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Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia
1. La struttura finanziaria delle imprese italiane
Alla vigilia della crisi finanziaria globale la struttura finanziaria delle imprese italiane era connotata da elevati livelli di debito in rapporto sia al capitale sia al reddito prodotto. Nel 2007 la leva finanziaria[1] (leverage) era pari al 39 per cento, un valore superiore di due punti percentuali a quello medio dell’area dell’euro e di oltre dieci rispetto agli Stati Uniti. L’incidenza dei prestiti bancari sul totale dei debiti finanziari raggiungeva il 69 per cento in Italia, mentre si commisurava a circa il 53 per cento nell’area e al 36 e al 39 per cento nel Regno Unito e negli Stati Uniti, rispettivamente[2].
Il ricorso alla finanza di mercato risultava per contro molto limitato: infatti, la quota delle obbligazioni rappresentava meno del 6 per cento dei debiti finanziari, due punti percentuali in meno dell’area dell’euro, a fronte di valori superiori al 30 per cento negli Stati Uniti. Lo scarso sviluppo del mercato obbligazionario in Italia era dovuto alla limitata presenza di società quotate e di grande dimensione, a un indebitamento mediamente elevato e alla ridotta propensione a investire nella crescita dell’azienda[3].
Negli anni immediatamente successivi alla crisi finanziaria globale la leva finanziaria è aumentata di oltre 10 punti percentuali, per effetto principalmente della crescita del credito bancario e per la forte riduzione del valore di mercato del capitale di rischio.
Dal 2011 le imprese italiane hanno avviato un percorso di aggiustamento della struttura finanziaria, tuttora in corso, che ha consentito loro di affrontare la crisi economica innescata dalla pandemia in condizioni finanziarie e patrimoniali più solide rispetto a quelle con cui avevano fronteggiato la crisi finanziaria globale e quella dei debiti sovrani.
Il percorso di riequilibrio è stato realizzato attraverso la diversificazione delle fonti di finanziamento e la riduzione della leva finanziaria. Tra il 2011 e il 2019 la leva finanziaria si è ridotta di oltre dieci punti percentuali, attestandosi nuovamente al 39 per cento, in ragione dell’uscita dal mercato delle imprese marginali e dell’aumento del patrimonio, indotto da una ripresa della redditività e dal reinvestimento degli utili[4].
Il ripristino di condizioni finanziarie più equilibrate è stato favorito anche da un maggiore ricorso ai mercati finanziari e da una minore dipendenza dal credito bancario. Nel periodo 2011-2019 la quota dei prestiti bancari sul totale dei debiti finanziari delle imprese è scesa (dal 66 al 52 per cento), mentre sono aumentate sia quella dei finanziamenti da parte di intermediari non bancari (dal 25 al 32 per cento) sia quella delle obbligazioni (dal 7 al 12 per cento).
Il ricorso ai titoli di debito, sebbene sia in linea con quello medio dell’area dell’euro, rimane inferiore a quello delle imprese anglosassoni (26 e 39 per cento nel Regno Unito e negli Stati Uniti, rispettivamente). Tale situazione riflette sia la struttura produttiva del nostro Paese, caratterizzata dalla presenza di numerose imprese di piccole dimensioni (c.d. nanismo), sia la bassa propensione degli investitori a sostenere i rischi di debito e di liquidità che connotano le obbligazioni societarie.
Pur essendo diminuita dalla fine del 2011, l’incidenza dei finanziamenti bancari sul totale dei debiti finanziari sfiorava nel 2019 il 60 per cento, il valore più elevato tra i principali paesi dell’area e ancora superiore di oltre 25 e 30 punti a quelli di Stati Uniti e Regno Unito[5].
Tra il 2011 e il 2019 le imprese italiane hanno intensificato il ricorso al capitale di rischio. Ciò nondimeno il grado di sviluppo dei mercati azionari resta insufficiente: alla fine del 2017 la capitalizzazione di borsa era pari al 25 per cento del PIL, a fronte di oltre il 70 per cento nel Regno Unito e di circa il 125 per cento negli Stati Uniti.
All’espansione della finanza di mercato hanno contribuito le iniziative pubbliche intraprese a partire dal 2011. Tra queste si ricorda l’introduzione dell’Aiuto alla crescita economica (ACE), che ha consentito di ridurre significativamente lo svantaggio fiscale del capitale di rischio rispetto al debito (c.d. debt bias)[6], nonché dei minibond[7], che ha alimentato lo sviluppo del mercato obbligazionario, rimuovendo i limiti alla deducibilità degli interessi passivi e alcuni svantaggi fiscali per gli investimenti, e dei Piani nazionali di risparmio (PIR)[8], che prevedono l’esenzione fiscale dei rendimenti conseguiti sugli investimenti in titoli emessi da imprese italiane che siano detenuti per almeno cinque anni[9].
Nel 2020 è aumentato l’indebitamento delle imprese italiane, interrompendo la tendenza flettente che proseguiva pressoché ininterrotta dal 2011. I debiti finanziari sono saliti al 76,9 per cento del PIL e rappresentano il 32,8 per cento del totale delle passività. La leva finanziaria è salita di due punti percentuali, raggiungendo il 41 per cento, per effetto soprattutto dell’andamento della patrimonializzazione e dell’incremento dell’indebitamento. I finanziamenti erogati alle imprese da banche e società finanziarie sono aumentati del 7,4 per cento su base annua, per l’accresciuto fabbisogno di liquidità connesso con l’emergenza sanitaria e per l’accumulo di risorse a scopo precauzionale.
2. Le misure di sostegno alla liquidità delle imprese
La pandemia e i provvedimenti adottati per il contenimento del contagio hanno determinato un calo senza precedenti dell’attività economica, che si è pesantemente riflesso sulla redditività delle imprese[10]. Le misure di sostegno varate dal Governo hanno consentito sia di attenuare l’aumento del fabbisogno di liquidità delle imprese sia di favorirne il rafforzamento patrimoniale.
Il DL 18/2020[11] (c.d. decreto “Cura Italia”) ha introdotto una moratoria per le PMI che non avevano debiti classificati come deteriorati alla data di entrata in vigore del decreto (17.3.2020), prevedendo inizialmente la possibilità di ottenere, sino alla fine di settembre 2020, la proroga dei prestiti in scadenza, la sospensione dei pagamenti delle rate di mutuo e dei canoni di leasing e il congelamento dei prestiti revocabili. L’intervento, più volte prorogato nei mesi successivi, è stato affiancato dalla moratoria promossa dall’ABI, che consente alle banche e agli intermediari finanziari aderenti di sospendere fino a un anno il pagamento delle rate dei finanziamenti e di allungarne la scadenza.
Le banche e gli altri intermediari che hanno erogato i prestiti possono accedere, su richiesta, ad una garanzia, pari al 33 per cento degli importi oggetto della moratoria, rilasciata da apposita sezione speciale del Fondo di garanzia per le PMI[12].
Per agevolare l’accesso delle imprese a nuovi finanziamenti, il DL 23/2020[13] (c.d. decreto “Liquidità”) è intervenuto su due fronti: potenziamento dell’operatività del Fondo di garanzia per le PMI per far fronte alle esigenze di liquidità delle imprese e dei professionisti colpiti dalla crisi pandemica e attribuzione a SACE del compito di rilasciare garanzie fino a un valore di 200 miliardi di euro, di cui 30 da destinare a piccole e medie imprese.
Il potenziamento dell’operatività del Fondo è avvenuto introducendo le seguenti innovazioni: a) ammissione delle imprese fino a 500 addetti e di quelle in condizioni finanziarie meno equilibrate; b) eliminazione della valutazione del merito creditizio da parte del Fondo; c) innalzamento della copertura al 90 per cento per finanziamenti di importo definito fino a sei anni; d) aumento dell’importo massimo garantito per singola impresa da 2,5 a 5 milioni di euro; e) gratuità della garanzia; f) concessione automatica di prestiti inferiori a 25 mila euro con piena copertura della garanzia statale; g) attribuzione al Fondo di una dotazione aggiuntiva per il 2020 pari a poco più di 1,7 miliardi di euro.
L’intervento di SACE, società specializzata nel sostegno all’esportazione e all’internazionalizzazione del sistema produttivo, consiste nel rilasciare garanzie pubbliche su finanziamenti di durata non superiore a sei anni, con percentuali di copertura comprese tra il 70 e il 90 per cento, decrescenti all’aumentare delle dimensioni aziendali. Possono beneficiare della garanzia SACE le grandi imprese e le PMI che hanno esaurito la loro capacità di accesso al Fondo di garanzia.
Il DL 73/2021 (c.d. decreto “Sostegni-bis”) ha modificato la disciplina vigente sull’operatività del Fondo e in materia di garanzie SACE. Nel primo caso, si è stabilito tra l’altro di: a) prorogare, fino al 31 dicembre 2021, le misure di intervento del Fondo; b) estendere, da sei a dieci anni, la durata dei finanziamenti da restituire al Fondo; c) ridurre, dal 90 all’80 per cento, la percentuale di copertura della garanzia del Fondo per le nuove operazioni; d) abbassare al 90 per cento la percentuale della copertura per i finanziamenti di importo fino a 30 mila euro; e) eliminare la possibilità, per le mid cap, di accedere alla garanzia gratuita del Fondo. Nel secondo caso, il decreto prevede tra l’altro: i) la proroga, fino al 31 dicembre 2021, della misura di intervento di SACE; ii) la possibilità di allungare, da sei a dieci anni, la durata dei prestiti da restituire a SACE; iii) per la concessione delle garanzie SACE a imprese con dipendenti compresi tra 500 e 5.000, una percentuale di copertura pari al 90 per cento per le nuove operazioni.
Inoltre, l’art. 12 del decreto Sostegni-bis introduce, nell’ambito del Fondo di garanzia per le PMI, uno strumento di garanzia pubblica su portafogli di finanziamenti a medio e lungo termine concessi a imprese con numero di dipendenti non superiore a 499 (c.d. mid cap), per la realizzazione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione o di programmi di investimento. Per il conseguimento delle suddette finalità, sono assegnate al Fondo risorse per 1 miliardo di euro, da utilizzare nel 2021.
Da ultimo, si segnala che l’art. 15 del decreto ha istituito un’apposita sezione nell’ambito del Fondo di garanzia per le PMI, dedicata alla concessione di garanzie su portafogli di obbligazioni emesse dalle imprese con numero di dipendenti non superiore a 499, a fronte della realizzazione di programmi qualificati di sviluppo aziendale, nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione di tipo tradizionale, sintetico o anche senza segmentazione del portafoglio.
Si stabilisce che l’importo delle obbligazioni emesse da ciascuna impresa debba essere compreso tra 2 e 8 milioni di euro. La previsione di una soglia minima assicura la partecipazione all’iniziativa di imprese che dispongano di un minimo di struttura e di patrimonio, contenendo la rischiosità dei soggetti partecipanti; similmente, anche la soglia massima è volta ad assicurare, sempre in un’ottica prudenziale, un’adeguata granularità del basket[14].
La relazione illustrativa del decreto prevede due modalità d’intervento:
- rilascio della garanzia della Sezione speciale del Fondo nell’ambito della cartolarizzazione tradizionale (true sale). In questo caso, il progetto di cartolarizzazione deve indicare una società veicolo (special purpose vehicle) e un arranger, con il compito di strutturare l’operazione. Verrebbero emessi titoli, rappresentativi dei nuovi bond emessi dalle imprese beneficiarie, da collocare presso investitori istituzionali;
- rilascio della garanzia della Sezione speciale del Fondo nell’ambito di una cartolarizzazione sintetica. In questo caso, i bond rimarrebbero nel bilancio del sottoscrittore iniziale. La presenza della società veicolo dell’arranger sarebbe necessaria in caso di emissione di titoli. Questa modalità attuativa presenta una struttura più semplice e minori costi di attuazione, ma, rispetto alla modalità precedente, richiede il coinvolgimento di un più ristretto numero di operatori finanziari.
Si demanda a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il compito di stabilire le modalità, i termini, i limiti e le condizioni per la concessione della garanzia, le caratteristiche dei programmi di sviluppo finanziabili, i requisiti dei soggetti proponenti e delle operazioni di cartolarizzazione ammissibili nonché le modalità e i criteri di loro selezione e le modalità di coinvolgimento nell’operazione di eventuali investitori istituzionali o professionali. Si destinano agli interventi 100 milioni di euro per il 2021 e 100 milioni per il 2022.
3. Le misure di sostegno alla patrimonializzazione delle imprese
Il DL 34/2020[15] (c.d. decreto “Rilancio”) ha introdotto misure di rafforzamento patrimoniale delle PMI sotto forma di: i) un credito d’imposta a fronte di investimenti in società italiane che hanno subito una riduzione dei ricavi; ii) un credito d’imposta sulle perdite registrate nel 2020; iii) un fondo per il sostegno e il rilancio del sistema economico e produttivo italiano, denominato “Fondo Patrimonio PMI”, che opera attraverso l’acquisto di obbligazioni o titoli di debito emessi da imprese di medie dimensioni.
L’art. 26, comma 4, del decreto in questione introduce un credito d’imposta, pari al 20 per cento, a favore di persone fisiche e giuridiche che effettuano conferimenti in denaro, per un ammontare non superiore ai 2 milioni di euro, in una o più società di capitali aventi sede legale in Italia ovvero in stabili organizzazioni in Italia di imprese o in paesi appartenenti allo Spazio economico europeo, che hanno subito, a causa della pandemia, nei mesi di marzo e aprile 2020, una riduzione complessiva dei ricavi, rispetto allo stesso periodo del 2019, non inferiore al 33 per cento. Il credito d’imposta è concesso a condizione che l’aumento di capitale sia sottoscritto e versato entro il 31 dicembre 2020 e gli investitori si impegnino a detenere la partecipazione nella società fino al 31 dicembre 2023.
Il comma 8 dell’art. 26 prevede che la società conferitaria dell’aumento di capitale può beneficiare di un credito d’imposta pari al 50 per cento delle perdite eccedenti il 10 per cento del patrimonio netto, calcolato al lordo delle perdite stesse, fino alla concorrenza del 30 per cento dell’aumento di capitale e comunque nei limiti previsti dalla disciplina sugli aiuti di Stato (800 mila euro, ovvero 120 mila euro per le imprese operanti nel settore della pesca o dell’acquacoltura o 100 mila euro per le imprese operanti nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli). La legge di bilancio 2021 ha innalzato, dal 30 al 50 per cento, la percentuale per gli aumenti di capitale deliberati ed eseguiti nel primo semestre del 2021. Il DM 10 agosto 2020 ha stabilito i criteri e le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta.
L’art. 26, comma 12, prevede l’istituzione presso il MEF di un Fondo con dotazione iniziale di 4 miliardi per il 2020, gestito da Invitalia o da una società da questa interamente controllata. Il Fondo in questione è autorizzato a sottoscrivere, entro il 30 giugno 2021 (giusta proroga prevista dalla legge di bilancio 2021), obbligazioni o titoli di debito emessi dalle società di capitali, con fatturato tra i 10 e i 50 milioni, che hanno effettuato, dal 20 maggio al 30 giugno 2021, un aumento di capitale pari ad almeno 250 mila euro e hanno subito, a causa della pandemia, una riduzione dei ricavi nei mesi di marzo e aprile 2020 pari ad almeno il 33 per cento rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente[16]. L’ammontare massimo dei titoli sottoscritti è commisurato al minore tra tre volte l’importo dell’aumento del capitale eseguito e il 12,5 per cento dell’ammontare del fatturato relativo al periodo d’imposta 2019[17]. Con DM 11 agosto 2020 è stata definita la disciplina attuativa della misura.
Il finanziamento ottenuto deve essere destinato al pagamento di oneri per il personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali localizzati in Italia. In nessun caso potrà essere utilizzato per il pagamento di debiti pregressi.
L’art. 27 del decreto autorizza la Cassa Depositi e Prestiti a costituire un patrimonio destinato, denominato “Patrimonio Rilancio”, le cui risorse sono impiegate per interventi di sostegno e rilancio delle imprese, da effettuarsi preferibilmente mediante la sottoscrizione di prestiti obbligazionari convertibili, la partecipazione ad aumenti di capitale e l’acquisto di azioni quotate sul mercato secondario in caso di operazioni strategiche, prevedendo un apporto complessivo iniziale fino a 44 miliardi di euro[18].
Il decreto in commento ha previsto inoltre, all’art. 38, il rafforzamento, anche patrimoniale, delle start up innovative, al fine di incentivare la raccolta di capitale per quelle imprese che si caratterizzano ancora per ridotti volumi di produzione. In particolare, si è stabilito tra l’altro di:
- stanziare 10 milioni di euro per la concessione di contributi a fondo perduto finalizzati all’acquisizione di servizi prestati da incubatori, acceleratori, innovation hub, ecc.;
- assegnare risorse pari a 200 milioni di euro per l’anno 2020 al Fondo di sostegno al venture capital;
- riservare una quota pari a 200 milioni di euro a valere sulle risorse già assegnate al Fondo di garanzia per le PMI, per l’erogazione di garanzie in favore di start up innovative e PMI innovative.
Il DL 104/2020[19] (c.d. decreto “Agosto”) ha autorizzato, all’art. 66, il Ministro dell’economia e delle finanze a sottoscrivere aumenti di capitale e strumenti di patrimonializzazione di società controllate dallo Stato per un importo complessivo fino a 1,5 miliardi di euro per l’anno 2020.
Al fine di incentivare la capitalizzazione delle imprese, il DL 73/2021 ha:
- introdotto un regime transitorio straordinario della disciplina dell’ACE per gli aumenti di capitale fino a 5 milioni di euro, con la possibilità di trasformare il relativo beneficio fiscale in credito d’imposta compensabile per il 2021;
- esteso a operatori con ricavi superiori ai 5 milioni di euro la possibilità di utilizzare in compensazione nell’anno 2021 il credito d’imposta per gli investimenti effettuati nello stesso anno nei cosiddetti beni “ex super ammortamento”;
- introdotto un’agevolazione fiscale temporanea per favorire gli apporti di capitale da parte delle persone fisiche in start up e PMI innovative;
- aumentato a 2 milioni di euro il limite annuo dei crediti d’imposta compensabili o rimborsabili, per favorire lo smobilizzo dei crediti tributari e contributivi.
4. Conclusioni
Uno studio della Banca d’Italia[20] evidenzia che, in assenza delle misure pubbliche di sostegno, il forte calo del fatturato avrebbe determinato per circa 142 mila imprese (il 19 per cento del campione) un fabbisogno di liquidità complessivo pari a 48 miliardi di euro nel 2020 e una significativa contrazione degli utili, che avrebbe ridotto il livello di patrimonializzazione di circa 100 mila imprese.
Grazie alle misure governative, invece, il numero delle imprese in deficit di liquidità si ridurrebbe a circa 100 mila, con un fabbisogno di liquidità di 33 miliardi.
In assenza delle misure di sostegno, 101 mila imprese avrebbero registrato un deficit patrimoniale di 28 miliardi. Gli interventi di sostegno adottati dal Governo avrebbero ridotto il numero delle imprese in crisi a 88 mila, con un deficit patrimoniale di 27 miliardi.
Il complesso degli interventi varati tra marzo e agosto 2020 avrebbe quindi annullato il maggior deficit di liquidità e ridotto il peggioramento delle condizioni patrimoniali, evitando la fuoriuscita dal mercato di imprese in difficoltà. Il ricorso a nuovi prestiti, favorito dal rilascio di garanzie pubbliche, accresce tuttavia il livello di indebitamento delle imprese, con conseguente aumento delle probabilità di insolvenza.
L’aumento del rischio di insolvenza potrebbe incidere negativamente sulla solidità patrimoniale delle banche. Secondo il FMI, il capital tier 1 ratio del sistema bancario dei paesi contraddistinti da un’elevata presenza di PMI come l’Italia potrebbe ridursi di 2 punti percentuali, con ricadute negative sulla stabilità degli intermediari e sulla loro capacità di erogare credito all’economia reale.
Le misure pubbliche di sostegno al sistema produttivo hanno consentito di attenuare i problemi di liquidità delle imprese, evitando l’espulsione dal mercato di quelle marginali, ma hanno accresciuto la fragilità della loro struttura finanziaria. Si rendono pertanto opportuni interventi pubblici volti a ridurre il rischio di insolvenza delle PMI attraverso un sostegno alla loro ricapitalizzazione tramite l’iniezione di finanziamenti nella forma di quasi-equity (debiti subordinati) e la previsione di strumenti adeguati di gestione dell’insolvenza e di ristrutturazione del debito[21].
Note:
[1] La leva finanziaria è definita come rapporto tra i debiti finanziari e la loro somma con il patrimonio netto.
[2] Visco I., La finanza d’impresa in Italia: recente evoluzione e prospettive, Milano, 13.2.2019.
[3] La capacità di accedere al mercato obbligazionario risentiva anche delle difficoltà che le imprese incontravano nel collocare titoli propri sul mercato interno, i cui i costi di emissione, soprattutto per le aziende di minore dimensione, erano generalmente inferiori rispetto al mercato internazionale. Inoltre, la partecipazione degli investitori era ostacolata dallo scarso sviluppo di operatori specializzati nell’attività di collocamento e sottoscrizione di strumenti di debito delle imprese, come i private debt funds.
[4] De Vincenzo A., Audizione sulle tematiche relative allo squilibrio della struttura finanziaria delle imprese italiane che rischia di essere determinato dalla pandemia da Covid-19, Camera dei deputati, Roma, 18.3.2021.
[5] Visco I., La finanza d’impresa in Italia: recente evoluzione e prospettive, op. cit.
[6] L’ACE è un’agevolazione fiscale disciplinata dall’art. 1 del DL 201/2011 e dal DM 3.8.2017 per favorire il rafforzamento della struttura patrimoniale del sistema produttivo. In pratica, essa consiste nella detassazione di una parte del reddito imponibile proporzionale agli incrementi del patrimonio netto.
[7] Introdotti dal DL 83/2012, i minibond sono obbligazioni o titoli di debito a medio e lungo termine emessi da PMI e sottoscritti da investitori professionali e qualificati che, a fronte della raccolta di capitale, offrono una remunerazione contrattualmente stabilita attraverso il pagamento di cedole periodiche.
[8] Introdotti nel 2017, i PIR sono strumenti di investimento a medio termine che hanno l’obiettivo di convogliare il risparmio privato verso le imprese. L’art. 136 del DL 34/2020 ha modificato la disciplina dei PIR, introducendo una nuova tipologia di strumento volta a incentivare gli investimenti nell’economia reale: i PIR c.d. “alternativi”. Rispetto ai PIR tradizionali, quelli alternativi presentano le seguenti caratteristiche: i) per almeno i due terzi dell’anno di durata del piano il 70 per cento deve essere investito, in via diretta o indiretta, in strumenti finanziari di imprese italiane non appartenenti agli indici FTSE MIB e FTSE Italia Mid Cap di Borsa Italiana; ii) è consentito l’investimento anche in prestiti erogati alle PMI o in loro crediti; iii) la defiscalizzazione sulle plusvalenze è ampliata fino a 150 mila euro all’anno per dieci anni (il DL 104/2020 ha elevato la soglia a 300 mila euro all’anno); iv) il vincolo di concentrazione sul singolo emittente è elevato al 20 per cento; v) i nuovi PIR possono essere costituiti anche tramite FIA, quali, ad esempio, Eltif, fonti di private debt e fondi di credito, ecc.
[9] De Vincenzo A., Audizione sulle tematiche relative allo squilibrio della struttura finanziaria delle imprese italiane che rischia di essere determinato dalla pandemia da Covid-19, op. cit.
[10] Nel 2020 le imprese hanno registrato una forte contrazione dei flussi di reddito: il margine operativo lordo (MOL) si è ridotto del 7,2 per cento. Il calo dei profitti è stato attenuato dalla bassa incidenza del costo del debito; gli oneri finanziari netti hanno continuato ad assorbire una quota contenuta del MOL. Cfr. Banca d’Italia, Relazione per l’anno 2020, Roma, 31.5.2021. Per il 2021 si prevede un miglioramento della redditività, di entità tuttavia ancora insufficiente a compensare la flessione dell’attività produttiva. Cfr. Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, n. 1/2021.
[11] Convertito con modificazioni nella legge 27/2020.
[12] Il Fondo di garanzia per le PMI è stato istituito con legge 662/96 ed è operativo dal 2000. La sua finalità è quella di favorire l’accesso alle fonti finanziarie delle PMI mediante la concessione di una garanzia pubblica che si affianca e spesso si sostituisce alle garanzie reali offerte dalle imprese.
[13] Convertito con modificazioni nella legge 40/2020.
[14] Secondo la Relazione illustrativa, le strutture di basket bond presentano per le imprese vantaggi in termini di riduzione dei costi di finanziamento, di allungamento della durata dei prestiti e di ampliamento della platea di investitori istituzionali.
[15] Convertito con modificazioni nella legge 77/2020.
[16] In deroga all’art. 2412 c.c., tali emissioni possono superare il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Inoltre, il rimborso avviene decorsi 5 mesi dalla sottoscrizione, con la possibilità di rimborso anticipato dopo 3 anni.
[17] Se le imprese hanno beneficiato di ulteriori misure di sostegno in termini di garanzie o di tassi di interesse nell’ambito del “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del Covid-19”, la somma degli importi garantiti, dei prestiti agevolati e dell’ammontare degli strumenti finanziari sottoscritti non potrà superare il maggiore valore tra il 25 per cento del fatturato relativo al 2019 e il doppio dei costi del personale del 2019.
[18] Gestito da Cassa Depositi e Prestiti, Patrimonio Rilancio opera secondo due differenti modalità: nelle forme e nelle condizioni previste dal Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato, adottato dalla Commissione europea il 19 febbraio 2020, ovvero a condizioni di mercato con il coinvolgimento di investitori privati per almeno il 30 per cento dell’intervento. L’ammontare massimo di ogni singolo intervento non può superare 2 miliardi di euro. Possono richiedere l’intervento di Patrimonio Rilancio le società per azioni, anche non quotate, comprese quelle costituite in forma cooperativa con sede in Italia (con esclusione di banche e assicurazioni), che abbiano un fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro e non si trovino in situazione di grave irregolarità contributiva o fiscale. Con DM 3 febbraio 2021 sono stati stabiliti i requisiti di accesso, le condizioni, i criteri e le modalità degli interventi del Patrimonio Rilancio.
[19] Convertito con modificazioni nella legge 126/2020.
[20] De Socio A. e altri, Gli effetti della pandemia sul fabbisogno di liquidità, sul bilancio e sulla rischiosità delle imprese, Note Covid-19, 13.11.2020.
[21] Assonime, Proposta di un piano per la ricapitalizzazione delle PMI italiane, in Note e Studi, n. 9/2021.
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