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Le definizioni, i presupposti, la risoluzione per inadempimento ed il fallimento dell’utilizzatore.
Di Maurizio Tidona, Avvocato
La locazione finanziaria è disciplinata dalla Legge n. 124 del 4 agosto 2017 (commi 136-140), che ha per la prima volta tipizzato una figura contrattuale atipica, prima conosciuta alla sola interpretazione giurisprudenziale.
Con il contratto di locazione finanziaria una banca o altro intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’art. 106 del Testo Unico Bancario (il concedente), si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento.
Il bene acquistato viene messo a disposizione dell’utilizzatore per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo determinato in base al prezzo di acquisto, o di costruzione, e della durata del contratto.
Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha il diritto di acquistare (diritto di opzione o riscatto) la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito, oppure, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituire il bene al concedente.
La Legge n. 124 del 4 agosto 2017 (art. 1, comma 137) standardizza anche la nozione di “grave inadempimento” che legittima il concedente alla risoluzione del contratto nei seguenti casi:
1) mancato pagamento di almeno 6 canoni mensili, oppure 2 canoni trimestrali, anche non consecutivi, oppure un importo equivalente per i leasing immobiliari;
oppure:
2) 4 canoni mensili anche non consecutivi, oppure un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria.
In caso di risoluzione del contratto conseguente all’inadempimento dell’utilizzatore, nei casi predetti il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed inoltre è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita, o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, detraendo dal ricavato:
- l‘ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione;
- l’ammontare, nella sola sorte capitale, dei canoni a scadere (senza dovere quindi alcun interesse su di essi);
- il prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto;
- le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita.
Nel caso in cui il valore realizzato con la vendita, o altra collocazione, del bene sia inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore, il concedente ha diritto di credito per il residuo.
La legge citata impone al concedente di procedere alla vendita o ricollocazione del bene sulla base dei valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati (attività sicuramente agevole in caso di immobili o beni mobili registrati).
Nella procedura di vendita o ricollocazione il concedente si deve attenere a criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con l’obbligo di informare l’utilizzatore.
Quando non sia possibile fare riferimento a valori ufficiali, il concedente deve procedere alla vendita in base ad una stima effettuata da un perito. Il perito, in tal caso, deve essere scelto dalle parti di comune accordo, nei 20 giorni successivi alla risoluzione del contratto, oppure, in caso di mancato accordo in detto termine, da un perito indipendente scelto dal concedente in una rosa di almeno 3 operatori esperti, previamente comunicati all’utilizzatore, che può esprimere la sua preferenza vincolante ai fini della nomina entro 10 giorni dal ricevimento della comunicazione. [1]
L’art. 122 del Testo Unico Bancario, relativo al credito ai consumatori, prescrive che ai contratti di locazione finanziaria che non comportano l’obbligo di acquisto della cosa locata da parte del consumatore (anche in forza di accordi separati al contratto principale), non si applica l’articolo 125-ter, commi da 1 a 4: il consumatore non può cioè in tali casi recedere dal contratto di credito entro 14 giorni, come è la norma generale nel credito ai consumatori. [2]
Ne consegue, a contrario, che nei leasing che comportano l’obbligo di acquisto della cosa locata da parte del consumatore:
1) Il consumatore può recedere dal contratto di credito entro 14 giorni dalla conclusione del contratto o, se successivo, dal momento in cui il consumatore ha ricevuto tutte le condizioni e le informazioni previste dall’art. 125-bis, comma 1, TUB.
2) se il contratto ha avuto esecuzione in tutto o in parte, entro 30 giorni dall’invio della comunicazione di recesso, il consumatore deve:
a) restituire il capitale e pagare gli interessi maturati fino al momento della restituzione, calcolati secondo come stabilito in contratto;
b) rimborsare al finanziatore le somme non ripetibili da questo corrisposte alla pubblica amministrazione.
Il finanziatore, sempre nei soli leasing che comportano l’obbligo di acquisto della cosa locata da parte del consumatore, non può pretendere dal consumatore somme ulteriori rispetto a quelle indicate.
In caso di fallimento dell’utilizzatore, il combinato disposto degli artt. 72 e 72-quater della Legge Fallimentare, richiamati dal comma 140 dell’art. 1 della Legge 124/2017, dispone che se nel momento della dichiarazione di fallimento il contratto – preliminare o definitivo – sia ancora ineseguito o comunque non compiutamente eseguito da entrambe le parti, l’esecuzione del contratto è sospesa fino a quando il curatore dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero: di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, in cui sia già avvenuto il trasferimento del diritto. [3]
Sempre in ambito fallimentare, ove sia disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa, il contratto continua ad avere esecuzione salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere dal contratto.
Sempre in caso di fallimento, ove si tratti però di contratto preliminare trascritto (ai sensi dell’articolo 2645-bis c.c. [4]) relativo ad un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il 3° grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente, l’esecuzione del contratto non rimane sospesa (così l’art. 72, comma 8, L.F.).
In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto di cui sopra l‘acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo fallimentare, senza però che gli sia dovuto il risarcimento del danno. L’acquirente gode in tal caso del privilegio di cui all’articolo 2775-bis c.c. [5] a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati prima della data di dichiarazione di fallimento.
Sempre in caso di fallimento dell’utilizzatore, l’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva l’efficacia della trascrizione della domanda. Se il contraente adempiente intende ottenere, con la pronuncia di risoluzione, la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve insinuarsi nel passivo fallimentare (artt. 72 e 72-quater, Legge Fallimentare).
In caso di scioglimento fallimentare del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale.
Le somme già riscosse non sono soggette all’azione revocatoria di cui all’art. 67, 3° comma, lettera a), L.F.
Il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.
L’art. 72-quater, comma 4, L.F. dispone che in caso di fallimento delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, il contratto prosegue comunque.
In tal caso l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo pattuito.
Sono inefficaci eventuali clausole negoziali che facciano dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento dell’utilizzatore.
Relativamente agli immobili da adibire ad abitazione principale si applica l’art. 1, commi 76, 77, 78, 79, 80 e 81, della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015.
In forza di tali norme, le somme già riscosse non sono soggette all’azione revocatoria di cui all’art. 67, 3° comma, lettera a), L.F.
Anche qui, in caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita, o da altra collocazione del bene, avvenuta a valori di mercato, dedotta la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto.
L’eventuale differenza negativa deve essere corrisposta dall’utilizzatore al concedente.
Sempre relativamente agli immobili da adibire ad abitazione principale, l’utilizzatore ha diritto di chiedere al concedente la sospensione del pagamento dei corrispettivi periodici per non più di una volta e per un periodo massimo complessivo non superiore a 12 mesi nel corso dell’esecuzione del contratto medesimo.
In tal caso, la durata del contratto è prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione.
L’ammissione al beneficio della sospensione è condizionata ad almeno uno dei seguenti eventi, intervenuti successivamente alla stipula del contratto:
a) cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa;
b) cessazione dei rapporti di lavoro (rapporti di cui all’articolo 409, numero 3), c.p.c.), ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa.
Al termine della sospensione, il pagamento dei corrispettivi periodici riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti per la rinegoziazione delle condizioni del contratto medesimo.
Decorso il periodo di sospensione, in caso di mancata ripresa dei pagamenti si applicano le disposizioni generali sulla risoluzione, già descritte.
La sospensione non può comportare l’applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria e non deve prevedere la richiesta di garanzie aggiuntive.
Per il rilascio dell’immobile adibito ad abitazione principale il concedente può agire con il procedimento per convalida di sfratto (libro IV, titolo I, capo II, c.p.c.).
Per completezza di questa analisi, si segnala che prima della previsione legislativa del contratto di locazione finanziaria di cui alla Legge n. 124 del 4 agosto 2017 (commi 136-140), la giurisprudenza di legittimità distingueva tali operazioni tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo” (si veda: Cass. 20890/2017).
Tali “categorie” erano figure di “invenzione” giurisprudenziale, non esistendo una tipizzazione dei contratti di leasing prima della citata legge. Tali contratti erano inclusi tra cc.dd. contratti atipici.
Il leasing di godimento era quello stipulato con precipua funzione di finanziamento, in relazione a beni che non conservavano generalmente un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto, in cui in corrispettivo era previsto con canoni la cui natura era sostanzialmente remunerativa, in quando finalizzati all’uso ed al consumo dei beni locati.
Diversamente, il leasing traslativo era quello stipulato con riferimento a beni astrattamente idonei a conservare alla scadenza del contratto un valore residuo superiore all’importo convenuto, in cui il corrispettivo era previsto con canoni che includevano non solo l’uso ma anche una quota del pezzo, in previsione del successivo acquisto da parte dell’utilizzatore.
A tale diversa natura si collegavano gli effetti propri della risoluzione del contratto in caso di inadempimento da parte dell’utilizzatore, come ben espresso recentemente dal Tribunale di Milano, sez. VI, con la sentenza n. 10331 del 15 ottobre 2018, che ha così argomentato:
1) in entrambe le fattispecie, il concedente aveva diritto alla restituzione del bene;
2) nel solo leasing di godimento il concedente aveva anche il diritto di trattenere i canoni già riscossi, in quanto strettamente funzionali alla detenzione avuta dall’utilizzatore per l’intero periodo di efficacia del contratto, in applicazione dell’art. 1458 c.c.; [6]
3) nel leasing traslativo era invece prevalente la causa di scambio rispetto a quella di finanziamento, e l’utilizzatore, restituita la cosa, aveva diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del concedente di trattenere un equo compenso per l’uso della cosa, in applicazione dell’art. 1526 c.c. [7]
La Legge n. 124 del 4 agosto 2017 non individua adesso alcuna separazione concettuale tra leasing di “godimento” e “traslativo”, conseguendone che anche quando il contratto sia finalizzato al solo “godimento” del bene, ma ricada comunque nelle fattispecie qui descritte, è assoggettabile alle nuove regole indicate.
Note:
[1] Il perito è considerabile indipendente, per espressa indicazione della citara legge, quando non è legato al concedente da rapporti di natura personale o di lavoro tali da compromettere l’indipendenza di giudizio.
[2] Art. 125 ter (Recesso del consumatore) TUB: “1. Il consumatore può recedere dal contratto di credito entro quattordici giorni; il termine decorre dalla conclusione del contratto o, se successivo, dal momento in cui il consumatore riceve tutte le condizioni e le informazioni previste ai sensi dell’articolo 125-bis, comma 1. In caso di uso di tecniche di comunicazione a distanza il termine è calcolato secondo l’articolo 67-duodecies, comma 3, del Codice del consumo. 2. Il consumatore che recede: a) ne dà comunicazione al finanziatore inviandogli, prima della scadenza del termine previsto dal comma 1, una comunicazione secondo le modalità prescelte nel contratto tra quelle previste dall’articolo 64, comma 2, del Codice del consumo; b) se il contratto ha avuto esecuzione in tutto o in parte, entro trenta giorni dall’invio della comunicazione prevista dalla lettera a), restituisce il capitale e paga gli interessi maturati fino al momento della restituzione, calcolati secondo quanto stabilito dal contratto. Inoltre, rimborsa al finanziatore le somme non ripetibili da questo corrisposte alla pubblica amministrazione. 3. Il finanziatore non può pretendere somme ulteriori rispetto a quelle previste dal comma 2, lettera b). 4. Il recesso disciplinato dal presente articolo si estende automaticamente, anche in deroga alle condizioni e ai termini eventualmente previsti dalla normativa di settore, ai contratti aventi a oggetto servizi accessori connessi col contratto di credito, se tali servizi sono resi dal finanziatore ovvero da un terzo sulla base di un accordo col finanziatore. L’esistenza dell’accordo è presunta. È ammessa, da parte del terzo, la prova contraria. 5. Salvo quanto previsto dai commi 1 e 2, ai contratti disciplinati dal presente capo non si applicano gli articoli 64, 65, 66, 67-duodecies e 67-ter decies del Codice del consumo”.
[3] Il concedente, se il curatore non abbia deciso, può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a 60 giorni, decorso il quale il contratto si intende comunque sciolto. In caso di scioglimento, il concedente avrà diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto però alcun risarcimento del danno.
[4] Art. 2645-bis (Trascrizione di contratti preliminari) c.c.: “1. I contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’articolo 2643, anche se sottoposti a condizione o relativi a edifici da costruire o in corso di costruzione, devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. 2. La trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1, ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare. 3. Gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all’articolo 2652, primo comma, numero 2). 4. I contratti preliminari aventi ad oggetto porzioni di edifici da costruire o in corso di costruzione devono indicare, per essere trascritti, la superficie utile della porzione di edificio e la quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa all’intero costruendo edificio espressa in millesimi. 5. Nel caso previsto nel comma 4 la trascrizione è eseguita con riferimento al bene immobile per la quota determinata secondo le modalità di cui al comma stesso. Non appena l’edificio viene ad esistenza gli effetti della trascrizione si producono rispetto alle porzioni materiali corrispondenti alle quote di proprietà predeterminate nonché alle relative parti comuni. L’eventuale differenza di superficie o di quota contenuta nei limiti di un ventesimo rispetto a quelle indicate nel contratto preliminare non produce effetti. 6. Ai fini delle disposizioni di cui al comma 5, si intende esistente l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, e sia stata completata la copertura”.
[5] Art. 2775 bis (Credito per mancata esecuzione di contratti preliminari) c.c.: “[I]. Nel caso di mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis, i crediti del promissario acquirente che ne conseguono hanno privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare, sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della risoluzione del contratto risultante da atto avente data certa, ovvero al momento della domanda giudiziale di risoluzione del contratto o di condanna al pagamento ovvero al momento della trascrizione del pignoramento o al momento dell’intervento nella esecuzione promossa da terzi. [II]. Il privilegio non è opponibile ai creditori garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al promissario acquirente per l’acquisto del bene immobile nonché ai creditori garantiti da ipoteca ai sensi dell’articolo 2825-bis”.
[6] Art. 1458 (Effetti della risoluzione) c.c.: “[I]. La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. [II]. La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione”.
[7] Art. 1526 (Risoluzione del contratto): “[I]. Se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. [II]. Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta. [III]. La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti”.
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