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Di Maurizio Tidona, Avvocato
Un ragionamento generale su specifici casi in cui si possa individuare un comportamento malizioso, scorretto o contrario alla buona fede contrattuale da parte del cliente in un rapporto bancario o finanziario, in particolar modo quando questo sia di lunga durata e di reciproca soddisfazione, e le possibili difese della banca.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con valore di precedente vincolante per le singole sezioni, hanno affermato nella sentenza n. 898 del 16 gennaio 2018 che i contratti finanziari rispettano la forma scritta ad essi imposti dall’art. 23 TUF – ed estensivamente, i contratti bancari relativamente al vincolo di forma ad essi imposto dall’art. 117 TUB – con la sola sottoscrizione del cliente sul documento scritto, senza che possa assumere rilevanza l’eventuale assenza della sottoscrizione della banca, sulla stessa copia o su altro originale. [1] [2]
Il consenso delle parti si deve, per le Sezioni Unite, presumere da una serie di comportamenti delle parti, ed in particolare (oltre la predisposizione del contratto e la consegna al cliente del documento) da tutti i comportamenti comunque concludenti, che le parti attuano successivamente alla sottoscrizione del contratto (tra i quali l’invio della documentazione periodica di rapporto, in particolar modo quando questo avvenga per lunghi periodi di tempo senza alcuna contestazione in merito da parte del cliente). [3] [4]
Quello che qui interessa discutere non è però la conclusione in sé delle Sezioni Unite, anche se assolutamente importante e chiarificatrice (motivo per cui in nota si porta un ampio stralcio della motivazione adottata dalle Sezioni Unite [5]) ma il presupposto logico e giuridico che ha preceduto e condotto la Corte di Cassazione a tale pronunzia.
La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10447 del 27 aprile 2017 aveva difatti rimesso al Primo Presidente la decisione sull’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite (come poi è avvenuto) di alcune questioni ritenute di eccezionale rilevanza per le banche e gli intermediari finanziari, e tra queste proprio la valutazione del comportamento delle parti di un contratto bancario, in particolar modo quando questo sia di lunga durata e di reciproca soddisfazione (come spesso è nei rapporti bancari). [6]
In particolare, la Prima Sezione della Cassazione, con la sentenza di rimessione n. 10447/2017, riteneva necessario che fosse data una risposta dalle Sezioni Unite alla questione relativa alla necessità o meno della firma anche dell’intermediario, accanto a quella dell’investitore, al fine del rispetto della forma scritta, imposta, nell’ambito dei contratti finanziari, dall’art. 23 TUF ed anche, nell’ambito dei contratti bancari, dall’art. 117 TUB, ma nel far questo ha posto una serie di questioni attinenti per l’appunto al comportamento delle parti in un rapporto di durata quale è quello bancario.
La Prima Sezione, nel sollecitare la presa di posizione delle Sezioni Unite, si domandava cioè, con scrupolo, se il consenso delle parti non fosse comunque da ritenere dimostrato da tutti quei comportamenti utili a manifestare inequivocabilmente la volontà di conclusione del contratto.
La Prima Sezione, in particolare, si è domandata:
- Nei rapporti bancari e finanziari di lunga durata e proficua esecuzione per il cliente, quest’ultimo è legittimato (ha diritto) ad impugnare il contratto per la mancata sottoscrizione della sola banca?
- In tali ipotesi la banca può far valere in processo la circostanza della lunga durata e reciproca soddisfazione del rapporto al fine di difesa e reazione all’eccezione del cliente?
La Prima Sezione osservava che in tale ipotesi, negando un tale diritto alla banca “si offrirebbe tutela a quel contraente che, maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge ad altri fini, deducesse la nullità del contratto pur eseguito senza contestazioni da entrambe le parti”.
- Quali rimedi potrebbero applicarsi, al fine della tutela del mercato (e delle banche), nel caso in cui il cliente sia “scorretto”? (così lo definisce la Corte) (nella specie: non producendo in giudizio l’originale del contratto sottoscritto dalla banca, negando che sia mai stato firmato, ma il concetto è estensibile ad altre analoghe situazioni di comportamenti ritenibili scorretti).
- La banca potrebbe sostenere l’uso abusivo del diritto da parte del cliente, o comunque una sua condotta contraria alla buona fede imposta dall’art. 1375 c.c.? (nella specie: nel caso in cui il cliente selezionasse soltanto alcuni ordini per eccepirne la nullità, non eccependo invece nulla per altri che siano stati per lui vantaggiosi).
Qui la Prima Sezione si riferiva al c.d. uso selettivo della nullità del contratto quadro relativo agli strumenti finanziari, quando rivolta esclusivamente a produrre effetti nei confronti di alcuni specifici ordini di acquisto o vendita di prodotti finanziari, e non a tutti quelli conseguenti al contratto di cui si sostenga la nullità (possibilità ritenuta legittima da Cass. n. 8395/2016 ed i cui effetti sono stati poi più correttamente modulati con la pronunzia n. 28314/2019 delle SS.UU. della Cassazione Civile).
La sentenza n. 10447 del 27 aprile 2017 della Prima Sezione della Cassazione (sentenza che ha poi portato al principio di diritto delle Sezioni Unite sulla validità del contratto mono-firma), è estremamente importante in quanto intercetta alcune possibili difese della banca alle eccezioni del cliente “scorretto”, il quale “maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge ad altri fini” domandi al giudice qualcosa contrario alla buona fede.
In questa linea rileva in particolare l’art. 1375 c.c., che dispone:
“[I]. Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”.
Ed anche l’art. 1175 c.c. che impone alle parti di un rapporto:
“[I]. Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”.
In altre parole, nell’ambito di un rapporto obbligatorio, ciascuna parte ha l’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, al fine di preservare, nei limiti della normale tollerabilità, gli interessi e le aspettative della controparte.
Tali norme possono essere ben utilizzate dalla banca per contrastare quelle eccezioni che siano portate dal cliente con “malizia” [7] e siano contrarie alla buona fede.
Si pensi ad esempio a rapporti di lunghissima durata in cui improvvisamente il cliente contesti di non avere mai ricevuto alcuna documentazione di rapporto oppure di non avere ricevuto, tra questa, le modifiche sfavorevoli comunicate ex art. 118 TUB, chiedendone l’inefficacia.
In questi casi, il richiamo da parte della banca alla sentenza n. 10447 del 27 aprile 2017 della Cassazione potrebbe sortire effetti positivi.
La banca potrebbe così, citando la sentenza, chiedere al giudice di non fornire “tutela a quel contraente che, maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge ad altri fini, deducesse la nullità del contratto pur eseguito senza contestazioni da entrambe le parti”, quando il rapporto abbia avuto in particolare lunga durata e vi siano elementi presuntivi importanti che il cliente abbia ricevuto la documentazione di rapporto (nel prossimo capitolo tratteremo un caso esemplare: l’inserimento nel bilancio annuale delle società di tutti i debiti bancari).
Ed inoltre, sempre citando la sentenza, chiedere al giudice che sia sanzionata “la condotta [del cliente] contraria a buona fede, secolare portato di civiltà giuridica ex art. 1375 c.c.”.
In tale percorso di ragionamento si dà cenno anche alla sentenza del Tribunale di Ravenna del 6 giugno 2012, che ha dato particolare rilevanza all’assenza di contestazioni da parte del cliente, per anni, degli estratti conto inviati dalla banca.
Il giudice ravennate ha ritenuto in particolare che l’omessa contestazione per anni di un rapporto bancario, per il quale sia indiscussa la ripetitività di operazioni contabili di addebito e accredito, possono far ritenere che il cliente abbia rinunciato a contestare alla banca l’invalidità degli interessi applicati o altre condizioni di rapporto, potendo desumersi, da una rinuncia perdurante nel tempo, una intenzione contraria a quella di avvalersi del diritto di contestazione:
“L’omessa contestazione per anni, la chiusura del conto corrente mediante giroconto del saldo scoperto su un altro conto corrente bancario ed il lunghissimo tempo trascorso legittimano a ritenere che il cliente abbia sostanzialmente rinunciato a contestare l’applicazione di interessi ultralegali, potendo tale rinuncia desumersi da un comportamento concludente che, interpretato alla luce dei principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., manifesti, in quanto incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto, la volontà di rinunciare”.
La mancata contestazione degli estratti conto per anni, in combinazione con un lunghissimo tempo trascorso prima dell’inizio del processo, può quindi far ritenere rinunciata la volontà di contestazione di voci illegittime nei rapporti con la banca (applicazione di interessi ultralegali e anatocistici così come di commissioni e spese); in altre parole, ne conseguirebbe l’approvazione tacita del rapporto e dei suoi effetti, anche in diretta applicazione degli articoli 1175 e 1375 c.c. prima citati.
La Cassazione, con la sentenza n. 460 del 2009, ha confermato il principio di diritto che la rinunzia del diritto può conseguire ad un comportamento concludente:
“La rinuncia ad un diritto, se pure non può essere presunta, può tuttavia desumersi da un comportamento concludente, che manifesti, in quanto incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto, la volontà di rinunciare”.
Ed ancora, sempre la Cassazione con la sentenza n. 9924 del 2009:
“Il comportamento – interpretato alla luce dei principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. – del contraente titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell’abbandono della relativa pretesa, è idoneo come tale (essendo irrilevante qualificarlo come rinuncia tacita ovvero oggettivamente contrastante con gli anzidetti principi) a determinare la perdita della medesima situazione soggettiva”.
La giurisprudenza individua quindi specifici casi in cui i comportamenti del cliente, anche quando meramente omissivi (mancata contestazione), per un lungo periodo di tempo, possano costituire un comportamento concludente, valutabile dal giudice ai sensi degli articoli 1175 e 1375 c.c.
In tali casi può ritenersi la perdita per il cliente dello stesso diritto soggettivo di contestazione del debito, quale sostanziale rinunzia alle possibili eccezioni.
Note:
[1] Cassazione, a Sezioni Unite, la sentenza n. 898 del 16 gennaio 2018.
[2] Le Sentenze delle Sezioni Unite sono la espressione più alta della giurisprudenza italiana, il cui compito è quello di orientare la successiva giurisprudenza di legittimità, per una uniforme interpretazione della legge e unità del diritto oggettivo nazionale; dopo la pronunzia delle Sezioni Unite, le singole sezioni non possono esprimere un principio di diritto difforme senza che prima sia rimessa nuovamente la questione alle medesime Sezioni.
[3] Il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 898 del 16 gennaio 2018 è il seguente: “Il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall’art. 23 del d.lgs. 24/ 2/1998, n. 58, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.
[4] Il principio, espresso in relazione alla forma imposta ai contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento (art. 23 TUF), è, come anticipato, sicuramente applicabile a tutti i contratti bancari, per i quali l’art. 117 TUB prescrive lo stesso requisito formale, a pena di nullità.
[5] “Il vincolo di forma imposto dal legislatore (tra l’altro composito, in quanto vi rientra, per specifico disposto normativo, anche la consegna del documento contrattuale), nell’ambito di quel che è stato definito come neoformalismo o formalismo negoziale, va inteso infatti secondo quella che è la funzione propria della norma e non automaticamente richiamando la disciplina generale sulla nullità. Ora, a fronte della specificità della normativa che qui interessa, correlata alla ragione giustificatrice della stessa, è difficilmente sostenibile che la sottoscrizione da parte del delegato della banca, una volta che risulti provato l’accordo (avuto riguardo alla sottoscrizione dell’investitore, e, da parte della banca, alla consegna del documento negoziale, alla raccolta della firma del cliente ed all’esecuzione del contratto) e che vi sia stata la consegna della scrittura all’investitore, necessiti ai fini della validità del contratto-quadro. Ed infatti, atteso che, come osservato da attenta dottrina, il requisito della forma ex art. 1325 n. 4 cod. civ. va inteso nella specie non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità propria della normativa, ne consegue che il contratto-quadro deve essere redatto per iscritto, che per il suo perfezionamento deve essere sottoscritto dall’investitore, e che a questi deve essere consegnato un esemplare del contratto, potendo risultare il consenso della banca a mezzo dei comportamenti concludenti sopra esemplificativamente indicati. Si impone a questo punto un’ulteriore osservazione: tradizionalmente, alla sottoscrizione del contratto si attribuiscono due funzioni, l’una rilevante sul piano della formazione del consenso delle parti, l’altra su quello dell’attribuibilità della scrittura, e l’art. 2702 cod. civ. rende chiaro come la sottoscrizione, quale elemento strutturale dell’atto, valga ad attestare la manifestazione per iscritto della volontà della parte e la riferibilità del contenuto dell’atto a chi l’ha sottoscritto. Tale duplice funzione è nell’impianto codicistico raccordata alla normativa di cui agli artt. 1350 e 1418 cod. civ., che pone la forma scritta sul piano della struttura, quale elemento costitutivo del contratto, e non prettamente sul piano della funzione; la specificità della disciplina che qui interessa, intesa nel suo complesso e nella sua finalità, consente proprio di scindere i due profili, del documento, come formalizzazione e certezza della regola contrattuale, e dell’accordo, rimanendo assorbito l’elemento strutturale della sottoscrizione di quella parte, l’intermediario, che, reso certo il raggiungimento dello scopo normativo con la sottoscrizione del cliente sul modulo contrattuale predisposto dall’intermediario e la consegna dell’esemplare della scrittura in oggetto, non verrebbe a svolgere alcuna specifica funzione. Né l’interpretazione qui seguita incide sulla doverosa, specifica ponderazione con cui l’investitore sceglie di concludere il contratto quadro né porta a concludere per un singolare contratto «a forma scritta obbligatoria per una sola delle parti e con effetti obbligatori solo per l’altra parte che nulla ha invece sottoscritto», scenario che non tiene conto della precipua ricostruzione imposta dalla normativa e che omette integralmente di considerare che la nullità può essere fatta valere solo dall’investitore. Nella ricostruzione che qui si è offerta, inoltre, la previsione della nullità, azionabile solo dal cliente, in caso di inosservanza dei requisiti di forma della redazione per iscritto e della consegna dell’esemplare alla parte, si palesa quale sanzione per l’intermediario, ben armonizzandosi nello stesso contesto del d.lgs. 58/1998, che è nel complesso inteso a dettare regole di comportamento per l’intermediario, e rispetta il principio di proporzionalità, della cui tenuta si potrebbe dubitare ove si accedesse alla diversa interpretazione( e sulla rilevanza cardine del principio di proporzionalità queste sezioni unite si sono di recente espresse, sia pure nell’ambito della responsabilità civile, ai fini del riconoscimento di sentenza straniera comminatoria di danni punitivi nella pronuncia del 5/7/2017, n. 16601). E’ stato sostenuto da autorevole dottrina che la normativa in oggetto sarebbe intesa non solo alla tutela del cliente, ma risponderebbe anche all’esigenza di garantire una buona organizzazione interna della banca, da ciò conseguendo la nullità del contratto-quadro ove privo della sottoscrizione del delegato dell’istituto di credito: tale ricostruzione, pur muovendo dall’esigenza di modificare in melius prassi organizzative non del tutto commendevoli, oltre a non trovare un solido fondamento nella normativa che qui si esamina, sembrando una sorta di giustificazione a posteriori della nullità, si muove in un’ottica esasperatamente sanzionatoria, e perviene ad un risultato manifestamente sproporzionato rispetto alla funzione a cui la forma è qui preordinata. A riguardo, ragionando in termini più generali, può affermarsi che nella ricerca dell’interpretazione preferibile, siccome rispondente al complesso equilibrio tra interessi contrapposti, ove venga istituita dal legislatore una nullità relativa, come tale intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l’interesse particolare, l’interprete deve essere attento a circoscrivere l’ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l’interesse protetto dalla nullità, determinandosi altrimenti conseguenze distorte o anche opportunistiche. L’interpretazione seguita è altresì in linea con le disposizioni dell’ordinamento europeo, che nell’art. 19, par. 7 della direttiva 2004/39/CE del Parlamento e del Consiglio del 21/4/ 2004 (Mifid 1), recepita dal D.Lgs. 17/9/ 2007, n. 164, così come nell’art. 25, par. 5 della direttiva 2014/65/UE (Mifid 2), a cui è stata data attuazione con il d.lgs. 3/8/ 2017, n. 129, al fine di perseguire gli obiettivi di trasparenza e di tutela degli investitori, punta l’accento sulla registrazione del o dei documenti concordati, in tal modo evidenziandosi la necessità che risulti la verificabilità di quanto concordato. Né la conclusione muterebbe a ritenere ancora in vigore l’art. 39 della direttiva 2006/ 73/CE del 10/8/ 2006, con il riferimento all’ accordo di base «scritto, su carta o su altro supporto durevole, con il cliente, in cui vengano fissati i diritti e gli obblighi essenziali dell’impresa e del cliente».
[6] A tale rimessione è per l’appunto seguito il principio di diritto sopra citato.
[7] Quei comportamenti che il dizionario definisce spregiudicati ed in piena consapevolezza dell’assenza di buona fede, che spesso si traducono in atteggiamenti o comportamenti furbeschi oppure diretti a carpire l’altrui buona fede o benevolenza.
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