Di Maura Castiglioni, Avvocato
La commissione di massimo scoperto costituisce il corrispettivo per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma, a prescindere dal suo concreto utilizzo, oppure la remunerazione per il rischio cui la banca è sottoposta nel concedere al correntista affidato l’utilizzo di una determinata somma, a volte oltre il limite dello stesso affidamento (Tribunale di Piacenza, sent. n. 309 del 12/04/2011). E’ calcolata in una percentuale fissa sulla punta massima di utilizzazione del fido o dello scoperto di rapporto.
L’applicazione da parte delle banche di tale costo nei rapporti con i clienti ha dato origine a numerose contestazioni giuridiche dettate anche dall’assenza di una previsione normativa che disciplinasse gli addebiti a titolo di commissioni di massimo scoperto.
Una meno recente giurisprudenza (ex multis si vedano: Tribunale di Milano, sent. n. 8896 del 29/06/2002; Tribunale di Lecce, sent. dell’11/03/2005; Tribunale di Monza, sent. del 12/12/2005) aveva statuito la nullità della relativa clausola contrattuale precisando che il servizio reso dalle banche con l’apertura di credito trova già sufficiente ed adeguata remunerazione nella pattuizione degli interessi, e pertanto la richiesta di ulteriori somme per tale prestazione si configura come priva di causa.
Pronunce più recenti si sono pronunciate in favore della validità degli addebiti a titolo di commissione di massimo scoperto, ritenendo che la commissione di massimo scoperto non costituisce una componente degli interessi od una modalità di calcolo degli stessi, essendo invece destinata ad operare su un piano diverso ed a remunerare una diversa prestazione della banca consistente nell’integrale ed immediata messa a disposizione dei fondi di cui all’apertura di credito a semplice richiesta del cliente (ex multis: Tribunale di Mantova, sent. del 02/02/2009.
Qualche giurisprudenza ha proseguito nel ritenere la commissione di massimo scoperto affetta da insanabile nullità per difetto di causa, qualora venisse applicata sul massimo sconfinamento eseguito nel periodo, poiché in questo caso costituirebbe una doppia imposizione su somme che già sono produttive di interessi, e costituirebbe dunque una forma occulta di costo per il cliente, che produrrebbe l’effetto di aumentare ingiustificatamente il tasso reale dell’interesse praticato (Tribunale di Mondovì, sent. del 04/05/2010).
La clausola contrattuale che prevede la commissione di massimo scoperto è comunque sempre nulla qualora il contratto che la preveda non ne enunci il contenuto e l’ammontare, di guisa che il cliente non sia in grado di calcolarla ex ante e neppure di ricostruirla ex post e si trovi da essa onerato quale ulteriore voce di addebito che confluisce sul conto (Tribunale di Parma, sent. del 23/03/2010).
All’assenza di una previsione normativa relativa alla commissione di massimo scoperto si è cercato di porre rimedio negli ultimi anni ed un primo tentativo lo si deve attribuire all’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 29 novembre 2008, convertito con modificazioni nella Legge n. 2 del 28 gennaio 2009, che così aveva previsto:
“Sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido. Sono altresì nulle le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente e sia specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento. L’ammontare del corrispettivo omnicomprensivo di cui al periodo precedente non può comunque superare lo 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento, a pena di nullità del patto di remunerazione. Il Ministro dell’economia e delle finanze assicura, con propri provvedimenti, la vigilanza sull’osservanza delle prescrizioni del presente articolo”.
Si è cercato dunque di attribuire un contenuto contrattuale determinato alle commissioni di massimo scoperto.
Tale norma è comunque stata successivamente abrogata dall’art. 27 comma 4 del d.l. 24 gennaio 2012 n.1 convertito in L. n. 27 del 24 marzo 2012.
Solo con l’entrata in vigore del nuovo art. 117 bis del d. lgs. 385/93 (Testo Unico Bancario), si è finalmente provveduto per il futuro a disciplinare legislativamente la clausola contrattuale della commissione di massimo scoperto, stabilendo dei requisiti assolutamente precisi, in assenza dei quali la clausola è nulla.
L’art. 117 bis del d. lgs. 385/93, inserito dall’articolo 6-bis, comma 1, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito con L. n. 214 del 22/12/2011 ed entrata in vigore il 28/12/2011), così stabilisce:
“1. I contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate. L’ammontare della commissione non può superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente. 2. A fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, i contratti di conto corrente e di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi e un tasso di interesse debitore sull’ammontare dello sconfinamento. 3. Le clausole che prevedono oneri diversi o non conformi rispetto a quanto stabilito nei commi 1 e 2 sono nulle. 4. Il CICR adotta disposizioni applicative del presente articolo e può prevedere che esso si applichi ad altri contratti per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente; il CICR prevede i casi in cui, in relazione all’entità e alla durata dello sconfinamento, non sia dovuta la commissione di istruttoria veloce di cui al comma 2”.
Dalla data del 28 dicembre 2011 – data di entrata in vigore della legge di conversione del D.l. n. 201/2011 che ha introdotto l’art. 117 bis – nei nuovi rapporti di apertura di credito può quindi essere prevista una commissione onnicomprensiva, purchè sia stabilita in contratto, sia calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma concessa al cliente ed alla durata del contratto e purchè non sia superiore allo 0,5% per trimestre, rispetto all’importo concesso al cliente. In assenza di apertura di credito e qualora si verifichino sconfinamenti, il contratto di conto corrente può prevedere una commissione di istruttoria, determinata in misura fissa e commisurata ai costi.
Per i rapporti già in essere l’art. 27 del D.l. 24 gennaio 2012 n.1 (convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27) ha così stabilito ai commi 2 e 3:
“2. La delibera del CICR di cui al comma 4 dell’articolo 117 bis del d. lgs. 385/93, è adottata entro il termine del 31 maggio 2012 e la complessiva disciplina entra in vigore non oltre il 1º luglio successivo. 3. I contratti di apertura di credito e di conto corrente in corso sono adeguati entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2, con l’introduzione di clausole conformi alle disposizioni di cui all’articolo 117-bis del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, ai sensi dell’articolo 118 del medesimo decreto legislativo”.
Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in qualità di Presidente del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) è intervenuto con decreto n. 644 del 30 giugno 2012 disciplinando la remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti in attuazione dell’articolo 117-bis del Testo Unico Bancario e prevedendo una disciplina anche per i contratti già in essere alla data del 1° luglio 2012.
In particolare tale decreto ministeriale ha in primis disciplinato la previsione di commissioni bancarie sia in ipotesi di affidamento in essere tra banca e cliente e sia in ipotesi di sconfinamento (dall’affidamento concesso o in assenza di affidamento).
All’art. 3 è stabilito che nei contratti di affidamento stipulati dopo la data del 1° luglio 2012 – corrispondente all’entrata in vigore del decreto n. 644 – possono essere previsti esclusivamente i seguenti oneri a carico del cliente: a) una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento. L’ammontare della commissione è liberamente determinato – in coerenza con il presente decreto – nel contratto, tenendo anche conto della specifica tipologia di affidamento, e non può superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente; b) un tasso di interesse applicato sulle somme utilizzate dal cliente e per il periodo in cui sono utilizzate.
La prevista onnicomprensività della commissione comporta che non possono essere stabiliti ulteriori oneri in relazione alla messa a disposizione dei fondi né all’utilizzo dei medesimi, ivi inclusi la commissione per l’istruttoria, le spese relative al conteggio degli interessi e ogni altro corrispettivo per attività che sono a esclusivo servizio dell’affidamento. La commissione si applica sull’intera somma messa a disposizione del cliente in base al contratto e per il periodo in cui la somma stessa è messa a disposizione e viene addebitata al cliente secondo quanto previsto dal contratto; se addebitata in anticipo, in caso di estinzione anticipata del rapporto ne viene restituita la parte eccedente.
L’art. 4 del decreto ministeriale n. 644 disciplina poi anche gli oneri in ipotesi di sconfinamento dall’affidamento concesso, o in assenza di affidamento, in particolare prevedendo che possano essere applicati:
a) una commissione di istruttoria veloce;
b) un tasso di interesse sull’ammontare e per la durata dello sconfinamento.
La commissione di istruttoria veloce deve essere determinata, per ciascun contratto, in misura fissa ed è espressa in valore assoluto. Possono essere applicate commissioni di importo diverso a contratti diversi, anche a seconda della tipologia di clientela. Nei contratti stipulati con soggetti diversi dai consumatori possono essere applicate, nello stesso contratto, commissioni differenziate a seconda dell’importo dello sconfinamento, se questo è superiore a 5.000 euro; non possono essere previsti più di tre scaglioni di importo. La commissione non eccede i costi mediamente sostenuti dall’intermediario per svolgere l’istruttoria ed è applicata solo a fronte di addebiti che determinano uno sconfinamento o accrescono l’ammontare di uno sconfinamento esistente.
Ci sono tre casi in cui la commissione di istruttoria veloce non è dovuta: 1) quando nei rapporti con i consumatori, ricorrono entrambi i seguenti presupposti: a) per gli sconfinamenti in assenza di fido, il saldo passivo complessivo – anche se derivante da più addebiti – è inferiore o pari a 500 euro; per gli utilizzi extrafido l’ammontare complessivo di questi ultimi – anche se derivante da più addebiti – è inferiore o pari a 500 euro; b) lo sconfinamento non ha durata superiore a sette giorni consecutivi. 2) Lo sconfinamento ha avuto luogo per effettuare un pagamento a favore dell’intermediario. 3) Lo sconfinamento non ha avuto luogo perché l’intermediario non vi ha acconsentito.
Dunque per i contratti conclusi a far data dal 1° luglio 2012 esiste una rigorosa disciplina in materia di commissioni per la remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti.
Inoltre il decreto ministeriale n. 644 ha dettato disposizioni anche relative ai contratti già in essere alla data del 1° luglio 2012, in particolare prevedendo un obbligo di adeguamento così stabilito all’art. 5, comma 4: “I contratti in corso al 1° luglio 2012 sono adeguati entro il 1° ottobre 2012 con l’introduzione di clausole conformi all’articolo 117-bis del TUB e al presente decreto, ai sensi dell’articolo 118 del TUB.
L’adeguamento dei contratti a quanto previsto ai sensi dell’articolo 117-bis del TUB e del presente decreto costituisce giustificato motivo ai sensi dell’articolo 118 del TUB. Per i contratti che non prevedono l’applicazione dell’articolo 118 del TUB, gli intermediari propongono al cliente l’adeguamento del contratto entro il 1° ottobre 2012”.
Quindi l’adeguamento dei contratti già in essere costituisce un giustificato motivo ex art. 118 d. lgs. 385/93, che attribuisce alla banca la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto, con conseguente obbligo di comunicazione al cliente.
E’ pertanto necessario che la banca comunichi secondo le formalità previste dall’art. 118 del TUB – e dunque con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente – l’avvenuto adeguamento del contratto in essere a quanto previsto ai sensi dell’art. 117-bis del TUB ed ai sensi del decreto ministeriale n. 644/2012 in materia di commissioni. In difetto il cliente potrà eccepire l’inefficacia delle variazioni contrattuali previste in relazione all’obbligo di adeguamento, se a sé sfavorevoli.
Rivista di Diritto Bancario Tidona - Il contenuto di questo documento potrebbe non essere aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito a concrete fattispecie.