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Di Maurizio Tidona, Avvocato
L’art. 1956 c.c. dispone che il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito.
La norma precisa che non è valida neppure la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione dalla garanzia prestata.
L’art. 1956 c.c. costituisce applicazione della clausola generale di obbligo di correttezza e di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., e sanziona quindi, con la liberazione del fideiussore, il comportamento del creditore nel caso in cui, successivamente alla prestazione della garanzia, sopravvenga un notevole aumento delle difficoltà di soddisfacimento del suo credito, a causa della mutata condizione patrimoniale del debitore, ed il creditore, benché a conoscenza di tale situazione, conceda nuovo credito, o mantenga quello già in essere, senza una specifica autorizzazione del fideiussore.
Al fine dell’integrazione della fattispecie di cui all’art. 1956 c.c. deve sussistere quindi tanto l’elemento oggettivo della concessione di un ulteriore finanziamento successivo al deterioramento delle condizioni economiche del debitore, sopravvenuto rispetto all’epoca della prestazione della garanzia, quanto l’elemento soggettivo della consapevolezza del creditore del mutamento delle predette condizioni, raffrontate a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto (Cass. civ. n. 10870/2005, Trib. Milano, sent. n. 7281/2013).
Se in un rapporto bancario continuativo si manifesta pertanto un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice, che dispone sicuramente di strumenti di autotutela che le consentono di porre termine al rapporto impedendo gli ulteriori atti di utilizzazione del credito, è tenuta ad avvalersi di quegli strumenti anche a tutela dell’interesse del fideiussore inconsapevole, se non vuol perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede e in attuazione del dovere di salvaguardia dell’altro contraente, a meno che – ovviamente – il fideiussore, ricevuta informazione dalla banca, manifesti espressamente la propria volontà di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia nonostante la conoscenza del peggioramento delle condizioni patrimoniali del soggetto garantito (così Cass. n. 21730/2010).
L’ipotesi contemplata dalla norma – che cioè il creditore, senza autorizzazione del fideiussore, abbia “fatto credito” al terzo pur sapendo che le condizioni patrimoniali di costui sono frattanto significativamente peggiorate – non si riferisce alla sola instaurazione di nuovi rapporti obbligatori tra il creditore ed il terzo, cui si estenda la garanzia per debiti futuri in precedenza prestata dal fideiussore, ma abbraccia anche il modo in cui il creditore gestisce un rapporto obbligatorio già instaurato col terzo, coperto dalla garanzia fideiussoria, quando ne derivi un ingiustificato ed imprevedibile aggravamento del rischio cui è esposto il garante di non poter più utilmente rivalersi sul debitore di quanto eventualmente abbia dovuto corrispondere al creditore (così Cass. n. 21730/2010).
Il “far credito”, ai fini della norma citata, è inteso quindi non solo quale concessione di nuovo credito, ma anche quale mantenimento del credito già concesso (Cass. n. 21730/2010; Cass. n. 4458/2005; Cass. n. 3525/2009).
Questo in quanto la norma in esame costituisce un’applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti e perciò onera il creditore di un comportamento coerente con il rispetto di tale principio nella gestione del rapporto debitorio, tale da non ledere ingiustificatamente l’interesse del fideiussore.
Nella fideiussione per obbligazione futura l’onere del creditore, previsto dall’art. 1956 c.c., di richiedere l’autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve difatti alla finalità di consentire al medesimo fideiussore di sottrarsi, negando l’autorizzazione, all’adempimento di un’obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa.
Il fideiussore che chiede la liberazione della prestata garanzia, invocando l’applicazione di detta norma, ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c. l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e cioè che successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche (Trib. Bari, sent. n. 2483/2006).
La circostanza che il creditore abbia tenuto un comportamento contrario al dovere di buona fede e correttezza contrattuale, tale da comportare la possibile liberazione del fideiussore dai propri obblighi di garanzia nei riguardi del creditore medesimo, può essere provata comunque con ogni mezzo consentito dall’ordinamento, ivi compreso il ricorso a presunzioni, secondo le regole generali stabilite dagli art. 2727 e 2729 c.c. (così Cass. n. 16667/2012).
I presupposti di applicabilità dell’art. 1956 c.c. non ricorrono però allorché nella stessa persona coesistano le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice principale, giacché in tale ipotesi la richiesta di credito da parte della persona obbligatasi a garantirlo comporta di per se la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito (Trib. Bari, sent. n. 2740/2012; Trib. Milano, sent. del 17 marzo 2012).
Inoltre, la mancata richiesta di autorizzazione non può configurare una violazione contrattuale liberatoria, se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune, o dev’essere presunta tale, come nel caso di rapporto di coniugio intercorrente tra il fideiussore ed il rappresentante legale della società debitrice principale (Cass. n. 3761/2006).
Si aggiunga che neppure una clausola che obbliga il fideiussore a pagare “dietro semplice richiesta” impedirebbe a questi di invocare la propria liberazione ai sensi dell’art. 1956 c.c., stante il divieto di rinunciare preventivamente ad avvalersi della liberazione posto dal secondo comma dello stesso articolo 1956 c.c.
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