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Di Roberto Marcelli
Nota alla sentenza n. 20449 del 18/05/05 della Suprema Corte di Cassazione
Premessa
L’anatocismo viene praticato oltre che sui conti correnti anche sui mutui ordinari.
Solitamente le banche usano calcolare gli interessi di mora non sulla quota capitale impagata ma sull’intero importo della rata, generando una produzione di interessi su interessi. La Cassazione si era pronunciata anche su questa forma di anatocismo, stabilendo che la pattuizione intervenuta preventivamente all’atto della stipula del mutuo con la quale si prevede la corresponsione di interessi di mora sulle rate scadute e non pagate già comprensive degli interessi corrispettivi, costituisce violazione del divieto di anatocismo, secondo la disciplina dettata dall’art. 1283 c.c..
Più recentemente, con sentenza n. 2593 del 20/2/03 la Cassazione ha ribadito che “in ipotesi di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differito nel tempo, mediante pagamento di rate costanti comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante, cosicché la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, la quale stabilisca che sulle rate scadute decorrano gli interessi sull’intera somma integra un fenomeno anatocistico, vietato dall’art. 1283 c.c.”.
Risulterebbe invece legittimo l’anatocismo applicato ai mutui fondiari posti in essere prima del T.U. bancario D. Lgs 393/93, risultando questo previsto dalla legge[1] (Cassazione N. 2593/03). Infatti il menzionato T.U. bancario, all’art. 161, lascia invariata, per i contratti in essere alla data di entrata in vigore (1/1/94), la precedente normativa; mentre, non prevedendolo più esplicitamente, per i mutui fondiari – come per quelli ordinari – l’anatocismo risulterebbe escluso a partire dall’1/1/94[2].
La disciplina ha subito successivamente un’ulteriore modifica con la Delibera CICR 9/2/00. In forza dei poteri attribuiti dall’art. 120 del D. Lgs 385/93, come modificato dall’art. 25 del D.L. 342/99, il CICR ha stabilito, con la menzionata Delibera, le modalità per la produzione di interessi sugli interessi sulle operazioni bancarie: in particolare, nelle operazioni di finanziamento rimborsate mediante rate temporali predefinite, in caso di inadempimento, se contrattualmente stabilito, è consentito l’anatocismo, cioè la mora sull’intera rata scaduta (compresa la quota interessi), seppur senza alcuna capitalizzazione.
Pertanto, a partire dal 20/4/00 (data di entrata in vigore della Delibera), l’anatocismo è stato nuovamente reintrodotto, questa volta su ogni forma di finanziamento con piano di rimborso rateale.
La novità interpretativa introdotta dalla nuova sentenza della Corte di Cassazione (N. 20449/05) disciplina l’anatocismo dopo la risoluzione per inadempimento dei contratti di finanziamento: la sentenza riguarda un caso di mutuo fondiario ma il principio addotto dalla Suprema Corte è estensibile ad ogni operazione di finanziamento rimborsabile tramite rate periodiche.
Il divieto dell’anatocismo sulle rate a scadere
Le banche, di norma, successivamente alla risoluzione dei mutui fondiari, determinano l’ammontare oggetto di precetto sull’importo delle rate a scadere, ricomprendono anche la quota interessi, alle quali poi vengono applicati gli interessi di mora.
La sentenza in parola stabilisce che, quando la banca mutuante, a seguito dell’inadempimento del mutuatario, intima il precetto per ogni suo credito, comprensivo del capitale residuo, attiva la clausola risolutiva. Con la risoluzione del contratto, afferma la Corte, si anticipa la scadenza dell’obbligazione di rimborso del capitale a cui segue, nel caso di ulteriore ritardo nel rimborso, l’applicazione degli interessi di mora al tasso convenuto in contratto. Tali interessi vanno calcolati, oltre che sulle rate scadute, sul capitale residuo e non già sulle rate a scadere, che, comprendendo sia la quota capitale che la quota interessi, configurerebbero una forma di anatocismo non più giustificato dall’eliminazione del beneficio della dilazione per il debitore.
Pertanto la sentenza in parola, nel ribadire l’anatocismo legale per le rate scadute (consentito dall’art. 14, secondo comma, D.P.R. N. 7/1976 e, in precedenza, dall’art. 38, secondo comma, T.U. del 1905), ne esclude, nel caso di risoluzione del contratto di mutuo, l’applicazione alla rate a scadere; dopo la risoluzione del contratto occorre, invece, far riferimento al capitale residuo sul quale però viene applicato il tasso convenzionale (mora) e non già il tasso legale.
Si osservi che il beneficio che ne consegue al mutuatario dal venir meno dell’anatocismo risulta, di norma, ben inferiore al maggior carico di interessi di mora che vengono a gravare, sin dal momento della risoluzione, sul capitale residuo a fronte di quelli che attualmente applicano le banche sulle rate future alle relative scadenze.
Un esempio può essere di chiarimento.
Si prenda il caso di un mutuo decennale, con rate semestrali al tasso fisso annuo del 7,34% e tasso di mora 10%. Nella tavola che segue è riportato il piano di ammortamento, nelle due ipotesi alternative, a rata costante e a quota capitale costante.
Si supponga che vengano regolarmente pagate soltanto le prime 8 rate e che la banca all’1/1/95 risolve il contratto reclamando l’intero credito, rate scadute e capitale residuo.
Al 1/7/99, dopo precetto e pignoramento, si perviene a saldare l’intero debito.
Nella prassi attualmente impiegata dalle banche, con il calcolo degli interessi di mora applicati alle rate alle singole scadenze (che ricomprendono gli interessi al 7,34%), si perviene ad un importo di €. 91.800 e €. 74.414, rispettivamente nell’ammortamento francese (rata costante) e in quello italiano (quota capitale costante); impiegando i criteri stabiliti nella sentenza in esame si ottiene invece un valore a saldo rispettivamente di €. 98.685 e €. 92.221.
Il divario fra gli importi ottenuti con la metodologia impiegata dalle banche e quelli ottenuti con la metodologia indicata dalla sentenza, tende ad essere tanto maggiore quanto più ampio è lo scarto del tasso di mora rispetto al tasso del mutuo e quanto più ampio è l’intervallo di tempo fra la risoluzione e la scadenza del mutuo.
NOTE:
[1] L’art. 38 del R.D. N. 646/05 (T.U. del credito fondiario), diversamente da quanto accade nel credito ordinario, attesta l’esistenza di normativa anteriore al codice civile del ’42 che legittima la deroga al divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c. (“…il pagamento di interessi, annualità, compensi, diritti di finanza e rimborsi di capitali dovuti non può essere ritardato da alcuna opposizione. Le somme dovute per tali titoli producono di pieno diritto interessi dal giorno della scadenza”).
[2] La diversa posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, nei confronti dell’anatocismo dei mutui ordinari e di quelli fondiari è stata fatta propria dalla prassi giudiziaria del Tribunale di Roma che, nelle istruzioni relative alle CTU contabili, nel distinguere i mutui bancari da quelli fondiari riconosce la distinzione sopra riportata. Infatti con riferimento ai mutui fondiari si precisa che: “…….. si deve distinguere tra contratti stipulati anteriormente al 1° gennaio 94 e contratti stipulati successivamente. Per i primi la norma a cui far riferimento è quella dell’art. 38 del Regio Decreto 1905, n. 646: deve pertanto considerarsi ammissibile la richiesta di interessi anatocistici per tale tipologia di contratti. Per i secondi invece, giacché la norma citata non è stata riprodotta nel D. lgs n. 385/93 deve ritenersi applicabile la medesima disciplina prevista per i contratti di mutuo ordinario.” (scomputando, dall’eventuale somma richiesta gli interessi moratori computati sulla quota parte della rata scaduta relative agli interessi convenzionali).
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