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Di Alberto Fantozzi, Avvocato
28 novembre 2005
Premessa
L’impostazione codicistica classica della disciplina dei contratti è ispirata all’indifferenza rispetto alla qualificazione economica delle parti, delle quali essa tende a garantire la parità formale.
Partendo dalla legislazione comunitaria, sono state via via definite, però, aree distinte di discipline contrattuali che danno rilievo giuridico alla disparità sostanziale fra le parti e tutelano quella più debole, generalmente identificata nel consumatore, per tale intendendosi la persona fisica che stipula il contratto per scopi estranei alla propria attività d’impresa o professionale.
Per quanto specificamente riguarda il diritto bancario, sono di matrice comunitaria le norma sul credito al consumo, ora integrate nel D.Lgs. 385/93 (T.U.B.), e quelle sulle clausole abusive, che sono state inserite in un apposito capo del codice civile.
Di matrice nazionale sono invece una serie di norme di fonte disomogenea. Hanno fonte legislativa le regole sulla trasparenza delle condizioni contrattuali di banche e intermediari finanziari, mentre si riconducono all’autodisciplina l’istituzione dell’Ombudsman bancario e il Codice di comportamento del settore bancario e finanziario.
Le clausole vessatorie
Le clausole contrattuali vessatorie, sono quelle che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto “malgrado la buona fede”. Deve inoltre trattarsi di clausole unilateralmente predisposte dal professionista.
Per le clausole relative alla determinazione dell’oggetto del contratto e all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e servizi, la vessatorietà è esclusa se esse sono formulate in modo chiaro e comprensibile.
In tutti i casi, invece, la vessatorietà di una clausola è esclusa se riproduce disposizioni d
i legge o principi contenuti in convenzioni internazionali oppure quando essa è stata oggetto di trattativa individuale tra i contraenti.
Lo ius variandi
Fortemente penalizzante per il cliente è la prassi corrente delle banche di apportare ai contratti modifiche sfavorevoli ai clienti. Tale possibilità è infatti loro riconosciuta dalla legge, la quale consente che tali modifiche possano essere unilateralmente introdotte dalla banca nei contratti di durata, a condizione che il cliente abbia sottoscritto appositamente la relativa clausola vessatoria (art. 117, 5° c. T.U.B.) e che le variazioni gli vengano comunicate nei modi e nei termini stabiliti dal CICR (art. 118, 1° c. T.U.B.)
Le forme delle comunicazioni idonee a consentire la variazione delle condizioni contrattuali sono state stabilite dalla Banca d’Italia: per la variazione di un singolo contratto è necessario inoltrare una comunicazione presso l’ultimo domicilio comunicato dal cliente; per le variazioni generalizzate della struttura di tassi d’interesse, prezzi ed altre condizioni previste in contratto, è previsto che esse “possono essere comunicate alla clientela in modo impersonale”, cioè con la pubblicazione di appositi avvisi sulla Gazzetta Ufficiale, ed è opportuno che le banche espongano nei propri locali aperti al pubblico appositi avvisi riportanti le variazioni.
A fronte dell’applicazione unilaterale da parte della banca delle condizioni sfavorevoli, il cliente vanta un diritto di recesso dal contratto, diritto che può esercitarsi entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione (art. 118, 3° c., T.U.B.). Risulta chiaro come tale norma provochi innumerevoli disagi a coloro i quali, per non sottostare al peggioramento delle condizioni economiche del rapporto, si trovano nella condizione di dover rientrare velocissimamente da affidamenti e quant’altro.
Il diritto di recesso
Quasi sempre nei contratti bancari vi sono clausole che prevedono il diritto di recedere in qualsiasi momento a favore della sola banca, ricadendo così nella presunzione di vessatorietà di cui al n. 7 dell’art. 1469-bis, 3° co.
Per quanto riguarda il contratto di apertura di credito, ad esempio, le Norme bancarie Uniformi attribuiscono alla banca la facoltà di recedere senza preavviso, sempre, incondizionatamente, ed anche con comunicazione verbale.
La giurisprudenza, finora, ha ritenuto legittima una clausola siffatta in quanto l’art. 1845, 1° co. c.c. prevede si che la banca non possa recedere dal contratto di apertura di credito prima della scadenza se non per giusta causa, ma ammette anche il patto contrario.
L’ABI, distinguendo tra il contratto di apertura di credito a tempo determinato e quello a tempo indeterminato, ha sostanzialmente generalizzato la facoltà di recesso delle banche.
Nel caso di contratto a tempo indeterminato, escludendosi oramai l’ammissibilità del recesso ad nutum, questo potrà avvenire esclusivamente per giusta causa e la banca non si potrà avvalere della possibilità del patto contrario.
Nell’altro caso, è lo stesso art. 1845, 3° co, c.c. a stabilire che “se l’apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni.
Poiché lo stesso articolo prevede al 2° comma che il recesso sospende immediatamente l’utilizzazione del credito, ben si comprende quanto sia penalizzante la condizione del cliente.
La norma, infatti, pur se formalmente impostata sulla formale parità delle parti, in realtà è indifferente allo squilibrio sostanziale delle stesse ed alla diversa forza contrattuale.
L’azione inibitoria
Le clausole vessatorie sono inefficaci e tale inefficacia può operare soltanto a vantaggio del consumatore e non della banca.
Accanto all’inefficacia, dichiarata su un singolo contratto, l’articolo 1469- sexies prevede un rimedio generale applicabile ai contratti standardizzati e diretto ad evitare il reiterarsi dell’inserzione di clausole abusive nei contratti tra professionisti e consumatori: esso legittima soggetti portatori di interessi collettivi (associazioni di consumatori, di professionisti e camere di commercio) ad esperire un’azione inibitoria.
In sostanza, tali soggetti possono convenire in giudizio coloro che utilizzano condizioni generali di contratto per chiedere che il giudice inibisca l’utilizzo di alcune clausole, in quanto vessatorie.
Proprio avvalendosi del rimedio in parola, alcune associazioni di consumatori, citando in giudizio l’ABI ed alcune banche, nel 2000 hanno ottenuto una sentenza dal Tribunale di Roma che ha dichiarato l’abusività di un folto gruppo di clausole standard presenti nelle NUB e nei contratti predisposti dalle banche convenute in giudizio e ne ha, di conseguenza, inibito l’impiego.
La sentenza n. 420 del 2005
Partendo dei principi e dalle norme suesposte, un importante risultato è stato recentemente raggiunto anche da una associazione di consumatori di Bolzano nei confronti di una Banca.
Con sentenza n. 420/05, infatti il Tribunale di Bolzano ha dichiarato l’abusività della clausola contenuta nelle condizioni generali disciplinanti i contratti di conto corrente predisposti dalla banca convenuta “nella parte in cui prevede(va) l’obbligo del cliente di corrispondere una somma a titolo di “commissioni richiesta estinzione conto” anche nell’ipotesi in cui il diritto di recesso sia stato esercitato dal cliente a seguito della comunicazione, da parte dell’istituto di credito, della unilaterale modificazione dei tassi, prezzi e altre condizioni, ai sensi dell’articolo 118 del D.Lgs. 01.09.1993 n. 385, senza che la somma richiesta risulti corrispondere a spese effettivamente sostenute da parte della banca e adeguatamente documentate”: di conseguenza, alla stessa banca è stato inibito l’uso di detta clausola.
La doglianza dell’associazione di consumatori si concentrava sull’obbligo previsto nella modulistica, destinata alla sottoscrizione dei clienti al momento della conclusione del contratto di apertura di conto corrente, di corrispondere alla banca 50 Euro a titolo di “commissioni richiesta estinzione conto” anche nel caso in cui il recesso veniva esercitato in seguito ad una variazione unilaterale del regolamento contrattuale.
Il Tribunale di Bolzano, da un lato, ha riconosciuto che, in deroga all’articolo 1469 bis n. 11, che stabilisce la presunzione di vessatorietà della clausola che consente al professionista di modificare la clausola del contratto, la banca può “modificare, qualora sussista un giustificato motivo, le condizioni del contratto, preavvisando entro un congruo termine il consumatore, che ha diritto di recedere dal contratto stesso”.
Il 5° comma dell’art. 1469 bis, poi, attribuisce al professionista finanziario la facoltà di “modificare senza preavviso, sempre che vi sia un giustificato motivo, il tasso di interesse e l’importo di qualunque altro onere relativo alla prestazione finanziaria originariamente convenuti, dandone immediatamente comunicazione al consumatore che ha diritto di recedere dal contratto”. Dall’altro lato il Tribunale di Bolzano ha rilevato un problema di coordinamento con il Testo Unico Bancario, il quale, a differenza dell’articolo 1469 bis 5° comma, prevede che lo ius variandi debba essere previsto nel contratto con clausola specificamente approvata per iscritto dal cliente (articolo 117 5° comma) e stabilisce un termine di 15 giorni per l’esercizio del diritto di recesso dal parte del cliente nonchè il diritto di quest’ultimo di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto, l’applicazione delle condizioni precedentemente praticate (articolo 118 3° comma); l’articolo 1469 bis 5° comma, invece, a differenza del T.U.B., prevede che l’esercizio dello ius variandi sia subordinato alla ricorrenza di un giustificato motivo.
A conclusione di queste premesse, la sentenza in esame statuisce che “le due normative (n.d.r.: art. 1469 bis c.c. e T.U.B.) devono essere integrate tra loro allo scopo di offrire al consumatore il massimo di tutela: quindi lo ius variandi deve essere previsto nel contratto con clausola specificamente approvata, il suo esercizio presuppone un giustificato motivo, il consumatore conserva il diritto di recesso nel termine congruo di 15 giorni e di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto, l’applicazione delle condizioni precedentemente praticate”.
Partendo da questo presupposto, e colmandolo con il dettato dell’articolo 118 T.U.B. che prevede che il recesso non può essere condizionato al pagamento di alcuna penalità (salvo l’obbligo di rimborso delle spese effettivamente sostenute), il Tribunale di Bolzano ha definitivamente stabilito che “deve ritenersi vessatoria, ai sensi dell’articolo 1469 bis c.c., la clausola che, prevedendo per l’esercizio del recesso il pagamento di somme qualificate come spese ma non qualificabili tali nella sostanza (perché non effettive e documentate), è volta ad aggirare la normativa speciale in materia bancaria (che invece prevede espressamente il diritto del consumatore di recedere senza penalità) creando una vera e propria caparra penitenziale.
In definitiva è emersa l’abusività della clausola contenuta nelle condizioni generali disciplinanti i contratti di conto corrente predisposti dalla Banca XXX nella parte in cui prevede l’obbligo del cliente di corrispondere una somma a titolo di “commissioni richiesta estinzione conto” anche nell’ipotesi in cui il diritto di recesso sia stato esercitato dal cliente a seguito della comunicazione da parte dell’istituto di credito della unilaterale modificazione dei tassi, prezzi e altre condizioni, ai sensi dell’art. 118 del D.Lgs. 1.9.1993 n. 385, senza che la somma richiesta risulti corrispondere a spese effettivamente sostenute da parte della banca e adeguatamente documentate. L’uso di tale clausola va inibito ai sensi dell’art. 1469 sexies c.c.”.
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