Di Maurizio Tidona, Avvocato
L’art. 1853 c.c. dispone che se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario. [1]
L’art. 1853 c.c. consente alla banca di estinguere il proprio credito con un corrispettivo credito del cliente, senza necessità di alcuna autorizzazione da parte del correntista o necessità di un intervento giudiziale.
L’art. 1853 c.c. è stato propriamente disegnato dal legislatore allo scopo di garantire la banca contro ogni scoperto non specificamente pattuito che risulti a debito del cliente, quale effetto di un qualsiasi rapporto o conto corrente fra le due contrapposte parti.
La legge fa salva, nei modi che vedremo, la volontà contraria di una delle due parti (id est: il correntista, non avendo la banca interesse ad una manifestazione contraria ad una facoltà prevista in suo specifico favore).
I contrapposti crediti (uno della banca e l’altro del cliente) devono essere entrambi esigibili, non essendo richiesto che i rapporti a cui accedono siano già chiusi.
Dal lato attivo del cliente, l’esigibilità si ha, ad esempio, relativamente al saldo positivo di un conto corrente bancario, che è per definizione immediatamente disponibile per il cliente.
Dal lato passivo del cliente, l’esigibilità si ha invece quando la banca abbia diritto a domandare immediatamente il pagamento; si pensi ad una concessione di credito scaduta, ad uno scoperto di conto (per definizione, non autorizzato), alla sussistenza di rate di mutuo inadempiute, oppure – passando all’attualità dell’anatocismo – agli interessi passivi contabilizzati dalla banca il 31 dicembre di ogni anno, divenuti ex lege esigibili per la banca dal successivo 1° marzo (così l’art. 120 TUB e la Delibera CICR di attuazione del 3 agosto 2016) nel caso in cui il cliente non abbia dato alla banca una specifica autorizzazione (nella specie del “consenso espresso”) all’addebito nel conto (tali interessi sono per legge immediatamente esigibili per la banca, a far data dal 1° marzo).
In tutte queste ipotesi la banca è legittimata, senza alcun intervento o consenso esterno, a compensare (e cioè estinguere) automaticamente il proprio debito (per somme disponibili per il cliente) con un proprio credito (somme che la banca abbia diritto di domandare immediatamente al cliente, e cioè tutte quelle esigibili nei casi anzidetti o similari).
La Cassazione ha confermato che la compensazione tra i saldi attivi e passivi di più rapporti di conto corrente tra banca e cliente, prevista dall’art. 1853 c.c. citato, non richiede che si tratti di conti chiusi, ma che siano soltanto esigibili i contrapposti crediti (sez. I, 14/01/2016, n. 512).
La banca può attuare la compensazione molto semplicemente, mediante la mera annotazione nei rispettivi conti dell’operazione, ed in particolare attraverso l’immissione del saldo di un conto, come posta passiva, nel saldo dell’altro conto (se entrambi, si ripete, siano esigibili).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità per attuare la compensazione non è necessaria “che la relativa manifestazione di volontà sia espressa mediante l’uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che dal comportamento della parte risulti univocamente la volontà di ottenere la dichiarazione dell’estinzione del debito”. (ex multis: Cass. n. 12953/2016; Cass. 10335/2014).
Apparentemente contraria a tale assunto è una precedente pronunzia della Cassazione (sez. I. n. 10208 del 3 maggio 2007), che ha affermato, incidenter tantum, la necessità che i conti o rapporti di cui all’art. 1853 c.c. siano entrambi chiusi prima che la banca possa procedere alla compensazione dei rispettivi saldi. [2]
La Cassazione, con tale pronunzia, ha sì ritenuto che “la compensazione presuppone l’esigibilità dei rispettivi crediti e, quindi, la chiusura dei conti o dei rapporti tra banca e cliente”, proseguendo però che “nella specie, affinché potesse operare la compensazione, occorreva che la banca deducesse e provasse – come non risulta sia accaduto – l’avvenuta chiusura dei conti, con la conseguenza che, in difetto di prova sul punto, correttamente è stato ritenuto che il giroconto non poteva avere effetti diversi da quelli che sarebbero derivati dal versamento effettuato dal terzo direttamente sul conto presso la filiale di Milano, e cioè essere qualificata come rimessa con effetti solutori”.
Quello che qui la Corte ha ritenuto è in ultimo una carenza di prova da parte della banca in punto di concreta esigibilità dei rispettivi saldi; esigibilità che però non consegue soltanto alla chiusura ma anche ad ogni altra concreta situazione in cui il saldo di pertinenza dell’uno sia esigibile dall’altro.
Abbiamo già portato alcuni esempi concreti di immediata esigibilità di un saldo, a prescindere dalla chiusura o meno del rapporto a cui il saldo acceda; e quindi, tra gli altri: una concessione di credito scaduta, uno scoperto di conto, la sussistenza di rate di un mutuo inadempiute, oppure gli interessi passivi contabilizzati al 31 dicembre di ogni anno, divenuti ex lege esigibili per la banca al successivo 1° marzo nel caso in cui il cliente non abbia rilasciato alla banca un “consenso espresso” all’addebito nel conto (come previsto all’art. 120 TUB ed alla Delibera CICR del 3 agosto 2016).
La sentenza citata esprime quindi sostanzialmente lo stesso principio di quello che la Corte ha espresso più recentemente con la sentenza n. 512 del 14 gennaio 2016, e cioè che la compensazione tra i saldi attivi e passivi di più rapporti di conto corrente tra banca e cliente è possibile non solo quando si tratti di conti chiusi ma anche quando i contrapposti crediti siano comunque esigibili.
L’art. 1853 c.c. prevede la possibilità di una manifestazione di volontà di segno contrario alla compensazione prevista ex lege in favore dell’altra. [3]
Manifestazione di segno contrario che deve essere però espressamente pattuita tra le parti, nel contratto oppure in un successivo documento, in espresso ossequio a quanto affermato nella norma.
Quanto abbiamo scritto è relativo alla legittimità della compensazione operata dalla banca ai sensi dell’art. 1853 c.c., nei rapporti diretti con il proprio correntista in bonis.
In merito alla eventuale revocabilità fallimentare di una siffatta compensazione, nel caso concreto in cui il correntista fallisca successivamente, la Cassazione ha affermato che l’estinzione del debito da parte della banca, con tali modalità, non è un pagamento revocabile ai sensi dell’art. 67 legge fallimentare. [4]
L’operazione costituisce difatti, per la Corte, una compensazione ammessa dall’art. 56 legge fallimentare, tra il credito della banca verso il cliente, poi fallito, ed il debito della stessa banca nei confronti di quest’ultimo. [5] [6]
Anche in tale ipotesi la compensazione è pertanto efficacemente attuata dalla banca e non è revocabile neppure in caso di successivo fallimento del correntista, sempre che i saldi dei rispettivi rapporti fossero esigibili al momento dell’annotazione in conto.
NOTE:
[1] Art. 1853 (Compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti) c.c.: “[I]. Se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario”.
[2] Cassazione civile, sez. I, 03/05/2007, n. 10208: “La compensazione tra i saldi attivi e passivi di più rapporti o conti tra banca e cliente, prevista dall’art. 1853 c.c. si verifica soltanto allorché si tratti di conti o rapporti chiusi, atteso che, se la predetta norma venisse interpretata alla lettera (ossia nel senso della operatività della compensazione anche tra conti o rapporti aperti), darebbe luogo alla continua determinazione di un saldo unico, in contrasto con la volontà delle parti di dare vita a due rapporti formalmente e contabilmente distinti. Ne deriva che il giroconto da un rapporto attivo a uno passivo del cliente, ancora aperti, configura pagamento revocabile ai sensi dell’art. 67 l. fall., e non compensazione”.
[3] Cassazione civile, sez. I, 22/06/2016, n. 12953.
[4] Art. 67 (Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie) L.F.: “Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore: 1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; 2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti; 4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti. Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento. Non sono soggetti all’azione revocatoria: a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso; b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca; c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio; d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché’ posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore; e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis , nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161; f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito; g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo. Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali”.
[5] Art. 56 (Compensazione in sede di fallimento) c.c.: “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore”.
[6] Cassazione civile, sez. I, 14/01/2016, n. 512.
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