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Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia
Il sistema finanziario, dati gli stretti legami con tutti i settori dell’economia, è particolarmente esposto ai rischi climatici[1]. Inoltre, a causa della sua funzione d’intermediazione, può divenire un veicolo di propagazione e amplificazione degli shock legati al cambiamento climatico[2].
Per le banche i rischi climatici possono influire sulla qualità degli attivi: un disastro naturale può infatti distruggere o danneggiare immobili e impianti, aumentando sia la probabilità di default della clientela affidata sia la perdita attesa in caso di insolvenza.
Per gli intermediari che investono in strumenti finanziari, i rischi climatici possono tradursi in un deprezzamento dei titoli emessi dalle imprese colpite da eventi avversi, con conseguente emersione di perdite di valore che vanno ad incidere sulla redditività aziendale[3].
È quindi cruciale essere in grado di valutare come questi rischi si materializzino in rischi finanziari e come gli effetti economici avversi possano diffondersi all’interno del sistema finanziario compromettendone la stabilità.
Tuttavia, la valutazione dell’esposizione del sistema finanziario ai rischi climatici è complessa poiché:
i) sono necessari dati dettagliati riguardo alla localizzazione geografica o al contenuto carbonico delle singole esposizioni, in larga parte mancanti;
ii) è richiesta la conoscenza dei meccanismi di propagazione e modelli di previsione che integrino tendenze climatiche o ambientali che possono discostarsi da quelle del passato[4].
I potenziali effetti negativi sulla stabilità dei singoli intermediari e del sistema finanziario nel suo complesso sono la ragione principale dell’attenzione crescente delle banche centrali e dei regolatori ai rischi indotti dal cambiamento climatico.
La Vigilanza bancaria della BCE utilizza le prove di stress per valutare la capacità di resilienza delle banche agli shock economici e finanziari. I risultati che emergono da tali prove aiutano le autorità di supervisione (BCE e autorità nazionali) a individuare le vulnerabilità degli intermediari e ad affrontarle tempestivamente nel dialogo di vigilanza con gli esponenti bancari.
La BCE è tenuta a condurre prove di stress almeno una volta all’anno sugli intermediari vigilati nell’ambito del processo di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process, SREP), come previsto dall’art. 100 della Direttiva 2013/36/UE sui requisiti patrimoniali (c.d. CRD IV).
Il 27 gennaio 2022 la BCE ha avviato una prova di stress sul rischio climatico (climate risk stress test), con l’obiettivo di valutare la capacità delle banche significative di affrontare gli shock derivanti dal rischio climatico. Come precisato nel comunicato stampa, lo stress test non è un esercizio di adeguatezza patrimoniale, bensì un esercizio conoscitivo (learning exercise) sia per i soggetti vigilati sia per l’autorità di supervisione e si prefigge di individuare le vulnerabilità, le best practices e le sfide che gli intermediari fronteggiano nella gestione del rischio climatico.
L’esercizio, cui hanno partecipato 104 banche dell’area dell’euro, è costituito da tre moduli: i) un questionario valutativo sulle capacità delle banche di condurre prove di stress sul rischio climatico (primo modulo); ii) un’analisi comparativa finalizzata a valutare la sostenibilità dei modelli imprenditoriali delle banche e la loro esposizione verso imprese ad alta intensità di carbonio (secondo modulo); iii) una prova di stress di tipo bottom up, consistente nel presentare proiezioni di perdita dal basso verso l’alto in sei diversi scenari macrofinanziari (terzo modulo).
Nella prova di stress sono stati impiegati scenari sviluppati dal Network Central Banks and Supervisors for Greening the Financial System, che riflettono le possibili politiche climatiche future e valutano sia i rischi fisici (calore estremo, siccità e inondazioni) sia i rischi a breve e lungo termine derivanti da una transizione a un’economia più verde.
I risultati della prova di stress, pubblicati l’8 luglio 2022, hanno evidenziato che, malgrado alcuni progressi, le banche non incorporano ancora sufficientemente il rischio climatico nell’ambito dei quadri di riferimento per gli stress test e nei loro modelli interni per la misurazione del rischio di credito. Inoltre, per prepararsi meglio ad affrontare la transizione verde, esse devono interagire maggiormente con la clientela per ottenere dati più accurati.
Il primo modulo ha rivelato che a fine dicembre 2021 il 59 per cento degli intermediari facenti parte del campione non disponeva ancora di un quadro di riferimento per le prove di stress in ambito climatico. In aggiunta, la maggior parte delle banche non include il rischio climatico nei propri modelli interni e solo il 20 per cento ne tiene conto come variabile nell’attività di screening del credito.
Il secondo modulo ha mostrato che, in termini aggregati, il 65 per cento delle entrate proviene da controparti responsabili di elevate emissioni di gas serra.
La prova di stress di tipo bottom up nell’ambito del terzo modulo, riservata a 41 intermediari per assicurare, come sottolineato, proporzionalità nei confronti delle banche di minori dimensioni, ha posto in luce che nello scenario di transizione disordinata e nei due scenari di rischio fisico le perdite su crediti e di mercato ammonterebbero a complessivi 70 miliardi di euro per i suddetti intermediari. Tuttavia, questo dato sottostima in misura significativa l’effettivo rischio legato al clima, a causa principalmente dell’esclusione dagli scenari delle fasi recessive e di effetti di secondo impatto e della scarsità di dati disponibili in questa fase iniziale.
Quanto alle proiezioni a lungo termine in diversi scenari di rischio climatico, i risultati mostrano che una transizione “verde e ordinata” si traduce in perdite su crediti di entità inferiore rispetto a una transizione disordinata o assente. Tuttavia, le banche non distinguono o distinguono a malapena i vari scenari a lungo termine, in quanto non dispongono di strategie solide, fatta eccezione per la tendenza a ridurre le esposizioni nei confronti di settori più inquinanti e a sovvenire le imprese a basse emissioni di carbonio. Le banche devono pertanto tenere conto dei canali di trasmissione diretti e indiretti delle politiche “green” nei loro piani strategici a lungo termine.
I risultati dell’esercizio saranno considerati ai fini della valutazione annuale SREP e andranno ad aggiungersi a quelli di altre attività di vigilanza in corso, tra cui l’analisi tematica 2022 sulle modalità di integrazione dei rischi climatici e ambientali nelle strategie, nella governance e nei sistemi e processi di gestione dei rischi delle banche.
Nel 2022 la Banca d’Italia ha diffuso i risultati di un’indagine condotta su un campione di 250 intermediari bancari (di cui 150 localizzati nel Nord e 100 nel Sud e nelle isole del Paese), ai quali è stato distribuito un questionario volto a rilevare se e come i rischi climatici sono integrati nell’ambito della gestione del loro portafoglio e nella concessione dei prestiti e quali strumenti e dati sono utilizzati per questi fini[5].
Dall’analisi delle risposte è emerso che:
- il 13 per cento delle banche del campione valuta l’impatto del rischio climatico nella gestione del proprio portafoglio e l’80 per cento si propone di farlo in futuro. La quota di intervistati che già ha avviato analisi su questi temi è più elevata, cioè il 25 per cento, fra le banche di maggiori dimensioni, mentre solo una tra le banche significative nel campione considerato dichiara di non aver avviato alcuna rilevazione di questi rischi;
- quasi la metà delle banche intervistate ha già avviato o intende dare avvio ad analisi di scenario per valutare il potenziale impatto dei rischi climatici sul proprio portafoglio;
- una quota limitata delle banche rispondenti tiene conto nella valutazione della controparte del rischio fisico nelle diverse aree del Paese, mentre oltre il 40 per cento si propone di considerarlo in futuro. Per quanto concerne la valutazione del rischio di transizione, solo una frazione ridotta di intermediari ha già raccolto informazioni sulle emissioni di gas serra attribuibili alle imprese affidate. Tuttavia, circa il 70 per cento del campione ha pianificato di tenerne conto in un prossimo futuro;
- appena quattro banche hanno dichiarato di conoscere l’intensità carbonica del proprio portafoglio prestiti e tra queste una è un intermediario di rilevanti dimensioni.
In conclusione, l’analisi dei risultati denota che le iniziative intraprese dagli intermediari per valutare e integrare il rischio climatico nelle strategie e nelle attività aziendali risultano ancora insufficienti. E’ cresciuto, tuttavia, il numero di operatori bancari che mostrano consapevolezza sui rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici.
Note:
[1] Il cambiamento climatico genera due tipologie di rischi finanziari: il rischio fisico e il rischio di transizione. Il rischio fisico si manifesta quando fenomeni naturali, sia acuti sia cronici, influenzano la capacità di produrre reddito o danneggiano le strutture e il capitale di famiglie e imprese. Le conseguenze di tali eventi estremi possono ripercuotersi sul sistema finanziario sia direttamente sia indirettamente. Il rischio di transizione è invece associato a una repentina svalutazione delle attività produttive e finanziarie delle imprese che operano nei settori legati allo sfruttamento delle fonti fossili. Questo rischio può originare da un’attuazione inattesa e non ordinata di politiche che influenzano l’uso e il prezzo delle fonti fossili o da innovazioni tecnologiche dirompenti o ancora da cambiamenti delle preferenze degli investitori e/o dei consumatori che mutano il contesto energetico di riferimento. Cfr. Lavecchia L. e altri, Dati e metodi per la valutazione dei rischi climatici e ambientali in Italia, Questioni di Economia e Finanza, n. 732/2022.
[2] Banca d’Italia, Relazione annuale sul 2021.
[3] Signorini L.F., Transizione climatica, finanza e regole prudenziali
[4] Perrazzelli A., Il contributo della Banca d’Italia al dibattito e alle strategie sulla sostenibilità, 15.2.2023.
[5] Angelico C, Faiella I. e Michelangeli V., Il rischio climatico per le banche italiane: un aggiornamento sulla base di un’indagine campionaria, in Note di stabilità finanziaria e vigilanza, n. 29/2022.
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