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Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia
Gli effetti dei cambiamenti climatici e ambientali, divenuti più frequenti nell’ultimo decennio, causano danni rilevanti e pongono rischi per l’economia e il sistema finanziario.
L’interesse delle autorità di supervisione europee per ii climate change e i rischi da esso derivanti al settore finanziario comincia a manifestarsi concretamente alla fine del 2020, quando la Vigilanza bancaria della BCE pubblica la “Guida sui rischi climatici e ambientali” nella quale definisce le aspettative sulle modalità di integrazione di tali rischi nella strategia e organizzazione aziendale, nella governance e nel sistema dei controlli interni, nella gestione dei rischi e nell’informativa al mercato.
A distanza di un anno la BCE pubblica il report “The state of climate and envinronmental risk management in the banking sector”, da cui emerge che l’adeguamento agli orientamenti espressi nella “Guida” è ancora largamente insufficiente. Nel gennaio 2022 la BCE lancia uno stress test sul rischio climatico per valutare il grado di preparazione delle banche ad affrontare gli shock finanziari ed economici derivanti dai rischi legati al clima[1]. I risultati dell’esercizio, resi noti a luglio 2022, evidenziano che le banche significative (significant institutions) non tengono ancora adeguatamente conto del rischio climatico nell’ambito dei quadri di riferimento per le prove di stress e dei modelli interni.
Nel giugno 2021 l’EBA pubblica il rapporto “Report on management and supervision of ESG risks for credit institutions and investment firms) che contiene indicazioni per includere i fattori ESG (environmental, social and governance) nel quadro normativo e di vigilanza applicabile alle banche e alle imprese di investimento, a cui è seguita l’emanazione di un regolamento delegato sulle informazioni che gli intermediari devono fornire al pubblico sulla propria esposizione ai rischi ESG.
In linea con tali iniziative, nell’aprile 2022 la Banca d’Italia ha pubblicato il documento “Aspettative di vigilanza sui rischi climatici e ambientali” per favorire la realizzazione di un modello di sviluppo sostenibile dei soggetti vigilati, bancari e finanziari, basato sulla piena integrazione dei fattori ESG nelle strategie aziendali, nei sistemi di governo, controllo e gestione dei rischi e nell’informativa al mercato.
In tale ambito, gli intermediari sono stati sollecitati a svolgere approfondimenti e valutazioni sulla rilevanza delle tematiche climatiche e ambientali per il proprio modello imprenditoriale, ricercando e applicando soluzioni coerenti con l’effettiva esposizione ai rischi, in funzione della tipologia, dimensione e complessità dell’attività svolta.
Dopo la pubblicazione del documento la Banca d’Italia ha avviato nel corso del 2022 una prima indagine strutturata sul livello di integrazione dei rischi climatici e ambientali nei sistemi gestionali delle banche meno significative (less significant institutions, LSI) alle aspettative, partecipando con un campione di 21 LSI all’indagine tematica condotta dalla BCE sulle banche significative.
Il campione di LSI è stato costruito in modo da garantire un’ampia diversificazione in termini di modello di business, dimensione e area geografica di operatività. Agli intermediari è stato sottoposto un questionario articolato in quattro moduli: governance e propensione al rischio; valutazione di materialità; modello di business e strategia; gestione dei rischi (cfr. tabella sottostante).
Moduli
Governance e propensione al rischio | Consiglio di amministrazione, Propensione al rischio, Politiche remunerative, Struttura organizzativa, data governance, Reporting |
Valutazioni di materialità | Rischio di credito, Rischio di mercato, Rischio legale e reputazionale, Rischio di liquidità, Rischio strategico, Rischio complessivo |
Modello di business e strategia | Contesto operativo, Key Performance Indicators (KPI), Resilienza del modello di business |
Gestione dei rischi | Quantificazione del rischio, Misure di mitigazione, Adeguatezza Patrimoniale, Gestione dei rischi |
In generale, l’esercizio di autovalutazione ha posto in luce, al netto di alcune positive eccezioni, un basso grado di allineamento alle aspettative di vigilanza, ma, al contempo, una diffusa e crescente consapevolezza sull’importanza della tematica per la sostenibilità prospettica dei modelli di business.
Con riferimento all’area “governance e propensione al rischio”, la ricognizione ha evidenziato che la gestione dei rischi climatici e ambientali è ormai entrata nell’agenda dei consigli di amministrazione di quasi tutte le banche del campione.
I regolamenti dei Consigli di amministrazione sono stati in molti casi aggiornati con l’esplicita attribuzione di responsabilità sui rischi climatici a comitati endoconsiliari dedicati o a specifiche strutture; molte banche hanno promosso iniziative formative a favore dei membri dei consiglieri e alcune hanno incluso la conoscenza in materia climatica e ambientale tra i criteri di valutazione di adeguatezza collettiva del Board. Resta comunque ancora un ampio divario di conoscenza all’interno dei consigli.
Maggiori ritardi si registrano con riguardo a: i) le strategie di governo dei dati; ii) l’integrazione dei rischi climatici nel RAF (risk appetite framework); iii) la definizione di un’adeguata reportistica per il Board; iv) l’inclusione dei rischi climatici e ambientali nelle politiche retributive e nel sistema dei controlli interni.
Per quanto riguarda l’area “Valutazione delle materialità”, l’analisi ha rilevato ritardi nello sviluppo di processi organici e strutturati. Infatti, solo 18 banche hanno avviato prime valutazioni sull’impatto potenziale dei fattori climatici sui rischi più significativi per il proprio modello di business (principalmente operativo e di credito), mentre 2 intermediari hanno condotto valutazioni di materialità su tutti i rischi. Le banche residue del campione non hanno invece effettuato alcun assessment.
Nei casi in cui sono state compiute iniziali valutazioni di materialità, l’allineamento alle aspettative della Banca d’Italia è risultato spesso parziale, in quanto limitato a un apprezzamento di tipo qualitativo e/o solo ad alcuni fattori di rischio fisico o di transizione, in ragione soprattutto della difficoltà nel reperire dati robusti e affidabili.
Per quel che concerne l’area “Modello di business e strategia”, l’indagine ha evidenziato che circa l’80% del campione ha condotto analisi sul contesto normativo e/o competitivo di riferimento, con l’obiettivo di individuare gli interventi di adeguamento di processi, policy e strategie da attuare nel breve-medio periodo, nonché di assicurare, in chiave prospettica, la sostenibilità del proprio modello imprenditoriale.
Le analisi sul contesto competitivo hanno permesso di individuare i possibili fattori di rischio che potrebbero impattare sullo scenario macroeconomico e settoriale in cui operano le banche e le aree di business/processi aziendali potenzialmente esposti a tali rischi.
Quanto, infine, all’area “Gestione dei rischi”, l’indagine tematica ha consentito di riscontrare che tale profilo presenta i maggiori ritardi in quanto, per ogni driver analizzato, almeno la metà del campione non ha definito specifiche prassi.
I rischi climatici e ambientali sono ancora poco tenuti in considerazione nei processi di valutazione dell’adeguatezza del capitale interno: nessuna banca ha quantificato l’impatto sui rischi tradizionali ai fini dell’ICAAP (Internal Capital Adequacy) e solo 3 operatori hanno elaborato un framework di stress testing ESG, circoscritto al rischio di credito e a quello strategico.
Alcuni intermediari hanno iniziato o pianificano di integrare l’esposizione ai rischi climatici delle controparti nei processi di concessione e monitoraggio dei crediti. Nello specifico, un terzo delle banche ha curato l’aggiornamento delle policy aziendali introducendo i fattori di rischio climatico tra i driver alla base delle valutazioni del merito creditizio della controparte. Della parte restante del campione, 6 intermediari hanno pianificato interventi sulla policy del credito, mentre 8 non hanno ancora programmato azioni della specie.
Appare ancora limitata la considerazione dei rischi climatici e ambientali nella gestione del rischio operativo. Un’aliquota minoritaria di banche (5 su 21) ha incluso i fattori ESG nella valutazione del rischio reputazionale.
In relazione a quanto emerso dall’esercizio, la Banca d’Italia si attende che gli organi di amministrazione delle LSI approvino un appropriato piano di iniziative, finalizzato a definire, per il prossimo triennio, un percorso di allineamento progressivo alle aspettative, ”declinando in modo coerente i tempi di adeguamento delle principali policy aziendali e dei sistemi organizzativi e gestionali”. Tali piani di azione costituiranno il riferimento per il successivo dialogo di vigilanza, che sarà orientato a verificare il progressivo allineamento delle prassi aziendali alle aspettative di vigilanza.
Nel corso del 2022 la Banca d’Italia ha effettuato un analogo esercizio su un campione di 86 intermediari finanziari non bancari, ai quali è stato somministrato un questionario di autovalutazione, volto a verificare il livello di integrazione dei rischi climatici e ambientali nei paradigmi gestionali con particolare riguardo alle aree di governance e organizzazione, modello di business e strategia, risk management e informativa al mercato.
L’esame delle risposte ha posto in luce un limitato allineamento alle aspettative, essendo emersi nella maggior parte dei casi ritardi nella realizzazione e, spesso, anche nella pianificazione degli interventi sui diversi profili aziendali interessati.
Le principali criticità emerse dall’indagine attengono a tre profili di analisi: modello di business e strategia; governance e sistema organizzativo, sistema di gestione dei rischi e base dati.
In tema di “modelli di business e strategia”, la Banca d’Italia osserva che la maggioranza degli intermediari si limita a ricondurre il tema della sostenibilità del modello di business alla presenza, nella propria offerta commerciale, di prodotti catalogati come green o socialmente responsabili. Solo un ridotto numero di operatori ha posto attenzione al conseguimento di misurabili obiettivi di sostenibilità della strategia aziendale e al monitoraggio di specifici indicatori di performance ambientale e climatica.
Sul punto, la Banca d’Italia ritiene opportuno che gli intermediari che intendono integrare i rischi climatici e ambientali nel proprio modello imprenditoriale “trasformino tale impegno in target di sostenibilità misurabili”.
Con riferimento alla “governance e al sistema organizzativo”, le principali criticità rilevate sono legate alla scarsa presenza negli organi amministrativi di competenze sulle tematiche climatiche e ambientali e a un insufficiente sistema di reporting.
Per rimuovere tali elementi di debolezza, si reputa necessario, a giudizio della Banca d’Italia, attivare una serie di interventi, tra cui: i) immettere nei consigli professionalità dotate di specifiche competenze su tematiche ESG; ii) definire ruoli e responsabilità all’interno dell’organo amministrativo e/o dei comitati endoconsiliari assicurando un sistema di reporting efficace che preveda una adeguata periodicità; iii) rafforzare il coinvolgimento delle funzioni di controllo nel presidio dei rischi ESG; iv) implementare i sistemi informativi e realizzare un data base in grado di fornire gli elementi necessari a valutare l’esposizione ai rischi climatici e ambientali.
In merito al “sistema di gestione dei rischi”, si sottolinea la necessità per gli intermediari di intensificare gli sforzi per allinearsi alle aspettative di vigilanza sui rischi climatici e ambientali, prevedendo un’adeguata azione delle funzioni di controllo. Gli intermediari sono quindi sollecitati a: i) completare la mappatura degli eventi di rischio che potrebbero manifestarsi in relazione a fattori climatici e ambientali, valutandone la materialità e le implicazioni di natura prudenziale, e determinare l’esposizione considerata accettabile, definendo un adeguato sistema di limiti e di indicatori di rischio e integrando, ove presente, il RAF; ii) elaborare coerenti sistemi di monitoraggio e di reporting, destinando quest’ultimo anche ai vertici aziendali; iii) integrare maggiormente i rischi climatici e ambientali nei processi del credito e nelle strategie di investimento e, con particolare riferimento alle società che gestiscono portafogli titoli (propri o di terzi), potenziare il presidio dei rischi di liquidità e operativi.
Alla luce delle evidenze emerse dall’indagine, la Banca d’Italia chiede a tutti gli intermediari non bancari di predisporre un action plan che: i) individui specifici interventi atti a rimuovere le lacune rilevate; ii) specifichi le priorità e i tempi necessari per il completamento; iii) tenga conto degli elementi di debolezza e delle esigenze di miglioramento emersi dai questionati. Tali piani, approvati dal Consiglio di amministrazione, dovranno essere trasmessi alla Banca d’Italia, in uno con la valutazione del Collegio sindacale, entro il 31 marzo 2023 e saranno considerati nel processo di revisione e valutazione prudenziale (SREP)[2].
Note:
[1] La prova di stress si compone di tre moduli distinti: i) un questionario sulla capacità delle banche di stress test climatico; ii) un’analisi comparativa tra pari per valutare la sostenibilità dei modelli di business delle banche e la loro esposizione alle imprese ad alta intensità di emissioni; iii) uno stress test dal basso verso l’alto.
[2] Lo SREP è il processo mediante il quale l’Organo di vigilanza valuta l’adeguatezza dei profili patrimoniali, di liquidità e organizzativi dell’intermediario rispetto ai rischi assunti, la sostenibilità del modello di business e la sua redditività.
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