito dalla sfera giuridica del disponente, per passare in piena proprietà al trustee, seppure a titolo fiduciario e nell’interesse del beneficiano; b) il fatto che il patrimonio conferito nel trust è messo al riparo da eventuali pretese: sia da parte dei creditori del disponente, poiché il patrimonio non è più di proprietà disponente; sia da parte dei creditori del trustee, poiché quest’ultimo, seppure effettivo proprietario del patrimonio stesso, detiene solo ed esclusivamente nella qualità di trustee e mai a titolo personale; sia da parte dei creditori del beneficiario, fino a quando quest’ultimo non riceva i beni con successivo passaggio dal trustee;
– infine, ha affermato che in via generale anche il trust può essere revocabile poiché ha sicuramente natura gratuita l’atto di conferimento di beni in trust posto in essere allo scopo di provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni ed esigenze familiari qualora ricorrano i presupposti dell’azione pauliana.
2.3. Sviluppando l’inquadramento sistematico effettuato dalla nella più recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, sent. n. 13388 del 29/05/2018, Rv. 649036 – 01; ord. n. 9637 del 19/4/2918; sent. n. 19376 del 03/08/2017, Rv. 645384 – 03; ord. n. 13175 del 25/5/2017), può essere utile aggiungere che il trust si distingue: sia dall’istituto del fondo patrimoniale, previsto dall’art. 167 c.c. e ss.; che dalle società fiduciarie, con i quali pur ha in comune il fatto di essere uno strumento di pianificazione patrimoniale.
In particolare, il trust si distingue dal fondo patrimoniale, perché: a) diversi sono i soggetti che possono istituirlo (nel fondo, soltanto i coniugi ed eventualmente un terzo; nel trust chiunque); b) diversi sono i fondi vincolabili (nel fondo, soltanto beni immobili, beni mobili iscritti in pubblici registri e titoli di credito; nel trust, qualsiasi utilità valutabile in termini economici); c) diverse sono le regole dell’amministrazione dei beni (dette regole sono, per il fondo, quelle dell’amministrazione della comunione legale, in quanto compatibili; mentre, per il trust, sono quelle liberamente impartite dal disponente); d) diversa è la portata del vincolo di impignorabilità che si viene a creare sui beni conferiti (detto vincolo è, nel fondo patrimoniale, difficilmente opponibile al creditore di buona fede che abbia ignorato l’estraneità del debito rispetto ai bisogni della famiglia; mentre, nel trust, è assoluto ed opponibile a tutti i creditori estranei agli scopi e alle finalità destinatorie); e) diversi sono infine i possibili soggetti beneficiari e la qualificazione giuridica della loro posizione (nel fondo patrimoniale i beneficiari sono necessariamente i componenti della famiglia nucleare e questi godono di una semplice aspettativa di fatto ai proventi del fondo ed alla destinazione finale dei beni; mentre nel trust beneficiari possono essere anche altri soggetti, tutti titolari di una posizione soggettiva di credito nei confronti del trustee).
D’altra parte, il trust si distingue dalle società fiduciarie, che, come noto, sono imprese che si occupano di amministrare i beni conferiti da una persona fisica o giuridica, secondo le prescrizioni dalla stessa impartite. A tal fine, il fiduciante trasferisce la titolarità di determinati diritti (beni mobili, immobili, quote di partecipazione in società, eredità, ecc.) in favore della società fiduciaria, che si limita ad amministrarli secondo le disposizioni contenute nell’accordo intervenuto tra le parti (pactum fiduciae). Anche le società fiduciarie attuano una netta separazione tra il patrimonio gestito in favore del soggetto fiduciante e quello loro proprio, ma non diventano proprietarie dei beni e diritti ad esse affidati, in quanto questi restano in capo al cliente (e, quindi, soggetti alle sole azioni dei creditori del fiduciante. Al contrario, come sopra rilevato, nel trust, i beni costituiscono una massa patrimoniale separata e distinta da quella del soggetto disponente e da quella del trustee.
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