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Di Paolo Amato
2 luglio 2001
Università Commerciale “L. Bocconi” di Milano
XVII° Corso di perfezionamento per Giuristi d’Impresa
Indice:
1. Natura e caratteri del prospetto informativo
1.1. La “clausola generale” della direttiva comunitaria n. 80/390/CEE
2. La scissione del prospetto informativo
3. Profili di responsabilità da prospetto
4 La responsabilità da prospetto informativo: quale natura?
5 La responsabilità penale da prospetto ex art. 2621 cod. civ.
6 La responsabilità civile della Consob per omissione di controllo
7 Conclusioni
1. Natura e caratteri del prospetto informativo.
Il prospetto informativo è un documento attraverso il quale chi intende effettuare una sollecitazione all’investimento e/o una quotazione di strumenti finanziari comunica all’Autorità di vigilanza ed al mercato le caratteristiche dell’operazione che vuole realizzare e fornisce le informazioni che, a seconda delle peculiarità dei prodotti finanziari e degli emittenti, sono necessarie “affinché gli investitori possano pervenire a un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sull’evoluzione dell’attività dell’emittente nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti”[1]; pertanto, in linea di massima, si ritiene che esso sia un documento incidente, contemporaneamente, sull’interesse individuale al rispetto dei principi di buona fede e correttezza – nella fase delle trattative che precedono la conclusione del contratto – e sull’interesse generale ad una corretta ed esaustiva informazione al pubblico degli investitori ed al mercato in genere.
Il prospetto può essere considerato come lo strumento teso ad assicurare uno stock di informazioni standardizzato al quale il pubblico deve accedere; è il biglietto da visita, la presentazione al mercato della società, secondo schemi predisposti dall’organo di controllo, consentendo una consapevole formazione della volontà contrattuale da parte dell’investitore e favorendo lo sviluppo di un clima di fiducia nel mercato finanziario da parte del pubblico dei risparmiatori-investitori.[2]
La finalità del prospetto di assicurare la tutela informativa dell’investitore interessato ad un’operazione di investimento, viene confermata dalla lettura di alcune disposizioni di ampia portata, dettate dal diritto comunitario e recepite da quello interno. Al riguardo rileva in modo particolare l’art. 4 della direttiva comunitaria n. 80/390/CEE, il quale – assieme ad altre disposizioni introdotte dal legislatore comunitario[3]- prevede una vera e propria “clausola generale” del prospetto che – in quanto tale – non presenta un contenuto fisso od immutabile ma, al contrario, continuamente rinnovato nell’interpretazione fornita dalla prassi amministrativa e giurisprudenziale.
In altri termini, quale che sia l’intenzione storica del legislatore, i contorni del prospetto hanno subìto e subiranno una continua evoluzione. Ciò spiega perché la disposizione comunitaria si esprime in termini ampi e generici in modo da consentire da un lato, un’integrazione contenutistica adeguata al caso concreto e dall’altro, un’interpretazione evolutiva.
1.1. La “clausola generale” della direttiva comunitaria n. 80/390/CEE.
Con riferimento al problema dei destinatari del prospetto, va notato che tale clausola configura il prospetto informativo come indirizzato sia agli investitori, sia ai loro consiglieri finanziari. È questo un modo di vedere realistico, per il quale si prende atto che solo alcuni degli investitori hanno le “competenze necessarie” ad intendere e a valutare in maniera approfondita le informazioni contenute nel prospetto. Nella maggior parte dei casi è necessaria, infatti, l’assistenza di un intermediario o consulente, il quale sia in grado di filtrare le informazioni contenute nel prospetto fornendo al proprio cliente una chiave di lettura delle medesime.[4]
In merito alle informazioni da pubblicare, l’art. 4 della direttiva n. 80/390/CEE stabilisce che il prospetto deve contenere le informazioni necessarie affinché gli investitori e i loro consiglieri finanziari possano giudicare con fondatezza la situazione patrimoniale e finanziaria, i risultati e le prospettive dell’emittente, nonché i diritti connessi con i valori mobiliari stessi. È chiaro, peraltro, che il prospetto non potrà contenere tutte le informazioni rilevanti per una valutazione dell’investimento in questione. Per valutare compiutamente l’impresa emittente si deve, infatti, conoscere anche il mercato in cui la stessa opera, l’attività e la forza dei concorrenti, le caratteristiche tecniche dell’impresa in questione e quelle del suo settore di operatività, e via dicendo. Inoltre, per decidere se acquistare proprio i titoli di quella impresa, è necessario conoscere gli aspetti di redditività e di rischio di altri titoli al fine di compiere valutazioni comparative. Di tutte queste notizie, i redattori del prospetto non possono certo farsi carico, spettando agli analisti ed ai consulenti finanziari il compito di reperirle autonomamente da altre fonti.
Bisogna dire, tra l’altro, che i prospetti informativi normalmente non solo non contengono queste informazioni di carattere generale, bensì anche certe delicate informazioni relative all’impresa emittente. Si tratta di quelle informazioni che, per il fatto di non rientrare tra i dati storici ed ufficiali dell’impresa emittente e di richiedere valutazioni spesso difficili ed anche opinabili, vengono in letteratura definite come soft information.[5] Si pensi tipicamente alle previsioni degli utili di esercizi futuri, che il management dell’impresa emittente formula, oppure alle stime di beni aziendali. Orbene, sull’inclusione nei prospetti della soft information esiste molta cautela anche a livello internazionale. Quanto alle previsioni di utili futuri, in particolare, si paventa l’eccessivo ottimismo del management dell’impresa emittente; d’altronde, lo stesso pericolo di pesanti responsabilità in caso di previsioni non verificatesi, potrebbe indurre il vertice aziendale ad un eccesso di prudenza tale da vanificare o addirittura rendere negativa l’inclusione nel prospetto di tali previsioni.
In questa linea di tendenza si collocano gli schemi di prospetto dettati dalla vigente regolamentazione, i quali sono orientati più che altro a fornire dati storici[6]: certo, non mancano le indicazioni di elementi previsionali, ma esse vengono contenute entro limiti assai rigorosi.[7]
2. La scissione del prospetto informativo.
Il 14 maggio 1999 la Consob ha approvato il testo coordinato delle norme di attuazione del TUIF, emanando il regolamento n. 11971 (c.d. Regolamento Emittenti), con il quale sono stati anche abrogati alcuni atti amministrativi preesistenti.[8]
La novità principale contenuta nel regolamento, rispetto alla precedente disciplina, riguarda il prospetto informativo per gli emittenti quotati o diffusi. La normativa secondaria consente di scindere, infatti, il prospetto in due documenti distinti: un “documento informativo sull’emittente”, destinato ad essere strumento di informazione permanente sulla situazione dell’emittente, ed una “nota integrativa”, finalizzata ad illustrare la singola operazione di sollecitazione o quotazione e gli strumenti finanziari che ne sono oggetto.[9]
L’innovazione normativa costituisce un chiaro tentativo di rispondere all’esigenza di fornire al mercato in tempi rapidi informazioni quantitativamente e qualitativamente significative, al fine di agevolare la conclusione di un maggior numero di contratti.[10] La nuova normativa sull’informativa societaria, quindi, si è interessata particolarmente al contenuto ed alle modalità di diffusione dell’informazione ed ha tentato di migliorare i relativi schemi senza appesantire eccessivamente gli oneri degli emittenti.
La Consob ha ritenuto, infatti, che la quotazione costituisca una sorta di sollecitazione permanente verso il pubblico degli investitori e, pertanto, ha voluto assicurare una pari continuità anche ai flussi informativi “approntando strumenti idonei a garantire che l’informazione fornita al mercato in occasione dell’ammissione a quotazione o della sollecitazione all’investimento sia la base di un’informativa continua sulla situazione dell’emittente”.[11] A tal fine, la Consob ha utilizzato lo strumento del prospetto e lo ha trasformato in un documento permanente da aggiornare periodicamente a cura dell’emittente.
3. Profili di responsabilità da prospetto.
Veniamo ora all’argomento che più direttamente ci riguarda, cioè l’individuazione dei profili di responsabilità derivanti dall’inserimento all’interno del prospetto di informazioni alterate o false e dei soggetti in capo ai quali la responsabilità può essere ascritta; tale indagine risulta oggi particolarmente utile, alla luce della trasformazione del prospetto informativo da documento “episodico” a strumento di informazione “permanente” al mercato sulla salute dell’emittente.
Un’analisi approfondita del problema ci porta ad individuare tre “ipotesi” di responsabilità in relazione agli interessi lesi dal prospetto “falso o infedele” ed ai soggetti che devono essere considerati responsabili della lesione.
Pertanto, devono essere segnalati in successione:
a) la responsabilità civile posta a carico di chi ha redatto il prospetto informativo;
b) gli eventuali profili di responsabilità penale in cui potrebbe incorrere il management sociale;
c) una possibile responsabilità della Consob per omissione di controllo.
4. La responsabilità da prospetto informativo: quale natura ?
Il tema della responsabilità da prospetto ha in Europa origini antiche risalenti alla fine dell’ottocento. In Italia, all’opposto, le prime esperienze in materia risalgono agli anni ’80, soprattutto dopo l’introduzione degli obblighi di prospetto da parte della legislazione sul mercato mobiliare. Manca, quindi, nel nostro ordinamento un regime specifico della responsabilità da prospetto diversamente da altri ordinamenti, quali quello tedesco e quello angloamericano, che ci hanno preceduto nell’analisi della questione e sono più ricchi di esperienze legislative, dottrinali e giurisprudenziali.[12]
Naturalmente l’ampiezza della materia impone di limitare l’indagine ai profili più rilevanti e problematici i quali appaiono tuttavia condizionati da una questione di fondo: la determinazione della natura di tale responsabilità.
Da un lato, infatti, vi sono coloro che qualificano la stessa in termini di responsabilità contrattuale; dall’altro lato si collocano, invece, coloro che attribuiscono alla responsabilità in oggetto una dimensione extracontrattuale.
Questa diversità di indirizzi, tuttavia, costituisce il riflesso di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale ben piú ampio, avente ad oggetto la c.d. responsabilità precontrattuale, a cui entrambi gli schieramenti in definitiva, sia pure con diverse sfumature, riconducono la responsabilità da prospetto.[13]
La natura extracontrattuale di tale responsabilità era dominante sotto il vigore dell’abrogato codice civile: si riteneva, infatti, che, in assenza di una disposizione espressa in tema di responsabilità precontrattuale, fosse applicabile alla slealtà in contraendo la normativa dell’illecito, cioè l’art. 1151 cod. civ. abr., la cui ampia formula permetteva di includere anche le ipotesi di illecito precontrattuale. Dopo l’entrata in vigore del codice del ’42, la tesi della natura extracontrattuale – ora espressa in termini di riconduzione delle norme degli artt. 1337 e 1338 cod. civ. al sistema dell’art. 2043 cod. civ. – ha continuato ad essere professata trovando il suo baluardo nella giurisprudenza. Tale responsabilità precontrattuale viene definita, di regola, come responsabilità per lesione della libertà negoziale. Essa, infatti, non tutela l’interesse all’adempimento, bensì l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci, a non subire coartazioni od inganni in ordine ad atti negoziali. Il nostro codice civile, ad esempio, fa esplicito riferimento alla responsabilità precontrattuale nell’ipotesi in cui sancisce l’obbligo delle parti a comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 cod. civ.). Un’altra norma codicistica dichiara la responsabilità della parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte. In tal caso il responsabile è tenuto a risarcire il danno che l’altra parte ha subìto, confidando “senza colpa” nella validità del contratto (art. 1338 cod. civ.). La giurisprudenza ha individuato, pertanto, nella prima norma l’enunciazione generale della fattispecie della responsabilità precontrattuale e, nella seconda, una specificazione di tale fattispecie.[14]
Si però osservato che questa interpretazione non coglie l’intero istituto della responsabilità in questione quale risulta dalle norme del codice e dagli orientamenti giurisprudenziali: nella dinamica fase delle trattative, infatti, le parti debbono sì comportarsi secondo buona fede, ma debbono anche comportarsi con diligenza. La responsabilità precontrattuale, pertanto, può avere il suo fondamento oltre che nella scorrettezza, anche nella colpa o nel dolo, secondo la regola generale dell’art. 2043 cod. civ.
In conclusione, essa indica la responsabilità per lesione dell’altrui libertà negoziale realizzata mediante un comportamento doloso o colposo, ovvero mediante l’inosservanza del precetto della buona fede.
Tornando al problema principale, i.e. la natura della responsabilità da prospetto, è opportuno indicare brevemente le due tesi dottrinali.
Chi afferma la natura contrattuale della responsabilità fonda il proprio pensiero sul dovere di comportarsi secondo buona fede, obbligo espressamente formulato dagli artt. 1337 e 1338 cod. civ. come obbligo inter partes, cioè imposto a una o più determinate persone (una parte) nei confronti di un’altra o di altre determinate persone (la controparte), la violazione di un simile obbligo, pertanto, determinerebbe la violazione di un obbligo relativo il quale, in quanto rispondente ai requisiti dell’art. 1174 cod. civ., costituisce un rapporto di obbligazione, che poi si specificherebbe ulteriormente in obblighi di informazione, custodia e segreto.[15] In sostanza, l’art. 1337 cod. civ. costituirebbe un’estensione della buona fede contrattuale alla fase delle trattative, avendo medesima natura la responsabilità per violazione del dovere di buona fede, sia che esso si ricolleghi al rapporto contrattuale sia che si fondi sul rapporto prenegoziale.[16]
L’opposto schieramento replica obiettando che la circostanza che l’obbligo di buona fede debba essere osservato dai contraenti nel rapporto precontrattuale non vuol dire che si tratti di un rapporto obbligatorio tra soggetti determinati. Tutti i doveri generici della vita di relazione, infatti, si sostanziano in comportamenti doverosi nei confronti della collettività senza che ciò comporti la costituzione di altrettanti rapporti obbligatori.[17] Il rapporto giuridico obbligatorio è un rapporto fra due parti determinate in virtù del quale una di esse (il debitore) ha il dovere giuridico di tenere un certo comportamento, ossia di eseguire una prestazione per soddisfare l’interesse dell’altra parte (il creditore). L’obbligo di comportarsi secondo buona fede nella fase precontrattuale, invece, è posto a carico della collettività (e non di soggetti determinati), per tutelare interessi della vita di relazione suscettibili di essere lesi nei contatti sociali: l’interesse che rileva, si afferma, è appunto un interesse della vita di relazione e precisamente l’interesse alla libertà negoziale la cui lesione s’inquadra pertanto nell’ambito della responsabilità extracontrattuale.[18]
C’è da dire, tuttavia, che propendere per l’una o per l’altra tesi non ha un valore esclusivamente teorico: i risultati del dibattito, infatti, incidono sulla disciplina dell’istituto sotto diversi profili, ad esempio per quanto riguarda l’onere della prova, l’entità dei danni risarcibili, il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria, ed altre problematiche di carattere pratico. Senza tener conto, poi, della questione della responsabilità di chi, soggetto terzo rispetto alle parti del contratto, abbia in ogni caso concorso alla formazione del contratto stesso (si pensi alle SIM, agli enti creditizi, ecc.): chi opta per la responsabilità extracontrattuale nega la configurabilità di una responsabilità precontrattuale in capo a soggetti diversi dall’emittente, mentre l’altro schieramento ritiene che il dovere precontrattuale di buona fede possa gravare anche sul terzo, come l’intermediario.[19]
Ad ogni modo, già durante la vigenza della legge n. 216 del 1974, dottrina e giurisprudenza hanno avuto più volte l’occasione di esporre il proprio pensiero sul problema della configurabilità di profili di responsabilità a carico di emittenti o collocatori per le informazioni false o errate contenute all’interno di un prospetto informativo e della relativa classificazione all’interno di una categoria giuridica, oscillando tra le due teorie.
L’articolo 18, comma 2, della citata legge n. 216 prevedeva, infatti, che “ogni sollecitazione al pubblico risparmio deve essere effettuata previa pubblicazione di un prospetto informativo riflettente l’organizzazione, la situazione economica e finanziaria e la evoluzione dell’attività di chi propone l’operazione, redatto secondo le disposizioni di carattere generale determinate dalla Consob”; pertanto, chi intendeva effettuare una sollecitazione al pubblico risparmio doveva comunicare al mercato le informazioni necessarie ad illustrare l’operazione e le caratteristiche dell’emittente.[20]
Poteva, tuttavia, accadere che il prospetto informativo contenesse informazioni false o errate; in tal caso, in assenza nella legge speciale di una disciplina specifica del fenomeno, dottrina e giurisprudenza prevalenti, richiamandosi ai principi generali del diritto civile, ritenevano che a carico di chi aveva predisposto il prospetto sorgesse una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 cod. civ.[21]
In seguito all’emanazione del TUIF lo scenario non è mutato sul versante normativo; infatti il legislatore ha ribadito, ai primi due commi dell’art. 94, che “coloro che intendono effettuare una sollecitazione all’investimento ne danno preventiva comunicazione alla Consob, allegando il prospetto destinato alla pubblicazione” e che “il prospetto contiene le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dei prodotti finanziari e degli emittenti, sono necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sull’evoluzione dell’attività dell’emittente nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti”[22] pertanto, non rinvenendo neppure nella nuova disciplina norme specifiche disciplinanti la materia, la dottrina ha continuato a fare riferimento alle categorie generali della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.[23]
Sul versante giurisprudenziale, invece, malgrado la costante qualificazione della responsabilità prenegoziale come responsabilità aquiliana, la magistratura milanese (sia di primo che di secondo grado) ha ritenuto – verso la fine degli anni ’80 – la collocazione di obbligazioni tra i clienti di un istituto di credito convenuto in giudizio, mediante diffusione di un prospetto risultato poi inveritiero, quale fattispecie integrante gli estremi della responsabilità da prospetto ed in particolar modo come responsabilità precontrattuale, avente natura contrattuale.[24]
È senz’altro utile, comunque, soffermarsi, sia pur brevemente, sui risvolti pratici più interessanti del problema.
Nel caso in cui la sollecitazione all’investimento abbia ad oggetto strumenti finanziari del soggetto che la pone in essere, ogni omissione, inesattezza o falsità contenuta nel prospetto si ritiene che sia immediatamente e direttamente imputabile allo stesso il quale, pertanto, dovrà considerarsi responsabile ex art. 1337 cod. civ. qualora abbia agito con dolo o colpa.
La situazione diviene, invece, ben più complessa nel caso in cui la sollecitazione abbia ad oggetto strumenti finanziari non facenti capo al soggetto che la pone in essere: in tal caso, infatti, il collocatore predispone il prospetto sulla base delle informazioni fornite dall’emittente; un’eventuale responsabilità che nasca da tali fattispecie potrà essere caratterizzata, quindi, dalla solidarietà tra emittente e collocatore laddove l’inesattezza, l’incompletezza e la falsità dei dati comunicati dall’emittente poteva essere rilevata da chi ha predisposto il prospetto, mediante l’adempimento del proprio incarico con correttezza e professionalità.[25] In caso contrario, l’unico soggetto sul quale far ricadere la responsabilità precontrattuale sarà l’emittente; nella prima ipotesi, infatti, si realizza un concorso di cause nella produzione dell’evento lesivo che determina una responsabilità solidale a carico di tutti coloro che, con dolo o colpa, hanno cagionato un danno ingiusto[26], mentre nella seconda ipotesi gli estremi psicologici di imputazione dell’evento non sono ravvisabili in capo al collocatore ma esclusivamente in capo all’emittente.[27]
Discorso a parte merita, invece, la pubblicazione di un prospetto di quotazione. Si ritiene, infatti, che non sussistano rapporti obbligatori precontrattuali tra l’emittente e gli investitori: con l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione in borsa o al mercato ristretto non si ha raccolta di nuovi mezzi finanziari da parte della società i cui titoli vengono ammessi alle contrattazioni ufficiali ed il prospetto informativo non è, pertanto, finalizzato a consentire la formazione di un giudizio degli investitori su una specifica operazione di finanziamento mediante appello al pubblico risparmio. L’ammissione a quotazione rappresenta, piuttosto, una forma di appello “mediato” al pubblico risparmio, nella misura in cui, rendendo più sicure ed efficienti le transazioni sui titoli della società richiedente, essa tende a precostituire occasioni favorevoli per il successo di future emissioni.[28] Mancando, quindi, un collocamento di titoli fra il pubblico, viene meno il presupposto (negoziale) perché si possano configurare appunto rapporti obbligatori (prenegoziali) tra la società ed i potenziali investitori.
Relativamente ad un’eventuale responsabilità precontrattuale diretta e personale degli amministratori della società che provvede alla sollecitazione del risparmio, in linea generale si ritiene che, pur essendo il prospetto opera degli stessi (ne curano la redazione e la pubblicazione), tale documento è, per sua natura, un atto della società, vale a dire una dichiarazione che la società indirizza agli investitori allo scopo di fornire loro gli elementi essenziali per la valutazione dell’investimento offerto. Ne consegue che il prospetto costituisce veicolo di imputazione della fiducia degli investitori direttamente nei confronti della società e non anche degli amministratori che lo hanno materialmente redatto. Questi ultimi, pertanto, non possono essere considerati, attraverso il prospetto, parti contrattuali dei negozi ai quali il prospetto stesso è riferito, inserendosi direttamente ed in modo personale nella loro formazione al fianco della società.[29]
Quanto al danno risarcibile, occorre infine ricordare che, vertendo in materia di responsabilità precontrattuale, il danno è limitato all’interesse negativo[30]e la pretesa risarcitoria viene fatta valere in ragione dell’inadempimento di obblighi di informazione: se l’investitore fosse stato adeguatamente informato, non avrebbe acquistato i valori mobiliari in questione o li avrebbe acquistati ad un prezzo inferiore. Il risarcimento, pertanto, dovrà in primo luogo coprire il danno emergente subito dall’investitore in termini di perdita (totale o parziale) del capitale investito (e di costi accessori dell’operazione); in secondo luogo dovrà coprire il lucro cessante, rappresentato non dalle utilità che l’investitore avrebbe conseguito se l’affare avesse avuto l’andamento ipotizzato dal prospetto, ma dalle utilità che l’investitore avrebbe tratto se si fosse indotto alla stipula di affari alternativi rispetto a quello che invece ha concluso.[31] In altri termini, ciò significa, quindi, che dovrà essere risarcito il pregiudizio patrimoniale patito a causa delle spese inutilmente effettuate nonché la perdita di ulteriori occasioni favorevoli eventualmente verificatesi nel corso delle trattative.
Ritornando al tema principale, occorre precisare che l’ambito dell’art. 1337 cod. civ., per quanto sia ampia la zona di interessi tutelati in chiave precontrattuale, non può costituire il perno esclusivo di una tutela civilistica degli investitori lesi da difettosità dei prospetti informativi, residuando spazi per i quali si devono ricercare le possibilità di una tutela sul piano extracontrattuale. Abbiamo già visto come siano esclusi dal novero degli obbligati a titolo precontrattuale gli amministratori delle società che fanno appello al pubblico risparmio (nonché i revisori che certifichino i bilanci delle società medesime), così come, avuto riguardo alla ipotesi di ammissione ad un mercato ufficiale (di borsa o ristretto), si è negato che la pubblicazione dei relativi prospetti potesse essere inquadrata in un contesto giuridico precontrattuale.
L’obiettivo di una tutela extracontrattuale degli investitori danneggiati può essere raggiunto, pertanto, tenendo conto della conformazione della disciplina dell’illecito, ed in particolare della disposizione dell’art. 2043 cod. civ., il quale consente di raggiungere risultati non dissimili da quelli conseguiti attraverso lo studio della responsabilità precontrattuale da prospetto, e di coprire, in larga misura, quegli spazi che sono rimasti esclusi dalla sfera dell’art.1337 cod. civ.[32]
L’art. 2043 cod. civ., infatti, rende aperto l’elenco degli illeciti, permettendo di aggiungere altre figure a quelle espressamente previste in norme specifiche. Il requisito dell’ingiustizia, in particolare, menzionato in tale articolo, non deve essere inteso nel senso che l’illecito necessariamente consista nella violazione di un diritto soggettivo[33], e neppure nel senso che la norma in esame sanzioni esclusivamente gli atti dannosi compiuti in violazione di doveri risultanti da altre norme di legge. L’art. 2043 cod. civ. non è una norma secondaria, meramente sanzionatrice, bensì rappresenta una norma primaria, essa stessa fonte di doveri giuridici; il sistema che ne deriva, quindi, è improntato da criteri di atipicità, richiedendo all’interprete di compiere un’opera di concretizzazione della clausola generale dell’ingiustizia, al fine di estrapolare, dall’ambito della varietà delle situazioni concrete e degli interessi coinvolti, le singole figure di illecito civile.[34]
Si può concludere, pertanto, affermando che il diritto civile affianca alla regolazione speciale dell’appello al pubblico risparmio una serie di doveri di informazione che, per un verso, discendono dall’art. 1337 cod. civ. e concorrono a formare il contenuto di rapporti obbligatori prenegoziali, dall’altro, discendono dall’art. 2043 cod. civ. e rappresentano il presupposto di una particolare figura di illecito, la quale si concretizza nella lesione dell’interesse dei risparmiatori ad una informazione veritiera e completa sui titoli oggetto del loro investimento.
5. La responsabilità penale da prospetto informativo ex art. 2621 cod. civ.
E’ controverso se il prospetto informativo possa essere inquadrato nelle comunicazioni sociali ai sensi e per gli effetti dell’art. 2621, comma 1, n. 1) cod. civ.[35]; una parte della dottrina, infatti, ritenendo che il prospetto sia un documento destinato esclusivamente alla Consob, ha negato l’applicabilità dell’art. 2621 cod. civ.[36], mentre altri autori[37], sulla scorta di innovativi orientamenti giurisprudenziali[38], hanno sostenuto l’applicabilità della norma citata ritenendo che il prospetto informativo sia destinato essenzialmente al pubblico dei risparmiatori.
Il “falso in prospetto”, quindi, può integrare il reato di cui all’art. 2621 cod. civ., a patto che il documento promani dalla società emittente e vi sia, di conseguenza, una coincidenza tra quest’ultima ed il proponente la sollecitazione.
È opportuno, allora, soffermarsi brevemente sugli elementi che caratterizzano il reato di cui all’art. 2621, comma 1, n. 1) cod. civ.
Il reato di false comunicazioni sociali consiste in una particolare ipotesi di falso ideologico in scrittura privata avente ad oggetto la rappresentazione di circostanze fattuali inerenti alle condizioni economiche della società, in relazione alla tutela dell’affidamento incolpevole dei soci e dei terzi.
Sotto il profilo dell’elemento oggettivo, costituiscono condotte idonee ad integrare il reato di false comunicazioni sociali sia l’esposizione di fatti non corrispondenti al vero sulla costituzione e sulle condizioni economiche della società, sia l’occultamento, totale o parziale, di fatti concernenti le condizioni medesime: perciò, vengono presi in considerazione dalla norma penale, da un lato ogni evento obiettivo, escluse le semplici valutazioni, salvo che non celino in realtà fatti falsi, e, dall’altro, quelle notizie che debbono essere portate a conoscenza dei soci affinché l’assemblea possa decidere con piena cognizione di causa e il cui occultamento induce in errore.
Affinché il fatto sia penalmente rilevante occorre, comunque, che l’esposizione o l’occultamento si verifichi nei bilanci, nelle relazioni o in altre comunicazioni (anche verbali) sociali e, cioè, ufficiali, nel senso che esse costituiscano una manifestazione delle specifiche funzioni svolte nell’ambito societario da parte del soggetto, e, nello stesso tempo, che esse siano rivolte ai soci o ai terzi interessati, quali titolari di interessi protetti dalla legge.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, l’utilizzazione dell’avverbio “fraudolentemente” esclude che il reato di false comunicazioni sociali sia punito a titolo di dolo generico; è invece necessario il dolo specifico, cioè che il soggetto abbia agito con l’intenzione di determinare un errore nei soci o nei terzi sulla reale situazione patrimoniale della società, con il proposito di causare, a sé o a terzi, un ingiusto profitto, senza che sia necessaria la sussistenza della volontà di cagionare un danno, essendo sufficiente la semplice previsione del danno come correlativo al profitto, trattandosi di un reato di pericolo.
Si ritiene, quindi, condivisibile quell’orientamento dottrinario e giurisprudenziale che riconduce il prospetto informativo tra le “comunicazioni sociali” rilevanti ai sensi dell’art. 2621 cod. civ.[39]
6. La responsabilità civile della Consob per omissione di controllo.
In dottrina non c’è uniformità di vedute in merito alla natura del controllo che la Consob effettua sui prospetti di sollecitazione e/o quotazione: per alcuni autori il controllo della Consob è volto a tutelare esclusivamente la trasparenza del mercato e, pertanto, l’interesse tutelato avrebbe per definizione un rilievo generale e non si potrebbe ascrivere all’Autorità di vigilanza alcuna obbligazione di garanzia in ordine alla verità ed alla completezza dell’informazione resa[40]; per altri, viceversa, occorre distinguere tra falsità ed omissioni non rilevabili ad un controllo formale e mancata rilevazione di violazioni individuabili tecnicamente attraverso l’applicazione della disciplina primaria e secondaria vigente, limitando la responsabilità della Consob alle sole violazioni “macroscopiche”.[41]
La stessa Commissione, pur configurando il provvedimento conclusivo della propria attività come di “nulla osta” alla pubblicazione del prospetto, tende ad allargare il proprio raggio di azione ricomprendendo profili che sono tipici di un controllo sulla legittimità delle operazioni sollecitatorie oggetto del suo esame. Essa, infatti, ritiene che la propria funzione istituzionale sia non solo quella di assicurare la trasparenza dell’informazione – onde consentire scelte di investimento oculate -, ma anche di impedire che a mezzo delle attività considerate dall’art. 94 TUIF possano trovare cittadinanza nel nostro ordinamento negozi giuridici illeciti: si pensi ad atti in contrasto con le norme imperative di legge, che abbiano causa illecita e siano contrari all’ordine pubblico.[42]
La Consob, pertanto, da anni esercita sulle bozze di prospetto non solo un controllo di trasparenza, ma anche un controllo di legittimità delle operazioni sollecitatorie che sono alla base del documento informativo; controllo che, secondo alcuni[43], sarebbe peraltro in contrasto con l’art. 41 Cost.: le operazioni di sollecitazione e/o quotazione, infatti, essendo espressione di iniziativa economica privata – la cui libertà è coperta da riserva di legge – non potrebbero essere oggetto di un simile controllo in assenza di una espressa disposizione di legge.
Ma se così fosse, si avrebbe un effetto paradossale: la Commissione, infatti, si troverebbe ad autorizzare il compimento di un’operazione che considera illegittima. Piú corretto è ritenere, quindi, che la Consob, pur non avendo un vero e proprio potere di valutare la legittimità degli atti di autonomia privata (in quanto autorità amministrativa e non giudiziaria), potrebbe senz’altro pretendere dal sollecitante di dare notizia nello stesso prospetto informativo dei dubbi di legittimità, al fine di consentire – anche sotto tale profilo – una completa e trasparente informazione dei destinatari dell’operazione sollecitatoria (art. 94 TUIF).
In tema di responsabilità dell’Autorità di vigilanza, peraltro, non si può non far menzione del precedente orientamento giurisprudenziale, il quale solo recentemente è stato oggetto di cambiamenti radicali.
In un primo momento, infatti, in materia di responsabilità dell’organo di controllo per dati non veritieri contenuti nel prospetto informativo (in caso di OPA o di OPSc, nel documento di offerta) la giurisprudenza riteneva che agli investitori dovesse riconoscersi solo una posizione di interesse legittimo e quindi non tutelabile sul piano risarcitorio[44]; successivamente, essa ha mutato il proprio orientamento, innovando fortemente la propria posizione.
Tale processo evolutivo trova una espressione molto interessante nella sentenza della Corte d’Appello di Milano[45]nella quale si legge che “l’attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere, con la conseguenza che è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa amministrazione un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la lesione di un diritto soggettivo. Nei rapporti tra i privati e la pubblica amministrazione, allorché quest’ultima non faccia uso di poteri autoritativi legittimi, ma operi quale soggetto (non privato) in una posizione del tutto paritetica con qualunque atro soggetto (privato), in favore del privato non sono astrattamente configurabili solo interessi legittimi, bensì (anche o soltanto) posizioni di diritti soggettivi. In tema di responsabilità civile della pubblica amministrazione, ad escludere l’antigiuridicità del fatto e la colpa dell’amministrazione per i danni arrecati a terzi, non basta la circostanza che quest’ultima abbia seguito correttamente il complesso iter tecnico-amministrativo previsto dalla legge, poiché l’esito favorevole dei vari controlli non esime la pubblica amministrazione dal dovere di seguire anche le regole tecniche di comune prudenza e diligenza, allo scopo di non ledere l’incolumità e il patrimonio di alcuno”.
Sulla scorta di tali affermazioni, è possibile allora dedurre che il legislatore abbia affidato alla Consob il compito di assicurare l’osservanza di regole procedimentali e di standard informativi da parte sia degli operatori sia degli intermediari finanziari che intendono sollecitare il pubblico risparmio, al fine di realizzare il più elevato grado di trasparenza del mercato mobiliare; pertanto, anche se la situazione soggettiva del privato consiste nell’interesse all’appropriato svolgimento – da parte della Consob – delle funzioni di vigilanza che il legislatore le ha conferito, rivestendo il rango di interesse giuridicamente rilevante ma non quello di diritto soggettivo, nondimeno deve ritenersi legittima la verifica della “…….. lesione di un diritto soggettivo, trovando origine la responsabilità civile della pubblica amministrazione per danni ingiusti arrecati a terzi nella inosservanza delle comuni regole di prudenza e diligenza e anche nella trasgressione di norme e prescrizioni, alla cui osservanza tutti sono tenuti”.[46]
Tale orientamento, come è stato anticipato, pur essendo notevolmente innovativo nell’esprimere il tentativo giurisprudenziale di estendere l’ambito di tutela riconosciuto agli investitori in presenza di prospetti “falsi o infedeli”, non affronta direttamente il problema della risarcibilità di situazioni giuridiche diverse dal diritto soggettivo; infatti, il profilo del sindacato in ordine all’agire amministrativo – la cui cognizione spetta al giudice amministrativo – viene distinto dal profilo dei limiti che, in ogni caso, l’autorità amministrativa incontra nel proprio agire al pari di ogni altro soggetto, i quali si estrinsecano nei principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione dettati dall’art. 97 Cost. Ne consegue che, in virtù di tale orientamento giurisprudenziale, si dovrebbe in ogni caso escludere la risarcibilità della lesione di interessi legittimi facenti capo al pubblico degli investitori, cioè i destinatari potenziali delle informazioni contenute nel prospetto, mentre si dovrebbe riconoscere la risarcibilità della lesione della libertà contrattuale e dell’integrità patrimoniale di coloro che abbiano aderito alla sollecitazione indotti in errore sui requisiti economici dell’operazione anche a causa del comportamento colposo della Consob, trattandosi di un vero e proprio diritto soggettivo.
Ma la piú grande novità in materia di risarcibilità della lesione di interessi legittimi indubbiamente deriva dalle ormai celebri sentenze della Cassazione del 1999 (nn. 500[47]e 501), le quali possono determinare nuovi ed interessanti sviluppi in tema di responsabilità della Consob per i danni cagionati dal prospetto “falso o infedele”: la Suprema Corte, infatti, proponendo una lettura “rivoluzionaria” dell’art. 2043 cod. civ., che pone l’accento sull’ingiustizia del danno patito e non sulla qualificazione formale dell’interesse leso, ha esteso la tutela risarcitoria che la norma citata prevede anche alla lesione di interessi giuridicamente protetti e qualificati come “legittimi”.
La questione della responsabilità civile della Consob, tuttavia, può definirsi sufficientemente trattata solo se si considera la recentissima sentenza della Suprema Corte[48], nuovamente intervenuta – dopo le innovative pronunce a tutela dell’universo dei consumatori in materia di interessi usurari nei mutui e di anatocismo bancario – in difesa dei risparmiatori, riconoscendo la responsabilità della Commissione per i danni provocati dal proprio omesso obbligo di vigilanza.
La Corte di Cassazione ha difatti stabilito che “…. una volta accertato dagli atti che risultava la falsità di essenziali dati del prospetto, l’organo pubblico istituzionalmente preposto ad assicurare l’effettività di minimi standard informativi aveva la potestà legale di intervenire con iniziative istruttorie, integrative, repressive su operazioni che, prima facie, quel livello di veridica informazione non fornivano”.[49]
A giudizio della Corte, la Consob non poteva non essersi accorta della totale non veridicità del prospetto informativo, avendo gli strumenti idonei a fornire ai sottoscrittori le dovute informazioni. Rinviando la causa davanti alla Corte di Appello di Milano, la Cassazione ha pertanto riconosciuto la responsabilità dell’Autorità di vigilanza a seguito di mancato controllo sui prospetti, confermando altresì la possibilità di proporre domande risarcitorie per addebito del danno patrimoniale nei confronti degli organismi di controllo.[50]
Non c’è dubbio, allora, che la pronuncia della Corte avrà sicuramente un impatto di carattere non solo giuridico ma anche economico, dato che il diritto riconosciuto ai risparmiatori-investitori di agire per i danni subiti a seguito della mancata vigilanza da parte delle autorità a ciò preposte, potrà stimolare l’esercizio delle azioni giudiziarie a tal fine, con conseguenti e rilevanti addebiti di natura patrimoniale agli organi di controllo una volta ritenuti responsabili.
7. Conclusioni.
Possiamo concludere, pertanto, affermando che dalla pubblicazione di un prospetto informativo o di un documento di offerta “falso o infedele” possono scaturire, a carico di diversi soggetti, distinti profili di responsabilità: il prospetto rileva, infatti, contemporaneamente come elemento che si inserisce nella fase di formazione del contratto, come comunicazione sociale rilevante e come strumento di informazione del mercato. Tale situazione comporta il rischio che il prospetto divenga un veicolo attraverso il quale dati ed informazioni in esso contenuti possano ledere i differenti interessi, individuali e generali, coinvolti dall’operazione di sollecitazione all’investimento.
Ne consegue che, nel predisporre un prospetto informativo, colui che propone l’investimento dovrà prestare particolare attenzione al suo contenuto, selezionando dati ed informazioni affidabili e verificate, al fine di non dover essere chiamato a rispondere del proprio operato in sede civile o, addirittura, penale, mentre l’Autorità di vigilanza non potrà esimersi dal valutare con perizia i prospetti o i documenti di offerta che le vengono comunicati per non dover essere successivamente costretta a risarcire il danno cagionato a terzi in conseguenza del proprio comportamento imprudente o negligente, soprattutto alla luce dell’ultimo orientamento dei nostri giudici di legittimità.
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* Si ringrazia l’Avv. Andrea Galante per il prezioso contributo.
[1] Art. 94, comma 2, D.Lgs. n. 58/1998 (di seguito indicato come TUIF).
[2] S. Pazzaglia, La disciplina statunitense del prospetto informativo, in Le Società, 1998, 81, 920; P.G. Marchetti, Note sul prospetto informativo, in Informazione e pubblicità sull’offerta al pubblico di valori mobiliari, (a cura di) Auteri, 1991, 45.
[3] Si veda, a tal proposito, la direttiva comunitaria n. 298/89/CEE.
[4] La realtà dei mercati finanziari, infatti, non consente un naturale superamento dell’asimmetria informativa esistente tra l’investitore e la società che fa appello al pubblico risparmio o sollecitazione all’investimento; pertanto, perché tale superamento possa realizzarsi è necessario, oltre ad un vero e proprio obbligo per l’emittente di fornire un complesso di informazioni esaurienti, l’intervento di tali “consulenti”. Di diverso avviso risulta essere la Sec (Securities Exchange Commission, cioè l’equivalente della Consob negli USA), la quale ritiene che il prospetto debba informare in modo esauriente sia lo unsophisticated investor sia lo knowledgeable student of finance, cioè non solo l’analista professionale ma anche il piccolo investitore medio. Tale posizione è stata, tuttavia, criticata dalla dottrina statunitense, la quale afferma che il progresso tecnologico – insieme alla internazionalizzazione dei mercati mobiliari – comporta la necessità di un alto grado di competenza e di preparazione tecnica da parte di chi si accinge consapevolmente ad utilizzare l’informazione disponibile sui mercati finanziari, pertanto il c.d. uomo della strada erudito (informed layman) non può essere il naturale destinatario del prospetto; in particolare si ricorda la posizione di H. Kripke (The SEC, the accountants, some myths and some realities, in New York University Law Review, n. 45, 1970; The myth of the informed layman, in Business Lawyer, 1973), il quale ritiene il prospetto informativo come un documento di routine insignificante, non atto a servire i suoi propositi, cioè a dischiudere le informazioni necessarie: l’investitore non professionista che, da solo, assume decisioni intelligenti di investimento sulla base della semplice lettura del prospetto è un’immagine non realistica. Probabilmente, come alcuni hanno successivamente sottolineato (R.W. Jennings – H. Marsh, To whom is the prospectus addressed?, in Securities regulation, cases and materials, Foundation Press, 1982, 150), la soluzione deve essere individuata in una via di mezzo, in quanto è impensabile che il prospetto debba contenere dati e notizie aventi significato solo per l’analista finanziario, escludendo così da ogni possibilità di lettura la maggior parte degli investitori; gli analisti, tra l’altro, nel valutare una società si avvalgono di informazioni anche e soprattutto esterne alla compagnia, che non possono essere dischiuse nel prospetto. Cfr., S. Pazzaglia, op. cit., 922 e ss.
[5] Negli USA l’autore H. Marsh divide le soft information in tre categorie: 1) projections of future earnings (proiezioni di guadagni futuri); 2) appraisals of assets (valutazioni dei cespiti diverse dai valori di bilancio); 3) evaluations of management (giudizi sulla capacità e rispettabilità del management).
[6] Normalmente considerati un classico esempio di hard information.
[7] La Consob statunitense aveva escluso gran parte delle soft information dalla disclosure obbligatoria richiesta nei prospetti di collocamento di securities, essenzialmente per la paura che gli investitori non fossero in grado di percepire la minore affidabilità delle informazioni prospettiche, ma anche per la pesante responsabilità e la relativa difficoltà di dimostrare la buona fede nell’effettuazione delle proiezioni gravante sugli emittenti, senza peraltro dimenticare che simili informazioni avrebbero potuto generare anche svantaggi competitivi a carico degli emittenti a causa dell’obbligo di indicare le future strategie della società. Successivamente, però, la stessa Sec, pressata dalla dottrina e dalla realtà dei mercati finanziari, ha mutato il proprio orientamento in ordine all’inclusione nel prospetto di informazioni tipicamente rientranti nell’ambito delle soft information. Cfr. S. Pazzaglia, op. cit., 1015 e 1019.
[8] Si tratta, in particolare, delle delibere nn. 5553/1991, 5827/1991, 6237/1992, 6243/1992, 6265/1992, 6378/1992, 6246/1992, 6430/1992, 6761/1993, 6817/1993, 8085/1994, 8288/1994, 10310/1996, 11125/1997, 11520/1998, 11715/1998 e delle comunicazioni nn. 87/10573, 92005380, 93002635 e 96009304. Si ricorda, peraltro, che proprio recentemente (il 18 aprile 2001) la Commissione, con la delibera n. 13086, ha modificato diversi articoli del Regolamento Emittenti n. 11971/99.
[9] L’art. 6 del regolamento citato dispone, infatti, che:
“1. Gli emittenti strumenti finanziari quotati o diffusi hanno facoltà di pubblicare, contestualmente al bilancio o alla relazione semestrale e comunque entro sessanta giorni dalla pubblicazione di tali atti, un documento contenente le informazioni indicate nell’Allegato 1B. Tali informazioni possono essere inserite in alternativa in una nota di accompagnamento al bilancio di esercizio o alla relazione semestrale. Gli emittenti strumenti finanziari quotati che si siano avvalsi di detta facoltà sono tenuti a predisporre il documento allo scadere di ogni dodici mesi.
2. Il documento è trasmesso alla Consob e messo a disposizione del pubblico presso la sede sociale dell’emittente, nonché, in caso di emittenti quotati, presso la società di gestione del mercato. Di tali adempimenti è data notizia mediante l’avviso previsto negli articoli 83 e 110 o mediante comunicato trasmesso ad almeno due agenzie di stampa.
3. Il documento di cui al comma 1, se integrato con una nota contenente le informazioni indicate nell’Allegato 1B, può essere utilizzato come prospetto informativo anche ai fini di quanto previsto dall’articolo 94, comma 3, del Testo Unico. Per eventuali ulteriori sollecitazioni anteriori alla scadenza del termine di dodici mesi indicato nel comma 1, i soggetti indicati nell’articolo 4 possono trasmettere alla Consob la sola nota integrativa predisposta per ciascuna di dette ulteriori sollecitazioni”.
[10] Deve, infatti, condividersi l’affermazione di quella parte della dottrina secondo la quale “trasparenza e parità si connotano, dunque, come obiettivi per la costruzione di un contesto negoziale che faciliti la realizzazione di scambi vantaggiosi: obiettivi, tuttavia, particolarmente rilevanti per il peso che l’entità e la tempestività dei flussi informativi giocano nelle relazioni contrattuali”; così P. Valentino e G. Dari Mattiacci, Nuova informativa societaria: la Consob scinde il prospetto, in Diritto e Pratica delle Società, 12, 1999, 24.
[11] P. Valentino e G. Dari Mattiacci, op. cit., 25.
[12] A tal proposito si rammenta che la nostra disciplina sulla sollecitazione all’investimento risulta ispirata al modello americano esclusivamente per la fase “fisiologica” della fattispecie e non anche per la fase “patologica”, cosa abbastanza singolare dato che la disciplina USA regola tale aspetto in modo molto rigoroso (a titolo di esempio si ricorda la Rule 10b-5 antifrode ed il § 11 del Securities Act del 1933).
[13] G. Ferrarini, La responsabilità da prospetto, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, 78, Milano, 1986, 120 e ss.
[14] Cass., sentenza del 28 gennaio 1972, n. 199, Italtelecine S.r.l. c. Cineriz, in Giur. it., 1972 I, 1, c. 1316 e ss.; Cass., sentenza del 7 agosto 1974, Sepe c. Barra.
[15] Tra gli altri, L. Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, II, 360 e ss.; A. Borgioli, La responsabilità per la gestione dei fondi comuni d’investimento mobiliare, in Riv. soc., 1983, 326 e ss.
[16] G. Ferrarini, op. cit., 51 e ss.
[17] In particolare, R. Sacco, Il contratto, in Tratt. Dir. civ. it. Diretto da F. Vassalli, Torino, 1975, 676; C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 1984, 161 e ss.
[18] R. Sacco, op. cit., 677.
[19] G. Ferrarini, op. cit., 52; sulla responsabilità degli intermediari come responsabilità precontrattuale si veda anche pag. 67.
[20] Peraltro, giova segnalare che, in virtù del comma 4 del citato articolo 18, “qualunque importante fatto nuovo o inesattezza del prospetto tale da influenzare la valutazione dei valori mobiliari, che si verifichi o venga riscontrata tra la data di pubblicazione del prospetto e la data di chiusura dell’operazione di sollecitazione del pubblico risparmio, deve formare oggetto di un supplemento al prospetto da rendere pubblico secondo le modalità previste nelle disposizioni di carattere generale di cui al secondo comma del presente articolo”.
[21] In vero, la Corte di Cassazione, sino al 1978, ha ritenuto che, malgrado la presenza nel documento informativo di dati inesatti o, addirittura, dolosamente falsi, la circostanza non rappresentasse un elemento determinante nel processo volitivo dell’investitore; in tal senso si veda Cass. Civ., 22 giugno 1978, in Giur. Comm., 1979, 631. Tale orientamento è stato tuttavia contestato dalla più illuminata dottrina che ha osservato come l’investitore non disponga delle cognizioni tecniche idonee a valutare adeguatamente i dati del prospetto, con la conseguenza che l’opera dell’intermediario si presenta decisiva nell’induzione all’acquisto di valori mobiliari; in tal senso G. Ferrarini, op. cit., 126.
[22] Per le offerte pubbliche di acquisto o scambio, al posto del prospetto informativo viene predisposto un documento di offerta; infatti, l’articolo 102 TUIF dispone che “coloro che effettuano un’offerta pubblica di acquisto o di scambio ne danno preventiva comunicazione alla Consob, allegando un documento, destinato alla pubblicazione, contenente le informazioni necessarie per consentire ai destinatari di pervenire a un fondato giudizio sull’offerta”. Per le operazioni di quotazione in un mercato regolamentato, invece, l’articolo 113 TUIF prevede che “prima della data stabilita per l’inizio delle negoziazioni degli strumenti finanziari in un mercato regolamentato l’emittente pubblica un prospetto contenente le informazioni indicate nell’articolo 94, comma 2”.
[23] D. Coppa, La responsabilità da prospetto, in Commentario al testo Unico della intermediazione finanziaria, (a cura di) Rabitti-Bedogni, estratto per gli studenti, Milano, 1999, 353. A titolo puramente conoscitivo si precisa che negli Stati Uniti le informazioni da inserire nel prospetto informativo devono, al fine di creare uno schema finalizzato a supportare il processo decisionale dell’investitore, essere affidabili (devono assicurare un adeguato livello di garanzia di verità), rilevanti (le rilevazioni inserite nel prospetto debbono essere solo quelle utili per effettuare una valutazione consapevole dei valori mobiliari) ed elastiche (nel senso di capacità del prospetto informativo di adeguarsi alle diverse fattispecie concrete che possono verificarsi nella realtà della sollecitazione del pubblico risparmio-investimento). Cfr. S. Pazzaglia, op. cit., 1020.
[24] È il c.d. caso American Express.
[25] L’intermediario, infatti, in conseguenza dell’affidamento in esso riposto dagli investitori, è tenuto a porre in essere un’attenta revisione degli elementi comunicati dall’emittente, in quanto ciò rappresenta il contenuto fondamentale dell’obbligo di buona fede nelle trattative. In tal senso F. Cesarini, L’intermediazione nel mercato delle nuove emissioni, in A.A.V.V., Il mercato mobiliare, Atti del Convegno di Venezia, Milano, 1982, 413 e ss. Secondo alcuni (G. Ferrarini, op. cit., 113, in nota), inoltre, l’onere della prova relativa al controllo delle informazioni ricevute viene così a gravare sull’intermediario, anziché sugli investitori, come invece si verificherebbe ove si riconoscesse un mero obbligo di controllo in capo all’intermediario. Si può dire, allora, che sull’intermediario (come sull’emittente) grava un’obbligazione “di risultato”, dove il risultato dedotto in obbligazione è l’informazione veritiera, corretta e completa sui soggetti attivi e sull’oggetto della sollecitazione al pubblico risparmio; non è un’obbligazione “di mezzi”, come invece sarebbe se si considerasse l’intermediario un soggetto obbligato soltanto a controllare dati e notizie da altri trasmessi, filtrandoli nell’interesse del pubblico degli investitori. Una soluzione analoga è, in buona sostanza, accolta dal diritto statunitense (sia pur nell’ambito di una concezione della responsabilità da prospetto come responsabilità per negligence): l’intermediario deve provare sia di aver compiuto una revisione ragionevole, sia di non aver avuto motivo di ritenere e di non aver di fatto ritenuto, alla fine di tale revisione, che il documento informativo era inesatto od incompleto (§ 11 del Securities Act del 1933).
[26] Tuttavia, un’autorevole ma risalente dottrina ritiene che non vi sia vincolo di solidarietà in presenza di fattispecie analoghe a quella descritta, ma ci si trovi in presenza di situazioni indipendenti. Così P. Trimarchi, Il significato economico dei criteri di responsabilità contrattuale, in Riv. Trim., 1970, I, 514.
[27] Sul punto, la giurisprudenza di merito ha, infatti, affermato che “è responsabile il terzo che intervenendo in trattative altrui influisce dannosamente sull’esercizio dell’autonomia contrattuale di una delle parti attraverso una falsa rappresentazione dei presupposti in considerazione dei quali la volontà contrattuale si viene formando: di conseguenza, l’intermediario che partecipi ad un consorzio di collocamento di valori mobiliari è responsabile delle inesattezze e dei vizi del prospetto relativo all’offerta, salvo che dimostri che neppure una revisione attenta e professionale dei dati e delle notizie trasmesse avrebbe potuto evidenziare i vizi del documento informativo”; in tal senso, Trib. Trieste, 13 luglio 1994, Soc. Surfrigo Nord – Soc. Friulia, in Società, 1995, 539, con nota di Gambogi; nonché in Dir. Fall, 1995, II, 679; nonché in Banca, Borsa e Titoli di credito, 1988, 532.
[28] G. Ferrarini, op. cit., 92 e ss.
[29] G. Ferrarini, op. cit., 73 e ss., il quale afferma l’esclusione dalla responsabilità precontrattuale anche di quei soggetti che sono menzionati nel prospetto informativo in qualità di società di revisione: il prospetto è giuridicamente un atto di coloro che procedono alla sollecitazione del pubblico risparmio, i quali soli possono pertanto instaurare una relazione diretta con i destinatari dell’informazione, idonea a suscitare il tipico affidamento prenegoziale. I revisori, così come gli amministratori, piuttosto, entrano in una relazione indiretta con gli investitori, fondando al massimo una loro responsabilità extracontrattuale, non una responsabilità in contrahendo.
[30] La formula dell’interesse negativo fu concepita ed elaborata con particolare riguardo alle ipotesi di conclusione di un contratto invalido e di recesso abusivo dalle trattative, ma è stata, più di recente, sottoposta a revisione critica, specialmente dopo aver constatato che una responsabilità per violazione di obblighi precontrattuali può sorgere anche quando venga concluso un contratto valido. Inoltre, è importante precisare che il ricorso alla formula dell’interesse negativo non vuol dire che per la determinazione del danno da inadempimento di obblighi precontrattuali non debba farsi applicazione della disciplina generale del risarcimento del danno dettata dagli artt. 1223 e ss. cod. civ.
[31] G. Ferrarini, op. cit., 127 e 128.
[32] Fa eccezione il profilo probatorio che risulta, per gli investitori, più vantaggioso nel campo della culpa in contrahendo, facendo di quest’ultima lo strumento privilegiato di tutela tra quelli attualmente disponibili.
[33] Contra, P. Schlesinger, L’”ingiustizia” del danno nell’illecito civile, in Jus, 1960, 738 e ss.
[34] G. Ferrarini, op. cit., 144.
[35] Il quale dispone che ”salvo che il fatto costituisca reato più grave, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire due milioni a venti milioni: 1) i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali, fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti contenenti le condizioni medesime”.
[36] A. Crespi, La falsità nel prospetto informativo inviato alla Consob ex art. 18, Legge 7 giugno 1974, n. 216, in Riv. Soc., 1989, 1; nonché P. Anceschi, Falsità da prospetto, poteri di controllo della Consob e sanzioni in tema di sollecitazione al pubblico risparmio, in Giur. Comm., 1991, II, 629.
[37] V. Napoleoni, I reati societari, III, Milano, 1996, 147.
[38] Ci si riferisce, in particolare, a Trib. Milano, 28 novembre 1987, in Banca, Borsa e Titoli di credito, 1989, II, 622; nonché Cass., sez. V, 28 febbraio 1991, in Cass. Pen., 1991, I, 1849. Giova, comunque, segnalare che la giurisprudenza di merito cassata dall’ultima sentenza citata aveva escluso l’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 2621 cod. civ.; così, infatti, Corte d’Appello di Milano, 30 luglio 1990, edita in Banca Borsa e Titoli di Credito, 1992, 129, con nota di Righini.
[39] Si ricorda, in argomento, G. Rossi (Il mercato finanziario dopo la legge 216, in Riv. soc., 1984, 11), secondo il quale i prospetti informativi costituiscono “un nuovo punto di riferimento per gli amministratori al rispetto dell’art. 2621 cod. civ. che vieta le false comunicazioni sociali”.
[40] Tra gli autori si ricorda M. Cera, Insolvenza del Banco Ambrosiano e responsabilità degli organi pubblici di vigilanza, in Giur. Comm., 1986, II, 427; nonché G. Minervini, La Consob, Napoli, 1989, 137.
[41] Tra tali autori si segnala, F. Bochicchio, Sollecitazioni al pubblico risparmio. Profili civilistico, in Riv. Critica Dir. Priv., 1991, 133; nonché G. Alpa, Il prospetto informativo, in Nuova Giur. Civ., 1988, II, 303, e G. Grisi, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990, 430.
[42] Cfr. Consob, Relazione Annuale, 1986.
[43] G. Minervini, op. cit., 138 e ss.
[44] D. Coppa, op. cit., 352. In tal senso anche Cass. Civ., SS.UU., 14 gennaio 1992, n. 367, in Foro It., 1992 I, 1421, con nota di Proncigalli. A tal proposito si ricorda che, per poter configurare una responsabilità della P.A. dalla quale far discendere il risarcimento del danno conseguente all’illecito dell’organo amministrativo, occorre che il soggetto danneggiato sia titolare di un diritto soggettivo e non di un semplice interesse legittimo e che il fatto doloso o colposo commesso dalla P.A. gli abbia cagionato un danno ingiusto (art. 2043 cod. civ.).
[45] Corte d’Appello di Milano, sez. civile, 13 novembre 1998, n. 3053, in Diritto e Pratica delle Società, 7, 1999, 65, con commento di Marinoni.
[46] Corte d’Appello di Milano, sez. I civile, 13 novembre 1998, n. 3053, op. cit.
[47] Cass., sentenza del 22 luglio 1999, n. 500: “La normativa sulla responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ. ha la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto, intendendosi come tale il danno arrecato “non iure”, il danno, cioè, inferto in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo. Peraltro, avuto riguardo al carattere atipico del fatto illecito delineato dall’art. 2043 cod. civ., non è possibile individuare in via preventiva gli interessi meritevoli di tutela: spetta, pertanto, al giudice, attraverso un giudizio di comparazione tra gli interessi in conflitto, accertare se, e con quale intensità, l’ordinamento appresta tutela risarcitoria all’interesse del danneggiato, ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili, manifestando, in tal modo, una esigenza di protezione. Ne consegue che anche la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può essere fonte di responsabilità aquiliana, e, quindi, dar luogo a risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per effetto dell’attività illegittima della P.A., l’interesse al bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo”.
[48] Cass., sentenza del 6 marzo 2001, n. 3132 (il c.d. caso Cultrera).
[49] L’intera vicenda sottoposta al giudizio della giurisprudenza di legittimità risale al 1983, quando la Consob autorizzò il prospetto informativo per la sottoscrizione di titoli atipici di un gruppo finanziario, senza rendere nota la non veridicità delle informazioni in esso riportate, dal momento che veniva dichiarato che l’ammontare complessivo del capitale corrispondeva a somma enormemente superiore a quella reale, con la conseguenza che pertanto il valore del bene era nettamente inferiore rispetto a quello indicato.
[50] Tra l’altro, una diversa e difforme soluzione avrebbe avuto l’effetto di sminuire l’autorità attribuita alla Consob, equiparandola ad un semplice ufficio di deposito atti.
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