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12 Febbraio 2019 In Diritto bancario Tidona

La nozione di “giustificato motivo” nell’esercizio dello jus variandi

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© Tutti i diritti riservati. Vietata la ripubblicazione cartacea ed in internet senza una espressa autorizzazione scritta. È consentito il link diretto a questo documento.

Di Luca Orofino, Dottore in legge

 

Il tema dello jus variandi è, secondo autorevole dottrina (Dolmetta), connotato dall’instabilità del dato legislativo e dalla scarsità dell’elaborazione giurisprudenziale.

Si registra, nondimeno, un numero decisamente maggiore di pronunce nell’alveo della giurisprudenza dell’Arbitro bancario finanziario, peraltro di introduzione relativamente recente nel nostro ordinamento; questo può derivare dal valore certamente non elevato di tali controversie, in grado tuttavia di incidere notevolmente sul rapporto banca-clientela.

Prima di inquadrarne le principali problematiche emergenti dalla prassi, è utile soffermarsi sul dato normativo, in particolare ex art. 118 T.U.B.; la norma prescrive la necessaria adozione di prescrizioni di natura formale e sostanziale che la banca ha il dovere di adottare, a pena di inefficacia della modifica proposta.

Quanto alle prime, tralasciando la distinzione operata dal Legislatore fra contratti a tempo indeterminato e altri contratti di durata (secondo cui nei secondi la facoltà di modifica può esercitarsi con riguardo a clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse), è necessario: -che l’originaria documentazione contrattuale preveda tale possibilità per la banca, con contestuale approvazione specifica di tale clausola da parte del cliente; -che la detta modifica sia comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti la formula “Proposta di modifica unilaterale del contratto”, con preavviso minimo di due mesi.

Queste cautele imposte agli intermediari, sono sintomatiche di una volontà protettiva accordata alla parte debole del rapporto, a fronte del riconoscimento di un diritto potestativo alla parte forte (di modificare in senso sfavorevole talune condizioni del rapporto), espressione di un’eccezione al generale principio di intangibilità delle sfere giuridiche altrui.

Può in ogni caso osservarsi che la formalità rigorosa tipica del T.U.B., che in verità caratterizza la produzione normativa di ogni rapporto asimmetrico, ove sorge l’esigenza di tutelare un contraente più debole, non è soltanto di esclusivo rilievo nella fase prenegoziale (con i relativi obblighi pubblicitari dettati anche dalle Disposizioni di Trasparenza) e nella fase genetica del rapporto (con i relativi requisiti formali del contratto ex art. 117 T.U.B.), ma anche in quella (eventuale) modificativa dello stesso, come testimonia la norma in commento.

Tanto premesso, è chiaro che le maggiori criticità derivino più dal presupposto sostanziale richiesto dall’art. 118 T.U.B. ed idoneo a rendere legittima la modifica proposta: il cd. giustificato motivo.

Per comprendere cosa debba intendersi con tale locuzione, si deve indagare intorno alla ratio dell’istituto in esame che, secondo l’opinione ampiamente condivisa, risiede nel regolare le circostanze sopravvenute che alterano l’originario sinallagma contrattuale.

Solo rammentando la ragione ispiratrice della norma, si possono escludere dall’alveo della legittimità, quelle modifiche che si traducono, in generale, in un vero e proprio “abuso del diritto” da parte della banca, allorquando lo eserciti per perseguire scopi diversi o ulteriori rispetto a quelli per i quali le è stato normativamente riconosciuto. Diviene pertanto necessario vagliare, caso per caso, la condotta dell’intermediario in termini di buona fede e correttezza: il giustificato motivo è così un presidio teso ad escludere l’esercizio dello jus variandi per ragioni pretestuose, o per preservare il margine di profitto derivante dal regolamento negoziale. Buona fede e correttezza che, come agevolmente intuibile, assolvono un ruolo di palmare rilevanza, ancor più se si consideri l’asimmetria che caratterizza il rapporto bancario e che determina la sussistenza (in capo alla banca) di specifici obblighi informativi e protettivi nei confronti della clientela, sprovvista, evidentemente, delle medesime competenze tecniche.

Il giustificato motivo, rappresenta, in questo modo, il limite interno della clausola di modifica (Pagliantini).

Secondo l’orientamento giurisprudenziale dell’Arbitro Bancario Finanziario, affinché la modifica sia legittimamente sorretta da un giustificato motivo, è necessaria la congruità della motivazione e l’adeguata indicazione della stessa, intesa come concretizzazione del principio di trasparenza. Va rammentato, invero, che il cliente deve essere messo nelle condizioni di comprendere chiaramente la portata della modifica (i.e. le conseguenze che determina sul rapporto) e se la stessa risulti adeguata e proporzionata rispetto alla motivazione addotta.

In quest’ottica, dunque, l’Autorità di vigilanza ha stigmatizzato il ricorso a motivazioni esposte in termini generici o non intellegibili, o l’incoerenza fra le modifiche contrattuali proposte e le relative giustificazioni, richiedendo che la preventiva informativa ai clienti sia chiara, sintetica e completa, verificabile e coerente con la programmata variazione contrattuale, nonché attenta al livello di alfabetizzazione finanziaria che è ragionevole attendersi dai destinatari (Comunicazione Banca d’Italia del 5 settembre 2014).

A titolo esemplificativo, può essere dirimente la precisazione circa il carattere generale o particolare della motivazione posto che, solo nella seconda ipotesi è probabile che il cliente proceda con la valutazione di eventuali offerte alternative sul mercato, mentre nella prima è più probabile l’opposto (ABF Collegio di Milano 2434/2014). Sul piano normativo, utile indice chiarificatore nella materia de qua è dato dalla Circolare Mise del 2007, secondo cui le modifiche non possono comportare l’introduzione di clausole ex novo dovendo essere individuate in “eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario”: tali eventi possono afferire sia alla sfera individuale del cliente (mutamento del grado di affidabilità in termini di rischio), sia a fattori esogeni consistenti, ad esempio, in un aumento dei costi operativi a carico degli intermediari.

In definitiva, stando a quanto sinora evidenziato, non solo è necessario che il giustificato motivo sia connesso esclusivamente all’esigenza di preservare l’originario equilibrio contrattuale, ma è altresì fondamentale garantire una illustrazione trasparente alla clientela circa il nesso fra accadimento e variazione proposta.

 

Le ultime decisioni dell’arbitro bancario finanziario

Recentemente si è reso necessario un intervento armonizzatore del Collegio di Coordinamento volto a fare chiarezza sulla portata dell’intervento normativo sopravvenuto, in relazione all’art.118 TUB.

In particolare, si registravano infatti due orientamenti (apparentemente) contrapposti:

– da un lato, il Collegio di Torino, con decisione 4845/2017, ha ritenuto illegittimo l’esercizio da parte della banca dello jus variandi, asseritamente esercitato per far fronte ai maggiori oneri derivanti dal provvedimento istitutivo del Fondo di risoluzione, a sua volta dettato dal recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2014/59 UE. Si legge testualmente nel richiamato pronunciamento: “Occorre sottolineare che un intervento normativo quale l’istituzione del Fondo Nazionale di risoluzione non può, di per sé, rappresentare un evento idoneo a costituire un giustificato motivo oggettivo. La dottrina non ha mancato di rilevare che, in ipotesi di interventi normativi, resta sempre da considerare il carattere dell’imprevedibilità, la quale sarebbe ravvisabile solo nei provvedimenti necessari e urgenti (come i decreti-legge) e non anche in quelli che sono attuazione di normativa comunitaria o seguono l’iter lungo – e spesso anche pubblicizzato – della regolamentazione delegata. Del resto, non si potrebbe nemmeno individuare un giustificato motivo nella necessità di adeguamento alla nuova norma, qualora quest’ultima non imponesse all’intermediario un determinato comportamento, ma si limitasse a fissare obiettivi, per il cui raggiungimento l’intermediario può operare nel modo più opportuno, nell’ambito della propria sfera organizzativa”.

– dall’altro lato il Collegio di Palermo, con decisione 15427/2017, ha ritenuto legittima la modifica unilaterale proposta dall’intermediario a seguito dell’emanazione del Regolamento UE 2015/751 volto ad introdurre, per quanto di interesse, un limite alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento effettuate con carta, oltre l’aumento dei costi di emissione e gestione delle carte.

In realtà, come già accennato, il contrasto era stato solo apparente atteso che, l’ultima delle due richiamate decisioni, sulla scorta del principio di diritto affermato dal Consesso torinese, aveva evidenziato la necessità di un’interpretazione dello stesso rimessa alle circostanze del singolo caso (valutando, ad esempio, se all’epoca della stipula di un determinato contratto fosse stato già avviato e pubblicizzato l’iter di produzione di un determinato atto normativo, del quale l’intermediario avrebbe potuto tenere conto).

Nel caso in esame, nessun elemento induceva a sostenere che la banca resistente fosse in grado di prevedere la futura adozione del regolamento sulle interchanges fees al momento della stipula del contratto; inoltre, il ridetto intervento normativo non lasciava discrezionalità alcuna agli intermediari, obbligati ad un comportamento puntuale e specifico.

Alla luce degli esposti pronunciamenti, il Collegio di Coordinamento (decisione n. 26498 del 12 dicembre 2018) ha offerto almeno due ulteriori spunti di riflessione in materia di modifica unilaterale a fronte di una sopravvenienza normativa, ferma restando l’esigenza di condurre un’analisi caso per caso.

Con maggiore impegno esplicativo, innanzitutto ha precisato che- in alcuni casi- è lo stesso legislatore a prevedere che il mutato quadro normativo possa costituire un giustificato motivo ai sensi dell’art. 118 TUB (si veda art. 2-bis Legge 2/2009 concernente la nullità della commissione di massimo scoperto fuori dei casi ivi previsti: l’obbligo di adeguamento “costituisce giustificato motivo agli effetti dell’articolo 118, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni”).

Inoltre, ha operato un’opportuna distinzione fra provvedimenti normativi in grado di incidere sui costi operativi o gestionali della banca, costringendola a sopportare un costo una tantum e provvedimenti in grado di incidere in modo permanente su un determinato servizio offerto alla clientela. È chiaro che solo questi ultimi possono legittimamente coincidere con il giustificato motivo di cui all’art. 118 TUB (purché siano posti in relazione con i servizi prestati alla clientela), mentre i primi vanno assorbiti nel normale rischio d’impresa tipico dell’attività bancaria.

 

La norma:

– Art. 118 (Modifica unilaterale delle condizioni contrattuali) Testo Unico Bancario:

“1. Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo.
2. Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: “Proposta di modifica unilaterale del contratto”, con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate.
2-bis. Se il cliente non è un consumatore né una micro-impresa come definita dall’articolo 1, comma 1, lettera t), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, nei contratti di durata diversi da quelli a tempo indeterminato di cui al comma 1 del presente articolo possono essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto.
3. Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente.
4. Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente”.

 



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