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10 Ottobre 1999 In Diritto bancario Tidona

La responsabilità della banca per la “rottura brutale” nella concessione di fido

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© Tutti i diritti riservati. Vietata la ripubblicazione cartacea ed in internet senza una espressa autorizzazione scritta. È consentito il link diretto a questo documento.

Di Maurizio Tidona, Avvocato

 

E’ principio di diritto comunitario che la banca compie un illecito quando, senza avere dato alcun avvertimento o preavviso, chiude il credito che aveva fino a quel momento accordato al cliente (c.d. rottura brutale dalla concessione di credito).

Il cliente ovviamente non ha diritto ad ottenere credito a tempo indeterminato, né la banca può considerarsi responsabile esclusivamente per il fatto della chiusura del credito. Ma sussistendo una serie di comportamenti della banca tali da indurre il cliente a ritenere che gli sia stato accordato credito con una certa stabilità la banca sarà responsabile per avere “rotto” il rapporto contrattuale (Vasseur, 1981, 66), avendo determinato per l’impresa accreditata un pregiudizio effettivo ed in particolare il suo momentaneo “strangolamento”, costringendola improvvisamente – con un recesso ad nutum – a ricercare altrove la liquidità necessaria a sopravvivere (ed a coprire il debito conseguente alla stessa revoca “brutale”).

Tale principio è stato peraltro recepito dalla dottrina italiana, la quale ha ipotizzato la responsabilità della banca che interrompa inopinatamente la concessione di fido, attraverso l’applicazione dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).

Così anche la giurisprudenza in un caso pratico: “Non può non convenirsi che il caso Caltagirone è insorto soltanto per l’inatteso comportamento dell’I.c.c.r.i. che dopo avere elargito credito più di ogni altro, ha ritenuto suo interesse revocare in un unico contesto, tale credito, esigendo l’immediato rientro delle centinaia di miliardi erogati senza alcuna cautela” (Tribunale Roma 28.12.83, FI 1984, I, 1986).

Ancora si riconosce, in una più articolata decisione, che il diritto della banca di recedere dall’apertura di credito è legittimo ma deve essere valutato attraverso l’applicazione dei principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (Pretura Torino 31.12.88-2.1.89, BBTC, 1990, II, 805).

Più recentemente la Cassazione: “Resta pur sempre da rispettare il fondamentale principio dell’esecuzione dei contratti secondo buona fede (art. 1375 c.c.), alla stregua del quale non può escludersi che, anche se pattiziamente consentito in difetto di giusta causa, il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito sia da considerare illegittimo, ove in concreto esso assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari” (Cass. 21.5.97, n. 4538, BBTC, 1997, II, 648).

Illegittimità ed arbitrio vi sarebbero quindi allorchè si riscontrasse la carenza del presupposto di correttezza e buona fede nella revoca “brutale” e tale da porre il cliente in una imprevista oggettiva situazione di grave difficoltà.



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Argomenti:

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