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Di Maurizio Tidona, Avvocato
9 maggio 2014
Nel leasing traslativo immobiliare, ove i canoni costituiscono il versamento rateale del prezzo, e non il corrispettivo del mero godimento del bene, in previsione dell’esercizio finale dell’opzione di acquisto, l’interesse del concedente è quello di ottenere l’integrale restituzione della somma erogata a titolo di finanziamento, con gli interessi, il rimborso delle spese e gli utili dell’operazione, ma non quello di ottenere la restituzione dell’immobile, che normalmente non rientrava fra i beni di sua proprietà alla data della conclusione del contratto, né costituiva oggetto della sua attività commerciale.
Il bene è difatti ordinariamente scelto e acquistato presso terzi dall’utilizzatrice in funzione delle sue personali esigenze ed è solo pagato dalla società di leasing, che se ne intesta la proprietà esclusivamente in funzione di garanzia della restituzione del finanziamento.
L’operazione è quindi soggetta all’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. il quale dispone che, se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno; qualora sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice, secondo le circostanze, può comunque ridurre l’indennità convenuta.
Per espressa previsione dell’art. 1526 c.c. la stessa disposizione si applica anche nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al suo termine, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti.
Le parti del contratto hanno il diritto di applicare gli adeguamenti e i temperamenti del caso, in considerazione del fatto che – mentre nella vendita con riserva della proprietà nel caso di inadempimento dell’acquirente il venditore normalmente soddisfa il suo principale interesse con il recupero del bene, ed il danno conseguente può consistere nel relativo deterioramento, nella perdita degli utili inerenti al godimento, nella perdita di altre proficue occasioni di vendita, e simili – nel leasing la riconsegna dell’immobile è insufficiente, quale risarcimento del danno, ove la restituzione del finanziamento non segua e il valore dell’immobile non valga a coprirne l’intero importo. Questo costituisce un quid pluris rispetto all’interesse e ai danni effettivi subiti dal concedente, ove si aggiunga all’integrale restituzione della somma erogata, con i relativi interessi e spese.
Per tali ragioni, le clausole contrattuali che attribuiscano alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento e in più la proprietà e il possesso dell’immobile, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli che essa aveva il diritto di attendersi dalla regolare esecuzione del contratto, venendo a configurare gli estremi della penale manifestamente eccessiva rispetto all’interesse del creditore all’adempimento, di cui all’art. 1384 cod. civ. (Cass. civ. n. 888/2014; Cass. civ. n. 19732/2011; Cass. civ. n. 4969/2007; Cass. civ. n. 574/2005).
Nel valutare se la penale sia manifestamente eccessiva, il giudice è tenuto a comparare il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente con il margine di guadagno che egli si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (Cass. civ. n. 888/2014; Cass. civ. n. 4208/2001).
Al fine di evitare che clausole penali attribuiscano al concedente vantaggi eccessivi, occorre quindi che nel contratto sia specificamente attribuito all’utilizzatore – una volta restituito l’intero importo del finanziamento – il diritto di recuperare la proprietà e disponibilità del bene oggetto del leasing, in termini prestabiliti e precisi (non mere e generiche facoltà, indeterminate nei tempi e nei modi e rimesse alla discrezione del concedente); oppure il diritto di imputare il valore dell’immobile alla somma dovuta in restituzione delle rate a scadere, ove cosi le parti preferiscano, sempre che le relative decisioni e scelte siano concordate e non rimesse all’arbitrio dell’una o dell’altra di esse (Cass. civ. n. 888/2014).
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